JENSEN, Johannes Vilhelm
Poeta e romanziere danese, nato a Farsa nello Jütland il 20 gennaio 1873. È una delle maggiori personalità letterarie della Danimarca contemporanea.
Incominciò come impressionista, sotto l'influenza di Jørgensen, con un romanzo Danskere (Danesi, 1896) a cui seguì un altro romanzo Einar Elkjœr (1897), già più personale: insolito nel tono, estroso nei suoi sviluppi. Ma fu solo durante un successivo eoggiorno in America che, attraverso il contatto con quella civiltà, si sviluppò in lui la chiara coscienza dell'intermessa natura d'uomo e d'artista (v. i romanzi di vita americana che lo J. in seguito compose: Madame d'Ora, 1904; e particolarmente Hjulet, La ruota, 1905). Quando, negli ultimi anni del secolo, si determinò nella Danimarca, in reazione contro il romanticismo degl'impressionisti, quel movimento di poesia paesana, che porta il nome dello Jütland dall'origine degli scrittori che ne fecero parte e dalla materia che trattarono nella loro opera, anch'egli vi aderì; ma con un orientamento suo proprio, personale, lontano dal semplice rusticano naturalismo della scuola. Nei toni realistici e nella gioia della materia aspra, da cui traggono evidenza e forza le sue evocazioni di vita jütlandese (Immerlandshistorier, Storie dello H., 3 raccolte, 1898, 1904, 1910; a cui si aggiunse più tardi il racconto Jørgine, 1926), irrompe un lirismo impetuoso, visionario. Sentimento elementare della natura, gusto per il primitivo, intuizione della vita come forza e potenza; vi sono già in germe quelli che saranno i motivi dominanti del suo pensiero: esaltazione della razza gotica-jütlandese e anglosassone (Den gotiske Renaissance, 1901); esaltazione del progresso umano (Den ny Verden, Il nuovo mondo, 1907; Nordisk Aand, Spirito nordico, 1911; Introduction til vaar Tidsalder, Introduzione alla nostra epoca, 1915; Aarbog, Annuario, 1916, 1917); unità di civiltà e natura nel concetto darvinistico d'evoluzione (Evolution og Moral, Evoluzione e morale, 1925; Dyrenes Forvandling, La trasformazione degli animali, 1927; Aandes Stadier, Gli stadî dello spirito, 1928). È un pensiero che non si può portare sopra un piano di discussione razionale o storica: come si può discutere sul serio della "vichingità" di Cristoforo Colombo?; un pensiero, che solo quando venga considerato entro la personalità dell'autore, acquista, con la sua interna giustificazione, la sua pienezza di significato. Il suo valore è di essere stato punto di partenza verso l'opera di poesia che per oltre un quarto di secolo lo J. è venuto via via creando: insieme con singoli volumi di liriche (Digte, 1906, 1925, 1926) e con singoli volumi d'impressioni di viaggio e novelle (Skovene, 1904; Eksotiske Noveller, 1907-09), più immediata eco delle sue esperienze di vita; la lirico-drammatica evocazione dell'età di Cristiano III (Kongens Fald, La caduta del re, voll. 3, 1899-902: I. La morte della primavera; II. La grande estate; III. L'inverno), il ciclo di romanzi sulla Danimarca della età preistorica (Den lange Rejse, Il lungo viaggio: I. Det tabte Land, la terra perduta, 1908; II. Bræen, Ghiacciaio, 1908; III. Norne-Gæst, L'ospite delle Norne; IV. Cimbrernes Tog, La spedizione dei Cimbri; V. Skibet, La nave, VI. Christofer Columbus); il ciclo di miti (Myther, voll. 6, 1907, 1908, 1910, 1912, 1924, 1928): è un'opera vasta, e non tutto vi ha la stessa potenza; le ideologie che il poeta s'affatica a trascinar con sé appesantiscono o inceppano in singoli volumi, come nel Columbus, il volo alla poesia; ma tutte le volte che l'immaginazione riesce a liberarsene ne nascono visioni di veemente vitalità e di una corporeità monumentale.
Per la vittorughiana potenza dell'esplosione verbale, lo J., al di là del realismo polemico e dell'impressionismo coloristico dell'età precedente, ha dato alla Danimarca, insieme con un nuovo mondo poetico, una nuova lingua.
Bibl.: O. Gelsted, J. V. J., Copenaghen 1916.