LAW, John barone di Lauriston
Economista e banchiere, nato a Edimburgo il 21 aprile 1671. Ricco, nobile e gran giuocatore, dotato d'ingegno vivacissimo e di raffinata signorilità, condusse una vita disordinata e dispendiosa, pur dedicandosi con passione allo studio di questioni economiche. La sua competenza in materia bancaria e finanziaria era già nota quando nel 1694, condannato per avere ucciso in duello, fu costretto a riparare in Olanda, dove fu subito nominato segretario del residente inglese e poté studiare a fondo l'organizzazione della Banca di Amsterdam. Il suo corredo di cognizioni tecniche arricchì quindi in Francia e in Italia. Rientrato in Scozia, pubblicò due opuscoli: Proposals and reasons for constituting a council of trade in Scotland (Edimburgo 1700), da alcuni attribuito a W. Paterson, in cui proponeva una grande riforma fiscale e altre misure atte a favorire lo sviluppo del commercio e dell'industria; e Money and trade (Edimburgo 1705), divenuto classico nella traduzione francese Considérations sur le numéraire et le commerce (L'Aia 1720-1724, e in Coll. Guillaumin, Parigi 1848), in cui, partendo dalla premessa che "il commercio e il numero degli abitanti che sono la ricchezza e la potenza di uno stato dipendono dalla quantità e dal modo d'impiego del numerario", proponeva di aumentare quest'ultimo mediante l'emissione di biglietti di banca, dotati di maggiore rapidità di circolazione e di altri vantaggi nei confronti della moneta metallica, e di rendere i biglietti indipendenti dalle variazioni di valore dei metalli preziosi, garantendoli sulla terra. I parlamenti di Scozia e d'Inghilterra respinsero la proposta e per un decennio il L. visse peregrinando di stato in stato tentando di realizzare i suoi arditi progetti. Trovò ascolto finalmente nel reggente duca di Orléans, ché le condizioni economiche della Francia alla morte di Luigi XIV erano quanto mai disastrose e L. prometteva di liberare il paese dal flagello delle variazioni monetarie e dall'usura, di alleggerire il debito pubblico e di agevolare la riscossione delle imposte. Per le molte ostilità, che un così vasto disegno incontrava nei consiglieri del reggente, L. non ottenne però sul principio che l'autorizzazione a fondare una banca privata (2 maggio 1716), la Banca Generale, che già dopo un anno si poteva dire consolidata, sia perché rispondeva effettivamente a un bisogno del mercato, sia anche per il favore del reggente, che ordinò che in biglietti si dovesse effettuare il pagamento delle imposte. L. pose mano allora alla seconda istituzione del suo sistema, a creare cioè una grande compagnia di commercio, che, interessando ai suoi affari gran parte della nazione, facesse aumentare la richiesta di numerario e permettesse quindi un rapido sviluppo dell'emissione dei biglietti. Con privilegio esclusivo di commercio nella Luisiana sorse così, nell'agosto 1717, la Compagnia d'Occidente e per quanto l'impresa fosse dal punto di vista commerciale piuttosto arrischiata e la compagnia non promettesse sul momento alcun dividendo, tuttavia, per la pubblicità rumorosa e la fiducia nel Las (come il suo nome era pronunciato in Francia), tutte le azioni furono sottoscritte. Un'altra tappa fu superata nel dicembre 1718, con la trasformazione della Banca Generale in Banca Reale, e i biglietti, favoriti da un decreto che ostacolava la circolazione delle monete metalliche, aumentarono considerevolmente. Pochi mesi dopo la Compagnia d'Occidente, assorbiti anche i privilegi delle languenti compagnie di Africa, delle Indie Orientali e della Cina, si trasformava in Compagnia delle Indie, con poteri illimitati e sterminati territorî ritenuti fonti d'inesauribili ricchezze. Le azioni, già nell'anno precedente salite di valore, presero uno slancio straordinario, specie allorché il L. ottenne il lucroso monopolio della fabbricazione delle monete e poi le fermes générales (appalto delle imposte indirette), soppiantando i fratelli Paris, che erano i maggiori rappresentanti del cosiddetto antisistema. Divenuto di fatto ministro delle Finanze, il L. intraprese una riforma fiscale, ispirata a principî di economicità, semplicità e giustizia distributiva, e la conversione del debito pubblico, ossia la trasformazione dei creditori dello stato in azionisti della compagnia, mediante rimborso in biglietti di banca da parte dello stato dei 1500 milioni di debito e investimento dei biglietti stessi in nuove emissioni di azioni. Lo spirito di speculazione si era però ormai impadronito del pubblico parigino e ogni nuova emissione vieppiù l'eccitava. Il potere di L. era illimitato, la situazione della compagnia brillante e il biglietto circolava ovunque favorevolmente accolto, ma l'andamento del mercato sempre più degenerava in un vero aggiotaggio; da 500 lire iniziali le azioni salirono fino a 18 mila, sì che sarebbe stato necessario un dividendo altissimo per dare anche un modesto frutto ai capitali in esse investiti e già i più accorti cominciavano a realizzare. Per conseguenza i biglietti, che si concentravano prima tutti in Via Quincampoix, divenuta la borsa di Parigi, inondarono il mercato e i prezzi delle merci salirono rapidissimamente. Invano il L. corse ai ripari, ostacolando la circolazione delle monete metalliche e instaurando un virtuale corso forzoso dei biglietti; questi si svalutavano sempre più, mentre con uguale rapidità si diffondeva il panico tra gli azionisti. La fusione della banca con la compagnia e alcune misure violente e contraddittorie adottate nei primi mesi del 1720, non fecero che precipitare lo sfacelo dell'intero sistema e, alla fine dell'anno, decretata la cessazione del corso dei biglietti, svalutate a 1000 lire le azioni, tra le esecrazioni generali, L. dovette lasciare la Francia. Rifugiatosi in Inghilterra, sperò ancora di potervi rientrare e tentò di giustificare l'opera sua (Mémoire justificatif, 1723), ma per la morte del reggente vide stroncate definitivamente le sue illusioni e nell'estrema miseria morì a Venezia nel 1729.
Molteplici e contraddittorî i giudizî su L., ritenuto da alcuni abile e ardito finanziere, da altri teorico fantastico e speculatore temerario, da altri ancora mistificatore e amministratore di mala fede. Piuttosto favorevoli a lui sono i primi storici del sistema, nonostante che da molti contemporanei esso fosse stato giudicato una disastrosa chimera. Con i fisiocratici e soprattutto con la scuola classica trionfa invece il disprezzo sistematico, anche dal punto di vista dottrinale. La critica più recente, in base anche a nuovi documenti e inquadrando il sistema nel suo tempo, ha scagionato però il L. di molte colpe, e ha riconosciuto l'originalità e la genialità di questo finanziere, che per primo vide chiaramente la connessione tra la questione monetaria e lo sviluppo della ricchezza di una nazione, inteso come sviluppo insieme dell'agricoltura, dell'industria e del commercio, e che in un secolo mercantilista concepì e tentò di realizzare con non comune competenza un'economia basata sul credito quale è divenuta poi fondamento della vita moderna. Sono stati d'altra parte messi in giusta luce gli errori teorici del sistema, specie l'avere ritenuto che l'emissione di carta moneta potesse procedere senza limiti purché adeguata alla momentanea domanda, senza tener conto che accanto alla domanda, espressione di reali bisogni, vi è quella d' indole speculativa. E fu la speculazione appunto, che L. seppe stimolare e non riuscì poi a frenare, una delle cause fondamentali della catastrofe, cui contribuì però non poco anche la troppa fretta con cui L. cercò di realizzare il suo progetto, specie per ciò che riguardava l'annullamento del debito pubblico: errore questo che egli stesso riconobbe più tardi (Mém. justif., p. 6). I contraddittorî provvedimenti del 1720, che furono la risultante del conflitto di tendenze in seno al governo, compromisero poi definitivamente la situazione; e anche la brutale liquidazione del sistema, decretata dagli avversarî, causò gravi perdite agli azionisti.
Per quel che riguarda la valutazione delle conseguenze dell'esperienza del L., è innegabile il profondo sconvolgimento della vita economica, quale sempre si verifica in seguito a un processo inflazionistico (l'aumento della circolazione non superò tuttavia probabilmente i limiti del doppio, e le variazioni dei prezzi furono soprattutto dovute alle alterazioni monetarie); ed è anche vero che dalla catastrofe derivò una generale diffidenza verso gl'istituti di credito che molto ritardò il loro sviluppo in Francia. Non è vero invece che la situazione finanziaria ed economica della Francia risultasse alla fine del 1720 peggiorata, ché l'onere dello stato per il debito pubblico si era in definitiva alleggerito e il capitale coloniale e la flotta della Compagnia delle Indie che L. lasciò alla Francia potevano compensare le perdite subite dai possessori di azioni e di biglietti.
Bibl.: Tra le opere dei contemporanei a lui piuttosto favorevoli, v.: De Hautchamp, Histoire du système des finances pendant 1719 et 1720, L'Aia 1738, e Dutot, Réflexions politiques sur les finances et le commerce, L'Aia 1738; tra quelle degli avversarî, F. M. Deschamps e J. Paris Duverney, Examen du livre Refl. pol. sur les fin. et le comm., L'Aia 1740. Il primo storico imparziale è F. Forbonnais, Recherches et considérations sur les finances de la France de 1595 à 1720, II, Basilea 1758. La prima storia critica, piuttosto indulgente, è quella di A. Thiers, Histoire de L., in Revue progressive, 1826 (Parigi 1858). Assai severa invece quella di E. Daire, in Coll. Guillaumin, I, Parigi 1843. Tra le opere più documentate v. É Levasseur, Recherches historiques sur le système de L., Parigi 1854. Nettamente contrario F. Ferrara in Biblioteca dell'economista, specialmente: VI, pp. lxxix segg. e clxvii segg. Tra le opere più recenti, v. A. Dubois, Précis de l'histoire des doctrines économiques, I, Parigi 1903; A. W. Wiston Glynn, J. L., Edimburgo 1907; A. Weyhmann, J. L., in Jahrbücher für Nat.-Ökon., 1910, pp. 238-42; M. Marion, Histoire financière de la France depuis 1715, I, Parigi 1914; K. F. Mann, in Jahrb. für Nat.-Ökon., 1919, pp. 97-122; R. Rohrbach, Die geld- und kredittheoretischen Anschauungen J. L., Berlino 1927; P. Harsin, Les doctrines monétaires et financières de la France du XVIe au XVIIIe siècle, Parigi 1928; id., Étude critique sur la bibliographie des øvres de L., Liegi 1928 (in cui si trova un elenco delle opere del L., edite e inedite); M. Di Gennaro, G. L. e l'opera sua, Milano 1931.