BOWLBY, John
Psicoanalista e pedopsichiatra inglese, nato a Londra il 26 febbraio 1907. Studia scienze naturali e medicina a Londra, specializzandosi in psichiatria infantile; inizia l'analisi didattica con J. Rivière (1933-37), lavorando inoltre come psichiatra al Maudsley Hospital, in particolare su pazienti depressi.
Nel 1935 B. partecipa alla discussione sullo scritto di M. Klein (Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco-depressivi) e avanza per primo l'ipotesi di uno stretto legame tra stati depressivi ed esperienza di un lutto recente, ipotesi rafforzata anche dal lavoro, iniziato nel 1936 alla Child Guidance Clinic di Londra, sui bambini istituzionalizzati. Fino al 1938, anno in cui inizia la supervisione con la Klein, B. sostiene la compatibilità del suo punto di vista con quello della società psicoanalitica britannica, ma già nel 1939 il lavoro The influence of early environment in the development of neurosis and neurotic character si distanzia dalle posizioni kleiniane. Arruolatosi nella seconda guerra mondiale nel servizio medico come psichiatra, nel 1942 fa parte della Commissione per la selezione degli ufficiali. Nel 1950 è invitato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità a partecipare alla ricerca sui bisogni dei bambini senza famiglia e inizia la collaborazione con J. Robertson, che durante la guerra aveva lavorato con A. Freud alle Hampstead Nurseries (vedi in particolare il film realizzato da Robertson per la Tavistock Clinic, A two-year goes to hospital, e J. Robertson, J. Bowlby, Responses of young children to separation from their mothers, in Courrier Centre Internationale Enfance, 2, 1952, pp. 131-42).
Su questa base B. sottolinea l'"influenza sfavorevole esercitata sullo sviluppo della personalità dall'inadeguatezza delle cure materne durante la prima infanzia" (v. in particolare Maternal care and mental health, 1951; trad. it., 1957). Come direttore del Department for Children and Parents della Tavistock Clinic prosegue la ricerca clinica, applicando i concetti etologici di K. Lorenz al comportamento dei bambini e al loro legame con la figura materna (An ethological approach to research in child development, in British Journal Med. Psychol., 30, 1957, pp. 230-40; trad. it., 1989; The nature of the child's tie to his mother, in International Journal Psycho-Anal., 39, 1958, e Ethology and the development of object relations, ibid., 41, 1960). B. avanza l'ipotesi di una tendenza primaria alla costante vicinanza con la figura materna, nucleo centrale della sua teoria dell'attaccamento (esposta sistematicamente nei tre volumi su Attachment and loss; trad. it., 1972-83), intesa come particolare concettualizzazione della "tendenza dell'essere umano a strutturare legami affettivi con persone particolari e a mantenere la vicinanza".
L'impiego di alcuni principi dell'etologia e della teoria del controllo permette a B. di costruire una teoria della motivazione senza ricorso ai concetti di pulsione e di energia, in collegamento con la psicologia cognitiva, che considera il comportamento di attaccamento come "distinto dal comportamento di nutrimento e da quello sessuale e dotato di un significato quanto meno uguale nella vita umana". B. sottolinea il carattere primario del comportamento di attaccamento, distinguendolo dal concetto di dipendenza, in quanto non specificamente correlato al mantenimento della vicinanza, caratterizzato da una connotazione negativa. La teoria dell'attaccamento postula l'esistenza di una organizzazione psicologica interna, intesa come sistema di controllo "in grado di mantenere la relazione con la figura di attaccamento entro limiti di distanza e di accessibilità, ricorrendo a metodi di comunicazione sempre più sofisticati", attraverso cioè una serie di sistemi comportamentali organizzati ciberneticamente. In un simile modello i cambiamenti nella organizzazione del comportamento di attaccamento, durante lo sviluppo individuale, dipendono dall'innalzamento della sua soglia di attivazione e dalla maggiore sofisticazione dei sistemi di controllo. Secondo B. esiste un forte rapporto causale fra le esperienze di un individuo con i propri genitori (il cui compito è fornire al bambino una "base sicura" incoraggiandolo a esplorare l'ambiente partendo da essa) e la sua capacità di costruire legami affettivi e di strutturare un "modello rappresentazionale di sé stesso che gli permette di aiutarsi a ricevere aiuto non appena sorgano difficoltà" (v. in particolare The making and breaking of affectional bonds, 1979, trad. it., 1982; A secure base, 1988, trad. it., 1989).