Carpenter, John
Regista statunitense, nato a Bowling Green (Kentucky) il 16 gennaio 1948. È uno dei registi americani che meglio hanno perseguito una linea di confronto con i classici del cinema statunitense. Tutta la sua filmografia è attraversata dall'insegnamento e dal riferimento all'immaginario visivo dei suoi maestri, da lui stesso più volte indicati in Howard Hawks, Alfred Hitchcock, Raoul Walsh e Orson Welles.
C. giunse alla Western Kentucky University con una già ricca cultura cinematografica, nell'ambito della quale era predominante la passione per i film di fantascienza a basso costo degli anni Cinquanta, che ispirarono infatti i suoi primi cortometraggi, realizzati fra il 1961 e il 1962. Nel 1968 fu ammesso alla University of Southern California, dove seguì i corsi di regia, fotografia e montaggio. E in tale periodo si configurò la sua immediata e, in seguito, mai più abbandonata adesione alla poetica dei generi. Esordì con un western, il cortometraggio The resurrection of Broncho Billy (1970) di James Rokos, per cui C., autore anche del montaggio e delle musiche, scrisse il soggetto (premiato con l'Oscar come miglior soggetto di cortometraggio), e a questo genere (intrecciato con il thriller e l'horror) rimase fedele, come dimostra Assault on Precinct 13 (1976; Distretto 13 ‒ Le brigate della morte), ispirato al classico Rio Bravo di Hawks. Ma la sua prima regia (il saggio di diploma) fu di un film di fantascienza, Dark star (1974), originale omaggio ai b-movies degli anni Cinquanta. Il legame con l'horror, già evidente in Assault on Precinct 13, diviene esplicito con Halloween (1978; Halloween ‒ La notte delle streghe), nel televisivo e dichiaratamente hitchcockiano Someone is watching me! (1978; Pericolo in agguato) e in The fog (1980; Fog), film in cui lo sguardo si confronta con l'invisibilità prodotta dalla spessa coltre di una nebbia assassina. Lungi dal ridursi a un lavoro di recupero dei generi, o a un'opera di loro decostruzione, il tentativo di C. è quello di riprenderne i codici di base in quanto fonti visive di inesauribile vitalità. Da qui la sua capacità di rinnovare l'immaginario collettivo e influenzare altri autori. Con Assault on Precinct 13, film ambientato in una periferia desolata, dove regnano incontrastate le bande criminali, e con Escape from New York (1981; 1997 ‒ Fuga da New York), lunga traversata di un eroe mitico e solitario in una New York senza più legge, sepolta sotto cumuli di macerie, C. ha aperto la strada a quel noir metropolitano postmoderno che annovera The warriors (1979; I guerrieri della notte) di Walter Hill, e Blade runner (1982) di Ridley Scott. Con Halloween, uno dei suoi film di maggior successo (tanto che egli stesso ne produrrà due sequels), ha inventato l'horror basato sull'angosciante identificazione dell'occhio dello spettatore con quello del serial killer.
Allo stesso modo dei classici, C. ha sfruttato alcune forme della narrativa popolare per sviluppare un'acuta riflessione sull'ambiguità dell'immagine, sul problema della visione in quanto esperienza conoscitiva, in cui bene e male si confondono e le identità tendono a svanire. Così in The thing (1982; La cosa), remake del classico di fantascienza del 1951 di Christian Nyby e Hawks, l'alieno, con la sua capacità di trasformarsi e assumere ogni sembianza del vivente, getta una luce inquietante su tutto ciò che appare. In They live (1988; Essi vivono), viaggio fantastico dai toni epici e dilatati in una società ormai assoggettata alle forze del male, vedere significa distinguere l'umano dal non umano, accedere a un livello di realtà più profondo, dove le cose appaiono per quel che sono. Analogamente, in Starman (1984), originale commistione fra melodramma, fantascienza e road movie, l'uomo delle stelle, l'extraterrestre, per farsi accettare deve prendere le sembianze di una persona che si conosce e si ama. E in Prince of darkness (1987; Il signore del male) il male è invisibile perché è diffuso dappertutto, anche nelle minuscole particelle subatomiche.
Questa dimensione visionaria ha resistito anche quando C. si è confrontato con processi seriali quali i remake e i sequels. Oltre che in The thing e Village of the damned (1995; Il villaggio dei dannati, altro remake, questa volta del film del 1960 di Wolf Rilla), questa sfida a guardare qualcosa che scompare, a cercare di vedere lì dove l'occhio non sembra in grado di percepire, si è precisata ulteriormente in Memoirs of an invisible man (1992; Avventure di un uomo invisibile). Ma nella stessa linea vanno a inserirsi anche film come Christine (1983; Christine la macchina infernale), tratto da un romanzo di S. King, Big trouble in Little China (1986; Grosso guaio a Chinatown), omaggio alle nuove avventure visive già allora proposte dal cinema di Hong Kong, Body bags (1993; Body bags ‒ Corpi estranei), film a episodi uscito solo in home video, e soprattutto In the mouth of madness (1994; Il seme della follia), opera che mostra con grande esattezza l'infinito ripetersi e rigenerarsi come nuovo del già visto, in un lucido delirio sulle ambiguità della visione.
Nel 1996, C. ha girato il sequel di Escape from New York, Escape from L.A. (Fuga da Los Angeles), film che calibra il discorso sul tema del doppio e dell'avventura illimitata. Con il successivo Vampires (1998; Vampires), C. ha scoperto nella figura mitica del vampiro la sintesi del proprio cinema, in continua tensione fra luce e ombra, fra visibile e invisibile, nello sforzo di vedere anche dentro l'oscurità. La forza teorica che era stata soprattutto di The thing si ritrova in John Carpenter's ghosts of Mars (2001; Fantasmi da Marte); con un film narrativamente complesso, continuamente decostruito in una fitta rete di flashback, il regista ha raggiunto forse il livello più alto della sua ricerca sull'ambiguità dello sguardo, sulla sua costitutiva apertura a nuovi e molteplici punti di vista.
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