Gilbert, John
Nome d'arte di John Pringle, attore cinematografico e teatrale, sceneggiatore e regista statunitense, nato a Logan (Utah) il 10 luglio 1895 e morto a Los Angeles il 9 gennaio 1936. La sua figura e la vicenda biografica sono emblematico simbolo del sistema cinematografico hollywoodiano degli anni Venti del Novecento; i produttori dapprima ne costruirono l'immagine di star del muto dal potente fascino virile, poi, nel passaggio al sonoro, lo eliminarono rapidamente dalla scena per la sua voce troppo acuta, senza mai preoccuparsi di valorizzarne un talento pur esistente, ma in cui nessuno, neanche lui stesso, volle effettivamente credere e investire.
Figlio d'arte (il padre dirigeva una compagnia di giro, la madre era l'attrice Ida Adair), G. cominciò a frequentare il palcoscenico sin da ragazzo. Anche se tentò di staccarsene, iscrivendosi all'accademia militare di San Rafael, lavorando a Portland per il giornale "Oregonian" e facendo innumerevoli mestieri, tornò ben presto nel mondo dello spettacolo, diventando attore e aiuto regista nella Baker Stock Company a Spokane, poi nella Forenpaugh Stock Company a Cincinnati. Non soddisfatto, a vent'anni tentò l'avventura del cinema, lavorando a Hollywood come comparsa, poi come generico o in piccole parti in cui veniva accreditato come Jack Gilbert, man mano crescendo di livello sino a debuttare nel 1920 come sceneggiatore al fianco del già affermato Jules Furthman, il futuro collaboratore di Josef von Sternberg. Con Furthman fu sceneggiatore di The great redeemer (1920; Brigantaggio e redenzione) diretto da Clarence Brown e di The white circle (1920) di Maurice Tourneur. Per lo stesso Tourneur sceneggiò da solo, ancora nel 1920, Deep waters e nel 1921 The bait. Nel 1921 tentò anche la regia con Love's penalty, di cui firmò sceneggiatura e soggetto. G. sperava di continuare su questa strada, ma fu richiamato all'ordine da Louis B. Mayer, il produttore da cui dipendeva: Mayer credeva soprattutto nelle sue qualità d'attore, ravvisando in lui il possibile rivale di Rodolfo Valentino, il divo più amato del momento, l'emblema del latin lover. Il successo ottenuto da G. nel 1922, come protagonista di Monte Cristo (Il conte di Montecristo) diretto da Emmett Flynn, dette ragione al produttore. Nel 1924 Mayer si associò a Marcus Loew e a Samuel Goldwyn, per dare vita alla Metro Goldwyn Mayer, di cui G. divenne subito uno degli attori di punta, distinguendosi nei maggiori film della neonata società, quali The merry widow (1925; La vedova allegra) di Erich von Stroheim, The big parade (1925; La grande parata) e La Bohème (1926), entrambi di King Vidor, e The masks of the devil (1928; La maschera del diavolo) di Victor Sjöström, il regista svedese che Hollywood aveva ribattezzato Seastrom.Intanto era sorto all'orizzonte un altro astro svedese, l'attrice Greta Garbo, che la MGM aveva subito messo sotto contratto. Mayer volle formare la coppia Garbo e Gilbert, sfruttando il contrasto tra due temperamenti così diversi, da un lato la passione contenuta da uno scudo di ghiaccio nordico, dall'altro quella arrogante, sopra le righe, dell'amante latino. Insieme interpretarono tre film di grande successo, alimentato anche da un'astuta campagna di stampa, che favoleggiava sulla loro, presunta o vera, relazione privata: Flesh and the devil (1926; La carne e il diavolo) di C. Brown, Love (1927; Anna Karenina) di Edmund Goulding e A woman of affairs (1928; Destino), sempre di Brown. Profittando anche della prematura morte di Rodolfo Valentino, G. era assurto al rango di money making star, ma la sua fortuna economica, insieme a quella artistica, subì nel giro di pochi mesi un doppio tracollo, sia per il crollo della Borsa di Wall Street il 29 ottobre 1929, sia per l'avvento del cinema sonoro e parlato. His glorious night (1929; Ladro d'amore) di Lionel Barrymore, il primo film sonoro e parlato da lui interpretato, aveva avuto un esito infelice sul piano commerciale e la causa dell'insuccesso era stata attribuita alla scarsa fonogenia dell'attore. La stampa popolare fu impietosa nei suoi confronti, ironizzando sulla sua voce tenorile: definì il film 'miagolato' anziché 'parlato'. Ma ciò, secondo alcuni, era dovuto all'intervento di Mayer il quale, volendo sbarazzarsi di G., diede ordine ai tecnici del suono di deformarne la voce alterando i suoni acuti e producendo un effetto comico che dilagò in sala proprio nelle scene più passionali del film. La tesi viene avvalorata dal fatto che in un film successivo, Downstairs (1932) di Monta Bell, su soggetto dello stesso attore, la voce funzionava benissimo. Ma ormai Hollywood aveva decretato il tramonto di colui che era stato la grande star del muto e a farlo risorgere non riuscì neppure il carisma della Garbo, che lo volle ancora una volta accanto in Queen Christina (1933; La regina Cristina) di Rouben Mamoulian. Ci fu un ultimo tentativo di risollevarne la sorte, con The captain hates the sea (1934) di Lewis Milestone, dove l'attore interpretava il ruolo, corrispondente alla realtà, di un alcolista. Due anni dopo G. moriva, ad appena 41 anni. La sua vicenda, come altre dello stesso periodo che già avevano ispirato George Cukor in What price Hollywood? (1932; A che prezzo Hollywood?), è alla base di A star is born (1937; È nata una stella) di William A. Wellman, nonché dei suoi successivi remake.
A. Rogers St. John, What defeated Jack Gilbert?, in "Photo-play", June 1935.
L.J. Quirk, John Gilbert, in "Films in review", March 1956.
K. Anger, Hollywood Babylon, San Francisco 1975 (trad. it. Milano 1979, pp. 145-52).
F. Ducout, Greta Garbo, la somnambule, Paris 1979, pp. 109-33.