COETZEE, John Maxwell
Scrittore sudafricano, nato a Cape Town il 9 febbraio 1940, naturalizzato australiano dal 2006. Due volte vincitore del Booker prize (nel 1983 per Life and times of Michael K, trad. it. La vita e il tempo di Michael K, 1986; e nel 1999 per Disgrace, trad. it. Vergogna, 2000), C. ha ricevuto riconoscimenti e onorificenze nazionali e internazionali culminati nel premio Nobel per la letteratura (2003). Nato da genitori afrikaner che lo crebbero con la lingua inglese, C. passò infanzia e adolescenza tra la cittadina di Worcester e Cape Town, dove poi si laureò in inglese (1960) e matematica (1961). Trascorse la prima parte degli anni Sessanta a Londra, lavorando come programmatore per la IBM mentre scriveva la tesi di master su Ford Madox Ford (1963). Nel 1965 vinse una borsa di studio Fulbright per gli Stati Uniti, dove completò un dottorato sul linguaggio di Samuel Beckett (University of Austin, Texas, 1969), autore che figura tra i suoi punti di riferimento. Dal 1968 cominciò a insegnare alla State University of New York (Buffalo), partecipando attivamente alle proteste universitarie contro la guerra in Vietnam e perdendo, così, diritto al visto richiesto per rimanere in America. Rientrato in Sudafrica (1971), ha continuato la carriera accademica insegnando letteratura inglese alla University of Cape Town fino al 2001. Nel 2002 si è trasferito in Australia.
C. è autore di tredici romanzi, tre autobiografie, sette raccolte di saggi, alcune traduzioni dall’afrikaans e articoli e recensioni usciti sulle maggiori testate culturali di lingua inglese. La narrativa di C., elusiva e metaforica, non affronta direttamente la questione dell’apartheid, sebbene questa sia il sottotesto di tutte le sue opere sin dai tempi dell’esordio con Dusklands (1974; trad. it. Terre al crepuscolo, 2003). La mentalità coloniale, con cui C. ha avuto familiarità in quanto membro della minoranza privilegiata sudafricana, ancorché dissenziente, è per lui spunto per una ricerca ontologica, drammatica quanto mai necessaria, sul potere e le sue strutture pervasive, sulla violenza fisica e psicologica, sul rapporto tra libertà e giustizia, sull’impossibile reciprocità dei rapporti umani, distorti dagli ineludibili contesti di potere in cui si realizzano, sulla difficoltà dell’io di dare conto anche solo di se stesso. I romanzi, che testimoniano la disfatta della condizione umana e al contempo l’anelito verso un’idea di accoglienza nei confronti delle creature, umane e animali, come nell’ultimo inquietante romanzo The childhood of Jesus (2013; trad. it. L’infanzia di Gesù, 2013), rivelano un livello metatestuale in cui è la scrittura stessa a essere posta sotto scrutinio nel suo ambiguo equilibrio tra verità e menzogna. Narratori inattendibili, ottusi, sfuggenti, incompetenti, incoerenti, talora alter ego dell’autore, come il personaggio di Elisabeth Costello, ripreso in più opere, popolano la sua prosa asciutta ma stratificata, iscritta tanto nel canone occidentale quanto in quello sudafricano, in una mescolanza di generi (epistola, diario, confessione, conferenza, saggio) che sembra voler riscrivere le regole del romanzo. Le intertestualità e contiguità con Fëdor Dostoevskij in The master of Petersburg (1994; trad. it. Il maestro di Pietroburgo, 1994), con Daniel Defoe in Foe (1986; trad. it. 1987), con Joseph Conrad in Waiting for the barbarians (1980; trad. it. Aspettando i barbari, 1983), la riscrittura del genere locale del plaasroman (romanzo rurale) in In the heart of the country (1977; trad. it. Deserto, 1993) e Life and times of Michael K, il trattamento particolare che riserva alla ‘confessione’, attraversandone le declinazioni in sant’Agostino, Jean-Jacques Rousseau, Franz Kafka, James Joyce, non solo nelle autobiografie fittizie (Boyhood, 1998, trad. it. Infanzia, 2001; Youth, 2002, trad. it. Gioventù, 2002; e Summertime, 2009, trad. it. Tempo d’estate, 2010), ma anche in romanzi come Age of iron (1990; trad. it. Età di ferro, 1995), Disgrace e Diary of a bad year (2007; trad. it. Diario di un anno difficile, 2008), uniti alle riflessioni che presenta nella saggistica (tra cui Doubling the point, 1992, Giving offense, 1996, White writing, 1988, parzialmente tradotti in Doppiare il capo, 2011; e Inner workings, 2007, trad. it. Lavori di scavo, 2010) fanno di C. uno degli scrittori più complessi e affascinanti della contemporaneità.
Bibliografia: D. Attwell, J. M. Coetzee. South Africa and the politics of writing, Berkeley 1993; D. Attridge, J. M. Coetzee and the ethics of reading, Chicago-London 2004; L. Fiorella, Figure del male nella narrativa di J.M. Coetzee, Pisa 2006; D. Head, The Cambridge introduction to J.M. Coetzee, Cambridge2009; G. Iannaccaro, J.M. Coetzee, Firenze 2009; M. Marais, Secretary of the invisible. The idea of hospitality in the fiction of J. M. Coetzee, Amsterdam-New York 2009; H.A.M. Nashef, The politics of humiliation in the novels of J.M. Coetzee, New York 2009; J. Poyner, J. M. Coetzee and the paradox of postcolonial authorship, Farnham 2009; J.C. Kannemeyer, J.M. Coetzee. A life in writing, Johannesburg 2012; E. MacFarlane, Reading Coetzee, Amsterdam-New York 2013; J. Zimbler, J. M. Coetzee and the politics of style, Cambridge 2014.