Keynes, John Maynard
L’economista che indicò una terza via tra capitalismo e comunismo
Keynes è stato una delle massime figure del pensiero economico del Novecento. Le sue teorie ebbero una risonanza a livello internazionale e influirono molto sulle politiche intraprese dai governi di tutto il mondo nella ricostruzione del secondo dopoguerra, per combattere la disoccupazione
John M. Keynes nacque a Cambridge nel 1883. L’ambiente familiare culturalmente stimolante e le sue innate qualità intellettuali gli permisero di eccellere negli studi, in molti campi. Fu professore universitario, direttore dell’Economic journal – la maggiore rivista economica dell’epoca –, amministratore delegato di importanti aziende, alto consulente del governo e suo rappresentante alle conferenze internazionali di pace, sia per la Prima sia per la Seconda guerra mondiale. Contribuì alla fondazione del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. Da tempo malato di cuore, morì nel 1946. Tra le sue opere più famose possiamo ricordare Trattato della probabilità (1921), Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936) e Come finanziare la guerra (1940).
Possiamo immaginare il mercato come una barca a vela, in balia di correnti marine diverse: la domanda e l’offerta. Non sempre la barca raggiunge il porto, cioè la piena occupazione e l’utilizzazione completa delle risorse. Se si alzano venti contrari, come l’inflazione o la deflazione, la barca naufraga: si hanno cioè disoccupazione e sottoproduzione. Secondo Keynes per far arrivare la barca a destinazione è necessario il timone dell’intervento pubblico.
Nei suoi scritti il grande economista analizza il sistema capitalista: lo definisce «decadente», «brutto», «internazionale ma individualistico» e afferma «che non si comporta come dovrebbe». Da cosa è motivato un tale giudizio? Dal fatto che, anche agli occhi di un liberale come Keynes, che è comunque un fautore della proprietà privata, il capitalismo porta a una distribuzione iniqua della ricchezza.
Inoltre, secondo l’economista inglese, non si comporta come dovrebbe. La teoria economica classica era dominata dalla convinzione che le principali forze che muovono il mercato – la domanda e l’offerta – fossero capaci di garantire, combinandosi fra loro, la piena occupazione e il completo utilizzo delle risorse. Il mercato, dunque, era autosufficiente e qualsiasi ingerenza statale sarebbe risultata dannosa. Questa teoria, però, appariva sconfessata da quello che accadeva negli anni Trenta, il periodo storico in cui Keynes scriveva. La Grande depressione del 1929 aveva gettato mezzo mondo nella crisi economica. Secondo Keynes, il sistema economico non riusciva a trovare da solo un equilibrio che garantisse un livello soddisfacente di occupazione e di produzione di beni e servizi.
Keynes sosteneva che domanda e offerta non si incontrano spontaneamente: se i privati, per qualsiasi ragione, non spendono, i soldi non spesi vengono sottratti al processo di creazione della ricchezza; di qui la necessità di un intervento statale per rimettere in sesto l’economia e sanare gli squilibri del sistema. Il livello di produzione e di occupazione non dipenderebbe, infatti, dall’offerta, ma dalla domanda di beni di consumo e di investimento. I consumatori non comprano abbastanza e gli imprenditori non investono in quantità adeguata.
Per uscire dall’impasse, è necessario incrementare la domanda; sarebbero così aumentate anche l’occupazione e la ricchezza. Diventa allora auspicabile un intervento dello Stato che però non deve, come in un sistema socialista, sostituirsi all’iniziativa privata, né entrare in concorrenza con essa; deve invece intraprendere semplicemente una strada non ancora battuta: quando c’è una crisi bisogna spendere di più, non di meno. Investire denaro per garantire ai cittadini l’istruzione, la sanità, alloggi migliori, strade e ponti. O anche – è un famoso esempio di Keynes – seppellire sacchetti di banconote e poi dare ai cittadini una zappa per tirarli fuori e così spenderli! L’intervento statale deve comunque essere temporaneo, servire a risolvere una momentanea crisi del sistema e deve essere accompagnato da altri provvedimenti, come l’abbassamento del costo del denaro, per invogliare gli imprenditori a chiedere denaro in prestito per poi investirlo.