MILL, John Stuart
Filosofo ed economista inglese, nato a Londra il 20 maggio 1806, morto ad Avignone l'8 maggio 1873. Educato dal padre James (v.), fu di precocità straordinaria: a otto anni aveva letto molti testi latini e greci, si era procurata una larga cultura storica, ed era già in grado di fare da insegnante ai fratelli minori. Tra il '20 e il '21 fu in Francia, presso la famiglia di Samuele Bentham (fratello di Geremia, il cui utilitarismo molto influì sul suo pensiero), occupandosi di chimica, botanica, matematica; tornato a Londra, si diede agli studî giuridici, con l'intenzione di seguire la carriera dell'avvocatura. Ma nel '22, ancora sedicenne, entrò nell'Examiner's Office della India House, cioè della sede centrale della Compagnia delle Indie; e vi ebbe incarichi eminenti, finché divenne, nel '56, capo di quello stesso ufficio. Frattanto svolgeva su riviste e giornali un'intensa opera di discussione scientifica, e veniva compiendo la maggior parte delle sue opere, di economia politica e di filosofia, alla cui redazione collaborò anche Mrs. Taylor (Harriet Hardy), che egli aveva sposata nel '51. Scioltasi nel '58 la Compagnia delle Indie, si ritirò in pensione; e, mortagli subito dopo la moglie ad Avignone, passò la maggior parte del tempo che gli rimase di vita nella villa di Saint-Véran, presso quella città, immerso nello studio e nel lavoro. Serbò tuttavia l'interesse per le vicende politiche del suo paese, e nel '65 fu eletto dal collegio di Westminster alla Camera dei comuni, prendendo parte attiva, in tale qualità, a molti dibattiti politici, e fra l'altro ponendo per la prima volta di fronte al parlamento il problema del suffragio femminile, da lui propugnato anche col volume The Subjection of Women (apparso poi nel '69) e con la fondazione della prima società diretta al raggiungimento di quel fine politico. Ma, caduto nelle elezioni generali del '68, tornò nella sua villa avignonese, dove, scrivendo libri, raccogliendo piante e ascoltando musica, trascorse gli ultimi anni della sua vita.
Nel campo filosofico, le sue opere più importanti sono quelle che trattano dei problemi logici e metodologici, fornendo così il fondamento critico di tutto il suo empirismo. Principalissima tra queste è A System of Logic, Ratiocinative and Inductive (voll. 2, Londra 1843, molte volte ristampata), in cui la metodica milliana dell'empirismo scientifico trova la sua più ampia trattazione; mentre l'Examination of Sir W. Hamilton's Philosophy (Londra 1865) è importante per il contrasto critico del suo empirismo nei riguardi della logica e della metafisica del Hamilton, così come lo scritto Auguste Comte and Positivism (Londra 1865) per i rapporti che legano e distinguono le sue concezioni da quelle del positivismo comtiano. Del suo utilitarismo etico l'espressione più notevole è l'Utilitarianism (pubblieato nel 1861, e più volte ristampato). Documento principale della sua attività nel campo dell'economia politica sono i Principles of Political Economy, with some of their Applications to Social Philosophy (voll. 2, Londra 1848: trad. ital., Torino 1851): sono inoltre da vedere, a questo proposito, gli Essays on some Unsettled Questions in Political Economy (Londra 1844), che rappresentano il primo importante contributo portato dal M. alla soluzione dei problemi economici. Grande, infine, è il numero degli scritti dedicati dal M. a questioni di politica; da ricordare particolarmente: Thoughts on Parliamentary Reform (1859); On Liberty (1859); Considerations on Representative Government (1861); England and Ireland (1868); Chapters and Speeches on the Irish Land Question (1870). Gli scritti minori sono raccolti nella silloge Dissertations and Discussions (voll. 3, 1859-67; 2ª ed., voll. 4, 1875); una traduzione completa delle opere in tedesco è stata curata da Th. Gomperz (Gesammelte Werke in deutscher Übersetzung, voll. 12, Lipsia 1869-80). Delle opere del M. esiste anche un'antologia: P. Archambault, S. M., Choix de textes, Parigi 1912.
La speculazione del M. parte da un punto di vista che si può definire come in generale assai affine al positivismo scettico del Hume, proponendosi infatti di determinare la metodologia della scienza empirica quale si presenta possibile dopo la dissoluzione humiana d'ogni fondamento oggettivo di conoscenza. Anche per il M. non esiste infatti alcuna realtà oggettiva, tutto risolvendosi nella soggettiva esperienza del senziente e nelle situazioni di coscienza che per opera dell'associazione ne nascono; e la realtà quale appare attestata dal senso, in funzione della costanza e uniformità con la quale si presenta al senso stesso, è dal M. genericamente definita solo quale "possibilità di sensazione". Tutta la scienza si sviluppa come sistema di argomentazioni, o inferenze, che partono dal dato particolare dell'esperienza sensibile e giungono alle leggi e ai principî generali, in cui la scienza medesima si riassume e culmina: con un processo, cioè, che non è certo deduttivo, ma che dal M. non è neppure definito come semplicemente induttivo, preferendo egli considerarlo come una sorta di conclusione sillogistica, in cui la premessa maggiore è costituita dal postulato dell'uniformità della natura, e la premessa minore dal fenomeno, o gruppo di fenomeni, sperimentalmente osservato. Il M. accentua infatti, con questo, il principio humiano della necessità d'integrare ogni osservazione sensibile di costanti fenomeniche con l'idea della validità di tale costanza anche per i casi non constatati: idea la quale non deriva mai, a rigore, dall'esperienza, sempre costituita da un'induzione incompleta, e perciò sempre bisognosa di un'integrazione universalizzatrice. Quanto minore è l'aggiunta che l'intelletto deve in tal modo compiere rispetto alla constatazione del senso, tanto maggiore è il valore di verità della nozione che esso afferma. Né a tale regola sfugge alcuna forma di conoscenza: giacché anche le nozioni che si vogliono distinguere dalle empiriche e contingenti come universali e necessarie non sono riconosciute come tali, secondo il M., per un'assoluta impossibilità di concepirne la negazione, ma solo perché la lunga abitudine, non mai interrotta da alcuna eccezione, di percepire un dato aspetto dell'esperienza fa apparire estremamente difficile, e quasi impossibile, che esso abbia mai a presentarsi in modo diverso. Così anche gli assiomi e le verità delle matematiche non sono per il M., a paragone delle leggi in cui si riassumono le constatazioni dell'accadere empirico, altro che casi di constatazione estremamente uniforme rispetto a casi di uniformità non costante o tali di cui si possa concepire facilmente la non costanza.
Consona a tale assoluto empirismo del M. è la sua etica, che, ricollegandosi all'utilitarismo di Geremia Bentham, considera l'azione umana come esclusivamente condizionata dal raggiungimento dell'utilità, e cioè della situazione in cui si prevede, in generale, un accrescimento di piacere o una diminuzione di dolore. Il problema dell'etica è perciò quello d'indirizzare l'azione umana verso il raggiungimento di specie di piacere qualitativamente superiori, e tali che l'utilità da essi rappresentata non valga soltanto per l'individuo agente, ma anzi per il maggior numero possibile d'individui (v. anche utilitarismo). Parimenti individualistiche, e quindi orientate verso il liberismo e il liberalismo, sono le concezioni economiche e politiche del M.
I suoi primi lavori in materia economica sono i cinque Essays on some Unsettled Questions in Political Economy pubblicati nel 1844, ma scritti tra il 1827 e il 1830. La loro ispirazione generale è rigidamente ricardiana: prendendo lo spunto, infatti, dal pensiero del Ricardo e cercando di meglio precisarne la formulazione e i presupposti, egli tratta nel primo delle leggi dello scambio internazionale, nel secondo dell'influenza del consumo sulla produzione, nel terzo del significato delle parole "produttivo" e "improduttivo", nel quarto dei profitti e dell'interesse e nel quinto di problemi metodologici della scienza economica.
Nel 1848 pubblicò i Principles of Political Economy di cui poi curò, assoggettandoli a parziali revisioni, altre sei edizioni. Lo scopo che il M. si proponeva non era solo quello d'esporre le teorie economiche così come si erano venute elaborando attraverso le opere di Adamo Smith, di T. Malthus e di D. Ricardo, approfondite e integrate dagli scrittori posteriori, ma di accompagnare costantemente i principî con le loro applicazioni, dimodoché l'esposizione stessa si allargasse a considerazioni più vaste delle pure deduzioni economiche. Un forte mutamento era avvenuto infatti nel suo modo di pensare dal tempo in cui componeva i Saggi a quello in cui scrisse i Principî, e ciò per l'influsso che su lui ebbe la lettura degli scrittori socialisti. L'anno in cui apparvero i Principî fu anche quello che vide il Manifesto dei comunisti del Marx e dell'Engels, ma non furono già le teorie del socialismo tedesco quelle che influirono sul M., sibbene quelle francesi del Saint-Simon, del Fourier, del Proudhon e dei rispettivi seguaci. La tendenza collettivista di questi si venne così a inserire nel suo pensiero con quella liberista ricevuta dai maestri, senza che nessuna delle due riuscisse a prendere il sopravvento sull'altra: di qui le contraddizioni che sono state da taluni rilevate nelle sue idee economiche.
Principio fondamentale nella sintesi milliana è una netta opposizione tra produzione e distribuzione l'una basata sulla natura fisica, l'altra dipendente da particolari istituzioni umane e soggetta a modificarsi. Riguardo alla produzione sono rimaste celebri le sue quattro proposizioni sul capitale (l'industria è limitata dal capitale; il capitale è il risultato del risparmio; il capitale viene consumato; la domanda di merci non è domanda di lavoro). In quanto alle forme del reddito, il M. concepisce ricardianamente la rendita che vorrebbe avocata allo stato; considera i profitti come un compositum di interesse e di compenso per i rischi e il lavoro di direzione: essi tenderebbero costantemente verso un livello minimo; i salarî sarebbero invece determinati dal numero dei lavoratori e dalla entità del fondo salarî. Quest'ultima concezione fu poi sconfessata dal M. (Dissertations, 2ª ed., IV, p. 46) che però non si decise a modificare su questo punto i Principî nelle successive edizioni. Egli vorrebbe fosse combattuto l'accentramento della ricchezza sopprimendo la successione ab intestato e limitando la capacità d'acquistare per eredità di là da un certo limite; d'altra parte però vorrebbe ridotta al minimo l'ingerenza governativa, pur riconoscendola in alcuni casi legittima e conveniente.
L'esposizione del M. si allarga quindi a considerare i problemi della moneta, del credito, del commercio internazionale e della finanza pubblica, ma la parte più personale dell'opera sua è forse il libro IV dei Principî in cui passando dalla "statica" alla "dinamica" dell'economia viene a trattare dell'influenza che il progresso della società ha sulla produzione e sulla distribuzione della ricchezza: l'analisi che ne fa è acuta, ma la conclusione che ne trae rivela in pieno l'influsso su lui esercitato dal socialismo con la relativa aspettazione di un'era finale priva di sviluppo ma anche priva di lotte. Dove tende la società moderna? Verso lo "stato stazionario", risponde il M.: necessità irresistibile ma che potrà rendere gli uomini più felici di quello che non siano, se essi saranno prudenti. Non fortune enormi, ma diffusa ripartizione della ricchezza, lavoratori bene pagati, gran numero di uomini con ozî bastanti per poter coltivare il lato ameno della vita, ma stato stazionario nella tecnica, nell'accumulazione del capitale e nella popolazione; anzi, se possibile, il mondo non dovrà essere troppo popolato, cosicché si possa ancora trovare nel silenzio della solitudine l'ispirazione agli alti pensieri necessarî all'individuo non meno che alla società.
Bibl.: Per la biografia del M. è anzitutto da vedere la sua Autobiography, (1873; nuova ed. a cura di J. J. Coss, New York 1924; trad. tedesca di Kolb, 1874); inoltre, il carteggio, la cui edizione più ampia è quella curata da H. S. R. Elliot, The Letters of J. S. M. with Note on Mill's Privat Life by Mary Taylor, voll. 2, Londra 1910. Tra le opere d'insieme sul M. sono specialmente da vedere: A. Bain, J. S. M., a Criticism, Londra 1882; Ch. Douglas, J. S. M., Edimburgo 1895; trad. tedesca, Friburgo 1897; S. Saenger, J. S. M., sein Leben und Lebenswerk, Stoccarda 1901; E. Thouverez, S.M., Parigi 1905. In particolare sulla concezione logica ed empiristica: A. Paoli, Dei concetti direttivi di J. S. M. nella logica e nella psicologia, Roma 1877; Th. H. Green, The logic of J. S. M., in Works, II, Londra 1886; H. Reichel, Darstellung und Kritik von M.s Theorie der induktiven Methode, in Zeitschrift für Philosophie u. philos. Kritik, CXXII-CXXIII (1903-04); G.A. Towney, J. S. M. s Theory of inductive Logic, Cincinnati 1900; E. Wentscher, Das Problem d. Empirismus dargestellt an J. S. M., Bonn 1922. Sull'etica: F. Ferri, L'utilitarismo di S. M., Milano 1892; Ch. Douglas, Ethics of J. S. M., Edimburgo 1897; G. Zuccante, Intorno all'utilitarismo dello S. M., in Rivista ital. di filosofia, 1898; id., La morale utilitaria dello S. M., Milano 1899; L. Stephen, The English Utilitarians, III, Londra 1900. Per ulteriore bibliografia, v. Ueberweg-Oesterreich, Grundriss d. Gesch. d. Philos., V, 12ª ed., Berlino 1928, pp. 184-85.