Coltrane, John William
Una guida carismatica dell'improvvisazione jazzistica
Coltrane è stato uno dei più grandi innovatori del linguaggio jazzistico. Ha ampliato le potenzialità espressive del sassofono, elaborando un modo nuovo di sviluppare l'improvvisazione. La sua musica è pervasa da forti ideali e, nel suo ultimo periodo, da una visione spirituale. È così diventato uno dei modelli più rappresentativi e imitati della storia del jazz
Coltrane nasce a Hamlet, nella Carolina del Nord (USA), nel 1926 e raggiunge la notorietà solo alla soglia dei trent'anni, come sassofonista tenore nel celebre quintetto di Miles Davis. In questo ruolo perfeziona le tecniche di improvvisazione introdotte dai musicisti del be-bop (come Charlie Parker), consistenti nell'invenzione estemporanea di nuove melodie a partire da temi e da sequenze di accordi già esistenti. Un temporaneo allontanamento dal gruppo lo avvicina a un altro maestro del jazz, il pianista e compositore Thelonious Monk, altrettanto importante nella sua formazione. La collaborazione con Davis si conclude infine con la realizzazione di un'ultima perla, il disco Kind of blue (1959), uno degli album più riusciti e influenti della storia del jazz.
Dopo l'esperienza con Davis, il disco che lo consacra come uno dei sassofonisti più innovativi della scena jazzistica si intitola significativamente Giant steps (1959) e allude ai "passi da gigante" compiuti dal musicista. Qui Coltrane mostra la propria padronanza del linguaggio improvvisativo, muovendosi con agilità e naturalezza in brani di estrema difficoltà tecnica. Possiamo pensare a Giant steps (il brano che dà il titolo al disco) come a una sorta di gincana: un percorso dove gli ostacoli sono costituiti dai continui cambi di accordi; il musicista che si lancia nell'assolo deve attraversarlo a una velocità spericolata, improvvisando sempre nuove melodie.
Da questo momento si succedono intuizioni musicali e svolte stilistiche: Coltrane cambia direzione abbandonando i rapidi cambi di accordi per prediligere un accompagnamento essenziale, spesso basato su lunghe note ripetute del contrabbasso o addirittura sul solo accompagnamento della batteria. In questo modo può affrontare con maggior libertà l'improvvisazione e concentrarsi sull'espressività del discorso musicale.
A tale scopo Coltrane sceglie con cura i propri compagni di viaggio. Il pianista McCoy Tyner e il batterista Elvin Jones sono i musicisti più adatti a fornire un sostegno ai suoi assolo: energico e propulsivo quando l'improvvisazione del sassofono si fa furente (come in Impressions), leggero e delicato nei brani di carattere più meditativo (come in Spiritual). Durante i cinque anni di questo sodalizio, che ha inizio con il disco My favourite things (1960), le improvvisazioni di Coltrane si fanno sempre più lunghe. Spesso l'inizio è rarefatto, con poche note ripetute e lente; poi, a mano a mano che il musicista si inoltra nel brano, la tensione sale e la melodia si fa sempre più movimentata, frammentata e imprevedibile; lo strumento (spesso un sassofono soprano in sostituzione del più tradizionale tenore) emette suoni acuti e stridenti, fino a trasformarsi, nell'apice della concitazione, in un grido dolente che ricorda la voce umana.
Dopo aver superato un lungo periodo di dipendenza dalla droga, Coltrane intensifica il suo interesse per la sfera spirituale e la meditazione, fino a realizzare, nel 1964, A love supreme, un disco dai forti accenti mistici, che ha un enorme impatto sul pubblico.
Nella ricca attività discografica degli anni successivi, Coltrane persegue un'idea di improvvisazione collettiva sempre più libera dagli schemi tradizionali e, per far ciò, si circonda di giovani musicisti 'ribelli'. Il risultato porta talvolta a esiti di spaventosa violenza sonora, come in Ascension del 1965.
Sono gli anni difficili della battaglia dei neri americani per i diritti civili. Coltrane raramente esprime nella sua musica una posizione netta sul problema; tuttavia la coerenza e il coraggio con cui sviluppa le sue intuizioni musicali ne fanno una figura carismatica, una sorta di guida morale per la maggior parte dei jazzisti afroamericani. Tale rimarrà anche dopo la sua morte prematura, nel 1967 a New York, confermandosi una delle figure più influenti e rappresentative della storia del jazz.