Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Attivo tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento, in un’epoca in cui politica e letteratura sono strettamente connesse, Jonathan Swift si presenta come il più grande scrittore satirico della tradizione inglese, una fonte di ispirazione per tutti gli scrittori successivi, non solo appartenenti al suo Paese, che vogliono rappresentare le storture e gli inganni del loro tempo con un linguaggio aspro e provocatorio, ma anche carico di passione e di indignazione etica. Tuttavia, il romanzo per cui Swift è ancora oggi celebrato, I viaggi di Gulliver (Gulliver’s Travels, 1726), si spinge ben al di là dell’intenzione polemica, e diviene un vero e proprio giacimento narrativo, in cui si mescolano fantasia e humour, racconto di viaggi immaginari e modello antiutopico.
Vita e opere di Swift tra letteratura, politica, religione
Jonathan Swift
Una modesta proposta
Una modesta proposta e altre satire
Un Americano, mia conoscenza di Londra, uomo molto istruito, mi ha assicurato che un infante sano e ben allattato all’età di un anno è il cibo più delizioso, sano e nutriente che si possa trovare, sia in umido, sia in arrosto, al forno, o lessato; ed io non dubito che possa fare lo stesso ottimo servizio in fricassea o al ragù.
Espongo allora alla considerazione del pubblico che, dei centoventimila bambini [irlandesi] già calcolati, ventimila possono essere riservati alla riproduzione della specie, dei quali solo un quarto maschi, il che è più di quanto non si conceda ai montoni, ai buoi ed ai maiali; ed il motivo è che questi bambini sono di rado frutto del matrimonio, particolare questo che i nostri selvaggi non tengono in grande considerazione, e, di conseguenza, un maschio potrà bastare a quattro femmine. I rimanenti centomila, all’età di un anno, potranno essere messi in vendita a persone di qualità e di censo in tutto il Regno, avendo cura di avvertire la madre di farli poppare abbondantemente l’ultimo mese, in modo da renderli rotondetti e paffutelli, pronti per una buona tavola. Un bambino renderà due piatti per un ricevimento di amici; quando la famiglia pranzerà da sola, il quarto anteriore o posteriore sarà un piatto di ragionevoli dimensioni e, stagionato, con un po’ di pepe e sale, sarà ottimo bollito al quarto giorno, specialmente d’inverno.
Ho calcolato che, in media, un bambino appena nato venga a pesare dodici libbre e che in un anno solare, se nutrito passabilmente, arrivi a ventotto.
Ammetto che questo cibo verrà a costare un po’ caro, e sarà quindi adattissimo ai proprietari terrieri, i quali sembra possano vantare il maggior diritto sui bambini, dal momento che hanno già divorato la maggior parte dei genitori.
J. Swift, Una modesta proposta e altre satire, a cura di A. Brilli, trad. it. di B. Armellin, Milano, BUR, 1977
Nato a Dublino il 30 novembre 1667 in una famiglia angloirlandese, Jonathan Swift passa la prima parte della sua vita tra Irlanda e Inghilterra, seguendo le sue ambizioni politiche a Londra, senza trascurare una carriera ecclesiastica, all’interno della Chiesa anglicana, che si sviluppa a Dublino. Qui, caduta la prospettiva di un ruolo politico, si ritirerà a partire dal 1714 come decano della cattedrale di san Patrizio, distinguendosi come difensore del popolo irlandese contro le angherie dei governi inglesi.
Laureatosi al Trinity College di Dublino nel 1668, Swift entra subito dopo in qualità di segretario al servizio di Sir William Temple, che si era distinto come diplomatico. La residenza di Temple a Moor Park, nel Surrey, diviene la sua dimora fino alla morte del patrono, nel giugno 1699, anche se Swift compie viaggi regolari in Irlanda alla ricerca di una sistemazione ecclesiastica. La sua salute è malferma: soffre di una forma acuta di labirintite (sindrome di Meniérères); ma la malattia non gli impedisce di approfondire la sua vocazione a contatto con Temple e con la sua famiglia e di cominciare un’attività, sia pure episodica, di poeta e saggista. A Moor Park, Swift conosce la giovanissima Hester, o Esther Johnson, da lui chiamata Stella, con cui intreccerà un lungo legame affettivo, a metà tra l’amicizia e l’amore, che prosegue in Irlanda, fino alla morte di lei nel 1728. A questa donna è rivolto il Diario (Journal to Stella) scritto tra il 1710 e il 1713, durante il periodo più fervido dell’attività politica londinese di Swift. Rimangono non del tutto risolti i contorni del rapporto che lega Swift a Stella e, in seguito, a un’altra donna conosciuta in Irlanda, Esther Vanhormigh, ovvero la Vanessa di Cadeno e Vanessa, un resoconto della loro storia scritto probabilmente nel 1713. Biografi poco scrupolosi hanno ricamato sull’ambiguità di Swift, ovvero sulla sua presunta impotenza sessuale; secondo Ricardo Quintana, la concezione dell’epoca di Swift, eminentemente antiromantica, vedeva in un’intensa amicizia una valida alternativa alla vita coniugale.
I primi risultati importanti dell’impegno letterario di Swift appartengono al 1704, quando lo scrittore irlandese pubblica La favola di una botte (A Tale of a Tub), una parabola sui conflitti religiosi che hanno diviso i cristiani in Europa: Martin (la chiesa riformata) deve fare i conti con Peter (allegoria dell’autoritarismo cattolico) e con Jack, che rappresenta l’individualismo ribelle dei dissidenti protestanti. In questo pamphlet, apprezzato dalla cultura settecentesca, appare anche la difesa della libertà di stampa, un motivo caro allo scrittore irlandese. Ancora nel 1704 esce La battaglia dei libri (The Battle of the Books), in cui egli prende posizione nelle polemiche dell’epoca (come aveva fatto Temple) a favore della superiorità degli scrittori antichi sui moderni.
Dopo la morte di Temple, Swift frequenta sia Dublino che Londra, addentrandosi negli ambienti politici della capitale. Dopo un’iniziale simpatia per i Whig, difensori delle prerogative del parlamento, passa al partito Tory, conservatore, che considera più vicino agli interessi del clero anglicano. Dal novembre 1707 risiede in modo stabile a Londra, diviene famoso come polemista, creando la figura fittizia di Isaac Bickerstaff, che smaschera l’astrologo Partridge (“Bickerstaff Papers”), collabora brevemente con il “Tatler” di Steele, ed è poi l’autore del foglio filo-tory “Examiner” dal novembre 1710 al giugno 1711. Nel 1710 la sua conversione alla causa tory è completa, mentre la sua amicizia con due eminenti esponenti del governo tory, Harley (poi conte di Oxford) e St. John (poi visconte Bolingbroke) contribuisce a conferirgli un ruolo di punta come intellettuale filogovernativo. Tra i suoi scritti di questo periodo, La condotta degli Alleati (The Conduct of the Allies, 1711) difende le lunghe trattative di pace fra Inglesi e Francesi e che culminano nel trattato di Utrecht (1713). Nello stesso periodo entra a far parte dello Scriblerus Club, un circolo letterario filo-tory, il cui impegno si esprime nel campo della satira, e a cui partecipano anche il grande poeta Alexander Pope e il commediografo John Gay.
All’inizio del 1713, contrariamente alle sue aspettative (avrebbe voluto rimanere vicino agli ambienti politici londinesi), Swift viene nominato decano della cattedrale di san Patrizio a Dublino. Risiede, tuttavia, per buona parte del tempo a Londra, fino all’agosto 1714, quando la morte della regina Anna decreta la fine del governo tory e annuncia un lungo periodo di dominio dei Whig. Swift si ritira allora a Dublino, dove rimarrà per il resto della vita, riprendendo a scrivere con rinnovato vigore a partire dal 1719. La sua “missione” è ora quella di difendere il popolo irlandese contro le prepotenze del potere inglese. Nel 1724 vengono pubblicate anonime le sue Lettere del drappiere (Drapier’s Letters), in cui viene attaccata la politica monetaria e finanziaria del governo whig in Irlanda. Dal 1721 al 1726 Swift è impegnato nella stesura dei Viaggi di Gulliver, pubblicato il 28 ottobre 1726 a Londra come cronaca veritiera di viaggi compilata da un certo Richard Sympson. Assieme a Pope si occupa anche della pubblicazione dei quattro volumi degli Scritti miscellanei (Miscellanies, 1727-1732). La polemica contro la politica inglese e i latifondisti, che saccheggiano le risorse della sua isola affamando il popolo, raggiunge il punto più alto nel 1729 nella pubblicazione di Una modesta proposta (A modest proposal). In questo testo, che si può considerare il culmine dell’arte satirica di Swift, la massima espressione di quella che il critico canadese Northrop Frye ha chiamato saeva indignatio, l’autore finge di esporre con la massima serietà un piano razionale e documentato di risanamento economico, che prevede la vendita dei bambini sotto l’anno di vita come succulenta carne da macello. Negli anni Trenta del Settecento Swift si dedica alla composizione di poesie, alcune cariche di umori misogini, ma la sua lucidità mentale comincia a vacillare, fino a spegnersi nella demenza senile. Muore il 17 ottobre 1745 e viene sepolto solennemente nella cattedrale di san Patrizio, a Dublino, accanto a Stella.
I viaggi di Gulliver
Jonathan Swift
I viaggi di Gulliver, Parte IV, cap. I
A sinistra vidi un cavallo che, con la sua molle andatura, era stato la causa della fuga improvvisa di quegli animali che mi avevano aggredito. Il cavallo scartò appena quando mi fu vicino, ma si riprese subito e mi guardò in faccia dando segni di meraviglia, poi girandomi attorno mi osservò mani e piedi. Avrei voluto proseguire il cammino, ma lui si piantò in mezzo al sentiero, seppure con un aspetto mansueto e senza il minimo segno ostile. Ci guardammo l’un l’altro per qualche minuto, poi m’azzardai ad allungare una mano per accarezzargli la criniera, zufolando come fanno i fantini quando hanno a che fare con una bestia nuova. Ma l’animale dette segno di non gradire il mio gesto cortese, perché scosse la testa e, aggrottando la fronte, sollevò lentamente la zampa anteriore sinistra per allontanare la mia mano. Poi nitrì a più riprese e con diverse modulazioni, tanto che mi sembrò che articolasse un suo linguaggio.
Eravamo ingaggiati in questo strano confronto, quando ecco arrivare un altro cavallo che si diresse verso il primo con un fare cortese, si toccarono lo zoccolo anteriore destro con molto garbo, nitrendo diverse volte a turno, variando i suoni che sembravano articolati. Si allontanarono di qualche passo come volessero discutere in disparte tra loro, camminando fianco a fianco avanti e indietro, come persone intente a considerare qualche importante decisione, pur volgendosi di tanto in tanto verso di me, per assicurarsi che non fuggivo. Rimasi, a vedere un tale comportamento in animali privi di ragione, pensando fra me e me che se gli abitanti di questa terra erano dotati di ragione in proporzione ai loro cavalli, dovevano essere il popolo più saggio di questo mondo. Rincuorato da questo pensiero, decisi di rimettermi in cammino fino a scoprire una casa o un villaggio, o incontrare qualcuno degli indigeni. Ma il primo dei due cavalli, che era un grigio pomellato, accortosi che sgattaiolavo via, mi nitrì dietro in maniera così espressiva che mi sembrò quasi di capire il significato: mi volsi e gli andai accanto come per attendere i suoi ordini, cercando in tutte le maniere di celare i miei timori; non nascondo che mi sentivo abbastanza a disagio pensando a come sarebbe andata a finire questa avventura e il lettore non stenterà a credere che questa mia situazione non mi piaceva affatto.
I due cavalli mi si avvicinarono e cominciarono a ispezionarmi il volto e le mani con gran cura: quello grigio cominciò a strofinarmi il cappello con lo zoccolo mettendomelo di traverso tanto da costringermi a toglierlo per riaggiustarmelo in capo; questo sorprese visibilmente lui e il suo compagno, che era un baio; quest’ultimo si mise a considerare le falde della mia giacca e, visto che mi scendevano tutte attorno alla persona, si guardarono ancora con un senso di meraviglia. Mi accarezzò la mano come se ammirasse il colore della pelle e la sua morbidezza, ma me la strinse così forte fra lo zoccolo e il garretto che non riuscii a trattenere un gemito, dopo di che mi toccarono con la massima delicatezza. Rimasero perplessi al vedermi calze e scarpe, anzi le tastarono più volte, rivolgendosi l’un l’altro dei nitriti e assumendo un atteggiamento simile a quello di un filosofo che si accinge a risolvere un qualche fenomeno nuovo e irto di difficoltà.
Nel complesso questi animali si comportavano in maniera tanto razionale e conseguente, piena di giudizio e di acume, che dovevano essere dei maghi che avevano assunto quell’aspetto equino per qualche loro recondito scopo finché, imbattutisi in un estraneo, avevano deciso di continuare con lui nello scherzo; o forse erano veramente meravigliati nello scorgere un uomo tanto differente negli atteggiamenti, nel fisico, nell’aspetto da quelli che probabilmente vivevano in quelle terre lontane. Seguendo questo mio ragionamento, mi decisi a rivolgere loro queste parole: “Signori, se siete degli stregoni, e tutto sta a dimostrarlo, sappiate che sono uno sciagurato d’un inglese gettato dalla sfortuna sulle vostre coste, per cui prego uno di voi di portarmi in groppa, come un vero cavallo, al villaggio più vicino dove possa trovare ospitalità. Come ricompensa vi darò questo colteIlino e questo braccialetto”, così dicendo tirai fuori quegli oggetti di tasca.
Quelle due creature mi guardarono in silenzio mentre parlavo e sembravano ascoltarmi con la massima attenzione. Quando ebbi terminato, nitrirono più volte, come se stessero conversando fra loro su un argomento importante. Ebbi modo di notare che la loro lingua dava corpo ed espressione ai loro sentimenti e che dalle parole si sarebbe potuto ricavare un alfabeto più semplice di quello cinese.
J. Swift, I viaggi di Gulliver, trad. it. di A. Brilli, Milano, Garzanti, 1975
Di solito il romanzo moderno, o romanzo borghese, si fa iniziare con il Robinson Crusoe di Daniel Defoe (1719), ma questa ricostruzione letteraria sarebbe incompleta se non tenesse in considerazione l’importanza del romanzo swiftiano Gulliver’s Travels (1726), in cui viene compiuta un’operazione di totale rovesciamento del motivo fondamentale del viaggio in territori inesplorati. Mentre Robinson Crusoe tende al realismo dei dettagli nella rappresentazione della vita quotidiana del naufrago sull’isola sconosciuta al largo dell’America del Sud, dando, nello stesso tempo, un carattere introspettivo alle azioni e alle motivazioni del protagonista, nei Gulliver’s Travels gli stessi espedienti narrativi (la voce di un io narrante, le descrizioni puntigliose, il tema del viaggio per mare, qui ripetuto quattro volte) alimenta un discorso problematico, a tratti sovversivo, in cui la scoperta dell’Altro viene vista in termini parodici e grotteschi. Gulliver (gullible vuol dire “credulone”) è un medico di bordo – solo nell’ultimo viaggio diventerà un capitano, incapace di tenere sotto controllo il suo equipaggio – che naviga, mezzo secolo prima del capitano Cook, per le acque, largamente ignote alla cultura europea, del Pacifico, fino a raggiungere il Giappone. In ognuno dei quattro episodi, naufraga sulle rive di un paese sconosciuto, venendo a contatto con civiltà sempre diverse, in cui la sua identità è messa alla prova a seconda dell’organizzazione sociale e delle stesse dimensioni degli abitanti. Uomo montagna a Lilliput, la cui capitale assomiglia satiricamente a Londra, nanerottolo ridicolo tra i giganti di Brobdignag, nel terzo viaggio (scritto da Swift probabilmente per ultimo) Gulliver visita una prodigiosa isola volante e altri territori del mito e dell’immaginazione, e approda infine nella terra dei selvaggi Yahoos – una parodia degli esseri umani – e degli Houyhnhnms, i Cavalli Saggi che sembrano vivere secondo le regole della natura e della ragione e dunque hanno costruito una società utopica perfetta, dove Gulliver vorrebbe rimanere, sia pure come umile servitore del suo padrone equino. Cacciato dall’isola, perché considerato troppo simile agli spregevoli Yahoos, Gulliver viene preso a bordo dal compassionevole capitano portoghese Don Pedro, che lo riporta in patria, malgrado l’eroe swiftiano ormai disprezzi a tal punto l’umanità, da rifiutare qualsiasi rapporto con la sua famiglia e da decidere di vivere in una stalla assieme ai cavalli.
Il meccanismo del racconto utopico, che prevede l’arrivo alla periferia di un paese straniero, l’incontro con i suoi abitanti, il viaggio verso il centro del territorio (la capitale, la sede del governo), il racconto delle caratteristiche sociali del paese misterioso, l’espulsione voluta o accidentale del visitatore e il ritorno in patria, si traduce nello scrittore settecentesco in una varietà estrema di spunti narrativi, in cui prevalgono, di volta in volta, la dimensione comica e quella fiabesca, la satira che si fa beffe della cultura inglese, e la meraviglia per il carattere relativo e contingente della condizione umana. Nei vari episodi Gulliver, che si presenta come un buon cittadino inglese, è costretto a prendere atto che il suo paese è solo uno dei tanti mondi abitati, e non certamente il migliore, anche perché, in molti casi, l’Inghilterra diviene l’obiettivo diretto della satira: ad esempio, la corte di Lilliput riproduce in modo grottesco i rituali corrotti e l’arrivismo spregiudicato della corte di Londra, mentre, nel viaggio successivo, Gulliver, che vanta al re di Brobdignag la supremazia bellica inglese e l’ingegnosità dell’invenzione della polvere da sparo, viene aspramente rimproverato dal pacifico sovrano, che minaccia di sterminare lui e la sua razza di omuncoli maligni. Nello stesso tempo, proprio il carattere favolistico dei primi due viaggi ha trasformato nel tempo i Viaggi di Gulliver in un libro per ragazzi. Man mano che la testimonianza di Gulliver procede, la visione dello scrittore si fa più cupa, fino a culminare, nella parte conclusiva, ambientata sull’isola dei Cavalli Saggi, in una sorta di condanna senza appello dell’umanità, raffigurata negli Yahoos ripugnanti, e incapace di aderire all’utopia equina. Questa interpretazione, favorita nell’Ottocento e all’inizio del Novecento, tendente a vedere nel romanzo swiftiano una sorta di “Divina Commedia alla rovescia” è però contestata dalla critica contemporanea, che sottolinea alcuni paradossi innescati dallo scrittore: proprio quando Gulliver si è convinto che i suoi simili non hanno alcuna possibilità di redenzione, egli incontra il capitano Don Pedro che lo sfama, lo riveste, lo riporta a casa, presentandosi come un modello di perfezione cristiana. Nello stesso tempo, l’ammirazione sconfinata e perfino ridicola di Gulliver per i Cavalli Saggi non sembra prendere in considerazione la mancanza di sentimenti e l’aridità spirituale che caratterizzano il loro mondo gelidamente equilibrato. Gulliver è davvero un credulone, e il suo creatore non esita a farsi beffa di lui e a trarre in inganno i lettori più sprovveduti. Quella che viene persa – oltre alla capacità di discernimento dell’eroe swiftiano – è sicuramente la convinzione della superiorità inglese sul resto del mondo.
Una lunga tradizione satirica e antiutopica ha avuto origine dai Viaggi di Gulliver, come dimostrano le opere di George Orwell (un grande ammiratore di Swift), di Kurt Vonnegut jr., di Angela Carter. Il genere della fantascienza, fra i cui temi centrali vi è l’incontro con l’alieno, deve sicuramente molto a questo scrittore. E, in effetti, al di là delle prospettive ideologiche che i Gulliver’s Travels continuano a indicare, il momento cruciale del sorprendente contatto con l’Altro è un luogo narrativo spesso memorabile. Basti pensare al brano qui riportato, in cui Gulliver, appena fuggito a stento dall’aggressione dei scimmieschi Yahoos, si trova di fronte prima a uno, poi a due cavalli, che lo osservano con sorpresa, e gradualmente è costretto a rendersi conto che essi non sono semplici animali da accarezzare e cavalcare, ma creature di una civiltà altamente evoluta.