Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Juan de la Cruz è considerato da non pochi studiosi di spiritualità il più importante fra i mistici cristiani, l’uomo che illumina con maggiore profondità e completezza i sentieri sfuggenti della contemplazione. Anima inebriata d’amor sacro, ma anche accorto scrutatore delle miserie inscindibilmente legate alla natura umana, il carmelitano spagnolo, cui sono note le esperienze dei grandi mistici medievali tedeschi, ritiene che l’uomo possa raggiungere la meta suprema cui gli è dato aspirare, l’incontro unitivo con la divinità, soltanto dopo avere attraversato un arido, doloroso deserto di emendazione etico-spirituale.
Anima inebriata d’assoluto, che sa esprimere in versi melodiosi e in limpide prose la propria abbacinante esperienza interiore, Juan de la Cruz – al secolo, Juan de Yepes y Alvarez – ha i natali a Fontivéros, presso Avila, nel 1542. È il secondogenito di Gonzalo e di Catalina Alvarez. Dopo la morte del padre, semplice artigiano, la famiglia cerca invano in diverse località una certa stabilità economica. Dal 1551 al 1559, Juan si forma presso il Collegio de la doctrina di Medina del Campo (Valladolid), dove è iniziato tanto agli studi umanistici quanto a diversi mestieri manuali: per qualche tempo esercita quello di infermiere. Fra il 1559 e il 1563 prosegue gli studi presso il collegio dei Gesuiti di Medina del Campo, dove viene avviato allo studio dei classici.
Nel 1563 veste l’abito carmelitano e assume il nome di Juan de San Matía. Si immatricola quindi presso la prestigiosa università di Salamanca, dove apprende con profitto specialmente la filosofia e la teologia e segue forse le lezioni del grande mistico e letterato Luis de León, che ha noie con l’Inquisizione per aver compiuto una versione in castigliano del Cantico dei cantici.
Ordinato sacerdote nel 1567, Juan celebra la sua prima messa a Medina del Campo nell’autunno incontra casualmente santa Teresa di Avila che lo spinge a riformare il ramo maschile dell’ordine del Carmelo. Nell’ottobre del 1568, a Duruelo (Avila), trasforma un cascinale nel primo convento dei Carmelitani scalzi. Svolge poi il ruolo di maestro dei novizi a Duruelo, Mancera de Abajo (Salamanca), Pastrana (Guadalajara) e, nel 1571, si trasferisce ad Alcalá de Henares (Madrid) per dirigervi il collegio dei Carmelitani scalzi. L’anno successivo santa Teresa lo richiede come confessore nel monastero delle Carmelitane dell’Incarnazione ad Avila, dove soggiornerà sino al 1577. A seguito degli amari contrasti sorti per questioni di potere fra i Carmelitani scalzi e i calzati, nel 1576 Juan è per breve tempo incarcerato. Aggravatesi le lotte, nel dicembre dell’anno seguente viene imprigionato e flagellato; trascorre quindi sei mesi in una cella angusta, buia e gelida del convento dei calzati di Toledo, fra terribili tormenti fisici e psicologici. In questa condizione estrema e lacerante, attinge a quell’alta unione mistica che si sforzerà poi di tradurre nei suoi scritti. Dopo questo inferno, un guardiano clemente non solo gli consente di scrivere – è in questa difficile temperie che compone la sostanza del Cántico espiritual – ma asseconda altresì i suoi progetti di fuga: a metà agosto il Carmelitano riesce fortunosamente a fuggire e si rifugia presso le consorelle. Nell’ottobre viene eletto vicario del convento andaluso di El Calvario (Jaén); l’anno seguente inaugura il collegio degli scalzi di Baeza (Jaén), di cui sarà rettore fino al 1582. I più illustri docenti dell’ateneo locale lodano la mirabile profondità del suo spirito: uomo mite, modesto e austero, ama più di ogni altra cosa meditare e discorrere intorno a Dio.
Dopo l’importante capitolo di separazione dei Carmelitani scalzi, Juan prende possesso del priorato De los Mártires di Granada (gennaio 1582). Nominato vicario provinciale dell’Andalusia (1585), svolge tale ufficio in maniera zelante e amorevole; in questi anni lavora anche alle sue opere più impegnative e celebri.
A causa di una grave malattia (1586), rischia di morire; dopo la guarigione, viene rieletto priore a Granada.
Ha quindi una posizione importante nella nuova organizzazione degli scalzi – che ora possono eleggere un vicario generale – e diviene priore di Segovia. Rimasto, a seguito di tristi vicende che non riescono comunque a sottrargli la soave serenità di sempre, senza alcun ufficio, parte per l’Andalusia.
Ammalatosi nuovamente, si reca a Ubeda (Jaén) per curarsi, ma vi trova soprattutto il risentimento di Carmelitani scalzi a lui ostili. Ciononostante, si spegne santamente a Ubeda alla mezzanotte fra il 13 e il 14 dicembre 1591; ha soltanto quarantanove anni. Beatificato nel 1675 e canonizzato nel 1726, nel 1926 è dichiarato da Pio XI dottore della Chiesa universale.
Parallelamente a un’esistenza davvero colma di impegni e di incarichi, Juan de la Cruz vive un’esperienza mistica straordinaria, che egli può esprimere solo parzialmente in forma di parole. Il Carmelitano spagnolo non è solo un’anima inebriata d’amor sacro, ma anche un accorto scrutatore delle miserie inscindibilmente legate alla natura della stirpe umana. Egli, conoscitore delle esperienze dei grandi mistici medievali tedeschi, ritiene che l’uomo possa raggiungere la meta suprema cui gli è dato aspirare, ossia l’unione con la divinità, soltanto dopo avere attraversato un arido, doloroso deserto di emendazione etico-spirituale. Per intraprendere la vita spirituale, infatti, l’anima deve abbandonare l’esistenza sensuale e carnale, condannata all’esteriorità e all’effimero. I dati sensibili e il sapere umano non possono in alcun modo aiutarla a stringere una relazione intima con Dio, che è l’assoluto: se vuole intraprendere la rigorosa, ma incomparabilmente appagante via mistica, l’anima deve anzi rinnegare senza remore se stessa e il creato. A nulla varrebbero, d’altra parte, i sinceri sforzi dell’anima verso la purificazione interiore, se non fossero sostenuti dal potente ausilio divino. L’unione dell’anima con la divinità è duplice: dapprima la volontà tende con vigore a raggiungere la piena conformità con il volere divino; pervenuta a tale stato di relativa purezza, l’anima viene quindi invasa dalla divinità, che la emenda totalmente e le consente di elevarsi al sommo grado dell’amore.
Le quattro opere maggiori di Juan de la Cruz costituiscono un insieme completo, scandito dalle diverse tappe dell’itinerario spirituale dell’anima individuale.
Dal punto di vista strutturale, esse si presentano tutte allo stesso modo: una poesia introduttiva in cui l’io parlante esprime – in versi entusiasti, densi ed efficaci, ma talora oscuri – l’essenza della sua riflessione, e un commento didascalico che, nel suo esemplare rigore logico, rivela un’accurata formazione filosofica e teologica. Come altri poeti religiosi europei, Juan de la Cruz si avvale delle immagini e delle tecniche della poesia profana (soprattutto i grandi petrarchisti spagnoli e certa poesia popolare), per esprimere ardenti percorsi mistici.
La Subída del Monte Carmelo, stesa fra il 1578 e il 1585, rappresenta il suo lavoro più ampio e sistematico: in uno stile di austera durezza, vi descrive il cammino che l’anima deve seguire per liberarsi da ogni gravame terreno e raggiungere in breve l’unione con il Signore.
Juan de la Cruz
Salita del Monte Carmelo
Canciones del alma
Strofe in cui l’anima canta la sorte felice che
ebbe di passare attraverso la notte oscura
della fede per giungere, spogliata e purificata,
all’unione con l’Amato.
- In una notte oscura,
con ansie, in amori infiammata,
- oh! felice ventura!,
uscii, né fui notata,
stando già la mia casa addormentata.
Al buio uscii e sicura,
per la segreta scala, travestita,
- oh felice ventura! –
al buio e ben celata,
stando già la mia casa addormentata.
- Nella felice notte,
segretamente, senza esser veduta,
senza nulla guardare,
senza altra guida o luce
fuor di quella che in cuore mi riluce.
- Questa mi conduceva,
più sicura che il sol del mezzogiorno,
là dove mi attendeva
Chi bene io conosceva
e dove nessun altro si vedeva.
- Notte che mi hai guidato!
O notte amabil più dei primi albori!
O notte che hai congiunto
l’Amato con l’amata,
l’amata nell’Amato trasformata!
- Sul mio petto fiorito,
che intatto per lui solo avea serbato,
Ei posò addormentato,
mentre io lo vezzeggiava
e la chioma dei cedri il ventilava.
- Degli alti merli l’aura,
quando i suoi capelli io discioglievo,
con la sua man leggera
il mio collo feriva
e tutti i sensi miei in sé rapiva.
- Giacqui e mi obliai,
il volto sul Diletto reclinato;
tutto cessò, e posai,
ogni pensier lasciato
in mezzo ai gigli perdersi obliato.
Testo originale:
Canciones en que canta el alma la dichosa ventura que
tuvo en pasar por la oscura noche
de la fe, en desnudez y purgación suya,
a la unión del Amado.
- En una noche oscura,
con ansias, en amores inflamada,
- ¡oh dichosa ventura!,
salí sin ser notada,
estando ya mi casa sosegada.
A oscuras y segura,
por la secreta escala, disfrazada,
¡oh dichosa ventura!,
a oscuras y en celada,
estando ya mi casa sosegada
- En la noche dichosa,
en secreto, que nadie me veía,
ni yo miraba cosa,
sin otra luz y guía
sino la que en el corazón ardía.
- Aquésta me guiaba
más cierto que la luz del mediodía,
adonde me esperaba
quien yo bien me sabía,
en parte donde nadie parecía.
- ¡Oh noche que guiaste!
¡Oh noche amable más que el alborada!
¡Oh noche que juntaste
amado con amada,
amada en el Amado transformada!
- En mi pecho florido,
que entero para él solo se guardaba,
allí quedó dormido,
y yo le regalaba,
y el ventalle de cedros aire daba.
- El aire de la almena,
cuando yo sus cabellos esparcía,
con su mano serena
en mi cuello hería,
y todos mis sentidos suspendía.
- Quedéme y olvidéme,
el rostro recliné sobre el Amado,
cesó todo, y dejéme,
dejando mi cuidado
entre las azucenas olvidado.
J. de la Cruz, Opere. Versione del padre Ferdinando di S. Maria O.C.D, Roma, Postulazione generale dei Carmelitani scalzi, 1991
Tale strenua opera di spogliamento si prolunga fino al termine della vita mortale. Nella Noche obscura del alma, scritta a Granada fra il 1582 e il 1585, il mistico illustra in special modo l’amorevole azione diretta di Dio sull’anima, la quale si limita a subirla in uno stato di fervida passività. Se intende innalzarsi all’unione contemplativa, l’anima deve attraversare due momenti faticosi e cupi: la notte passiva del senso, ove passa dalla meditazione alla contemplazione; la notte passiva dello spirito, in cui dalla contemplazione si spinge all’unione.
Nel Cántico espiritual entre el alma y Cristo su esposo, Juan de la Cruz – ispirandosi specialmente a uno dei libri biblici più emozionanti e inquietanti, il Cantico dei cantici – fa luce sui diversi momenti dell’intensa relazione amorosa che sussiste fra l’anima-sposa e Gesù-sposo, la quale culmina nelle sublimi nozze spirituali, ossia nella completa trasformazione dell’anima nella divinità.
Juan de la Cruz
Struggendosi d’amore (Canciones entre el alma y el esposo: Esposa)
Cantico espiritual
Dove ti nascondesti,
in gemiti lasciandomi, o Diletto?
Come il cervo fuggisti,
dopo avermi ferito;
ti uscii dietro gridando: ti eri involato.
Pastori, voi che andate
di stazzo in stazzo fino all’alto monte,
se per caso incontrate
chi più di ogni altro bramo,
ditegli che languisco, soffro e muoio.
In cerca del mio amore,
andrò per questi monti e queste rive,
non coglierò mai fiore,
non temerò le fiere,
supererò i forti e le frontiere.
O boschi e selve ombrose
piantate dalla mano dell’Amato!
O prato verdeggiante
dei bei fiori smaltato!
Ditemi se attraverso voi è passato.
Mille grazie spargendo
passò per questi boschi con snellezza,
e, mentre li guardava,
solo con il suo sguardo
adorni li lasciò d’ogni bellezza.
Ah! chi potrà sanarmi?
finisci di donarti a me davvero;
non mi inviar da oggi
in poi alcun messaggero,
il qual dirmi non sa quel che io chiedo.
Tutti color che vagano
mille grazie di te mi van narrando,
e tutti più mi piagano,
mi fan quasi morire
un non so che che dicon balbettando.
Ma come tu resisti,
o vita, non vivendo dove vivi,
bastando perché muoia
le frecce che ricevi
da ciò che dell’Amato tu capisci?
Dopo aver piagato
questo mio cuor, perché non lo sanasti?
Giacché me l’hai rubato,
perché così il lasciasti,
senza prender con te quel che rubasti?
Estingui le mie pene,
che nessuno ha il poter di eliminare,
ti veggan gli occhi miei,
poiché sei loro luce,
che per te solo bramo conservare.
Scopri la tua presenza,
mi uccida la tua vista e tua bellezza,
sai che la sofferenza
di amore non si cura
se non con la presenza e la figura.
O fonte cristallina,
se in questi tuoi sembianti inargentati
formassi all’improvviso
gli occhi desiati,
che tengo nel mio interno disegnati!
Allontanali, Amato,
ché passo a volo!
Testo originale:
¿ Adónde te escondiste,
Amado, y me dejaste con gemido?
Como el ciervo huiste,
habiéndome herido:
salí tras tu clamando, y eras ido.
Pastores, los que fuerdes
allá por las majadas al otero:
si por ventura vierdes
aquel que yo más quiero,
decilde que adolezco, peno y muero.
Buscando mis amores,
iré por esos montes y riberas;
ni cogeré las flores,
mi temeré las fieras,
y pasaré los fuertes y fronteras.
¡ Oh bosques y espesuras,
O boschi e selve ombrose
plantadas por la mano del Amado!
¡ Oh prado de verduras,
de flores esmaltado!
Decid si por vosotros ha pasado.
Mil gracias derramando
pasó por estos sotos con presura,
y, yéndolos mirando,
con sola su figura
vestidos los dejó de hermosura.
¡ Ay, quién podrá sanarme!
Acaba de entregarte ya de vero;
no quieras enviarme
de hoy más ya mensajero:
que no saben decirme lo que quiero.
Y todos cuantos vagan
de ti me van mil gracias refiriendo,
y todos más me llagan,
y déjame muriendo
un no sé qué que quedan balbuciendo.
Mas ¿ cómo perseveras,
¡ oh vida!, no viviendo donde vives,
y haciendo por que mueras
las flechas que recibes
de lo que del Amado en ti concibes?
¿ Por qué, pues has llagado
aqueste corazón, no le sanaste?
Y, pues me le has robado,
¿ por qué así le dejaste,
y no tomas el robo que robaste?
Apaga mis enojos,
pues que ninguno basta a deshacellos,
y véante mis ojos,
pues eres lumbre dellos,
y sólo para ti quiero tenellos.
Descubre tu presencia,
y máteme tu vista y hermosura;
mira que la dolencia
de amor, que no se cura
sino con la presencia y la figura.
¡ Oh cristalina fuente,
si en esos tus semblantes plateados
formases de repente
los ojos deseados
que tengo en mis entrañas dibujados!
¡ Apártalos, Amado,
que voy de vuelo!
J. de la Cruz, Opere. Versione del padre Ferdinando di S. Maria O.C.D, Roma, Postulazione generale dei Carmelitani scalzi, 1991
Si tratta probabilmente della sua opera più originale ed elaborata tanto dal punto di vista dottrinale che da quello formale. Il vertice dell’unione con la divinità è vividamente dipinto nella Llama de amor viva: soltanto ad alcuni è dato spingersi fino a tale ineffabile approdo spirituale. È opportuno precisare che qui predomina la dimensione trinitaria.
Gli altri scritti in versi e in prosa (poesie, opuscoli, sentenze, lettere) sono di ampiezza e respiro minori: il mistico vi affronta tuttavia in maniera concisa e penetrante alcune delle questioni spirituali più sentite della sua epoca, che è senz’altro fra le più ricche e vivaci nella storia del cristianesimo.
In tale luminoso panorama, pare indubbio che Juan de Avila, Luis de Granada, Juan de Valdés, Luís de León, Teresa d’Avila, Juan de la Cruz e altri scrittori religiosi di Spagna siano fra le individualità più significative, coinvolgenti e intramontabili.