PERON, Juan Domingo (App. II, 11, p. 521; III, 11, p. 388)
Uomo politico argentino, morto il 10 luglio 1974. Deposto nel 1955 da un golpe militare, P. lasciò la guida del paese in un momento di particolare crisi economica e con un forte indebitamento con l'estero, provocato dall'accelerato processo d'industrializzazione dell'Argentina. I successivi governi tentarono inutilmente di porvi rimedio, mentre il movimento peronista e la Confederazione Generale dei Lavoratori (CGT), fortemente peronista, esercitavano la loro indiscussa egemonia sulle masse lavoratrici nonostante la dura repressione effettuata dai militari nel periodo 1959-62; nel 1962 fu nuovamente consentita la presentazione di liste peroniste nelle consultazioni elettorali. L'organizzazione clandestina armata, detta dei Montoneros, nella quale confluivano molti giovani del movimento giustizialista, accentuando sempre più nel paese la lotta e la violenza politica, rese necessario il rientro di P. dall'esilio. Rientrato P. in Argentina (nov. 1972), nelle elezioni del marzo 1973 il fronte giustizialista riportò la vittoria sfiorando la maggioranza assoluta. H. J. Cámpora, eletto presidente della Repubblica, fu sostituito in ottobre dallo stesso P., che assunse personalmente la direzione del paese. Dopo 18 anni di esilio, pur in una realtà profondamente mutata, intatto era il prestigio che l'anziano leader esercitava sulle masse: al centro della sua attività egli pose l'eliminazione della violenza politica, lo sviluppo sociale e il risanamento dell'economia. Gli accordi di principio sottoscritti dalla Confederazione generale dei lavoratori, dalla Confederazione generale economica e dall'Unione industriale argentina costituirono un indubbio successo in campo economico e sociale; ma la politica sostanzialmente moderata di P. finì per deludere vasti strati, soprattutto giovanili, che negli anni della repressione avevano affrontato il carcere per il trionfo del movimento e che quindi accentuarono la violenza come strumento di lotta politica. P. fu accusato di voler instaurare un capitalismo di stato in collaborazione con le multinazionali, e non un governo autenticamente popolare. Alla sua morte, la presidenza venne assunta dalla moglie Maria Estela Isabelita Martínez, che era stata scelta per la vice-presidenza dallo stesso P. sia per rinverdire il mito di Evita sia per non privilegiare con una scelta più politica una delle varie correnti che ormai caratterizzavano il movimento peronista; ma la presidentessa venne deposta il 23 marzo 1976 dal colpo di stato che ha portato alla dittatura militare del generale I. R. Videla.