Garland, Judy
Nome d'arte di Frances Ethel Gumm, attrice cinematografica e cantante statunitense, nata a Grand Rapids (Minnesota) il 10 giugno 1922 e morta a Londra il 22 giugno 1969. Assieme a Marilyn Monroe fu una delle vittime emblematiche del sistema hollywoodiano, che la promosse appena adolescente al rango di star, trasformandola suo malgrado in una delle più eccentriche e interessanti icone dell'immaginario cinematografico e musicale. L'aspetto disarmonico e ambiguamente androgino, la fragilità caratteriale, l'espressione perennemente smarrita o imbarazzata, ma anche la voce sicura, impostata e coinvolgente, le conferirono un'aria, a seconda dei casi, trasognata o tragica, puerile o disfatta, romantica o prostrata, goffa o cordiale. E se nei film interpretati traspare talvolta l'incertezza dell'attrice nei momenti più prosaici, ciò che fondamentalmente emerge è l'assoluta sicurezza che sempre la caratterizza nelle esibizioni musicali.
Figlia d'arte, sin dall'età di due anni e mezzo cantò con le sorelle in un trio chiamato The Gumm Sisters (dal 1934 The Garland Sisters), che tra il 1929 e il 1935 partecipò anche a diversi cortometraggi. Scioltosi il trio, nell'ottobre 1935 la G. venne scritturata dalla Metro Goldwyn Mayer e il lungometraggio Pigskin parade (1936) di David Butler aprì la serie dei ventisette film, quasi tutti musicali, cui prese parte per questo studio. La popolarità arrivò con il successivo Broadway melody of '38 (1937; Follie di Broadway 1938) di Roy Del Ruth. Fu quindi affiancata al giovanissimo e già famoso Mickey Rooney, con cui, attraverso nove film, costituì, tra il 1937 e il 1948, una delle coppie canore di adolescenti più prolifiche e fortunate dello studio. Con The wizard of Oz (1939; Il mago di Oz) di Victor Fleming, che le valse un Oscar speciale, la celebrità della G. decollò definitivamente. Fu questo film a consolidare il suo mito, in quanto vi appare come incarnazione della fanciulla eternamente ingenua, dall'aria assorta, di cui la canzone Over the rainbow, anch'essa premiata con l'Oscar, divenne l'emblema più duraturo. Il suo modo di cantare, con gli occhi spesso persi nel vuoto o rivolti all'insù, accompagnato da una gestualità ampia e vivace, divenne una costante espressiva e caratteriale, nonostante una serie di varianti imposte dal racconto o dall'età anagrafica del personaggio. Nel decennio 1939-1948, che dal punto di vista artistico fu il più felice della sua carriera, fu diretta da registi come Busby Berkeley (Babes in arms, 1939, Ragazzi attori; Strike up the band, 1940, Musica indiavolata; Babes on Broadway, 1941, I ragazzi di Broadway; For me and my gal, 1942), George Sidney (The Harvey girls, 1946, Le ragazze di Harvey), Charles Walters (Easter parade, 1948, Ti amavo senza saperlo) e soprattutto Vincente Minnelli (con il quale fu sposata dal 1945 al 1949, e da cui ebbe una figlia, Liza, anch'essa cantante e attrice) in Meet me in St. Louis (1944; Incontriamoci a Saint Louis), The clock (1945; L'ora di New York) e The pirate (1948; Il pirata), fallimentare al botteghino ma superbo e irresistibile, che mise fine a questo perfetto sodalizio artistico (peraltro non altrettanto riuscito sul piano privato). I film di Minnelli consentirono alla G. di prodursi in una recitazione estrosa, in perpetua tensione emotiva e fisica, in cui dimostrò una sorprendente capacità di ricreare continuamente la propria cifra espressiva, mutando reazione a seconda delle circostanze. Si vedano le sequenze di Meet me in St. Louis in cui la protagonista interagisce con il giovane partner attraverso sospiri, maldestri e deludenti stratagemmi, botte o dolci effusioni; o la tenera casualità che domina l'incerto evolversi dei sentimenti nel delicato The clock, uno dei pochissimi film in cui la G. ebbe una parte drammatica; o infine, in The pirate, la comica infatuazione dell'effervescente e contraddittoria promessa sposa per un improbabile personaggio, al quale si dichiara quasi in trance, baciandolo appassionatamente, non esitando però, una volta scopertolo attore fanfarone, a bersagliarlo senza sosta con ogni sorta di oggetti. Tuttavia, sottoposta a ritmi di lavoro estenuanti, l'attrice si diede a un precoce e smodato impiego di sonniferi ed eccitanti, dalla cui dipendenza non si sarebbe più liberata, come confessò lei stessa più tardi in due articoli autobiografici (pubblicati sulla rivista "McCalls" nei nr. di gennaio e febbraio 1964). A partire dal luglio 1948, a causa dei frequenti ricoveri in clinica, fu costretta a interrompere la lavorazione di quasi tutti i film iniziati: nel giugno 1950 tentò il suicidio; tre mesi dopo la MGM rescisse il suo contratto.
Negli anni seguenti la G. frequentò i palcoscenici dei music hall, in cui alternò grandi esibizioni a clamorosi insuccessi. Tornò a Hollywood con A star is born (1954; è nata una stella) di George Cukor, per il quale ottenne una nomination all'Oscar come migliore attrice. Il film rispecchia il rapporto della G. con la spietata macchina dello spettacolo ed è ricco di spunti e stati d'animo autobiografici, tra cui ironici e spregiudicati cenni ai difetti del suo volto 'irregolare'. In questo capolavoro, all'epoca poco compreso dal pubblico, la G. riuscì a costruire il suo personaggio più complesso, curandone di sequenza in sequenza la crescita psicologica, delineandone il progressivo adattamento al meccanismo divistico, e riuscendo alla fine a restituirne, senza enfasi retorica, la mescolanza di sconforto, sdegno e dignità. Lo scarso successo commerciale del film (dovuto anche ai tagli che vi effettuò la casa di produzione, la Warner Bros.) e la mancata assegnazione dell'Oscar decretarono in sostanza la fine della sua carriera cinematografica. Tornò sullo schermo nei primi anni Sessanta, per offrire tre ultime grandi interpretazioni, in Judgment at Nurenberg (1961; Vincitori e vinti) di Stanley Kramer, con cui si aggiudicò una nomination all'Oscar come attrice non protagonista, A child is waiting (1963; Gli esclusi) di John Cassavetes e l'inglese, dolente, I could go on singing (1963; Ombre sul palcoscenico) di Ronald Neame.
Star turn: Judy Garland, in "Sight and sound", June 1951.
J. Morella, E.Z. Epstein, Judy: the films and career of Judy Garland, New York 1969.
B. Steiger, Judy Garland, New York 1969.
M. Tormé, The other side of the rainbow; with Judy Garland on the dawn patrol, New York 1970.
A. DiOrio Jr, Little girl lost: the life and hard times of Judy Garland, New Rochelle (NY) 1974.
J. Juneau, Judy Garland, New York 1974 (trad. it. Milano 1985).
D. Dahl, B. Kehoe, Young Judy, New York 1975.
A. Edwards, Judy Garland: a biography, New York 1975.
C. Finch, Rainbow: the stormy life of Judy Garland, New York 1975.
G. Frank, Judy, New York 1975.
S. Glickmann, Judy Garland, Paris 1981.
J. Meyer, Heartbreaker, Garden City (NY) 1983.
J. Spada, K. Swenson, Judy and Liza, Garden City (NY) 1983.
C.S. Sanders, Rainbow's end: the Judy Garland show, New York 1990.
J. Fricke, Judy Garland: world's greatest entertainer, New York 1992.
D. Shipman, Judy Garland: the secret life an American legend, New York 1993.
Rainbow: a star-studded tribute to Judy Garland, ed. E.A. Vare, New York 1998.
S. Morley, R. Leon, Judy Garland: beyond the rainbow, New York 1999.
G. Clarke, Get happy: the life of Judy Garland, New York 2000.
S. Schechter, Judy Garland: the day-by-day chronicle of a legend, New York 2002.