LACHELIER, Jules
Filosofo, nato a Fontainebleau nel 1832, morto ivi il 28 gennaio 1918. Dal 1864 insegnò filosofia nella Scuola normale di Parigi.
La dottrina del L. ci si presenta come uno sforzo per costruire un "realismo spiritualista", nel quale il pensiero, affermandosi come l'unico essere, riesca a trovare in sé medesimo la ragione di quella natura che gli si oppone, costruendone le determinazioni secondo una dialettica che presenta certo analogie con quella hegeliana, ma se ne differenzia specialmente perché fra un momento e l'altro non v'è passaggio logícamente necessario, ma "contingenza", libertà di scelta in vista di un fine. Certo il principio vivificatore di questo processo dialettico è sempre e soltanto il pensiero; ma un pensiero nel suo intimo fondo identico al volere; tendenza" allo spirito, e cioè alla coscienza; che crea consapevolmente le sue condizioni creando la natura; nella natura si ritrova; dalla natura si distacca infine, riconoscendosene e affermandosene "libero" autore. Dall'uno all'altro di questi "momenti" v'è un salto logico, che sarebbe ingiustificabile se fin da principio il termine non fosse liberamente voluto. Questo modo di concepire la dialettica, che già si delineava in F. Ravaisson, è rimasto caratteristico di pressoché tutto lo "spiritualismo positivo" nello sviluppo recente della filosofia in Francia e specialmente in E. Boutroux (v.). La natura (strumento necessario all'autoctisi dello spirito) è unidimensionale nel tempo e tridimensionale nello spazio. Nella lunghezza si avrebbe il simbolo strumentale del puro meccanismo; nella larghezza, della finalità circoscritta nei limiti di una natura; nella profondità, della libertà svincolantesi da ogni natura, come indifferenza dominatrice. Questa libertà è Dio stesso; il quale perciò è conosciuto dalla filosofia solo in quanto, opponendosi al mondo, si libra al disopra di questo nella sua infinita libertà. La filosofia, come tale, è quindi panteista. Ma il L. afferma la possibilità di una fede religiosa superiore alla riflessione filosofica (e pure da questa in certo modo attesa e invocata), la quale riconosca, al di là dello sviluppo dialettico, la realtà del pensiero in sé, come perfezione esistente, avente per oggetto adeguato sé stesso come pura positività, non come pura negazione di un mondo contrapposto. Tale positività di Dio in sé stesso rimane, per la filosofia, inattingibile.
V'è quindi nella dottrina del L. un certo misticismo, che giustifica la natura da un punto di vista strettamente filosofico, ma tende a condannarla, o per lo meno a risolverla in un giuoco di vane parvenze, da un punto di vista religioso. E in questa natura, religiosamente condannabile, è inclusa anche l'individualità di ciascun soggetto umano, ehe s'identifica con la parte sensibile del suo essere. Se il L. credette conciliabile questa dottrina con l'ortodossia cattolica, ciò accadde perché egli riteneva l'oggetto della fede affatto trascendente e ineffabile, e caratterizzabile dalla filosofia solo in modo negativo: la "vita eterna" è quindi tutt'altro dalla vita nel tempo, e nulla conserva di questa.
Opere: Études sur le syllogisme, suivies de l'observation de Platner et d'une note sur le Philèbe, 6ª ed., Parigi 1911; Du fondement de l'induction e Psychologie et Métaphysique: due articoli riuniti poi in volume (2ª ed., Parigi 1896) con l'aggiunta (nella 5ª ediz.) delle Notes sur le pari de Pascal. Notevoli i contributi alla discussione sugli articoli del Vocabulaire technique et critique de la Philosophie del Lalande (4ª ediz., Parigi 1932).
Bibl.: L. Dauriac, La doctrine et la méthode de M. J. L., in L'Année Philosophique, VII (1898), pp. 63-119; G. Séailles, La philosophie de J. L., Parigi 1920; E. Boutroux, Nouvelles études d'histoire de la philosophie, Parigi 1927, pp. 1-31.