MICHELET, Jules
Nato a Menilmontant (Parigi) il 21 agosto 1798, morto a Hyères il 9 febbraio 1874. Figlio di un povero tipografo, ebbe dura e stentata la fanciullezza, trascorsa nella tipografia paterna. Il ricordo di quella miseria, di quei patimenti vibrerà nelle opere sue, pervase tutte d'una pietà profonda, d'una tenerezza commossa per i poveri, gli afflitti, gli oppressi, i sofferenti. Ebbe la prima rudimentale istruzione da un antico rivoluzionario fattosi libraio. Entrato poi al collegio di Santa Barbara, ove fu alla scuola del Villemain e di J.-V. Leclerc, vi si fece presto notare per vivacità d'ingegno e doti di scrittore eloquente e appassionato. In quello stesso collegio iniziò la sua carriera d'insegnante nel 1821. Tutto preso dal fascino della filosofia della storia, s 'era innamorato di Vico e aveva pubblicato quei Principes de philosophie de l'histoire, traduits de la "Scienza Nuova" de J -B. Vico (1827), che gli ottennero la cattedra di storia all'École normale ove restò fino al 1847, iniziando contemporaneamente i suoi primi grandi lavori. Impregnata di vichianesimo è anche l'Introduction à l'histoire universelle (1831), che precede di poco l'Histoire romaine, ove l'ammirazione per il Vico s'accompagna a quella per l'opera di revisione critica del Niebuhr. Ma presto il suo entusiasmo si fissò su A. Thierry, sulla sua dottrina delle razze irriducibili (ma già questa integrava mettendo in rilievo l'importanza del territorio, del paese su cui quelle agiscono), e sotto l'influsso delle dottrine romantiche e per naturale inclinazione dell'animo si volse al Medioevo. E fu allora un periodo ardente e fecondo di ricerche intese a interpretare l'anima delle popolazioni scomparse, a riviverne la vita, a far della storia una "resurrection". Capo della sezione storica degli archivî nazionali fin dal 1830, partecipò alla rinata passione per i documenti: con l'entusiasmo che poneva in ogni sua cosa ne cercò per tutta la Francia, ne collazionò, ne pubblicò (Procès des Templiers, 1841-1851). Aveva intanto intrapresa la sua grande Histoire de France (I-II, 1833) e per un biennio (1834-1836) aveva supplito F. Guizot alla Sorbona, estendendo il suo interesse al Rinascimento e alla Riforma.
L'amore per la ricerca documentaria non durò molto. Nominato nel 1838 professore al Collège de France, negli ultimi quattro volumi dell'Histoire de France destinati al Medioevo (1839-1843) rinuncia all'apparato erudito per tornare alle larghe sintesi immaginose, ai quadri pieni di colore, entro i quali rievoca personaggi, costumi, sentimenti: la storia è per lui intuizione. Ma di quella esperienza documentaria ed erudita non andò tutto perduto: e se il M. lasciò ad altri la cura dell'indagine paziente e prudente delle singole carte, egli mirò a comprendere con una sola occhiata quanto l'insieme dei documenti gli offriva. Donde il suo fascino e i suoi difetti, ché per afferrar tutto troppo rapidamente e troppo sinteticamente, gli accade di dar valore predominante a particolari secondarî, d' interpretare arbitrariamente età e personaggi. E un linguaggio immaginoso e appassionato copre e aggrava insieme le deficienze dello storico. Convinto, in fondo, che "l'homme sincère, qui compare le monde et son coeur", e che attraverso le sue sofferenze d'uomo riesce a sentire e riprodurre "les douleurs des nations" sia lo storico migliore e che per capire il passato bisogna "comunicare" con esso, il M. si lascia prendere a poco a poco da un sempre più accentuato soggettivismo, nel quale hanno gran parte le sue passioni e il suo ardore di apostolato filosofico sociale. Ché al Collège de France aveva tramutato la sua cattedra in una tribuna e il polemista aveva preso il posto dello storico, specie quando dopo il 1840 s'erano venute accentuando la sua avversione al Guizot e il suo interesse per le riforme religiose o sociali. Di qui i suoi famosi corsi di lezioni su Les Jésuites (1843), Le Prêtre, la femme et la famille (1845), Le Peuple (1846), L'Étudiant (1848).
A questo indirizzo polemico, che lo allontanava sempre più dall'interesse puramente storico, appartiene specialmente l'Histoire de la révolution française (1847-1853), gigantesca epopea che ha per eroe il popolo, in cui la documentazione ricca e di prima mano viene continuamente sforzata dall'immaginazione e gli amori e gli odî dell'autore colorano il quadro.
Il colpo di stato del 1851 l'aveva privato dell'insegnamento. Nel suo ritiro bretone condusse a temine l'Histoire de la révolution e delineò la storia del movimento democratico europeo nei saggi dedicati a La Pologne, La Russie (1851), Les Principautés danubiennes (1853), Les légendes democratiques du Nord (1854). Ma ormai la pura ricerca storica perdeva sempre più valore ai suoi occhi. La passione di parte, l'entusiasmo democratico, l'anticlericalismo radicale legavano sempre più lo storico, ormai malato e stanco, che interpretava con i suoi preconcetti la sempre più scarsa documentazione di cui si serviva, e in larghi, coloritissimi panorami dominati da fantastici personaggi rinunziava alla simpatia intelligente, alla larga comprensione di cui aveva un tempo fatto prova e rifiutava di occuparsi d'idee e di fatti che non gli piacevano (per es. del giansenismo, del quale era "ennuyé"). Una sempre minore sicurezza di giudizio, un più scarso interesse critico, un eccessivo sdegno per i fatti e le osservazioni particolari distinguono quest'ultima fase dell'opera sua. Terminava l'Histoire de France (19° volume, 1867), condotta fino al 1789, e iniziava un'Histoire du XIXe siècle, rimasta incompiuta. Più che "la dure, la sauvage histoire de l'homme" lo attrae ora, serenatrice, la natura. E la natura esalta e canta in una serie di veri e proprî poemi in prosa nei quali si effonde il suo bisogno d'amore: L'oiseau (1856), L'insecte (1857), La mer (1861), La montagne (1868), mentre in L'amour (1858), La femme (1859), Nos fils (1869) studia le questioni relative alla famiglia e in La Bible de l'humanité (1864) espone le sue idee morali e religiose.
Amò molto l'Italia, ove fece lunghi soggiorni con la seconda moglie Athenaïs Mialaret (1829-1899), ed ebbe relazioni di grande amicizia con molti scrittori e patrioti del Risorgimento, su alcuni dei quali il suo pensiero non fu senza influenza.
In tutta la sua vasta produzione il M. è soprattutto un poeta, ricco di un'immaginazione calda, colorita, commossa, un uomo tutto preso dalla potenza del sentimento. Al di fuori di ogni chiesa è, in fondo, uno spirito ardentemente religioso, che crede in Dio, nella Provvidenza, nel regno futuro della giustizia. Crede con l'ardore d'un mistico nella santità della natura, nella poesia dell'universo, e la sua avversione al dogmatismo religioso s'accompagna al turbamento e allo sdegno per il materialismo. Scrittore tra i più immaginifici e coloristi che la Francia abbia avuto dopo Victor Hugo, è stato uno dei più originali prosatori del suo tempo.
Ediz.: Œuvres complètes, voll. 40, Parigi 1893-1899; Histoire de France et de la Révolution, voll. 28, Parigi 1885-1888.
Bibl.: Della vastissima bibliogr. concernente il M. vanno specialmente ricordati i saggi fondamentali di G. Monod, J. M., Parigi 1875, con bibl. (rist. in Les maîtres de l'histoire, ivi 1894); J. M., études sur sa vie et ses oeuvres, Parigi 1905; La place de M. parmi les historiens du XIXe siècle, in Bibl. universelle et Revue suisse, LXI (1911), pp. 451-484 e ora, postuma, dello stesso, La vie et la pensée de J. M., voll. 2, Parigi 1923; G. Lanson, La formation de la méthode historique de M., in Revue d'hist. mod. et contemp., VII (1905-1906), pagine 5-31; R. Van der Elste, M. naturaliste, Parigi 1913; D. Halévy, J. M., ivi 1928.