ZOEGA, Jurgem
Archeologo danese, uno dei maggiori della generazione successiva a quella del Winckelmann.
Nato a Dahler (Schakenburg, Jutland) il 20 dicembre 1755, trascorse la maggior parte della sua vita a Roma dove morì il 10 febbraio 1809. Di famiglia modesta (era figlio di un pastore protestante), studiò all'università di Gottinga filosofia, antichità, storia delle religioni; lì anche approfondì la conoscenza delle lingue classiche e dell'ebraico. Dopo una iniziale produzione di saggi filosofici, la lettura di Omero e del Winckelmann lo spinse, nel 1766, ad un primo pellegrinaggio accademico in Italia; da allora egli, pur mantenendo intatti fino alla fine i rapporti con l'ambiente danese e l'affetto per la famiglia paterna, si sentirà sempre estraneo in patria e non desidererà altro che poter vivere a Roma, a contatto con i monumenti dell'antichità, al cui studio aveva ormai deciso di dedicarsi interamente. Costretto per bisogno, negli anni seguenti, a esercitare il mestiere di precettore, sentirà fortemente, con caratteristica sensibilità romantica, l'angoscia della sua solitudine e la lontananza dall'Italia, dove potrà tornare solo, e di nuovo per breve tempo, nel 1781, al seguito di un gentiluomo danese. Il suo sogno si realizzerà solo quando, incaricato dal ministro Guldberg di stendere il catalogo del medagliere reale di Copenaghen, gli viene concessa la possibilità di un viaggio di istruzione a spese dello Stato. Partito nel 1782 si fermerà dapprinia a Vienna, dove si incontra con Eckhel, per giungere alla fine dell'inverno 1783 a Roma. Qui è attirato dalla prestigiosa figura del giovane prelato Stefano Borgia, che andava raccogliendo in quegli anni magnifiche collezioni di antichità nel suo museo di Velletri; e ne guadagna la stima. Sollecitato dal suo governo a dedicarsi agli studî numismatici, nel 1784 è a Firenze; sulla strada del ritorno, a Parigi, apprende che il Guldberg, suo protettore, è caduto in disgrazia; ridotto anch'egli alla disperazione risolve di tornare a Roma, dove giunge, a piedi, nel mese di luglio, in gravi condizioni fisiche. Lo accoglie e lo cura il Borgia, che lo lega definitivamente a sé, affidandogli gli studî maggiori, e permettendogli di portarli a termine. Visse da allora a Roma, convertendosi al cattolicesimo e abitando con la famiglia in Via Gregoriana, dove fu vicino di W. von Humboldt ed ebbe come amico il Thorwaldsen. Avendo mantenuto, nonostante la conversione, stretti legami con la patria ne ebbe incarichi retribuiti e, più tardi, la nomina di professore e una pensione, che in parte mitigò le sue difficoltà economiche. Alla fine della sua esistenza la sua fama era diffusa per tutta l'Europa; la sua vita privata fu in realtà infelice, amareggiata dalla morte di numerosi figli, dalle ristrettezze economiche, dalla posizione di subalterno che la vita dedicata agli studî gli imponeva. L'opera che lo rivelò all'attenzione dei dotti fu il catalogo delle monete egiziane imperiali della Collezione Borgia; compiuto nel 1785 dopo due anni di lavoro e un lungo viaggio a Parigi, il volume già presenta le caratteristiche della produzione dello Z.: l'ampiezza e la profondità delle conoscenze (impara appositamente il copto) e la sicura capacità critica nell'utilizzare queste conoscenze per una ricostruzione scientifica del mondo antico. Dopo una fase di studî filologici, comincia nel 1790 un'opera monumentale sugli obelischi egiziani, da dedicare a Pio VI, al quale doveva un posto di interprete presso la Curia, e che agli obelischi si interessava in quegli anni, facendone scavare e rialzandoli ad abbellimento della città. L'opera, accanto alla quale si delineavano altri studî (una dissertazione su Tyche e Nemesi; l'inizio di un catalogo dei manoscritti copti Borgia) subirà una battuta d'arresto con l'episodio rivoluzionario romano, quando lo Z. fu con Visconti e Marini nel Servizio di Storia e Antichità. Crollate le illusioni liberali nel 1798 lo Z. si rifugerà di nuovo nello studio dei manoscritti copti (il catalogo uscirà postumo nel 1810) e porterà a termine il volume sugli obelischi. Il monumentale, in folio, De origine et usu obeliscorum, edito nel 1800 con la falsa data 1797 e la dedica all'ormai defunto Pio VI, sembra quasi voler concludere, nel volgere del secolo, la tradizione illustre degli studî antiquarî; nella conoscenza sterminata di fonti antiche, di documenti e monumenti d'arte e nel loro severo vaglio critico costituisce di questa tradizione uno dei risultati più maturi ed insigni; ma nella coscienza stessa della vanità dell'intento (per lo Z., che non sa interpretare i geroglifici, gli obelischi restano monumenti muti) è implicita la crisi della scienza antiquaria settecentesca e l'esigenza di nuovi, più raffinati e maturi strumenti di indagine storica. Per questo i meriti dello Z. vanno cercati piuttosto in una sua opera che, per essere stata pubblicata postuma, rimase incompleta, a paragone delle altre meno curata e più bisognosa di emendamenti, ma forse per questo più originale: Li bassirilievi antichi di Roma, frammento di una più vasta concezione, limitato poi ai monumenti della Collezione Albani, edito nel 1808 a Roma da Pietro Piranesi sulla base di un manoscritto in parte ritoccato da Filippo Aurelio Visconti (forse da identificarsi nel Codice Zoega pervenuto in proprietà Lanciani) e corredato da accuratissime incisioni, esemplari per la loro epoca. Nell'analisi delle opere d'arte, anche qui minuziosa ed erudita, ma assai più spesso ricca di spunti e di intuizioni, si avverte più a fondo recepito e rimeditato l'insegnamento winckelmaniano, in particolare quello dei Monumenti Inediti, ma insieme una più matura consapevolezza di problemi storici; e si pensi che in quegli anni il Visconti pubblicava i sette volumi del Museo Pio Clementino. In queste note sparse, più che nella sistematica esposizione della sua concezione storica che trova posto negli Obelischi, va ricercato il momento in cui più felicemente lo Z. si inserisce nel numero degli archeologi romani che, eredi del Winckelmann, preparavano il superamento della sua visione classicistica dell'arte antica; e se lo Z. non vi occupò un posto più avanzato, si ricordi quanto della sua opera fu laborioso e faticato prodotto su commissione. L'eredità del Winckelmann è viva anche nelle numerose dissertazioni: da segnalarsi in primo luogo per la brillante identificazione del soggetto, quella su Licurgo e le Menadi del 1790; e inoltre: Ueber der Uranfänglicher Gott der Orphiter; un abbozzo di Lezioni sulla mitologia greca. I frammenti di un'altra impresa ambiziosa, un'opera monumentale sulla topografia di Roma, mai terminata, potrebbero essere rintracciati nella massa enorme di appunti e manoscritti che alla morte dello Z. furono trasferiti nella Biblioteca Reale di Copenaghen.
Bibl.: Opere: Numi Aegyptii Imperatorii prostantes in Musaeo Borgiano Velitris, adiectis praeterea quotquot reliqua huius classis numismata ex variis Musaeis atque libris colligere obtigit, Romae 1787; De origine et usu obeliscorum, Romae 1797; Li bassirilievi antichi di Roma, incisi da Tommaso Piroli colle illustrazioni di Giorgio Zoega pubblicati in Roma da Pietro Piranesi, Roma 1808 (trad. tedesca: Die antiken Basreliefe von Rom in den Originalkupfersichten von Tommaso Piroli mit er Erklärungen von Giorgio Zoega; übersetzt und mit Ammerkungen begleitet von F. G. Welker; t. I, Giessen 1811; Atlas 1812); Catalogus codicum copticorum manu scriptorum qui in Musaeo Borgiano Velitris adservantur, auctore Georgio Zoega Dano (opera postuma), Romae 1910. Le dissertazioni sono tradotte in tedesco e raccolte in: Georg Zoega's Abhandlungen, herausgegeben und mit Zusätzen begleitet von F. G. Welcker, Gottinga 1817; È in corso di stampa l'edizione completa dell'epistolario: Briefe und Dokumente, herausgegeben von O. Andreasen, v. I°, Copenaghen 1967.
Studî su Z.: J. F. Champollion, Observations sur le Catalogue des manuscripts coptes du Musée Borgia à Velletri, ouvrage posthume de Georg Zoega, Parigi 1811; F. G. Welcker, Zoega's Leben; Sammlung seiner Briefe und Beurtehilung seiner Werke, Stoccarda-Tubinga 1819 (ristampato in: Klassiker der Archäologie, II, IV, Halle 1912-13); A. D. Jörgensen, Georg Zoega; et Mindeskrift, Copenaghen 1881; A. Michaelis, Thorwaldsen und Zoega, in Zeitschrift für Bildende Kunst, N. S. XIV, 1903, pp. 193-96; F. R. Friis, Portraeter of Georg Zoega, Copenaghen 1904.
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