Vedi KABUL dell'anno: 1961 - 1995
KABUL (v. vol. IV, p. 283)
La città è da considerare come un sito di prim'ordine sostanzialmente inesplorato. L'insediamento antico si estendeva tra le tre colline di Šer Darwāza, Āsmāyi e Tapa Maranjān, ma la sua estensione non è esattamente nota perché su di essa sorge la città «vecchia» (Šahr-e Kohna), in parte rifatta nel corso della prima metà di questo secolo, ma senza controlli che non fossero casuali da parte di archeologi.
Le mura della città, forse di impianto eftalita (V sec. d.C.), si conservano per un buon tratto a S, sul Koh-e Šer Darwāza. Quanto oggi sopravvive è tuttavia in gran parte dovuto alle ricostruzioni del XVI-XVII e del XVIII secolo.
Nulla ci è noto dell'età pre-achemenide e sulla stessa età achemenide soltanto un rinvenimento fortuito ha fornito delle indicazioni, peraltro preziose. Nel 1933, durante lavori al Čaman-e Hazuri, ai piedi del Tapa Maranjān, nella zona E della città, fu rinvenuto casualmente un tesoro di età achemenide di un migliaio di monete d'argento (ma il numero è incerto): ne restano appena 115, al museo di Kabul. La singolarità del rinvenimento sta nel fatto che in gran parte le monete rimaste sono greche (34 di Atene, fra cui un'imitazione, 30 di altri stati); minore è il numero delle monete achemenidi (otto) e delle coniazioni locali (43 fra bent-bar e punch- marked coins, v. MONETA, India). Nessuna delle monete greche può essere datata a dopo il 400 a.C., sebbene la già citata imitazione sembri derivare da un prototipo ateniese del 394/3; la loro deposizione può quindi ragionevolmente collocarsi tra l'inizio e la metà del IV sec. a.C. Il rinvenimento, così isolato, è ben poca cosa rispetto alla documentazione di età achemenide di Čārsada o di Taxila, in Pakistan, ma è un importante documento della circolazione dell'argento greco nelle province orientali dell'impero.
Non mancano a K. rinvenimenti fortuiti di epoche successive: ricordiamo qui i tetradrammi indo-greci trovati nel 1917. Ma è a partire dal II sec. d.C. che la documentazione archeologica si fa più consistente, fornendoci quindi un maggior numero di notizie su una città la cui importanza non doveva essere trascurabile già da qualche tempo se Tolemeo la usa come punto di riferimento per alcune distanze: essa si trovava sì fuori della via che dalla Battriana conduceva a Taxila attraverso il Kapiśa, ma doveva essere una tappa importante sulla via N-S che univa Kāpiśī all'Arachosia e al tempo stesso un crocevia da cui si dipartiva una via diretta per Puṣkāravatī (Čārsada).
Così una produzione gandharica è attestata da rinvenimenti fortuiti fin dal 1833; anzi, la prima scultura gandharica di cui si sia venuti a conoscenza in Europa proviene proprio da Kabul. Da tempo sia lo ziyārat di Khwāj̆a Safā, da cui proviene un bassorilievo in schisto conservato al museo di K., sia quello vicino di Khwāj̆a Rośnayi sono stati indicati come siti di insediamenti buddhistici.
Meglio documentate sono le presenze buddhistiche a Hašmatkhān, 3 km a SO del Bālā Hesār di K., in zona di cimiteri musulmani in uso. Visitati e in parte scavati da viaggiatori europei (Ch. Masson, J. G. Gerard, G. T. Vigne) nel quarto decennio del secolo scorso, questi siti restituirono sculture da collocarsi tra il periodo kushano-sasanide (III-V sec.) e quello delle dinastie Śāhi (VII-X sec.).
Merita una particolare menzione la breve relazione che Ch. Masson incluse nel III volume del suo Narrative of Various Journeys in Balochistan, Afghanistan, and the Panjab (Londra 1842), non soltanto perché la sua descrizione di alcune sculture in argilla cruda scavate presso lo Ziyārat-e Panjašah è così precisa e vivida da consentirci di riconoscerle come opere non più tarde del V-VI sec. d.C., ma soprattutto perché tali oggetti suscitarono, a detta del Masson, il vivo e non frivolo interesse del sardār Mohammad Akbar Khān, figlio del grande emiro Dost Mohammad, segnando così, in qualche modo, l'inizio della storia dell'archeologia in Afghanistan. Vigne dà anche notizia del rinvenimento di alcune sculture hindu.
L'unico scavo, più o meno regolare, condotto dalla Délégation Archéologique Française en Afghanistan nel 1933, è quello di Tapa Maranjān, collina a E della città la cui importanza religiosa (cimitero, tombe della famiglia reale) e militare ha poi impedito per molti anni qualsiasi ricerca, fino al 1981, quando nuovi rinvenimenti fortuiti hanno dato luogo a uno scavo di cui però si hanno solo notizie frammentarie.
Dai rapporti di scavo conservati, non destinati a una sede scientifica, e dalle piante che li accompagnano si evince che si trattava in origine di una qal'a (casa-fortezza), alle cui mura abbandonate si addossò successivamente una modesta area sacra buddhistica; non v'è traccia di monastero. La qal'a era costruita con grandi mattoni di argilla cruda (50 x 50 cm), misurava 8,60 x 12,30 m e aveva agli angoli torri di rinforzo costruite con ciottoli fluviali; consisteva di tre ambienti principali con vòlte a botte a tutto sesto.
La data in cui essa fu abbandonata si può fissare con sufficiente precisione in base alle monete (373 dracme d'argento e 12 monete d'oro) sasanidi e kushano-sasanidi formanti un tesoro che sembra sia stato deposto proprio in quella circostanza: c.a 385 d.C. La data della fondazione della qal'a, sulla base delle caratteristiche tecniche della costruzione e della ceramica stampata, non sembra che possa precedere la fine del regno del kuṣāṇa Vāsudeva I, cioè l'inizio del III sec. d.C., ma è forse più probabile che sia da porsi nel IV secolo.
L'insediamento buddhistico, che consiste in uno stūpa al centro di un recinto quadrangolare, presenta caratteristiche comuni con altri complessi religiosi dell'Afghanistan, quali Tapa Sardār a Ghazni e Fondukistān (valle del Ghorband, presso il passo di Šibar): murature in lastre di schisto a tessitura fitta, ma, a giudicare dalle fotografie disponibili, senza quegli inserimenti di blocchetti di altre pietre (calcare o arenaria) che si riscontrano sia nella Fase Β del Periodo antico II di Tapa Sardār sia a Fondukistān; intonaco e decorazione plastica (con tracce di pittura) in argilla cruda.
Delle sculture, quella meglio conservata e anche la più nota è il Bodhisattva seduto in argilla cruda (con elementi di dettaglio a stampo e applicati), oggi al museo di K., che mostra evidenti affinità con la produzione del Periodo antico di Tapa Sardār assai più che con quella di Fondukistān e del Periodo recente di Tapa Sardār (che è da collocare tra la fine del VII e l'VIII-IX sec. d.C.). Le sculture in argilla di Tapa Maranjān saranno dunque databili al più tardi tra il V e il VI sec., dal momento che le differenze di stile e di tecnica rispetto a Fondukistān sono ben evidenti, soprattutto alla luce della successione di fasi stilistiche stabilita grazie allo scavo di Tapa Sardār.
Un sito probabilmente affine all'area sacra di Tapa Maranjān ma vissuto di certo più a lungo era Tapa Khazana, su uno sperone del Koh-e Šer Darwāza, in terreno oggi completamente edificato. Le notizie del rinvenimento, avvenuto casualmente nel 1930, sono in pratica nulle, ma il gruppo di frammenti scultorei conservato al museo di K. con questa provenienza (prevalentemente terracotta, forse argilla cruda cotta in un incendio) sembra distribuirsi tra il V e il VII sec. d.C.
K. è circondata da un numero considerevole di monumenti buddhistici, di cui alcuni assai noti come il monastero di Goldara o Musahi-ye Logar, lo stūpa di Šiwaki, il Menār-e Čakri (pilastro posto su un passo tra i due siti precedenti). Un posto di particolare rilievo ha il sito di Khair Khāna, 12 km a NO di K., immediatamente a Ν del passo omonimo: si tratta di un tempio hindu che ha restituito sculture in marmo di epoca śāhi (VII sec. d.C.) e che è stato scavato in parte nel 1934 dalla Délégation Archéologique Française. Alla stessa epoca appartiene l'immagine di Gaṇeša proveniente da Šakardara (a una trentina di km a Ν di K.), conservata in un tempio hindu nello Šor Bāzār di Kabul.
Questi siti, che qui di seguito vengono sommariamente descritti, dimostrano l'importanza della regione di K. tra l'età dei Kuṣāṇa e quella degli Sā̄hi, anche se la città più importante della regione restava pur sempre Kāpiśī, almeno fino alla prima metà del VII sec., quando fu visitata dal pellegrino cinese Xuan Zang. Tuttavia K. assurse a grande importanza con l'affermarsi della dinastia turca degli Sāhi (VII-IX sec.), quando il brahmanesimo andava guadagnando terreno rispetto al declinante buddhismo.
Quello di Goldara, già scavato nel 1833 da M. Honigberger e l'anno seguente dal Masson, è un complesso monastico buddhista particolarmente ben conservato. In anni recenti ha subito alcuni interventi di restauro; uno scavo vi è stato condotto dalla Délégation Archéologique Française nel 1963-64. Lo stūpa principale consiste di un aṇḍa su due tamburi (diametro del tamburo inferiore 10,61 m) che poggiano su un alto podio quadrato (lato 12,90 m; altezza 4,30 m) con scalinata a SO, a sua volta poggiante su una più bassa piattaforma inferiore. La tecnica muraria è quella a lastre di schisto fitte con inserimento abbastanza regolare di blocchi (c.d. diaper masonry) e regolarizzazione mediante lastrine. Le lesene «indo-corinzie» che scompartiscono la superficie del podio sono ottenute mediante sovrapposizione di lastrine di schisto non legate al resto della parete; tecnica analoga è quella seguita per i più bassi pilastrini della piattaforma inferiore: sono stringenti le analogie con il grande stūpa di Tapa Sardār a Ghazni; esse trovano conferma nell'architettura in argilla cruda del monastero (una corte di c.a 14 m di lato, circondata da un corridoio su cui si aprono le celle), caratterizzata da ambienti voltati a botte con corsi di mattoni inclinati, altri, a pianta più o meno quadrata, voltati su trom-be angolari, modanature di argilla cruda, archi «parabolici», tutti elementi che si trovano nelle strutture murarie del Periodo antico II di Tapa Sardār. Altrettanto si dica della presenza nel monastero di frammenti di sculture sia in «stucco» sia in argilla cruda, in misura peraltro ben più modesta che a Tapa Sardār. La decorazione plastica, certamente in «stucco», dello stūpa è andata perduta. A S dello stūpa principale e del monastero sorge uno stūpa minore, simile all'altro ma privo di scalinata. Gli scavi della Délégation Archéologique Française hanno portato a ipotizzare per Goldara un periodo di vita con inizio non anteriore al IV sec. d.C. e fine anteriore alla seconda metà del VII secolo. I secoli V e VI sembrerebbero da indicare come i più probabili per la costruzione del monastero e del santuario. Questa cronologia (Fussman), che trova discreto riscontro nello scavo di Tapa Sardār, deve tuttavia considerarsi troppo rigida soprattutto per quanto riguarda il termine iniziale: il IV sec. per la fondazione dello stūpa è indicazione tuttora accettabile.
Assai meno noto di Goldara è il complesso di Šiwaki, che fu scavato soltanto da M. Honigberger nel 1833. Mentre Goldara si trova in una valle tributaria della valle del Logar, Šiwaki è nella valle del Kabul, ma i due siti sono a breve distanza l'uno dall'altro e sono separati da un passo attraverso il Takht-e Säh, ancor oggi utilizzato dalle carovane. Sulla cresta del Takht-e Šah sorge il Menär-e Čakri. Il complesso di Šiwaki (che non era il solo nella zona: altri due stūpa molto simili sorgono presso il villaggio di Yakhdara) comprendeva almeno un insediamento monastico, ma quel che resta oggi di apprezzabile è uno stūpa imponente, molto simile a quello di Darunta (Nandara), presso Jalalabad. L'opera muraria è peraltro simile a quella di Goldara e di tanti altri stūpa dell'Afghanistan e della North-West Frontier Province del Pakistan; la partitura architettonica del tamburo superiore consiste di un corso di archetti sostenuti da pilastrini «indo-corinzi»: gli archetti sono a tutto sesto ma l'estradosso è carenato. All'interno dello stūpa si rinvenne un vaso di steatite con iscrizione kharoṣṭhī, alcune monete d'oro kusāna e una moneta romana di Traiano: purtroppo le deposizioni all'interno degli stūpa ben difficilmente possono considerarsi probanti per la datazione dei monumenti stessi. È probabile che si debba pensare al IV sec. anche per Šiwaki.
Tra i due complessi di Goldara e di Šiwaki sorge il Menār-e Čakri (di età assai incerta ma verisimilmente post-kuṣāṇa, e forse di parecchio): un pilastro costruito con tecnica muraria simile a quella degli stūpa, riproducete il tipo c.d. indo-persepolitano. Un pilastro in tutto simile, oggi distrutto, si trovava presso il villaggio di Šiwaki: il Sorkh Menār. Studi recenti hanno posto in evidenza il significato simbolico - cosmogonico - di questi e di analoghi pilastri. J. Irwin ha, a questo proposito, sottolineato l'importanza dei gradini posti alla base del pilastro. W. Ball ha rilevato il fatto che nulla può far escludere che si tratti di un monumento hindu anziché buddhistico.
A un periodo sicuramente tardo appartiene il sito di Khair Khāna, dove fu posto in luce un complesso templare che mostra due periodi distinti: il primo comporta un tempio in crudo, il secondo, che si sovrappone al primo, distrutto, mostra tre celle costruite con lastre di schisto. Sono ben note le sculture di marmo attribuite a età Śāhi, conservate al museo di K.: un Sūrya (divinità solare hindu) sul carro, proveniente dagli scavi della Délégation Archéologique Française del 1934, e un Sūrya stante rinvenuto recentemente (1980) in circostanze fortuite. Sh. Kuwayama ha proposto una datazione basata sull'evidenza delle fonti cinesi: il tempio più antico sarebbe stato abbandonato dopo il 608 e prima del 630 d.C., il più recente (cui appartengono le sculture) sarebbe già stato costruito pochi anni dopo, quando Xuan Zang visitò Kāpiśī. Khair Khāna sarebbe da identificare con A-lu-naoshan (Monte Aruna) descritto da Xuan Zang come sede di un culto pasupata che aveva sostituito il più antico culto dell'ancora misterioso dio Shun.
K. è dotata di un importantissimo museo (Museo Nazionale dell'Afghanistan) che trae origine da un primitivo Museo di K. costituito nel palazzo del Bāgh-e Bālā nel 1919 con collezioni della famiglia dell'emiro, quindi trasferito nel palazzo di città (Arg) e via via arricchito dagli oggetti messi in luce dagli scavi della Délégation Archéologique Française e da reperti fortuiti. Nel 1931, dopo aver subito alcuni danni e perdite durante il saccheggio del palazzo avvenuto nel 1929 a opera delle truppe di Nāder Sāh, il museo fu trasferito nella sua sede attuale di Dārul Amān. Negli ultimi anni - dopo una tempora-nea chiusura - il museo era stato ampliato e i suoi depositi riordinati.
Trattandosi in pratica dell'unico vero museo dell'Afghanistan, in esso era rappresentata tutta la documentazione archeologica e artistica del paese, dalla preistoria al secolo scorso. Le raccolte etnografiche erano state destinate a un'altra struttura museale. Le sale di esposizione raccoglievano per quanto possibile gruppi di materiale omogeneo: ricordiamo la sala della preistoria, quella di Begrām, quella di Haḍḍa, quella di Šotorak, quella di Bāmiyān e quella di Fondukistān.
Aggiunte degli ultimi anni erano le due ali con il materiale di Ai Khānum e con quello di Tillyā Tapa; quella che un tempo era stata la sala etnografica ospitava il materiale di Dilberj̆in. Da segnalare, per la loro importanza e per il loro agevole accesso, erano le raccolte numismatiche e le campionature ceramiche. Dopo gli ultimissimi danneggiamenti, tuttavia, le collezioni risultano in gran parte disperse.
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