Vedi KABUL dell'anno: 1961 - 1995
KĀBUL
BUL Capitale dell'odierno Afghanistan, posta a circa 1700 m sul mare nel territorio delle antiche Parapomisadae. Corrisponde con tutta probabilità alla Καβοῦρα di Tolomeo e alla ᾿Ορτόσπανα di Eratostene. Fece parte, con alterne vicende, dei territorî sottomessi ai potentati indo-greci, shaka-parthici, Kuṣāna, sassanidi, eftaliti, turchi occidentali e da ultimo fu governata da una dinastia indù, cadendo sotto il dominio islamico solo nella seconda metà del sec. IX.
La città, pur non essendo posta sulla grande via che dalla Battriana portava all'India, ebbe notevolissima importanza per trovarsi sulla via del S che veniva dall'Aracosia e perché da essa se ne dipartiva un'altra che andava a Pusbkrāvāti, oltre all'essere raggiunta con molta probabilità da una strada che, attraverso lo Hindu-Kush, veniva dall'Asia.
K. si attesta ad una catena di colline, tagliata da una gola entro cui defluisce il fiume omonimo, affluente dell'Indo. Sulla cresta delle colline corrono le mura che si collegano ad oriente con quelle della "Cittadella" (Bala Hisar = luogo alto, nel quale forse è da riconoscere ᾿Ορτόσπανα, il cui nome deriverebbe dal sanscrito ūrdhvastāna = luogo alto). Le mura hanno un aspetto tardissimo, tuttavia in qualche tratto si è voluto attribuirle all'età eftalita (V-VI sec.). Nella città vera e propria non si conosce alcun altro documento archeologico, se si eccettua una statua di Mahāvināyaka, una speciale forma di Ganesha, conservata nel tempio indù, databile intorno al VI sec., importante perché costituisce uno dei pochissimi monumenti di arte non buddista dell'area.
Se nella città poche sono le vestigia archeologiche, al contrario assai ricco ne è il territorio circostante. Nelle immediate vicinanze della città, nel Chaman Huzuri sotto il Tapa Maragian, fu rinvenuto nel 1933 un tesoro di monete di argento comprendente monete greche, persiane e indiane, seppellito almeno nel primo venticinquennio del IV sec. a. C. Costituisce la più antica testimonianza archeologica della zona. Sul Tapa Maragian fu scavato nel 1933 un monastero buddista, dal quale provengono importanti sculture in terra cruda, che sono l'esempio più meridionale di questa tecnica caratteristica dell'Asia centrale, ed un tesoretto di dracme di argento sassanidi e di monete d'oro kuṣāno-sassanidi, oltre a numerosa ceramica stampata.
Moltissimi tumuli non ancora esplorati, sono compresi fra il Tapa Khazaneh (da dove provengono una trentina di testine in terracotta databili fra il II e il III sec.) e il Baia Hisar; a S di questo sono le rovine di Pangia-i Shah.
Ricca di monumenti è la zona a S della città, lungo una catena di colline dominate da una enorme colonna, il Munar-i Chakhari, cioè il Minareto della ruota, simile agli "Stambha" indiani. Il monumento, che è costruito nella caratteristica tecnica, detta del Gandhāra, a minute lastre di schisto, era in origine sormontato da un gigantesco capitello di tipo persepolitano coronato dalla "Ruota della Legge", che indicava ai pellegrini la strada di Nagarahāra-Dionysopolis (presso l'odierna Giālālābād), luogo particolarmente sacro al buddismo. A mezza costa sulle colline, presso uno stūpa, vi è una seconda colonna: il Munar-i Surkh (Rosso). Monasteri e stūpa, uno dei quali conserva ancora la cupola in buone condizioni, sono presso i villaggi di Shevaki e di Kamar. Il villaggio di Guldara dà il nome a un gruppo di monasteri e al più bello e meglio conservato degli stūpa dei dintorni di K., databili questi, insieme agli altri di Iakh Dara, Senged Dara e Seh Topan, fra il II e III secolo.
All'estremità occidentale della catena del Munar-i Chakhari, a 12 km dalla città, presso il villaggio di Shevaki, fu esplorato nel 1935 il fortino shaka, databile intorno al I secolo. Ha una pianta particolare, formata da un corpo ellittico connesso ad una delle estremità con un capo quadrangolare, provvisti ambedue di torri rotonde con camere interne. Mancano tracce di archi e di vòlte. Presenti le feritoie a punta di freccia di antica tradizione iranica. Interessanti i ritrovamenti di ceramica stampata.
A N-O di K., oltre le rovine buddiste del Tapa Salam, delle Ziyarat Sakhi e di Dukhtar-i Qafar, è notevole, a 12 km dalla città, sui colle di Khair Khaneh dominante la strada di Bactra (Balkh), un santuario braminico dedicato al culto di Surya, l'unico conosciuto nella zona, scavato nel 1935. Ha restituito due pezzi di scultura in marmo di eccezionale interesse. Il complesso si compone del tempio e delle sue dipendenze e mostra nella pianta un'influenza indiana. Nell'interno di una delle tre celle del santuario che si affacciano su una corte, sono state ritrovate un'immagine del dio Surya sul carro (v. i vol., fig. 153) ed una statuetta di offerente che, nell'abbigliamento e nello stile, sono prodotti fortemente influenzati dall'arte sassanide, databili alla fine del IV-inizî del V sec., nell'età, cioè, in cui i culti zoroastriani del fuoco e del sole si diffondevano nel mondo orientale e dal Seistan, dove da lungo tempo si erano stabiliti, e conquistavano l'India attraverso l'Afghanistan.
Museo. - Di formazione piuttosto recente, è tuttavia uno dei più importanti del Medio Oriente. Il primo nucleo, costituito da oggetti delle raccolte reali, si è andato poi arricchendo soprattutto con i materiali provenienti dagli scavi della Délégation Archéologique Française, che, diretta prima dal Foucher e poi dallo Hackin, dal Ghirshman e altri, iniziò la sua attività in Afghanistan nel 1922. Alcuni contributi furono dati più tardi da missioni americane; i materiali provenienti dalle ricerche della Missione Archeologica Italiana a Ghaznā, che ha iniziato i suoi lavori nel 1956, non sono ancora entrati a far parte del museo. Le raccolte sono divise in cinque sezioni: Preislamica, Islamica, Numismatica, Etnografica e dei Manoscritti. Non esiste alcun catalogo, per il quale in parte suppliscono le pubblicazioni della Délégation Archéologique Française e solo da poco si è iniziata la redazione di un inventario manoscritto, mentre è in progetto un ordinamento e un'esposizione delle collezioni con criterî moderni.
Della sezione preislamica, fa parte una raccolta preistorica e protostorica formata da materiali provenienti dagli scavi nel S-E dell'Afghanistan (Francesi) a Nad-i Ali (R. Ghirshman, 1936), Mundigak (J. Casal) ed americani a Deh Morasi Gondi (Faiservis, 1949) Shamshir Ghar (Dupree, 1952) (v. kandahar).
La sezione più ricca è naturalmente quella delle antichità buddiste, campo tradizionale delle ricerche francesi, fra le quali è particolarmente notevole la collezione di pitture provenienti da Bāmiyān (alcuni frammenti databili intorno al III sec., Grotta G, e quelli di influenza sassanide, grotta D) e da Kakrak (in una valle presso Bāmiyān [v.] del V-VII sec.) (Foucher, Godard, Hackin, Carl, 1922-1930). Un posto di grandissima importanza ha il tesoro di Begram (v.), di avorî, vetri, bronzi, gessi (Hackin, 1939).
Purtroppo mal editi sono gli scavi di Haḍḍa (v.) e l'enorme quantità degli stucchi provenienti dagli scavi Bartoux (1926-1928) ha subito molte perdite per varie circostanze e specie durante la rivolta del 1929. Un cenno particolare meritano gli schisti, rimasti ancora inediti.
Solo parzialmente conosciute sono le sculture in schisto di Paitava, presso Charikar (Hackin, 1924) che comprendono, oltre la grande stele con il Miracolo di Sharāvāsti e la base con offerenti, un bellissimo putto a tutto tondo, una fata, una bella testa di Buddha e varî altri pezzi. Perdute andarono purtroppo durante lo scavo le sculture in terra cruda.
Dal monastero di Shotorak (presso Begram), da identificare verosimilmente con quello in cui Kanishka ospitò gli ostaggi cinesi (scavi J. Meunié, 1937), proviene una ricca serie di sculture, fra le quali si ricordano la stele con il Dipankara jātaka ed uno dei più grandi e meglio conservati rilievi del museo, quello con la Conversione dei fratelli Kaskyapa, che, insieme alle precedenti e a quelle provenienti da Burg-i Abdallah e da Begram, formano un gruppo particolare nella scultura del Gandhāra che potremo chiamare del Kāpishā, nel quale si vuole vedere una corrente stilistica di ispirazione Kuṣāna, analoga ma indipendente dall'arte tardo-romana.
Nel museo si conservano anche alcuni schisti provenienti dalle immediate vicinanze di K. (donde proviene anche la prima scultura greco-buddista conosciuta in Occidente) per lo più inediti, le terrecotte da Tapa Khazaneh, anch'esse inedite come gli stucchi di un piccolo monastero a Kama Dakka (presso il Kyber Pass, 1948), e le statue in terra cruda (che fu possibile recuperare) dal Tapa Maragian già ricordate e le sculture e pitture assai famose del Fondukistan (v.) (Carl, 1937) conosciute solo da rapporti sommarî.
Notevoli le poche sculture in stucco, di forte sapore ellenistico, provenienti da un monastero scavato a Kunduz in Battriana (Hackin, 1936) da cui proviene anche un bel rilievo in calcare con un Bodhisattva, inedito, simile ad altri conservati nell'Antiquarium di quella città, i quali, pur avendo punti di contatto con l'arte gandharica, sono prodotti di una locale scuola battriana.
Fra i pezzi interessanti del museo, si ricordano una bella testa di Shiva da Gardez, appartenente ad una scuola tardo-Gūpta, databile all'VIII sec. e fra le poche sculture in marmo provenienti dall'Afghanistan (una delle quali, fra le più notevoli, è il Marmo Scorretti rappresentazione della consorte di Shiva, ora al Museo Nazionale di Arte Orientale in Roma), e quelle del santuario di Surya già nominate.
Della piccola raccolta epigrafica fa parte un'iscrizione frammentaria in aramaico di Ashoka proveniente da Pul-i Darunteh presso Gialālābād ed una iscrizione di eccezionale interesse, quella di Kanishka, scoperta nel 1957 durante lo scavo del grande santuario Kuṣāna di Surkh-Khotal in Battriana, dove furono anche rinvenute delle importanti sculture. L'iscrizione, scritta in un alfabeto derivato dal corsivo greco, è redatta in una lingua finora ignota (di tipo medio-iranico del gruppo orientale), cioè non nella lingua dei Kuṣāna parlanti un dialetto shaka. La sua interpretazione è solo agli inizî e non sembra portare alcun contributo alla tanto discussa cronologia di Kanishka, ma ha indotto il suo editore a ritenere che la destinazione del santuario, che non è un tempio del fuoco (v. battriana, arte della) come si pensava, abbia un carattere dinastico simile al devakula di Māth presso Mathurā. Le statue in calcare, appartenenti a sovrani e principi Kuṣāna, sono di uno stile tipico, analogo a quello delle statue del santuario di Mathura; il che fa pensare ad un'arte ufficiale Kuṣāna di ispirazione anticlassica, la quale avrebbe influenzato la scuola del Gandhāra e sarebbe responsabile di quel gusto "tardo-romano" per la disposizione paratattica e frontale delle figure, per le proporziom gerarchiche che incontrano particolare favore in ambiente afghano (cfr. sculture di Paitava, Shotorak, Begram).
Il monetiere, non ordinato, ricco di almeno trentamila pezzi, possiede serie indo-greche assai belle. Tra i ripostigli e i depositi che vi sono confluiti si ricordano, oltre i già citati del Chaman Huzuri (quello che ne rimane) e di Tapa Maragian, l'enorme deposito proveniente dalla Fonte Sacra di Mir Zakah nella provincia di Gardez (1947), composto di monete che vanno dal IV-III sec. a. C. fino a Vasudeva, l'ultimo dei grandi Kuṣāna, e quello di Kunduz, contenente i doppi decadracmi di Amynta, le più grandi monete di argento di tipo greco conosciute.
Bibl.: H. H. Wilson, Ariana Antiqua, Londra 1841, p. 176; W. W. Tarn, The Greeks in Bactria and in India, Cambridge 19512, pp. 461, 471, s.; A. Foucher, La Vieille Route de l'Inde etc., in Mém. Dél. Arch. Franç. Afghanistan, I, 2, Parigi 1947, pp. 213 ss.; E. Caspani-E. Cagnacci, Afghanistan, Milano 19512, pp. 217 ss.; R. Curiel, Le site de Caboul, in Mém. Dél. Arch. Franç. Afghanistan, XIV, Parigi 1953, pp. 128 ss.
Per Nad-i Ali, Mundigak, Deh Morasi Gondi, Shamshir Ghar si veda la bibl. s. v. Kandahar. Per Bāmiyān, Begram, Haḍḍa, Fondukistan si veda la bibl. alle voci relative. Statua di Ganesha: G. Tucci, in East and West, IX, 1958, pp. 328 ss. Stūpa nei dintorni di K.: A. Foucher, op. cit., I, i, Parigi 1942, pp. 145 ss. Monastero di Tapa Maragian e fortino shaka: J. Carl, Diverses recherches archéologiques en Afghanistan (1933-40), in Mém. Dél. Arch. Franç. Afghanistan, VIII, Parigi 1959, pp. 7 ss. Santuario di Khair Khaneh: J. Hackin-J. Carl, Recherches archéologiques au Col de Khair Khaneh près de Kābul, in Mém. Dél. Arch. Franç. Afghanistan, VII, Parigi 1936. Paitava: J. Hackin, in Mon. Piot, 28, 1925-26, p. 35 ss.; id., L'Oeuvre de la Mission Archéologique Française en Afghanistan, Tokio 1933, p. 16 ss. Monastero di Shotorak: J. Meunié, Shotorak, in Mém. Dél. Arch. Franç. Afghanistan, X, Parigi 1942. Monastero di Kama Dakka: D. Schlumberger, in Archaeology, 1949, p. 15. Stucchi di Kunduz; J. Hackin, Diverses recherches etc., in Mém. Dél. Arch. Franç. Afghanistan, VIII, pp. 19-21. Rilievi di Kunduz: K. Fischer, in Artibus Asiae, XXI, 1959, pp. 231 ss. Shiva da Gardez: D. Schlumberger, in Arts Asiatiques, II, 1955, pp. 112 ss.; H. Goetz, ibid., IV, 1957, pp. 13 ss.; D. Barret, Oriental Art, N. S., III, 1957, p. 54 ss. Iscrizione di Pul-i Darunteh: Bull. of Sch. of Or. a. Af. Studies, XIII, 1949, p. 80 ss. Iscrizione e santuario di Surkh Khotal: A. Maricq, La grande inscription de Kaniśka et l'étéotakharien, in Journ. As., 1958, pp. 345-446; D. Schlumberger, in Antiquity, XXXIII, 1959, p. 81 ss.; cfr. Journ. As., 1952, pp. 443 ss.; 1954, pp. 161 ss; 1955, pp. 269 ss.; Archaeology, 1953, pp. 232 ss.; 1955, pp. 82 ss.; Compts Rend. Ac. Inscr., 1957, p. 176 ss. Per i ritrovamenti monetali di K. (Chaman Huzuri, Tapa Maragian) e Mir Zakah: R. Curiel.-D. Schlumberger, Trésors monétaires d'Afghanistan, in Mém. Dél. Arch. Franç. Afghanistan, XIV, Parigi 1953. Per il tesoro di Kunduz: A. D. H. Bivar, The Bactrian Treasure of Kunduz, in The Numismatic Society of India, Numismatic Notes and Monographs, 3, Bombay 1955; M. Bussagli, in Enciclopedia Universale dell'Arte, I, Venezia-Roma, 1958, c. 33 ss., e part. c. 41 ss.