Vedi KAIROS dell'anno: 1961 - 1995
KAIROS (v. vol. IV, p. 289)
La conoscenza della personificazione si è giovata della scoperta di un'iscrizione relativa al culto (v. vol. VII, p. 1116, s.v. Velia), e del generale approfondimento del concetto di kairòs dall'età arcaica all'ellenismo, nella sfera morale ed estetica, nella poetica, nella retorica, nella medicina, nella storiografia (Moreno, 1973; Stewart, 1978; Moser von Filseck, 1988; Guillamaud, 1988; Trédé, 1992), con derivazioni in ambiente postbizantino (Bouras, 1966) e rinascimentale (Rüdiger, 1966; Nova, 1980; Paolozzi Strozzi e Schwarzenberg, 1991).
Dal punto di vista iconografico le acquisizioni e le precisazioni riguardano sia il discusso K. di Policleto, sia quello meglio noto di Lisippo, mentre è stato aggiunto ex novo il K. di Apelle (v.), grazie a due mosaici accompagnati da iscrizioni.
Per quel che riguarda la restituzione del K. di Policleto, essa si raccomanda non solo alla presenza del termine kairòs (Plut., Mor., 45 D) nel più incisivo frammento letterario riferibile al canone del bronzista (Philipp, 1990), bensì all'interpretazione del passo di Plinio nel catalogo dell'artista: nudum talo incessentem (Nat. hist., XXXI, 55), nel senso di un «nudo che sta su un astragalo». L'ipotesi prende concretezza dalla base a forma di astragalo trovata all'ingresso dello stadio in Olimpia, dove Pausania ricordava il culto di K.: le tracce della statua originariamente posta sul singolare piedistallo portano alla coincidenza con l'Efebo Westmacott (v. vol. VI, p. 268, fig. 278, con altra identificazione). Quale K. il giovinetto viene ricostruito con la bilancia nella destra, in composizione con l'Efebo di Dresda (v. vol. VI, p. 272) come Hermes Enagònios (Berger).
La restituzione iconografica solitamente accettata del K. di Lisippo (v.) è stata ingiustamente messa in dubbio dal pessimismo sulla possibilità che le fonti più informate (Posidippo, Fedro, Callistrato, Imerio, Tzetze) si riferiscano a immagini tra loro coerenti (Schwarz, 1975; Moser von Filseck, 1988). Ulteriori incertezze sono nate, a proposito di diversi monumenti figurati, da errori di valutazione, presto sanati da più accurate esegesi: il rilievo di Torino (v. vol. IV, fig. 343), impropriamente dichiarato un falso moderno (Barra Bagnasco, 1976-1977), è stato recentemente rivalutato nella sua autenticità, per essere il fianco di un sarcofago attico (Carinci, 1985-86); la lettura Και[ρός] nell'iscrizione posta accanto a una figura di fanciullo nel mosaico di Nea Paphos con la gara di bellezza tra le Ninfe (Daszewski, 1985; Michaelides, 1987), è stata corretta in Κλη[ρός] (Moreno, 1990; Balty, 1988); la presunta identificazione di K. sul sarcofago di Villa Giulia (Gasparri, 1982), risulta superata dal riconoscimento di Bios nel giovinetto con ruote sotto i piedi e una farfalla (l'anima del defunto) nella mano protesa, mentre il vegliardo alato con la bilancia è Chronos-Tempus, che invita l'anima-farfalla alla psicostasia porgendole un mazzetto di fiori (Moreno, 1981 e 1990).
Per quel che concerne le apparenti discrepanze della tradizione letteraria, esse derivano dall'aver ciascun autore selezionato determinati attributi della personificazione, tacendone altri: l'attento esame dei testi rivela che vi sono impliciti alcuni dettagli non direttamente esplorati dalle descrizioni.
L'allegoria realizzata da Lisippo era forse presente a Demostene (frg. 12, p. 254, Baiter, Sauppe, II): secondo la testimonianza di Tzetze (Epist., 95) l'oratore avrebbe accennato alla «sordità» del K., la caratteristica che veniva riconosciuta in un'altra personificazione plasmata da Lisippo, il Demo (Gnomologium Vaticanum, 399). La conoscenza della figura lisippea, per la sua dote d'inafferrabilità, è inoltre compatibile con la ricostruzione di un verso di Menandro (Dysk., 886), il poeta cui la critica antica attribuiva un ruolo nel processo di apoteosi del K. (Men., frg. 854, Körte).
Uno dei bronzi lisippei che rappresentavano il K. è descritto da Posidippo nell'ingresso monumentale (έν προθυροις) di un edificio, che poteva essere la reggia di Pella, località di cui il poeta era nativo (Anth. Pai, xvi, 27$). Dall'indagine archeologica sappiamo che il palazzo era preceduto da un grandioso portico (v. vol. VI, p. 16, s.v. Pella): il valore risolutivo attribuito fin dal V sec. al kairòs nello svolgimento delle battaglie (Trédé, 1992), aggiunge un elemento significante alla notizia di Tzetze che un'immagine del K. era stata dedicata da Lisippo ad Alessandro.
Posidippo riferisce l'andamento della figura sulla punta dei piedi, che non contraddice la collocazione del K. sulla sfera, affermata da Callistrato e Tzetze, e ben attestata da una gemma, tanto più che K. in Posidippo dichiara: «άεί τροχάω», letteralmente «sempre ruoto», con il verbo che negli stessi anni Arato (227, 309) adoperava per evocare il moto delle sfere celesti. L'epigramma fissa inoltre i motivi delle ali ai piedi, del rasoio in una mano, e della caratteristica chioma spiovente sul viso e rada all'occipite, noti dai rilievi di Traù e di Torino.
Nella voce precedente l'indicazione del rilievo con rappresentazione del K. a Spalato è errata, trattandosi della lastra custodita nel Monastero di San Nicola a Traù (Trogir).
Il testo di Fedro (v, 8) che ci è pervenuto (cursor volucri pendens in novacula) va emendato in cursor volucris pendens in novacula, dove vólucris è la forma di nominativo singolare maschile nota per questo aggettivo anche da Silio Italico (x, 470), e pendens va inteso come voce di pendo, non pendeo. Ne viene l'immagine, fedele al dettato di Posidippo e alle riproduzioni plastiche, di un «corridore alato in atto di pesare su un rasoio». Fedro conferma la tipica capigliatura della divinità (calvus comosa fronte nudo occipitio) e mostra di conoscere il bronzo lisippeo (finxere antiqui talem effigiem Temporis).
L'esatta percezione di tale opera si conserva in Callistrato (Stat., 6), che ne descrive un esemplare a Sicione, confermando rispetto a Posidippo l'andamento della figura sulla punta dei piedi alati (conservati anche nel rilievo di Atene) e la particolare pettinatura; aggiunge che K. aveva ali sul dorso (visibili nei rilievi di Traù e Torino), e che stava in equilibrio su una sfera (come si evince da una gemma al British Museum).
Imerio (Or., XIII, 1) che dichiara di riassumere un ricordo visivo, parla di un «ferro» (σίδηρον) nella destra (che corrisponde al «rasoio» di Posidippo) e della bilancia nella sinistra (in accordo col pendens di Fedro).
Un primo equivoco iconografico è nato dal guasto di antica data che abbiamo segnalato nel testo di Fedro: l'espressione cursor volucri pendens in novacula, ha suggerito l'assurda figurazione di una gemma di Berlino con il giovinetto che ha in ima mano la bilancia, ma anziché sostenerla sulla lama, sta egli stesso in equilibrio su un «rasoio alato». Altre ambiguità sono sorte dal fraintendimento di altri passi, pur correttamente tramandati, che non risultavano perspicui a chi non avesse più sotto gli occhi il modello statuario.
Introducendo l'equazione K.-Tempus, il poeta latino aveva involontariamente contribuito all'insorgere del personaggio barbato con gli attributi di K. che troviamo su gemme; spiegando l'allegoria come «occasionem rerum [...] brevem», ha determinato addirittura la nascita della personificazione femminile di Occasio con motivi tratti dal K. (Ausonio, Epigramma 33; Disticha Catonis, II, 26; Paul. Noi., Epist., XVI, 4; Carmina Burana, 16, 1, 5-8, Hilka, Schumann).
Analogamente il «ferro» citato da Imerio diventa una «spada» (μάχαιρα) negli scrittori bizantini (Tzetz., Epist., 70; Chil., VIII, 200, 427; X, 264, 322; Giorgio Galesiota, De regalitate, 10; Niceforo Blemnide, De rege, 10), con le relative conseguenze nelle opere figurative: una gemma a Zara, il rilievo nel duomo di Torcello (v. vol. IV, fig. 344), e una miniatura al Monte Athos.
Perdurava comunque negli scrittori cristiani la memoria di altri elementi dell'iniziale personificazione di K., grazie a uno dei bronzi lisippei di tale soggetto che era stato portato a Costantinopoli, dove era andato perduto nel 476 con l'incendio del palazzo di Lauso (Giorgio Cedreno, Synopsis historiarum, 322 c): veniva talvolta citato col nome stesso di K. (Evag., Hist, eccl., in, 26; Teofilatto di Bulgaria, Lessico, 58), più sovente come Chronos.
Motivi dell'allegoria sfociano nella visione letteraria di Bios (Teodoro Prodromo), sicché Tzetze (che conservava tra l'altro le rare notizie dell'appoggio sulla sfera e della dedica dell'archetipo ad Alessandro da parte di Lisippo) avverte polemicamente la necessità di ristabilire la giusta lettura della personificazione usando come sinonimi K. o Chronos.
L'emendamento è accolto da alcuni scrittori (Niceforo Blemnide, Giorgio Galesiota), mentre altri continuano a parlare di Bios (Manuele Filete) in termini pressoché interscambiali con K., come avviene di fatto nell'iconografia post-bizantina.
Nei trattati destinati ai pittori religiosi sopravvive invece la denominazione classica di K. con riferimento all'iconografia lisippea (Hermenèia, Monte Athos, Iviron, Cod. Λ 685, f. 14): non stupisce dunque che nel XVIII sec. si trascrivesse ancora l'epigramma di Posidippo sulla parete di una chiesa monastica a Redina, nella regione del Pindo (Bouras, 1966).
La notizia che Lisippo e Apelle usavano scambiarsi giudizi sui rispettivi disegni (Syn., Epist., 1) aiuta a intendere la portata della recente scoperta del K. di Apelle. L'allegoria di Charis, Akmè (v.) e K. è nata nella pittura in concomitanza con il bronzo lisippeo nel clima di elaborazione intellettualistica del mito proprio della scuola di Sicione. Per quel che si vede nei mosaici di Beirut e del Museo dei Conservatori, il K. di Apelle era ancora vicino all'infanzia, parzialmente coperto dal mantelletto, con capelli biondi e fluenti, incoronato di fiori e privo di ali: veniva trattenuto da Akmè seduta che guardava verso Charis. La scena significa che la giovinezza al suo fiorire è dotata di grazia, e può cogliere l'occasione felice della vita: da tale visione deriva la metamorfosi, cui abbiamo accennato, di K. in Bios trattenuto da un giovane (rilievo di Torcello), o da un uomo che personifica Kosmos, il piacere mondano, in un affresco del XVIII sec. a Chio, nella chiesa della Panaghia Krina (Bouras, 1966).
La metafora aveva una spiegazione estetica più evoluta rispetto a quella eventualmente proposta da Policleto e comunque dichiarata da Lisippo. Il pittore esaltava il concetto di Chàris e d'altra parte credeva alla soluzione del quadro con un colpo di spugna, alla felicità del momento ispirato da Hermes e da K.: aveva fede in ciò che si produce da sé. La figura di Akmè poteva indicare che l'artista nel momento della sua fioritura, ispirato dalla Grazia, sapeva cogliere K., l'istante supremo che fermava una bellezza inimitabile.
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