KAIROUAN (arabo al-Qairawān; A. T., 112)
Città della Tunisia posta nell'interno, a 50 km. dalla costa orientale del Sahel, a 58 m. s. m., in mezzo a un vasto piano quasi deserto, con una popolazione di 22.000 ab., di cui solo 600 Europei. K., capoluogo di caidato e di controllo civile, ha conservato i suoi caratteri di città essenzialmente araba, costituita da un'agglomerazione urbana circondata da circa 3 km. di bastioni e dal sobborgo beduino di Zlas, che si estende a N. e a NO. Il piccolo quartiere europeo ne rimane del tutto separato e si sviluppa in prossimità della stazione ferroviaria. Il carattere sacro le proviene dalle ricordanze storiche, dalle numerose moschee e zauie oggetto di pii pellegrinaggi. Un tronco ferroviario di 58 km. la congiunge a Susa.
La pianura circostante la città è messa sempre più in valore. La città stessa va riacquistando una notevole attività economica. I suoi pittoreschi sūq sono pieni dei prodotti di alcune antiche industrie: cuoi e cordami, vasi in rame e specialmente tappeti fabbricati dalle donne (ogni casa conta per lo meno uno o due telai) di stile berbero, cioè a strisce trasversali, oppure ispirati ai tappeti orientali per preghiera.
La pittoresca vita indigena, l'austera grandezza dell'aspetto fanno di Kairouan una delle più interessanti città dell'Africa settentrionale, tanto più che, contrariamente all'uso conservatosi in Tunisia, è concesso anche ai non musulmani di visitare gli edifici religiosi, che sono artisticamente interessantissimi.
Storia. - Sebbene gli autori arabi ci abbiano tramandato notizia di un fortilizio greco, detto Qamūniyyah o Qūniyah, nessun avanzo consente d'affermare che l'attuale città sia sorta sopra un antico abitato. Si vuole che Kairouan fosse fondata nell'anno 50 dell'ègira (670 d. C.) da ‛Oqbah ibn Nāfi‛, uno degli eroi della conquista musulmana dell'Africa. Il sito fu scelto perché sotto tutti i rapporti atto a sede di conquistatori orientali provenienti dalla Tripolitania e miranti all'invasione delle regioni berbere romanizzate dell'Africa settentrionale ed occidentale. Fu costituita così una piazza militare (Qairawān) che consentiva tanto di respingere un ritorno offensivo dei Bizantini quanto di preparare un'azione metodica dell'Islām sulle regioni non ancora conquistate.
Kairouan, provvista dal suo fondatore di una cinta e di una moschea, che doveva poi divenire celebre, stava per scomparire quando ‛Oqbah fu richiamato in Oriente. Reintegrato nel comando, ‛Oqbah si stabilì nuovamente nella città, capitale ormai dell'Ifrīqiyyah (l'antica Africa romana), residenza di tutti i governatori inviativi dai califfi omayyadi di Damasco prima, dai califfi ‛abbāsidi di Baghdād poi. La città dovette poi sentire la reazione berbera provocata dall'invasione islamica. È noto che la resistenza da essi opposta agli Arabi assume ben presto l'aspetto di un movimento religioso, poiché l'eresia orientale del Khārigismo, introdotta in Occidente, vi era stata favorevolmente accolta; la Barberia quasi intera fu in procinto di abbracciare il khārigismo. Nel 756 i Khārigiti Wafargiūma s'impadronirono di Kairouan, abbandonandosi ai peggiori eccessi; ne furono scacciati dai Khārigiti Hawwārah, i quali dovettero alla lor volta cedere dinnanzi a un esercito inviato dall'Oriente. La città fu restaurata e cinta da un bastione in mattoni; occupata nuovamente nel 771 dagli eretici Berberi, l'anno seguente tornò definitivamente in possesso dei califfi. Il governatore Yazīd ibn al-Hātim la restaurò, meritandosi il titolo di "secondo fondatore della città", ma Kairouan raggiunse il suo massimo splendore sotto gli Aghlabiti.
Il fondatore di questa dinastia, Ibrāhīm ibn al-Aghlab, nominato governatore dell'Ifrīqiyyah dal califfo ‛abbāside Hārūn ar-Rashīd, nell'800 si rese indipendente dal lontano padrone; e benché egli e i suoi successori continuassero a riconoscere nominalmente la sovranità dei califfi di Baghdād, di fatto raggiunsero gradatamente l'indipendenza quasi assoluta. Sotto il loro governo la città si arricchì di monumenti, e divenne un grande centro economico, intellettuale e religioso, celebre per i suoi dottoii, la cui fama attirava studenti dalle più lontane regioni.
Per mettersi al sicuro da possibili ribellioni della milizia araba, Ibrāhīm I iniziò nell'801 la costruzione di un palazzo sito a quattro km. a sud di Kairouan; fattivi trasportare approvvigionamenti e armi, abbandonò il palazzo del governo, sino allora sede dei signori dell'Ifrīqiyyah per stabilirsi nella nuova dimora, al-‛Abbāsiyyah, o al-Qaṣr al-Qadīm, con schiavi negri, liberti e uomini fidati della milizia. Un'intera città sorse ben presto intorno al palazzo degli emiri, ove gli aghlabiti dimorarono sino all'876, quando Ibrāhīm II si trasferì in un altro palazzo sito a sud della città, posto 5 km. oltre al-‛Abbāsiyyah. Sorse lì pure una grande città ufficiale, Raqqādah, ricca di sontuosi palazzi e fu da Raqqādah, che fuggì l'ultimo degli aghlabiti quando il paese cadde in potere dei fāṭimiti.
Ma questi, non parendo loro Kairouan un asilo abbastanza sicuro di fronte alla reazione berbera e a una ripresa dell'eresia khārigita, preferirono stabilirsi in un primo tempo ad al-Mahdiyyah, posta su una sottile penisola della costa; sventato il temuto pericolo, essi si riaccostarono alla vecchia città, ma non si stabilirono in Kairouan, ove godevano di ben poca popolarità, bensì fondarono oltre la cinta di questa al-Manṣūriyyah, detta anche Sabrah.
La nuova città di al-Manṣūriyyah non fu soltanto sede ufficiale dei califfi fātimiti, ma anche fortunata rivale di Kairouan come centro industriale e commerciale; per ordine dei califfi vi furono trasportati i bazar di Kairouan, sicché tutto il traffico fu stabilito in essa.
I Fātimiti abbandonarono nel 972 l'Ifrīqiyyah, trovandola troppo mediocre per la loro ambizione e, conquistato l'Egitto, vi fondarono il Nuovo Cairo. Rimasero come loro rappresentanti in al-Manṣūriyyah i Zīridi, emiri berberi, appartenenti alla grande schiatta dei Ṣanhāgiah, che in un primo tempo si dimostrarono fedeli vassalli difendendo la Barberia orientale dai Zenātah d'occidente, protetti dai califfi di Cordova. Per svariate ragioni Kairouan non aveva però mai simpatizzato per i Fātimiti: diversità religiose, eccessiva pressione fiscale, rimpianto dei bei tempi passati. Gli emiri Ṣanhāgiah, superficialmente leali verso i loro sovrani, spinti dall'opinione pubblica e convinti di aver forze sufficienti per dichiararsi liberi, spezzarono i legami che li univano ai sovrani del Cairo (prima metà del sec. XI). Imprevedibili conseguenze derivarono al paese da questi avvenimenti; l'invasione degli Arabi Hilāliani, strumento cieco della vendetta fātimita, distrusse per sempre la prosperità dell'Ifrīqiyyah, veramente eccezionale prima dell'invasione. Essa ci viene garantita dagli storici e soprattutto dai segni innegabili rimasti tuttora nella città. Tutto fu rovinato. La vecchia città, le cui difese furono rinforzate alla svelta, circondata dai nomadi saccheggiatori, isolata dal mondo, fu ben presto conquistata. Kairouan non riuscì mai più a rialzarsi dal disastro; fu per un certo periodo, come molte altre città, capitale di una specie di principato indipendente, ma gli Arabi erano padroni delle campagne circostanti. Le rovine furono in parte restaurate circa a metà del sec. XII dagli Almohadi, provenienti dal Marocco, ma quando uno stato vero e proprio fu riorganizzato nell'Ifrīqiyyah dai Ḥafṣidi non ne fu già capitale Kairouan, ma Tunisi.
Gli abitanti di Kairouan, sdegnati di questa decadenza e ribelli per tradizione, si sollevarono spesso contro il governo ḥafṣida e il dominio turco succedutogli. Per castigare gli abitanti rivoltosi il bey Murād ne abbatté nel 1701 la cinta e le case di abitazione, rispettando le sole moschee e le sedi di confraternite. Invece il fondatore della dinastia ḥusainide allora al potere, al-Ḥusain ibn ‛Alī (1705-40) dimostrò alla vecchia città una benefica simpatia; vi ebbe un palazzo, vi risiedette e sostenne anche l'assedio postovi dal nipote ‛Alī Bāshā; questi, riuscito vittorioso, devastò la città, che doveva però nuovamente risorgere dalle proprie rovine. Un viaggiatore europeo che la vide in tempi posteriori la descrisse come la seconda città del reame: vi fiorivano le industrie ed essa seppe conservare il prestigio di città santa e la propria indipendenza. Fu quasi la sola Kairouan a rifiutare il protettotato francese, quando nel 1881 la Francia firmò con la Tunisia il Trattato del Bardo. Tre colonne militari la occuparono senza combattere il 29 ottobre 1881.
Monumenti. - La Grande Moschea di Kairouan è spesso detta moschea di Sidi ‛Oqbah, in ricordo del primo fondatore. L'attuale è una costruzione aghlabita del sec. IX, ch'ebbe ulteriori ritocchi e ampliamenti eseguiti da due successori del suo iniziatore, Ziyādet Allāh. La tradizione vuole che vi si conservi ancora il miḥrāb miracoloso della primitiva moschea di ‛Oqbah, dietro un rivestimento di marmi traforati; ma all'epoca di ‛Oqbah non era ancora invalso l'uso di segnare l'orientazione delle moschee con una nicchia (miḥrāb). Comunque, essa è la più antica moschea dell'Islām occidentale. Al primitivo tipo di sala ipostila preceduta da un cortile, già embrionalmente costituito dalla casa di Maometto, è fuso il tipo basilicale cristiano. Da questo provengono il minareto quadrato, il miḥrāb, la cupola che lo precede e la navata centrale, più larga e più alta delle laterali, che termina con una nave trasversa delle stesse dimensioni, disposta lungo il muro di fondo.
La moschea ha un'area rettangolare leggermente deformata di 135 m. per 80. Il cortile, molto ampio, con cisterne e condotti, è circondato di loggiati. La sala delle preghiere ha 17 navate, parallele all'asse principale, con soffitti in legno e tetti a terrazzo. Gli archi delle navate posano su colonne singole o binate o raggruppate. Alle due estremità della navata centrale s'innalzano due cupole sporgenti sui terrazzi. I loro pennacchi a nicchia sembrano riallacciarsi alla tecnica mesopotamica, ricordandone i tipi noti a Samarra sull'Eufrate. D'altra parte, le colonne sormontate da pulvini in legno o in pietra, collegate da tiranti in legno, e la curva degli archi quasi a ferro di cavallo rivelano l'influenza delle più antiche moschee egiziane, di cui la moschea di ‛Amr, al Vecchio Cairo, pur essendo quasi interamente rifatta, sembra ancora conservare la struttura originaria. Quasi tutte le colonne e i capitelli provengono da edifici antichi, mentre la decorazione del miḥrāb, le mensole e le modanature sono propriamente islamiche, e consentono di studiare la decorazione plastica in pietra e in marmo, la quale esclude quasi sempre ogni vigoroso rilievo, e invece ricama i marmi, continuando le tradizioni della locale decorazione cristiana, mentre trae gli ornati vegetali quasi soltanto dai tralci della vite.
L'arte del sec. IX nella Grande Moschea è rappresentata anche da un minbar, o pulpito in legno di tek, il quale, nonostante gl'infelici restauri, è da annoverare tra i più bei mobili dell'Islām, con pannelli traforati o profondamente intagliati con sorprendente varietà di ornati tra cui è rilevante l'elemento vegetale; ma vi si trovano anche grovigli di scorniciature e di nastri più affini alla decorazione bizantina che agl'intrecci mu?sulmani, quali appariranno più tardi. Secondo un antico testo, il legno per il pulpito fu importato da Baghdād, donde provengono anche le piastrelle di ceramica a riflessi metallici di cui è rivestito il miḥrāb, mirabile collezione ceramica della quale i recenti ritrovamenti in Mesopotamia rivelano l'origine e la data. Anche la decorazione pittorica a viticci della mezza cupola del miḥrāb è caratteristica per lo stile del sec. IX.
Durante l'epoca degli aghlabiti, che segnò tanta floridezza per la città, furono di certo elevati altri edifici religiosi; rimane ora solo la piccola moschea delle Tre Porte, dell'866 (come attesta un'iscrizione), nella quale riappare la medesima arte decorativa della Grande Moschea.
Gli aghlabiti pensarono a provvedere la loro capitale di acqua potabile; e Abū Ibrāhīm fece costruire presso la città i due bacini di solida muratura tuttora esistenti, uno dei quali, a pianta poligonale, serviva per purificare l'acqua che poi passava nell'altro più vasto, a pianta circolare. Serbatoi analoghi sparsi nella regione Kairuanese attestano della benefica attività degli emiri del sec. IX.
I fāṭimiti, successori degli aghlabiti, non risiedettero a Kairouan, a loro poco gradita. Negli stessi cimiteri ricchi di epitafî del sec. IX mancano quasi completamente quelli del X; tornano invece numerosi quelli dell'XI, sebbene gli emirì Zīridi si trattenessero poco a Kairouan, risiedendo ordinariamente a Sabrah (al-Manṣūriyyah), che s'innalzava accanto alla vecchia città. Gli Zīridi non trascurarono Kairouan, restaurarono ed abbellirono la Grande Moschea; uno dei principi della casata, forse al-Mu‛izz, fece ripristinare il soffitto della sala delle preghiere, magnifico complesso decorativo di cui rimangono numerosi frammenti: mensole scolpite, travi e cassettoni dipinti. Il medesimo emiro al-Mu‛izz fece disporre accanto al miḥrāb e al pulpito del sec. IX una sontuosa maqṣūrah (recinto di legno scolpito il quale consentiva al principe di pregare appartato dalla folla) di un'arte del tutto diversa, estranea alle tradizioni cristiane locali.
L'Ifrīqiyyah dei Ṣanhāgiah era del tutto dipendente nell'arte dall'Oriente, dalla Mesopotamia e dall'Egitto fātimita; ma purtroppo non ha conservato che poche opere d'arte di quel periodo che pur tante ne vide sorgere. Sabrah, la città principesca, rovinata nel secolo XI dall'invasione araba e abbandonata dai suoi abitanti, fu demolita pezzo per pezzo a favore di Kairouan, che, nonostante tante prove, continuava a vivere. Una splendida iscrizione, che decorava una delle porte della città distrutta, dopo alcuni secoli venne ad abbellire una delle porte di Kairouan; la stessa Grande Moschea s'adornò delle spoglie - colonne e capitelli del sec. XI - del palazzo dei Ṣanhāgiah, nei secoli XIII e XIV, nell'epoca del regno dei Ḥafṣidi a Tunisi, a cui risalgono le laterali di accesso con i vestiboli a cupola. Una di queste porte, Bāb Lalla Raihāna, è un leggiadro complesso architettonico, ove le tradizioni proprie alla Ifrīqiyyah si fondono con elementi maghrebīni e andalusi: poiché anche nella Tunisia giungevano riflessi dell'arte detta ispano-moresca.
Ma nel periodo ultimo, la regione, che aveva brillato nella storia della civiltà islamica, sembrò divenire sterile di idee originali. Vi sorsero tuttavia edifici graziosi; e la stessa Kairouan conserva, oltre alle mura in mattoni del sec. XVIII, due o tre interessanti monumenti dell'età turca. Uno di questi, detto dagli Europei la Moschea del barbiere, è una zāwiyah (sede di confraternita), complesso interessante il cui nucleo originale è costituito dalla tomba di un santone. Molto rimaneggiato nel corso dei secoli, più che altro è opera di Ḥammūdah-bey (1613-1631); contiene, oltre alla tomba del santone, alloggi per gli officianti, una piccola scuola con celle per gli studenti e ripari per i pellegrini. Vestiboli e cortili sono decorati di marmi generalmente scolpiti in Italia e di ceramiche di fabbricazione locale. Più recente è la zāwiyah di Sidi-‛Amar ‛Abbādah, morto nel 1871, la quale nelle curiose cupole sul santuario ripete fedelmente quelle che s'innalzano sulla moschea del sec. IX, così che il loro bianco profilo conforme alla tradizione millenaria non stona nell'augusta visione di Kairouan.
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