KAIROUAN
(arabo classico al-Qayrawān)
Città della Tunisia, a km. 50 ca. a S-O di Susa.Secondo la tradizione trasmessa dagli scrittori arabi del Medioevo, la fondazione di K. fu opera di ῾Uqba Ibn Nāfi῾, uno dei comandanti delle armate islamiche che nella seconda metà del sec. 7° conquistarono progressivamente i territori costieri dell'Africa mediterranea avanzando verso Occidente; al-Nuwayrī (sec. 13°-14°) narra come ῾Uqba nel 50 a.E./670 decise di creare una città che potesse servire da accampamento (tra i diversi significati di kairouan, oltre a quello di 'accampamento-guarnigione', va annoverato anche quello di 'stazione di carovana') e da "punto di appoggio all'Islam fino alla fine dei tempi" (Kitāb nihāyat al-arab fī funūn al-adab). Alla fondazione della città e dei suoi primi edifici sono legati nella tradizione diversi prodigi compiuti da ῾Uqba: poiché il sito prescelto era occupato da una fitta boscaglia abitata da serpenti e belve feroci, ῾Uqba avrebbe ingiunto a questi animali di allontanarsi ed essi avrebbero obbedito pacificamente; inoltre per ispirazione divina ῾Uqba trovò la giusta soluzione per l'orientamento della moschea di cui aveva deciso la costruzione.Secondo quanto appare da un'analisi dei documenti relativi alle prime spedizioni musulmane nel Maghreb, tuttavia, l'idea di costruire una città in questo luogo venne a formarsi progressivamente nel corso delle diverse campagne che portarono gli eserciti arabi a impadronirsi delle province bizantine della Bizacena e dell'Africa proconsularis e vi contribuirono i diversi generali che comandarono le spedizioni. È possibile che già nel 27 a.E./647 l'esercito condotto da ῾Abd Allāh Ibn Sa῾d Ibn Abī Sarḥ avesse raggiunto i territori dell'od. Tunisia centrale; successivamente, nel corso delle tre campagne condotte da Mu῾āwiya Ibn Ḥudayj tra il 34 a.E./654-655 e il 45 a.E./665, egli stabilì l'accampamento del suo esercito non lontano dalla zona in cui sorse poi la K. di ῾Uqba, mentre ad al-Qarn (un sito identificato in una collina a km. 12 ca. a N-O dell'od. città) costruì un insieme di abitazioni a cui dette il nome di Kairouan.Agli inizi dell'epoca omayyade, ῾Uqba Ibn Nāfi῾, a cui era stato affidato il governo della regione, non contento della scelta fatta dal suo predecessore, fondò una nuova K. in un sito di fondovalle, più a S, iniziando la costruzione di una moschea e di un palazzo del governo (dār al-imāra) vicino a questa. Alla fine del mandato di ῾Uqba, il suo successore Abu᾽ l-Muhājir Dīnār spostò la residenza del governo più a N, in un luogo che prese il nome di Tākirwān (o Kirwān). Al-Nuwayrī narra che Abū l-Muhājir per disprezzo ordinò di distruggere la città fondata da ῾Uqba e che quest'ultimo a sua volta, ottenuto nuovamente il governo della regione nel 62 a.E./681-682, fece incarcerare il suo predecessore, distruggere Tākirwān e condurre i suoi abitanti a K., che da allora si sviluppò e rimase per quasi quattro secoli la capitale dell'Ifrīqiya islamica.Le fonti documentarie, che peraltro affermano concordemente che K. sorse sulle rovine di una città antica di nome Qūniya o Qammūniya, non permettono di avere un'idea precisa della sua popolazione in questo primo periodo; secondo Talbi (1978), che basa la sua ipotesi su un perimetro urbano di 13.600 cubiti (pari a km. 7,5 ca.) attestato da Ibn ῾Idhārī (sec. 13°-14°) nel Kitāb al-bayān al mughrib fī akhbār al-Andalus wa᾽ l-maghrib, gli abitanti iniziali della città di ῾Uqba non dovettero essere meno di cinquantamila. Un'altra ipotesi, basata sulle scarse informazioni degli scrittori arabi, vuole che anche a K., come nelle altre grandi città fondate nel primo periodo dell'espansione musulmana, la popolazione fosse ripartita per origine geografica o appartenenza tribale: sembrano indicarlo, tra l'altro, i nomi di alcuni quartieri e luoghi che nei secoli successivi conservavano ancora il ricordo di un'appartenenza etnica o confessionale dei loro abitanti, come per es. raḥbat al-Qurashiyyīn ('mercato all'aperto dei Coreisciti') e sūq al-Yahūd ('mercato degli ebrei').Sorta inizialmente come luogo di residenza degli arabi che erano giunti nella regione al seguito dell'esercito musulmano, K. si sviluppò gradualmente accogliendo al suo interno berberi, latini, persiani ed ebrei. I non musulmani vi godevano libertà di culto e, a partire dalla fine del sec. 8°, i cristiani furono autorizzati a elevarvi una chiesa, conservando l'uso del latino nelle loro iscrizioni funerarie fino al sec. 11°, come hanno dimostrato alcuni ritrovamenti archeologici.Il primo secolo di vita non costituì tuttavia un periodo di pace per la città, che seguì le vicende della travagliata sottomissione delle popolazioni berbere del Maghreb e della loro progressiva islamizzazione. Dopo la sconfitta di ῾Uqba e lo sterminio dei suoi armati a opera dei Berberi condotti da Kusayla, K. fu per qualche anno la capitale del regno di quest'ultimo (64-69 a.E./684-689). Ripresa da un esercito arabo sotto la guida di Ḥassān Ibn al-Nu῾mān, la capitale del Maghreb fu di nuovo minacciata intorno alla metà del sec. 8° e si trovò per qualche decennio al centro delle lotte che videro opporsi da un lato al potere centrale le popolazioni berbere che avevano aderito all'Islam kharigita e dall'altro le diverse sette del kharigismo tra di loro. Conquistata da tribù berbere che avevano aderito al kharigismo nella sua versione sufrita, la città vide lo sterminio della sua aristocrazia araba nel 140 a.E./757-758; presa alla fine dello stesso anno dai kharigiti ibaditi di Tripoli, fu riportata sotto l'obbedienza califfale quattro anni più tardi. Per ordine del califfo abbaside al-Manṣūr la città fu allora fortificata (144 a.E./761-762) con la costruzione di una muraglia che, secondo al-Bakrī, nel Kitāb al-masālik wa᾽l-mamālik (sec. 11°), aveva uno spessore di dieci cubiti. Nel corso di un nuovo assalto berbero nel 154 a.E./771 nelle mura venne aperta una breccia e le porte furono date alle fiamme; dopo questo episodio un imponente esercito giunto dall'Oriente pose definitivamente fine alle rivolte kharigite nella regione.Nel 184 a.E./800 un comandante militare che si era particolarmente distinto nel riportare la pace in Ifrīqiya, Ibrāhīm Ibn al-Aghlab, fu investito dell'emirato dal califfo Hārūn al-Rashīḍ; mediante un tributo annuo di 40.000 dirham, il nuovo emiro ottenne una notevole autonomia, che gli consentì di trasmettere la carica all'interno della sua famiglia. Iniziò così il periodo in cui K. fu la capitale della dinastia aghlabide; undici emiri di questa dinastia si successero al potere per tutto il sec. 9°, fino al 296 a.E./909, quando la città fu presa dalle truppe dello sciita Abū ῾Abdallāh ῾Ubaydallāh al-Mahdī.Durante l'emirato aghlabide K. si arricchì di edifici monumentali e di opere pubbliche che si sono in parte conservati. Il più importante di questi monumenti, e senza dubbio il più insigne degli edifici religiosi del Maghreb per antichità e santità, è la Grande moschea, o moschea di Sīdī ῾Uqba. Secondo la tradizione, ῾Uqba Ibn Nāfi῾ si preoccupò prima di tutto di elevare una moschea nella città che aveva iniziato a costruire, ricorrendo, come si è detto, all'ispirazione divina per definirne l'orientamento; in realtà, l'orientamento della sua qibla mostra una deviazione di 31° ca. rispetto all'esatto allineamento con la Mecca (Golvin, 1974). Della primitiva moschea fondata da ῾Uqba, distrutta da Ḥassān Ibn al-Nu῾mān alla fine del sec. 7°, non rimane nulla: Ḥassān costruì una seconda moschea nell'84 a.E./703, ma neanche di questa, sostituita con un altro edificio poco meno di settanta anni dopo, rimangono elementi di qualche interesse. Anche la terza moschea ebbe breve vita: nel 221 a.E./836 Ziyādat Allāh I, terzo sovrano aghlabide, ne ordinò la distruzione, per iniziare nel corso dello stesso anno i lavori dell'edificio ancor oggi conservato nella sua sostanziale integrità. Alcuni rifacimenti e interventi dei secoli successivi non modificarono infatti profondamente la struttura della sala di preghiera del 9° secolo.Lo spazio occupato dalla Grande moschea è delimitato da una muraglia perimetrale irta di contrafforti, di forma quadrangolare, dai lati non perfettamente ortogonali, con una delle diagonali disposta quasi precisamente sull'asse N-S. Le dimensioni esterne dei lati del muro perimetrale variano da m. 125 a m. 127 ca. per i lati lunghi e da m. 72 a m. 78 ca. per i lati brevi. Più della metà della superficie così delimitata è occupata da un ampio cortile circondato da portici lungo i suoi quattro lati; la parte rimanente è occupata dalla sala di preghiera, un vasto spazio ipostilo di m. 70 ca. di larghezza nella sua dimensione maggiore in corrispondenza del muro della qibla e di m. 37 di profondità.Il miḥrāb ha una decorazione in ceramica dipinta a lustro metallico (la più antica tra quelle note di questo tipo che siano rimaste in situ), formata da ca. 140 mattonelle quadrate. Si tratta di mattonelle la cui provenienza (produzione locale o importazione da Samarra) rimane incerta, poste in opera all'epoca di Abū Ibrāhīm Aḥmad nel 248 a.E./862-863, decorate con motivi geometrici e vegetali, e che costituiscono una rara testimonianza della tecnica del lustro metallico e dell'uso decorativo della mattonella in un contesto architettonico (Curatola, Scarcia, 1990, p. 79).La sala di preghiera appare come una vasta selva di colonne, i cui limiti, nelle condizioni normali di accesso, restano indistinti data la penombra che vi regna: pochissime sono in effetti le aperture nei muri perimetrali e la luce del giorno penetra all'interno soprattutto dalle porte che si aprono verso il cortile. La moschea fu costruita con materiali di recupero e costituisce una delle più straordinarie raccolte di colonne e capitelli di epoca romana e bizantina provenienti da edifici in rovina dei dintorni della città o portati espressamente da molto lontano, in particolare da Cartagine (Saladin, 1907).Lo spazio della sala di preghiera è caratterizzato da navate perpendicolari al muro qiblī; una navata centrale, più larga e più alta delle altre, conduce dalla porta d'ingresso principale al miḥrāb, mentre otto navate per parte, scandite da arcate su colonne, completano lo spazio coperto interno. Contigua al muro della qibla e con le stesse dimensioni della navata centrale, una navata trasversale compone con questa un dispositivo a forma di T.I dati cronologici forniti dalle fonti arabe, unitamente alle osservazioni degli studiosi (Marçais, 1954; Creswell, 1958; Golvin, 1974), permettono di affermare che il dispositivo costruttivo dell'edificio è il risultato di diversi interventi: al primo, di Ziyādat Allāh I, cui si deve, per testimonianza concorde delle fonti arabe, la costruzione della sala di preghiera, seguì l'intervento di Ibrāhīm II (261-289 a.E./875-902). La discordanza delle fonti a proposito dei lavori dei due sovrani non permette di definire con certezza a quale dei due sia dovuto l'ampliamento della sala di preghiera dal lato del cortile; questa estensione fu realizzata mediante l'aggiunta di una galleria-nartece al centro della quale, in corrispondenza della navata della qibla, fu posta una cupola nota come qubbat bāb al-bahū (ricostruita in epoca relativamente recente). All'epoca di questo ampliamento, secondo Creswell (1958), le arcate della navata centrale furono rinforzate con la costruzione di altre due arcate parallele, contigue alle prime, cosicché oggi la navata centrale, a differenza delle altre, appare fiancheggiata da una doppia fila di colonne; alla stessa epoca fu costruita in fondo a questa navata, di fronte al miḥrāb, una cupola a nervature.Alcuni elementi lignei strutturali o accessori della Grande moschea, appartenenti al periodo che va dal sec. 9° all'11°, sono conservati presso il Mus. d'Art Islamique della città. Tra questi, oltre ad alcuni elementi della maqṣūra, si segnala il minbar ligneo, uno dei più antichi del mondo islamico, databile intorno al 248 a.E./862-863 e composto da pannelli rettangolari con decorazioni geometriche e floreali eseguite a traforo. Fanno parte probabilmente di un restauro delle coperture realizzato nel periodo ziride (secc. 10°-11°) alcune mensole lignee sagomate e travi con disegni geometrici policromi.Pur se i riferimenti documentari non sono concordi (al-Bakrī afferma che esso fu costruito per ordine di Ḥassān Ibn al-Nu῾mān), si attribuisce generalmente al periodo aghlabide anche il minareto della Grande moschea, che si eleva, in posizione diametralmente opposta al miḥrāb, al centro del lato nord del muro perimetrale. Si tratta di un minareto a base quadrata (il lato misura m. 11 ca.) dalle forme massicce, costituito da tre corpi sovrapposti: quello inferiore, di forma leggermente troncopiramidale, alto m. 19 ca. e ornato di merlature, è sormontato da un secondo blocco di m. 5 di altezza, anch'esso merlato, a sua volta coronato da un terzo elemento di uguale altezza. Quest'ultimo elemento, sui quattro lati del quale si aprono le porte, termina con una cupoletta emisferica a nervature. La decorazione esterna del minareto, oltre alle merlature, presenta ai livelli superiori alcune nicchie a fondo piatto sormontate da archi; nella parte troncopiramidale, dal lato del cortile, si aprono la porta di ingresso e, a essa sovrapposte, tre finestre rettangolari di diversa dimensione sormontate da archi di scarico.La Grande moschea assunse quasi definitivamente l'aspetto attuale in epoca hafside (in particolare nella seconda metà del sec. 13° e agli inizi del successivo), quando, dopo un periodo di abbandono piuttosto lungo, subì importanti lavori di restauro: fu ricostruito il tetto della sala di preghiera; le mura esterne vennero rinforzate con contrafforti e arricchite da alcune porte monumentali (tra cui, molto bello, il bāb Lalla Rayḥāna); dal lato interno furono costruiti i portici che circondano il cortile; alla sommità del minareto venne aggiunta una grande lanterna; infine il cortile fu pavimentato con lastre di marmo bianco.Dell'epoca aghlabide rimangono ancora a K. alcune opere idrauliche e i resti di qualche edificio sacro. Della moschea delle Tre Porte (jam'i talātha bībān), di cui si conosce il nome del costruttore, Muḥammad Ibn Khayrūn al-Ma῾āfirī al-Andalusī, e che secondo Ibn ῾Idhārī risale al 252 a.E./866, esiste ancora oggi la facciata originaria, riccamente ornata, al di sopra delle porte che le danno il nome, da decorazioni vegetali e da un'iscrizione in caratteri cufici scolpite nella pietra a fasce parallele. Il minareto e la sala di preghiera della moschea sono invece ricostruzioni successive, probabilmente del 15° secolo.Delle grandi opere idrauliche del sec. 9°, descritte come una delle meraviglie della città negli itinerari medievali del Maghreb, non lontano dalle mura rimangono due ampie cisterne comunicanti, note appunto con il nome di cisterne degli Aghlabidi. La più grande ha la forma di un poligono di quarantotto lati (diametro m. 128), mentre la più piccola, che costituiva la vasca di decantazione del complesso, è un poligono di diciassette lati (diametro m. 38 ca.). La grande cisterna non era utilizzata soltanto per il rifornimento idrico, ma costituiva anche un luogo di piacevole frescura dove probabilmente si intrattenevano gli emiri aghlabidi nella stagione calda: al-Bakrī ricorda che al centro del bacino principale si elevava una torre ottagonale sormontata da un padiglione con quattro porte.Non lontano dalla città, gli emiri aghlabidi e i loro successori crearono in diversi periodi grandi palazzi, abbandonando la residenza urbana situata accanto alla Grande moschea che fino ad allora era stata la sede del governo. Come ha fatto notare Marçais (1954), in questo modo seguirono il costume della dinastia califfale che rappresentavano in Occidente: in effetti gli Abbasidi, qualche tempo dopo la creazione della città-palazzo di Baghdad, fecero costruire lussuose residenze a Samarra e a Raqqa.Al-῾Abbāsiyya - conosciuta anche con i nomi di qaṣr al-aghalība e di qaṣr al-qadīm ('antico castello' e 'antico palazzo') - deve il suo nome alla dinastia regnante a Baghdad; situata ad alcuni chilometri a S-E di K., fu fondata in seguito a una ribellione militare nel 184 o 185 a.E./800-801 dal primo sovrano aghlabide, Ibrāhīm Ibn al-Aghlab, che vi visse circondato dagli elementi più fidati del suo esercito e da un'imponente guardia formata da schiavi neri. Nel periodo in cui svolse la funzione di residenza principale della dinastia (circa tre quarti di secolo) al-῾Abbāsiyya si trasformò da campo fortificato in dimora principesca; fu arricchita di monumenti, di edifici di pubblica utilità e di palazzi sontuosi che hanno lasciato il loro ricordo negli scritti degli autori arabi dei secoli successivi ma di cui non rimangono che poche tracce archeologiche. Al-Bakrī, che riporta anche il nome di tutte le sue porte, ne ricorda la Grande moschea, dal minareto "costruito di mattoni e ornato di colonne disposte su sette piani", numerosi bagni, caravanserragli e bazar, grandi cisterne "da cui si [trasportava] l'acqua a Kairouan nella stagione più calda, quando le cisterne della città [erano] esaurite" (Kitāb al-masālik wa᾽l-mamālik), una grande piazza (maydān) usata come ippodromo e, non lontano da questa, il palazzo di al-Rusāfa, principale sede del governo. All'interno di al-῾Abbāsiyya esistevano inoltre una zecca in cui si coniavano monete d'oro e d'argento con il nome della città e una fabbrica di tessuti preziosi (ṭirāz). Sul tell che oggi rimane al posto della città sono stati eseguiti scavi parziali a partire dagli anni Venti, mettendo in luce strutture in terra compattata o in mattoni essiccati al sole (probabilmente locali di servizio o magazzini) e frammenti di ceramica invetriata con decorazioni in nero, verde e blu ispirate a esempi egiziani e iracheni.Nel 264 a.E./877 l'aghlabide Ibrāhīm II spostò la sua residenza più a S, fondando una nuova città che prese il nome di Raqqāda. Al-Bakrī (secondo cui il nome della città significa 'la dormiente') afferma che il sovrano, sofferente di insonnia, l'avrebbe fondata in un luogo in cui si era addormentato profondamente durante una passeggiata. Secondo un'altra tradizione il nome della città avrebbe fatto riferimento ai corpi giacenti in quel luogo dopo una terribile battaglia tra gli ibaditi di Tripoli e le tribù berbere che si erano impadronite di K. alla metà dell'8° secolo.Dopo la sua fondazione la nuova città si arricchì di magnifici palazzi, di una moschea congregazionale, di mercati, bagni e caravanserragli e rimase la residenza del potere aghlabide fino all'arrivo dell'esercito fatimide guidato da Abū ῾Abdallāh ῾Ubaydallāh al-Mahdī (909-934), il primo califfo fatimide, che vi dimorò fino alla fondazione della nuova sede di Mahdiyya, dove si trasferì nel 308 a.E./920-921. Al-Bakrī (secondo il quale a Raqqāda era consentita la vendita di bevande fermentate, proibita invece nella capitale) riferisce che gran parte della superficie della città, difesa da un circuito di mura di 24.000 cubiti ca., era occupata da giardini; soltanto questi furono risparmiati quando il fatimide al-Mu῾izz Ibn Ismā῾īl al-Manṣūr (953-975) decise di radere al suolo tutto quel che ne rimaneva, facendo passare l'aratro sulle terre che la città aveva occupato.Al precedente sovrano fatimide, Isma῾īl al-Manṣūr (946-953), nel 337 a.E./948-949, si deve la creazione di una terza città poco a S di K., Ṣabra al-Manṣūriyya, il cui sito è ben conosciuto ed è stato parzialmente indagato dagli archeologi a partire dagli anni Cinquanta. Al-Muqaddasī, nel sec. 10° (Kitāb aḥsan-al-taqāsīm fī ma῾rifat al-aqālīm), ne parla come di una città di forma circolare, dalle mura di mattoni crudi aperte da quattro porte: ciò ha fatto pensare a qualche analogia o a un riferimento diretto alla Baghdad abbaside. Al-Bakrī tuttavia afferma che la città aveva cinque porte, citandole per nome. Altre fonti riportano i nomi di alcuni palazzi costruiti all'interno della città dal fondatore e dai suoi successori; di questi e degli altri edifici (le cui rovine divennero nei secoli successivi una cava di materiali da riutilizzare nella vicina K.), tuttavia, non sono noti che pochi elementi costruttivi e decorativi e il tracciato di alcune sale, che sembra ricordare schemi orientali, già incontrati nella Fusṭāṭ tulunide. Secondo al-Bakrī, il successore di al-Manṣūr (al-Mu῾izz) vi fece trasferire tutti i mercati e tutte le manifatture di K.; la nuova città divenne in tal modo un centro produttivo e commerciale di grande importanza, al punto che i diritti di entrata di una sola delle sue porte ammontavano a 26.000 dirham. In quell'epoca nessun commerciante poteva introdurre a K. mercanzie soggette a imposta senza prima passare per al-Manṣūriyya. In seguito la città, che a partire dal 437 a.E./1045 prese il titolo di ῾izz al-Islām ('gloria dell'Islam'), fu residenza degli emiri ziridi. Costoro, che nella seconda metà del sec. 10° e nella prima metà del successivo governarono il Maghreb di obbedienza fatimide, vi fecero costruire altri sontuosi palazzi; nel 444 a.E./1052 al-Manṣūriyya e K. furono collegate da un percorso protetto da due muraglie parallele.Le mura costruite a difesa di K. dallo ziride al-Mu῾izz (1016-1062) all'avvicinarsi delle tribù hilaliane nel 444 a.E./1052 avevano, secondo al-Bakrī, un perimetro di 22.000 cubiti. Erano queste le ultime di una serie di mura volta per volta demolite e ricostruite dai sovrani che, succedutisi nel governo dell'Ifrīqiya, avevano dovuto domarne ribellioni e sommosse. La prima cinta muraria fu costruita da Muḥammad Ibn al-Ash῾ath Ibn ῾Uqba nel 144 a.E./761-762; l'aghlabide Ziyādat-Allāh I la fece demolire nell'824, dopo una rivolta della città. Nella cinta muraria del sec. 11° si aprivano quattordici porte e, da quella meridionale di Abū al-Rabi῾a fino alla porta di Tunisi, si estendeva lungo tutto il percorso (per circa un miglio e mezzo) un mercato coperto da un tetto, con due file ininterrotte di botteghe a destra e a sinistra: vi si trovavano tutti i depositi delle mercanzie e gli opifici della città. Secondo al-Bakrī era stato il califfo omayyade Hishām Ibn ῾Abd al-Malik (724-743) a ordinare che il mercato di K. fosse costruito in questo modo. Nella città si contavano quarantotto bagni pubblici e la popolazione, anche se è difficile da definire con precisione, era sicuramente molto numerosa: al-Bakrī afferma che in un solo giorno della festività della ῾ashūra furono sgozzati novecentocinquanta buoi per il consumo dei suoi abitanti. Era già tuttavia iniziata, a partire dal sec. 10°, una progressiva decadenza, che culminò con l'invasione delle tribù nomadi Banū Hilāl.K., 'cittadella del sunnismo' secondo la definizione di Talbi (1978), non era certamente stata favorita dall'avvento fatimide e dall'affermazione dello sciismo nel Maghreb nel corso del 10° secolo. Riuscì tuttavia, a quanto sembra, a superare le calamità che si abbatterono in quel periodo (l'iniziale saccheggio da parte delle truppe fatimidi, un terremoto, l'incendio del quartiere dei mercati, un'inondazione, un periodo di carestia e diverse epidemie): in effetti, nella descrizione di al-Muqaddasī la città, attraversata da quindici strade principali, sembra aver aumentato la sua estensione e il suo rifornimento d'acqua grazie a nuove opere idrauliche.Nel 361 a.E./972 il trasferimento della capitale fatimide a Oriente, al Cairo, da poco fondato sulla sponda del Nilo, costituì un grave colpo per l'economia e la popolazione kairouanese: insieme con la corte califfale partì gran parte delle ricchezze e i governatori ziridi che assunsero il controllo della regione ne aggravarono il dissesto economico con le continue guerre. Il trasferimento delle attività commerciali a Ṣabra al-Manṣūriyya e una terribile pestilenza, scoppiata nel 395 a.E./1004-1005, contribuirono allo spopolamento della città, che probabilmente si ridusse allora a un terzo ca. della superficie e della popolazione raggiunta nel momento della sua più grande prosperità.L'arrivo dei Banū Hilāl, inviati in Ifrīqiya alla metà del sec. 11° dai Fatimidi del Cairo per punire il tradimento degli Ziridi che li avevano rinnegati, fu il segnale definitivo del crollo della potenza e della ricchezza di K.: la città fu abbandonata dall'emiro ziride al-Mu῾izz, che si era ritirato con i suoi armati e la sua corte a Mahdiyya vista l'impossibilità di resistere agli attacchi dei nomadi arabi, e la sua popolazione (a eccezione di alcuni gruppi tra i più poveri) fu deportata. Il primo giorno di ramaḍān del 449 a.E./1057 (1° novembre), due giorni dopo la partenza di al-Mu῾izz, le tribù beduine iniziarono il saccheggio e la devastazione della città.Circa un secolo più tardi, all'epoca in cui al-Idrīsī componeva il suo Kitāb Rujār (Nuzhat al-mushtāq fī ᾽khtirāq al-āfāq), la popolazione della città appariva ormai rovinata dalla 'tirannia degli Arabi' che le imponevano pesanti tributi: della magnifica capitale dell'Ifrīqiya nella descrizione di al-Idrīsī non restano che le rovine, in parte circondate da una muraglia di terra, abitate da una popolazione poco numerosa formata da piccoli commercianti che vivevano di scarsi profitti. La costruzione più notevole era la grande cisterna, "curioso edificio di forma quadrangolare, ciascuno dei cui lati misura duecento cubiti, pieno d'acqua, al centro del quale si eleva una specie di torre". Ṣabra e Raqqāda appaiono in rovina e disabitate e i loro ricchi palazzi sono tutti distrutti.Perduto il suo antico splendore, popolata da beduini urbanizzati e divenuta un centro di commerci e di lavorazione artigianale dei prodotti delle regioni circostanti, K. assunse nei secoli successivi il ruolo di capoluogo provinciale e di centro religioso. Le rimasero la fama del suo grande passato e la memoria di Sīdī ῾Uqba e di altri santi personaggi in onore dei quali (o intorno alle cui tombe) si crearono sedi di confraternite e luoghi di residenza per i pellegrini; alla metà dell'Ottocento vi si contavano ca. cinquanta zawāya (pl. di zawiya, sedi di confraternite religiose) e ca. venti moschee. Le sue mura furono ricostruite un'ultima volta nella seconda metà del sec. 18°, circondando l'agglomerato nuovamente sorto e ciò che rimaneva della città antica. Da allora la Grande moschea perse la sua centralità all'interno delle mura e si trovò relegata verso la periferia settentrionale; un grande cimitero si sviluppò non lontano da essa, ma all'esterno delle mura urbane, che quasi ne toccavano il perimetro.
Bibl.:
Fonti. - C. Pellat, Description de l'Occident musulman au IVe-Xe siècle par al Muqaddasī (Bibliothèque arabe française, 9), Alger 1950, pp. 25-26; al-Bakrī, Kitāb al-masālik wa᾽l-mamālik (Description de l'Afrique septentrionale), a cura di W. Mac-Guckin de Slane, Paris 1911-19122 (1859), pp. 52-65, 74, 151-152; al-Idrīsī, Le Magrib au 6e siècle de l'Hégire (12e siècle après J.C.). Texte établi et traduit en français d'après Nuzhat al-mustaq, a cura di M. Hadj-Sadok, Alger 1983, pp. 133-135; Ibn ῾Idhārī, Histoire de l'Afrique du Nord et de l'Espagne intitulée al -Bayano'l-Mogrib Kitab, a cura di E. Fagnan, Alger 1901, pp. 19-57; al-Nuwayrī, Kitāb nihāyat al-arab fī funūn al-adab [Il libro della somma abilità nei vari generi della scienza], a cura di A. Zakī Pāshā, 30 voll., Cairo 1923-1991; Ibn Khaldūn, Histoire des Berbères et des dynasties musulmanes de l'Afrique septentrionale, a cura di W. De Slane, P. Casanova, Paris 19783 (Alger 1852), pp. 211-212; Leone Africano, Descrizione dell'Africa e delle cose notabili che quivi sono, in Il viaggio di Giovan Leone e le navigazioni di Alvise da Ca' da Mosto, Venezia 1837 (Firenze 1550), pp. 124-125.
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