KALAMIS (Κάλαμις, Calamis)
1°. - Scultore greco del V sec. a. C., la cui opera costituisce il ponte di passaggio fra il primo periodo dello stile severo e l'età di Fidia. La tradizione letteraria riflette una emozione e una ammirazione così genuina suscitata dalle opere di lui, da indurci a separare nettamente il K. del V sec. da un suo omonimo attivo nel sec. IV e a lui certamente inferiore (v. kalamis, 2°).
Alcuni dati cronologici fondamentali ci permettono di inquadrare l'attività di K. nel trentennio 480-450 a. C., fra la generazione artistica di Kritios, Nesiotes, Onatas, Hegias, Hageladas, da un lato, e quella di Mirone e poi Fidia dall'altro. L'attività di K. si svolse parallela a quella di Pythagoras di Reggio, sebbene gli ideali artistici dei due maestri fossero diametralmente opposti. Originario forse della Beozia, K. lavorò soprattutto ad Atene, in Beozia e ad Olimpia. Le opere, eseguite prevalentemente in bronzo, ricordate dalle fonti sono le seguenti:
Atene: 1) statua di Apollo Alexìkakos nel Ceramico (Paus., i, 3, 4); 2) statua centrale di un gruppo delle tre Erinni (Semnài) sull'Areopago: le due laterali erano di Skopas (Schol. Aeschin., Contra Tim., ed. Reiske, p. 747); 3) celebre statua femminile detta Sosandra, collocata certamente nei Propilei (Lucian., Eik., 4, 6); 4) statua di Afrodite dedicata da Kallias e vista da Pausania nei Propilei (Paus., i, 23, 2). Tebe: 5) statua di Zeus Ammone dedicata da Pindaro (Paus., ix, 16, 1). Tanagra: 6) statua di Dioniso in marmo (Paus., ix, 20, 4); 7) statua di Hermes Kriophòros (Paus., ix, 22, 1). Olimpia: 8) coro di fanciulli oranti, donario degli Agrigentini, in bronzo (Paus., v, 25, 5); 9) due cavalli montati da fanciulli ai lati di una quadriga (quest'ultima opera di Onatas), donario di Gerone di Siracusa (Paus., vi, 12, 1); 10) Nike aptera donario dei Mantinei (Paus., v, 12, 1). Sicione: 11) statua crisoelefantina di Asklepios con aspetto giovanile (Paus., ii, 10, 3). Delfi: 12) statua di Ermione, donano degli Spartani (Paus., x, 16, 4). Apollonia del Ponto: 13) Colosso di Apollo, alto trenta cubiti (Strab., vii, 319).
I numeri 3 e 4 sono quasi certamente una cosa sola: Kallias dedicò cioè una statua di Afrodite nota con l'appellativo di Sosandra ed è molto probabile che a questa statua appartenga un'iscrizione frammentaria con firma di K. e dedica di Kallias, recentemente scoperta nell'agorà di Atene; è probabile cioè che questo frammento appartenesse originariamente alla base dell'Afrodite Sosandra, prima che questa fosse trasportata nei Propilei. K. fu inoltre autore di numerose bighe, quadrighe, cavalli, di una statua femminile non bene identificata (Alcmena? Plin., Nat. hist., xxxiv, 71) e di una statua dell'eroe focese Ifito, note attraverso un'iscrizione ora perduta. I rapporti con Gerone, Pindaro e Kallias (genero di Cimone), collocano K. nell'ambito dell'élite aristocratica della Grecia e dell'Occidente greco. Possiamo anzi dire che egli rappresentò per quest'aristocrazia ciò che Fidia fu in seguito per la democrazia di Pericle. Per quanto riguarda il suo stile, dall'analisi della tradizione letteraria ricaviamo che: a) doveva avere una concezione eminentemente statica della figura umana; b) doveva essere particolarmente versato nell'esecuzione di figure femminili; c) doveva avere particolare abilità nella trattazione del panneggio e delle figure drappeggiate; d) le sue statue, pur presentando ancora quel residuo di rigidezza tipico delle opere di stile severo, erano soffuse di dolcezza, di umanità, di grazia, di raccolto pudore. Fra le opere di K., il Colosso di Apollo e il Dioniso compaiono certamente su monete di Apollonia e Tanagra dell'età di Marco Aurelio. Anche un Hermes Kriophòros appare su monete di Tanagra, ma è probabile che si tratti di un simulacro più antico, forse dello scultore Sokrates, secondo un'ipotesi dello Anti. L'opera fondamentale che sembra potersi con sufficiente certezza attribuire a K. è l'ammirabile statua femminile conosciuta convenzionalmente come Aspasia, a noi nota da ventiquattro copie frammentarie, già ricostruita dall'Amelung, e poi restituitaci quasi integra dalla copia rinvenuta a Baia. La statua, che rappresenta con ogni probabilità Afrodite, va datata al 465 circa a. C. e corrisponde perfettamente, da un lato, ai caratteri fondamentali dell'arte di K. sopra citati; dall'altro, anche se con qualche residua incertezza, alla descrizione che Luciano ci dà della Sosandra, quale quella di una celebre statua femminile di stile severo, dal sereno e interiore sorriso, completamente avvolta in un mantello dal panneggio semplice e pudico, il cui lembo superiore ne incappucciava la testa. Descrizione, cronologia, caratteri stilistici, appaiono coincidenti, e il grande numero di copie rimaste ben si accorda con la fama della Sosandra. Inoltre dal passo di Luciano, che consigliava a Pantea, favorita di Lucio Vero, di drappeggiarsi alla maniera della Sosandra, si deduce che questa statua doveva essere molto di moda nel II sec. d. C., e di fatto tre delle copie rimaste appaiono trasformate in statue iconiche di nobili dame dell'età di Adriano, Marco Aurelio e Commodo, e anche le altre copie conservano in generale tracce di analoghe trasformazioni. Perciò, nonostante l'opinione contraria di Ch. Picard, la maggioranza degli studiosi concorda nel riconoscervi la Sosandra o, più probabilmente, l'Afrodite Sosandra di K. dedicata da Kallias. Il problema di rappresentare una figura umana completamente avvolta nel mantello, è risolto attraverso un geniale partito geometrico. Fissati nella statua alcuni punti fondamentali, l'artista vi distende sopra il panneggio a larghe vele triangolari, da un vertice all'altro; chiudendo la figura umana entro un prisma di cristallina fermezza, da cui dolcemente sboccia la testa incappucciata in un nuovo gioco di sereni motivi curvilinei. In quest'opera sembrano incontrarsi da un lato la spiritualità, il sintetismo, la morbidezza attica, dall'altro il rigorismo e il tettonicismo dorico. Tale contrasto fra intima esuberanza e disciplina formale, fra lieve sensualità attica da una parte e severità dorica dall'altra è una delle più intime e inconfondibili caratteristiche del nostro maestro. Conquistato questo caposaldo, altre figure femminili di stile severo possono essere ricondotte se non a K. certo alla cerchia calamidea, e, fra queste, si ricorda la cosiddetta Hestia Giustiniani e la Kore del Museo dei Conservatori; si ricorda inoltre, per il motivo del panneggio, lo Hermes (cosiddetto Focione) dei Musei Vaticani, che non può tuttavia essere identificato con lo Hermes Kriophòros. Tra le figure maschili può essere riportato a K. il celebre Apollo dell'omphalòs, da identificare, probabilmente, con l'Apollo Alexìkakos. L'Apollo e la Sosandra hanno in comune il trattamento fresco e sensuale della capigliatura, gli stessi occhi stretti e allungati, il senso di lieve malinconia, il leggero impaccio della figura e, soprattutto, la concezione statico-volumetrica della persona umana in opposizione, per esempio, alla concezione dinamico-lineare di Mirone. Analoga concezione torna nel celebre bronzo, cosiddetto Posidone, dell'Artemision, che si riattacca all'Apollo anche per la visione antianalitica, organica del nudo dai graduali trapassi anatomici. K. sembra dunque essere estraneo al problema della ricerca del movimento, che tanto affaticava i suoi contemporanei. Egli appartenne al gruppo di grandi scultori, attici e peloponnesiaci, da Kritios a Policleto, che posero, al centro del proprio interesse il problema statico e volumetrico; e gettò le basi per una soluzione dei problemi del panneggio che, anche se complicata e variata, resterà canonica fino all'età imperiale, mentre per il nudo maschile si orienta verso quella visione di maggior gradualità, morbidezza, organicità e sintesi, che sarà poi ripresa e pienamente realizzata da Fidia.
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