KALAPODI
Santuario della Grecia centrale, nei pressi dell'omonimo villaggio, compreso attualmente nella Locride ma appartenente nell'antichità alla Focide. Allo stato attuale delle conoscenze, può essere identificato con il luogo di culto di Artemide Elaphebòlos, uno dei più rilevanti centri religiosi della Lega Focea, dipendente dalla città di Hyampolis. L'identificazione è basata sulle testimonianze di un rendiconto trovato nel santuario e di un attestato di lascito, rinvenuto nelle vicinanze, nei quali sono menzionati Artemide Elaphebòlos e, come altra divinità venerata, Apollo. Quest'ultimo è citato anche in due iscrizioni mentre mancano, stranamente, sicure menzioni di Artemide, anche nei numerosi graffiti. Nella letteratura antica il santuario è ricordato solo sporadicamente. Pausania (X, 35,7) non lo visitò, perché esso veniva aperto soltanto due volte l'anno. Plutarco tratta dettagliatamente del culto nell'ambito della Vita di Daifante, opera andata perduta; egli ci informa inoltre (Mor., 244 D-E) che ancora nella sua epoca i Focei celebravano nel santuario la loro più grande festa, in memoria di un'importante vittoria riportata sui Tessali. Secondo quanto tramanda Erodoto (VIII, 33), Hyampolis, e quindi anche il suo santuario, vennero distrutti dai Persiani nel 480 a.C.
Dopo le notizie date sul tempio, allora ancora visibile nei campi, da G. Wheler nel 1675, il sito ricadde nell'oblio; le sue rovine vennero ulteriormente saccheggiate per rifornirsi di pietra da costruzione e ben presto le strutture diventarono irriconoscibili. Nonostante un saggio di scavo compiuto da G. Sotiriadis nel 1905 e una ricognizione promossa dal Servizio Archeologico Greco, il santuario fu riportato alla luce solo nel 1970 da Felsch e da quest'ultimo successivamente studiato insieme ai suoi collaboratori.
Il primo impianto cultuale nel sito di K. risale all'ultima fase dell'età micenea (Tardo Elladico III C), quando vi sorse un'area sacra comprendente un modesto altare e probabilmente un edificio di culto, sul pendio di una collina. L'attività religiosa continuò nell'età oscura e in epoca geometrica. Intorno alla metà del IX sec. a.C., al di sotto del futuro grande tempio classico, venne edificato un edificio di culto con l'altare del fuoco al suo interno. Poco più tardi vi furono consacrati i primi lebeti tripodati, fatto che testimonia l'alta considerazione di cui il santuario era oggetto già in epoca remota. Una cospicua quantità di offerte votive riflette una straordinaria fioritura nell'ultima parte dell'VIII sec. a.C.
I templi più antichi scoperti sinora furono eretti nel VII sec. a.C.: un grande tempio in antis a Ν e uno, orientato diagonalmente rispetto a esso, di minori dimensioni, prostilo tetrastilo, situato più a S, da considerarsi probabilmente il più antico esempio di questo tipo finora noto. Davanti a essi era un'area lasciata libera, con uno spazio a E per la deposizione delle ceneri. Entrambi i templi furono distrutti da un incendio agli inizi del VI sec. a.C. Al più tardi nella metà del secolo, sulle loro rovine furono costruiti due templi peripteri, progettati insieme, con scalinata monumentale, edificati con strutture in legno e in pietra. Il tempio settentrionale, più grande, conservatosi solo frammentariamente al di sotto delle fondazioni del più tardo tempio d'età classica, è un períptero esastilo con 18 colonne sui lati lunghi che misura 14x44,5 m. Lo spazio interno è ripartito tra una cella a due navate e un àdyton a tre navate, insolitamente ampio, senza opisthòdomos. Della sua copertura di tipo corinzio non restano che scarsi frammenti.
II tempio minore, a S, si è conservato in condizioni decisamente migliori. Impostato su uno stilobate misurante 13,62 x 26,28 m e provvisto di 6 colonne sui lati brevi e 11 sui lati lunghi, esso rappresenta il più antico esempio di tempio á pianta breve della Grecia. Le colonne erano sia lignee che litiche, mentre non disponiamo di sufficienti elementi per una ricostruzione, sia pure ipotetica, dell'architrave. La cella è un òikos cinto da colonne, con ortostati in pietra e muri in mattoni d'argilla, decorati da stucco policromo. La copertura a spioventi di tipo corinzio si conserva prevalentemente in prossimità dell'architrave. Entrambi i templi furono distrutti nel 480 a.C. dai Persiani. Tuttavia il culto sopravvisse e conobbe la difficile epoca successiva alla guerra; nel sito venne edificato un tempio classico, costituito da una piccola costruzione, comprendente un altare e una banchina cultuale trovati in situ insieme a offerte votive e a un'immagine per il culto di Apollo.
Intorno alla metà del V sec. a.C., i Focei costruirono ancora un tempio, nella parte settentrionale del sito; nel punto in cui sorgeva il tempio meridionale, si trovava allora solo un modesto pozzo cultuale. La nuova costruzione può essere descritta come un grande edificio períptero, con una cella a tre navate e un àdyton immediatamente alle spalle dell'originario altare del fuoco. Poggiava su uno stilobate misurante 44,2 x 17,7 m e presentava 6 colonne sui lati brevi e 14 sui lati lunghi. Stando a quel che si può dedurre dal tipo di copertura, la costruzione del tempio fu terminata al più tardi intorno al 430 a.C.; dopo pochi anni fu danneggiato dal terremoto del 426, tanto che si rese necessaria una ricostruzione che seguì uno schema del tutto diverso dall'originario, poiché si ispirava all'architettura del Partenone, presentando una diversa forma della cella, caratterizzata da una disposizione a U delle colonne interne, atrio allargato e àdyton di minori dimensioni.
Tra i pochi reperti d'epoca classica si annoverano i frammenti di un piccolo rilievo in marmo raffigurante Artemide in lotta con i Giganti; potrebbe trattarsi di un rilievo votivo oppure di parte del fregio decorante la base della statua di culto.
Delle fasi più recenti della vita del santuario non restano che poche tracce, alle quali, tra l'altro, non è stata ancora dedicata un'analisi approfondita. Durante gli scavi si è evidenziato uno strato di distruzione che ha restituito una cospicua quantità di armi e che potrebbe forse essere messo in relazione con l'assedio di Hyampolis da parte di Giasone di Fere, del 371 a.C. oppure con la campagna militare condotta da Filippo II nell'anno 347 a.C.; un altro strato conserva forse le tracce del saccheggio compiuto da Siila.
Per quanto riguarda l'epoca imperiale, oltre che dalla già menzionata iscrizione con attestato di lascito, il culto è testimoniato anche dalla base di una statua eretta in onore dell'imperatrice Salonina, di datazione più recente. Nell'ondata di cristianizzazione forzata all'epoca di Teodosio, anche il Santuario di Artemide Elaphebòlos venne distrutto e i luoghi destinati al culto, l'àdyton e il pozzo meridionale furono completamente saccheggiati.
Bibl.: Su Hyampolis: Bülte, in RE, IX, i, 1916, p. 17 ss., s.v. Hyampolis, J. M. Fossey, The Ancient Topography of Eastern Phokis, Amsterdam 1986, p. 72 ss., con ulteriore bibliografia. - Prime menzioni del tempio: G. Wheler, A Journey into Greece, Londra 1682, p. 463. - Relazioni di scavo: R. C. S. Felsch, H. J. Kienast, in AAA, VIII, 1975, p. 1 ss.; R. C. S. Felsch, H. J. Kienast, H. Schüler e altri, in AA, 1980, p. 38 ss.; R. C. S. Felsch, Mykenischer Kult im Heiligtum bei Kalapodi?, in R. Hägg, Ν. Marinatos (ed.), Sanctuaries and Cults in the Aegean Bronze Age. Proceedings of the First International Symposium at the Swedish Institute in Athens, 1980 (Acta Instituti Atheniensis regni Sueciae, XXVIII), Stoccolma 1981, pp. 81-89; id., Zur Chronologie und zum Stil geometrischer Bronzen aus Kalapodi, in R. Hägg (ed.), The Greek Renaissance of the Eighth Century B.C.: Tradition and Innovation. Proceedings of the Second International Symposium at the Swedish Institute in Athens, 1981 (Acta Instituti Atheniensis regni Sueciae, XXX), Stoccolma 1983, pp. 123-129; R. C. S. Felsch e altri, Kalapodi. Bericht über die Grabungen im Heiligtum der Artemis Elaphebolos..., in AA, 1987, pp. 1-26; R. C. S. Felsch, P. Siewert, Inschriften aus den Heiligtum von Hyampolis bei Kalapodi, ibid., pp. 681-687; M. Jacob-Felsch, Die Entwicklung der Keramik der Phase SH III C fortgeschritten und spät anhand der Schichtenfolge von Kalapodi ..., in E. Thomas (ed.), Forschungen zur ägäischen Vorgeschichte. Das Ende der mykenischen Welt. Akten des internationalen Kolloquiums, Köln 1984, Colonia 1987, pp. 37-52; R. C. S. Felsch, Das Heiligtum bei Kalapodi in vorund frühklassischer Zeit, in Πρακτικα του XII Διεθνούς Συνεδρίου κλασικής αρχαιολογίας, Αθήνα 1983, IV, Atene 1988, pp. 61-64; Η. J. Kienast, Die klassischen Tempel im Heiligtum bei Kalapodi, ibid., pp. 100-103; R- C. S. Felsch, Tempel und Altäre im Heiligtum der Artemis Elaphebolos von Hyampolis bei Kalapodi, in L'espace sacrificiel dans les civilizations méditerranéennes de l'antiquité, Lione 1991, pp. 85-91. - Ulteriori brevi resoconti: BCH, XCIX, 1975, p. 63 ss.; C, 1976, p. 644; CI, 1977, p. 582 s.; CIV, 1980, p. 625 ss.; CV, 1981, p. 809 ss.; CVI, 1982, p. 561 s.; CVII, 1983, p. 774 ss.; ARepLondon, 22, 1975-76, p. 16; 27, 1980-81, p. 23 ss.; 28, 1981-82, P. 28 s. - Su Artemide Elaphebòlos e i suoi miti, v. da ultimo: P. Ellinger, Le gypse et la boue, 1. Sur les mythes de la guerre d'anéantissement, in QuadUrbin, XXIX, 1978, pp. 7-35; id., Recherches sur les «situations extrêmes» dans la mythologie d'Artemis et la pensée religieuse grecque autour de la légende nationale phocidienne et des récits de guerre d'anéantissement, s.l. 1988; M. Stanzel, Die Tierreste aus dem Artemis Apollon-Heiligtum bei Kalapodi in Böotien, Griechenland (diss.), Monaco 1991; H. Kroll, Kulturpflanzen aus dem Heiligtum bei Kalapodi, in AA, 1993, pp. 161-182; R. C. S. Felsch (ed.), Kalapodi. Das Artemis- und Apollonheiligtum bei Hyampolis, I (in corso di stampa); II (in preparazione).
(R. Felsch)