KALLIMACHOS (Καλλίμαχος, Callimachus)
2°. - Scultore, toreuta, pittore, di origine ignota, di formazione attica; la sua attività si svolse specialmente nell'ultimo trentennio del V sec. a. C.
Le notizie pervenuteci dalle fonti letterarie non sono numerose: come scultore Pausania (ix, 2, 7) lo ricorda autore del simulacro di Hera seduta fatto per la città di Platea, in Beozia; Plinio (Nat. hist., xxxiv, 92) cita come opera di K. le saltantes Lacaenae, mentre Vitruvio (De arch., iv, 1,10) lo dice inventore del capitello corinzio, per la creazione del quale si sarebbe ispirato alle foglie di acanto cresciute intorno a un cestello posto sulla tomba di una fanciulla a Corinto. Come toreuta è ricordato da Pausania (i, 26, 6-7) per essere stato l'autore della lampada d'oro posta nel naòs di Atena Poliàs nell'Eretteo ateniese, lampada che ardeva in continuazione ed era sormontata da una grossa palma di bronzo che raggiungeva il soffitto e aveva lo scopo di disperdere il fumo. Soltanto Plinio (loc. cit.) ricorda la sua attività di pittore, della quale nulla sappiamo. Da queste notizie si è potuto dedurre come patria probabile di K. Atene o Corinto, e si è potuto stabilire una datazione approssimativa, dato che il tempio di Platea per il quale K. fece il simulacro di Hera fu eretto dopo il 426 e che la lampada dell'Eretteo dovette esser fatta nell'ultima decade del V secolo. Oltre a queste informazioni, le fonti letterarie ci hanno anche conservato i giudizî sullo stile e il valore di Kallimachos. La definizione che gli autori (Vitr., loc. cit.,; Plin., loc. cit.; Paus., i, 26, 7) concordemente riportano è κατατηξίτεχνος, termine inteso con diverso significato: per Vitruvio il termine è stato motivato dalla elegantia e subtilitas di K., e ciò concorda col giudizio di Dionigi di Alicarnasso (Isocr. Ath., 542) che dello scultore accenna alla λεπτότης e alla χάρις. Per Pausania, invece, tale definizione è stata dettata dalla σοϕία di K., intesa come abilità tecnica; e infatti Pausania spiega che K. per primo λίϑους... ἐτρύπησε. Plinio, invece, interpreta il termine come un rimprovero fatto alla sua ipercritica e all'eccessiva diligenza che troppo si preoccupa delle minuzie; in particolare, come giudizio della sua opera, le saltantes Lacoenae, Plinio dice trattarsi di opera raffinatissima, dove però la diligenza ha ucciso la grazia (cfr. S. Ferri, Plinio il Vecchio, p. 113). Il giudizio che si può trarre da questi accenni letterari su K. è quello di un artista colto, che si compiace di raffinati manierismi retti da un'abilità tecnica virtuosistica.
Parecchie opere sono state attribuite dai moderni a K.; è merito del Furtwängler aver identificato con le saltantes Lacaenae le danzatrici con kalathìskos, note attraverso numerosi rilievi neo-attici (specialmente dei musei di Berlino e Atene). Sappiamo che le saltantes officiavano a Sparta in determinate feste in onore di Apollo Karnèios, e il kalathìskos è il tradizionale copricapo a foglie di canne, tipico nelle feste di Apollo Karnèios; i rilievi delle danzatrici derivano da un'opera del V sec. a. C., giacché le rappresentazioni di esse iniziano già alla fine del V sec. su monete di Abdera e rilievi melî; a K. infine si addice lo stile dell'opera, la raffinata grazia visibile anche attraverso le copie. Gli archetipi erano probabilmente rilievi in bronzo, applicati su base marmorea, forse circolare (Fuchs). Per affinità col complesso delle danzatrici il Furtwängler ha attribuito a K. anche il complesso delle menadi (v.), pure noto attraverso numerose repliche neo-attiche. Anche questa seconda attribuzione è stata concordemente accettata, anche se ancora incerta è la disposizione delle figure e la forma del monumento. È probabile che anche qui si trattasse di appliques di bronzo, ma è discusso se il fondo a cui si appoggiavano fosse curvo o piatto (Paribeni); incerto è anche il numero complessivo delle menadi (6=Fuchs; 8=Rizzo e altri; 9=Paribeni), e la presenza tra esse di Dioniso (Rizzo) o di Dioniso e Arianna (Richter). Un'altra opera stilisticamente affine alle precedenti e attribuita ora quasi concordemente a K. è l'Afrodite del tipo Louvre-Napoli, indicata spesso come del "Fréjus" (per la provenienza si veda Ch. Picard, Manuel, ii, p. .621, nota 1) e nota come Venus genetrix.
Oltre a queste, numerose altre opere sono state attribuite senza alcuna certezza a K.: non provata è la sua partecipazione alla decorazione del parapetto di Atena Nike sull'Acropoli, proposta da taluno (Schrader, Carpenter, Schefold, che gli attribuisce anche le Kòrai dell'Eretteo) sia per affinità stilistiche, sia per l'uso abbondante del trapano corrente (cfr. Paus., i, 26, 7). Recentemente è stato anche proposto di considerare K. collaboratore di Fidia nell'esecuzione della Parthènos riconoscendo nel capitello della colonnina che sostiene la Nike il primo esempio di capitello corinzio (per la supposta esistenza della colonnina cfr. G. M. A. Richter, in Studi in onore di A. Calderini e R. Paribeni, III, Milano 1956, p. 147 ss.); per la presenza di uno tra i primi capitelli corinzi a Figalia, K. è stato proposto (Dinsmoor) come il continuatore del tempio di Bassai iniziato da Iktinos, e l'autore del fregio figurato e delle statue di Niobidi già attribuite ai frontoni di questo tempio (v. figalia). Altre opere infine attribuite a K., sono state poi riconosciute posteriori: così la colonna di Delfi (v.) probabilmente di scuola callimachea (380 circa); la cosiddetta Charis del Palatino, opera tardo-ellenistica, e numerosi rilievi neo-attici. Ciò mostra la fortuna dello stilè callimacheo, iniziata dai contemporanei stessi e continuata attraverso la scuola neoattica sin al II sec. d. C. K. infatti è stato avvicinato a varî ceramografi, per l'amore della linea che disegna contorni e particolari: il Pittore del Canneto (Caputo), il Pittore di Eretria (Gullini), il Pittore di Meidias (Fuchs). K. ci appare come un raffinato e abilissimo manierista, che indulge a moduli leggermente arcaizzanti, com'è proprio di tutto l'ambiente niciano di cui certamente fece parte. Ed è quindi facilmente comprensibile, come ogni movimento nostalgicamente arcaizzante vedesse in K. il proprio rappresentante.
Bibl.: H. Brunn, Geschichte d. gr. Künstler, I-II, Stoccarda 1889, passim; R. Carpenter, The Sculpture of the Nike Temple Parapet, Cambridge (Mass.) 1929; W. B. Dinsmoor, in Metr. Mus. Studies, IV, 1933, p. 204 ss.; G. E. Rizzo, Thiasos, Roma 1934; H. Pomtow, in Jahrbuch, XXXV, 1920, p. 119 ss.; Ch. Picard, Manuel, II, Parigi 1939, p. 615 ss.; G. Caputo, Le sculture del grande bassorilievo con la danza delle Menadi in Tolemaide di Cirenaica, Roma 1948; G. Lippold, Handbuch, III, i, Monaco 1950, passim; E. Paribeni, in Boll. d'Arte, 1952, p. 97 ss.; G. Gullini, in Arch. Class.,V, 1953, p. 133 ss.; W. Fuchs, Zum Aphrodite-Typus Louvre-Napoli und seinen neuattischen Umbildungen, in Neue Beiträge z. kl. Altertumswiss. (Festschr. B. Schweitzer), 1954, p. 206 ss.; id., Die Vorbilder d. neuattischen Reliefs,in XX Jahrb. Erg. Heft, Berlino 1959, pp. 72 ss.; 90 ss.