KANIṢKA
K. è il più famoso sovrano kuṣāṇa. La tradizione indiana non ne ha tuttavia serbato alcun ricordo, e solo le sue monete, alcune iscrizioni scoperte da meno di un secolo e testi buddhistici in cinese hanno assicurato la memoria del suo nome. Egli è il terzo imperatore della dinastia kuṣāṇa, fondata all'inizio del I sec. d.C. dal capo di un sotto-gruppo della confederazione tribale Yuezhi che, a partire dal 150 a.C., aveva conquistato la Battriana. La discordanza tra i nomi dei suoi predecessori (Kujula Kadphises e Wima Kadphises) e quelli dei tre successori di questi (K., Vāsiṣka, Huviṣka) e il fatto che K. non nomini i suoi antenati e inauguri una nuova era, hanno spesso spinto a ritenere che vi sia stata una frattura dinastica: K. sarebbe appartenuto a un ramo dei Kuṣāṇa diverso, da quello di Wima Kadphises. Non esistono tuttavia elementi che sostengano questa ipotesi. La monetazione, in ogni caso, non mostra nessuna cesura significativa. È vero però che i nomi di K. e dei suoi successori rappresentano un cambiamento di notevole portata: essi sono infatti nomi battriani e dimostrano che a cominciare da K. la dinastia kuṣāṇa aveva abbandonato l'uso della propria lingua ancestrale. Gli eredi dei nomadi centroasiatici erano ormai del tutto acculturati, salvo che per le vesti ufficiali. K. significherebbe «estremamente giovanile».
La data dell'anno 1 di K. rappresenta uno degli enigmi della storia indiana. Sono state proposte date che vanno dal 50 a.C. al 278 d.C., e ognuna di queste cronologie così diverse si fonda su argomenti apparentemente validi. Sembra tuttavia che il periodo compreso tra il 78 e il 130 d.C. sia il più verisimile, e si propende qui per il 78 d.C., datazione che farebbe di K. il fondatore dell'era šaka, ancora in uso in India. Il problema si complica qualora si consideri che due o forse tre furono i sovrani con questo nome, la cui collocazione nella sequenza cronologica kuṣāṇa è molto discussa e che, secondo autorevoli studiosi, certe date kuṣāṇa sono espresse con l'omissione della cifra delle centinaia, per cui dove è, per esempio, scritto 5 dovremmo leggere in realtà 105.
Il titolo ufficiale di K., che compare sulle sue monete, è «il re dei re, Kaniṣka il kuṣāṇa ». Alcune iscrizioni indiane lo chiamano «il gran re, re dei re, figlio di dio». Sono attestate anche le forme «Kanika» e «Candra Kaniṣka» («K. la luna»). Il suo regno durò 23 anni e il suo dominio si estendeva dal Bihar (o forse dal Bengala) all'Asia centrale ex-sovietica. Fondò la città di Peshawar, che portava il suo nome (Kaniṣkapura), un evento che indica senza dubbio l'apertura ai viaggiatori del passo del Khyber. Tante sono le città che potrebbero essere state la sua capitale, che conviene pensare che la corte si spostasse da una regione all'altra. Una leggenda buddistica lo fa morire nel momento in cui si apprestava a conquistare il Xinjiang; si tratta forse del riflesso di un fatto reale, poiché altri indizi lasciano ritenere che K. volesse intervenire in questa regione. Una delle pochissime decisioni che si possano attribuire a lui in modo certo è fortemente simbolica: all'inizio del suo regno egli soppresse il consueto uso del greco e del medioindiano nelle leggende delle monete, sostituendo le due lingue con il battriano scritto in caratteri greci. Si tratta di una scelta politica, resa ancora più evidente dalla scelta di un vestito non-indiano per i ritratti ufficiali (statue, monete). Il sovrano è raffigurato con barba e baffi, una verruca sulla guancia sinistra, il capo coperto da un berretto con paraorecchi, vestito di pantaloni da cavaliere, pesante tunica che cade fino alle ginocchia e lungo mantello; porta una lunga spada e si appoggia a una lunga lancia. A volte è rappresentato appoggiato a una pesante mazza. Non c'è nulla di meno indiano di questo costume e di questa postura.
Le leggende buddistiche ne fanno nondimeno un protettore del buddhismo e del sanscrito. Gli si attribuivano la costruzione del grande stūpa di Peshawar, un fatto verisimile, il mantenimento di rapporti assidui con i grandi scrittori Ašvaghoṣa e Matṛceta, e la convocazione di un grande concilio nel Kashmir, in cui sarebbe stato compilato il grande testo della scuola hīnayāna dei Sarvāstivādin, il Mahāvibhāsa. Queste indicazioni però non sono confermate da documenti ufficiali. È vero che il nome di K. compare in numerose dediche buddistiche, ma solo nella data, e le stesse formule si leggono d'altra parte in iscrizioni che non hanno nulla di buddistico. È vero anche che K. è l'unico sovrano kuṣāṇa sulle cui monete sia raffigurato il Buddha, ma si tratta di una percentuale esigua nell'ambito dell'abbondante monetazione. L'unica iscrizione ufficiale che menziona K., a Surkh Kotal, non ha nulla di buddhistico, non diversamente dal tempio dinastico costruito nello stesso luogo. Il posto occupato da K. nella leggenda buddistica si deve senza dubbio al fatto accertato che i primi due secoli della nostra era furono una specie di età dell'oro per il buddhismo, che rafforzò la sua penetrazione nel Nord-Ovest dell'India e conquistò l'Asia centrale. I buddisti vollero porre questa seconda ondata di diffusione del buddhismo sotto il patrocinio del più potente sovrano dell'epoca, K., come avevano posto la prima sotto la protezione di Ašoka.
Le monete di K. raffigurano sul diritto il sovrano nella posa che abbiamo testé descritto, identificato da una leggenda che ne dà il nome; sul rovescio una divinità parimenti identificata con il nome. Questa divinità, spesso raffigurata in abito greco, permette di identificare la zecca responsabile della coniazione della moneta. Il suo ruolo è dunque quello di facilitare il controllo amministrativo e finanziario della monetazione. È probabile anche che la scelta della divinità abbia obbedito a ragioni politiche o religiose, che però ci sfuggono. Sono raffigurate divinità iraniche (Miiro il sole, Mao la luna, Athšo il fuoco, Nana, Ardokhšo, Mozdooano, ecc.) al pari di divinità indiane (Śiva, Buddha), ma non sappiamo perché non vi compaiano Viṣṇu/Kṛṣṇa o i Jina, i cui culti erano estremamente popolari all'epoca.
Il grande tempio di Surkh Kotal, nella Battriana afghana, edificato sulla sommità di una collina modificata da tagli nel terreno, è con sicurezza una costruzione ufficiale di Kaniṣka. Il tempio porta il suo nome, o è dedicato alla sua Vittoria (Fortuna) personale. Si è per molto tempo creduto che si trattasse di un tempio dedicato alle divinità protettrici della dinastia. La divinità principale potrebbe essere stata la Vittoria di K., circondata da altre divinità, tra cui alcune indiane (Šiva e Pārvatī). Questo tempio ufficiale mostra l'adozione da parte di K. di tecniche e planimetrie in uso nella Battriana greca: cella quadrata circondata da un corridoio, corte con portici, colonnati, lesene corinzie, ecc. Ma l'insieme è caratterizzato da un innegabile aspetto centroasiatico e iranico (tempio-terrazza). Qui sono state rinvenute tre grandi statue in pietra, acefale; la loro posizione ne indica la natura, diversa da quella di semplici elementi decorativi. Le statue non recano iscrizioni, ma il confronto con l'immagine rinvenuta a Mathurä indica senza dubbio che una di loro è quella di K., mentre l'altra potrebbe essere quella di Huviṣka. La statua di Mathurā (che un'iscrizione identifica come quella di K.) e la statua di Surkh Kotal rappresentano lo stesso personaggio, nella stessa posa frontale, a gambe divaricate, vestito dello stesso costume (pantaloni e stivali, tunica ricamata, mantello). Sono entrambe statue-stele, con il retro piatto, entrambe danno un'impressione di solidità e di immobilità completamente estranee all'arte greca e all'arte indiana dello stesso periodo: si tratta di un'arte ufficiale, spesso qualificata come dinastica, che mutuò molti dei suoi elementi tecnici dai Greci (panneggio, ecc.), mantenendo tuttavia una frontalità, una immobilità e una potenza del tutto iraniche.
La cronologia dell'arte greco-buddhistica del Gandhāra è oggetto di troppe controversie perché si possa attribuire con certezza questo o quel rilievo al regno di K.: le stesse sculture che portano il suo nome sono discusse. Fussman ritiene infatti di aver dimostrato che il c.d. reliquiario di K. (pisside di rame che porta sul coperchio un Buddha seduto affiancato da due Bodhisattva e sulla parete esterna un Buddha seduto e un re kuṣāṇa imberbe stante, affiancati dalle divinità del sole e della luna e circondati da una ghirlanda portata da eroti) era in realtà un vaso per profumi che non era stato dedicato da Kaniṣka. Al contrario il c.d. Buddha di Bruxelles, un rilievo dalle connotazioni iconografiche e stilistiche molto evolute, datato da Fussman all'anno 5 di K. sulla base dell'iscrizione che porta, è datato da molti studiosi all'anno 105 (con l'omissione delle centinaia) o anche più tardi. Si può soltanto affermare che l'arte del Gandhāra all'epoca di K. conosceva già la raffigurazione del Buddha, che compare sulle monete del sovrano; tale raffigurazione era verisimilmente anteriore a K., all'epoca del quale l'arte del Gandhāra aveva già prodotto sculture di pregio.
L'arte di Mathurā è un po' meglio conosciuta. Nell'anno 3 di K. il monaco Baia dedicò a Sārnāth un Buddha (indicato come «bodhisattva», come su tutte le iscrizioni di Mathurā di questo periodo) stante, massiccio, che spira potenza, coperto di una veste sottile dalle pieghe disposte con regolarità. Mathurā produsse nella stessa epoca immagini di Buddha seduti, anch'essi chiamati «bodhisattva», in alto rilievo (il dorso non era quasi mai lavorato), alonati, con occhi molto aperti, capelli a chiocciola (donde il nome kapardin), affiancati da due personaggi stanti e con, in alto, due divinità in volo. La mano destra è alzata e parzialmente girata. Non risentono ancora di alcun influsso delle tecniche illusionistiche e del rendimento del panneggio dell'arte del Gandhāra. Mathurā tuttavia produsse, sempre nel periodo di K., anche statue jaina e hindu: è attorno a questo periodo che si fissano le iconografie di Kṛṣṇa/Vāsudeva, di Śiva e di Durgā.
Tutta questa produzione (Gandhāra, Mathurā) risponde ai bisogni religiosi dei privati che commissionarono le statue. Sarebbe difficile parlare di un K. protettore delle arti. Il suo ruolo nello sviluppo della produzione artistica consistette probabilmente nell'aver assicurato la pace, la prosperità, la libertà religiosa e la sicurezza nelle comunicazioni. Ed è già molto.
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