Schoppe (Scioppio), Kaspar
Nacque a Pappenberg (Oberpfalz) il 26 giugno 1576, in un’umile famiglia luterana. Studiò a Heidelberg e quindi ad Altdorf, dove ebbe per maestri Nicolaus Taurellus e Conradus Rittershusius. Questi lo introdusse allo studio del diritto e della cultura classica. Ospite e allievo di importanti umanisti europei, come Gioacchino Camerario e Hubert Giffen, S. diede presto prova della sua cultura filologica, pubblicando alcuni volumi tra cui il De arte critica (1597), dedicato all’amico e compagno di studi Christoph Pflug, che gli garantì una notevole fama. L’amicizia con Marc Welser gli consentì di ricoprire un ruolo di primo piano nella corte imperiale e quindi in quella pontificia. Nel 1597 compì il suo primo viaggio in Italia, durante il quale incontrò a Padova il celebre Gian Vincenzo Pinelli, collezionista e possessore di una delle più importanti biblioteche europee. Trasferitosi a Praga, nello stesso anno maturò la sua conversione al cattolicesimo. Riprese quindi la via dell’Italia, soggiornando a Ferrara presso la corte di Clemente VIII, dove ebbe modo di conoscere Cesare Baronio, del quale aveva particolarmente apprezzato gli Annali. Giunto a Roma, approfondì e affinò i suoi studi. Presentò a Giusto Lipsio le scoperte fatte nella Biblioteca Vaticana e operò all’interno di un circolo di studiosi italiani e tedeschi, legando soprattutto con Johann Faber e con i cardinali Ludovico Madruzzo e Cinzio Aldobrandini, due tra i più alti esponenti della gerarchia ecclesiastica.
I suoi primi anni a Roma furono dedicati a un’azione di proselitismo a favore della Chiesa cattolica, di cui si ha traccia nell’opuscolo dedicato a Clemente VIII, Pro Germaniae protestantibus Romam venientibus, oltre che nella sua corrispondenza, particolarmente quella intrattenuta con il suo maestro Rittershusius. Proprio a quest’ultimo è indirizzata l’Epistola de variis fidei catholicae dogmatibus, pubblicata a stampa nel 1599, nella quale S. celebra la tolleranza religiosa romana verso i riformati, cui si contrappone l’azione inquisitoriale in Spagna, mossa esclusivamente da finalità politiche. La relazione di S. però doveva essere presto smentita dal processo e dal rogo di Giordano Bruno (17 febbraio 1600), del quale egli fu un testimone diretto. Ci restano alcune lettere, in una delle quali, indirizzata proprio al suo maestro, S., con una certa ambiguità, non nasconde l’ammirazione per il Nolano e dichiara che i motivi della condanna non andavano ricercati nella sua presunta appartenenza a una fede riformata. Negli anni successivi si dedicò agli studi filosofici e umanistici, avviando una critica sul metodo d’insegnamento dei gesuiti, che divenne una costante del suo pensiero. Strinse legami con Roberto Bellarmino, con il conte Rodolfo di Helfenstein, incontrò Giovanni della Porta, Paolo Sarpi e, soprattutto, Tommaso Campanella. Questi inviò a S. le sue opere, che ne ricavò alcune copie, garantendo loro una certa circolazione, ma non esitando a riprodurne le idee nei suoi scritti, spingendosi fino al plagio. Proprio a S. si deve il titolo dell’Atheismus triumphatus campanelliano. Grazie a questo corpo di scritti S. iniziò i suoi studi intorno alla politica, che lo portarono a sviluppare un interesse del tutto particolare per il pensiero di Machiavelli. La sua interpretazione del Fiorentino, unita al modo strumentale con cui aveva fatto uso delle dottrine di Campanella, fu all’origine della rottura con quest’ultimo.
Di particolare importanza, accanto agli studi, anche la carriera politica e diplomatica di S., che, pur con alterne vicende, si svolse soprattutto tra la Germania e l’Italia, dove operò sia al servizio di diversi pontefici, sia dell’arciduca Ferdinando, poi divenuto imperatore. Inviso ai protestanti e infine anche ai cattolici, per via della sua polemica antigesuitica che portò alla condanna all’Indice di alcuni suoi scritti, si trasferì a Padova, continuando a coltivare interessi e legami scientifici, testimoniati dalla corrispondenza con Gabriel Naudé, e a sistemare le carte autobiografiche ricavate dall’esperienza politica. Morì a Padova il 9 novembre 1649.
Tra il 1618 e il 1623 S. dedicò un corpo di scritti in difesa di M., il primo dei quali fu un’Apologia, rimasta manoscritta, cui fece seguito l’opuscolo Paedia politices (1623), nel quale distillò le idee elaborate in precedenza. Si tratta di scritti che dipendono naturalmente dal dibattito politico europeo, che ancora nel primo Seicento chiamava in causa il nome di M., ma anche dalla lettura delle opere di Campanella, nelle quali M. era aspramente criticato. Nell’Apologia il problema M. è visto essenzialmente nella prospettiva cattolica, con il chiedersi anzitutto perché le opere del Fiorentino furono dapprima approvate e poi condannate dalla Chiesa, e dando quindi giustificazione dei due atteggiamenti. Questo esame implicava in primo luogo, e quasi al modo di M., una riflessione sulla qualità dei tempi: quel che prima giovava ai lettori, rilevava S., mutati i tempi non poteva più giovare. Per es., le accuse mosse contro i costumi del clero da M. rivelavano non già il desiderio di attaccare la Chiesa, ma piuttosto la preoccupazione di un vero credente che aspirava alla restaurazione di una morale cristiana. Espressioni critiche contro gli ecclesiastici erano peraltro già state pronunciate più volte da diversi pontefici. Tutto il discorso di M. aveva finito per assumere un significato diverso dopo il Concilio di Trento, per cui si era resa necessaria una ferma condanna degli scritti. Secondo S., in ogni caso, era utile riavviare una circolazione dell’opera machiavelliana, comunque già nota, perché particolarmente utile per una corretta riflessione sulla politica. Perché ciò fosse possibile era necessario emendarla, sgombrando ogni equivoco su quei passi particolarmente complessi, che avrebbero potuto portare il lettore a darne un’interpretazione scorretta. S. intendeva dunque riabilitare il pensiero di M. nell’ambiente ecclesiastico, sia pur limando i tratti più scandalosi. Il metodo politico di M. andava compreso in modo più profondo, riconducendolo a schemi classici, aristotelici innanzitutto, come peraltro era stato già fatto da altri prima di S. (si pensi ad Agostino Nifo e a Loys Le Roy). La politica è, infatti, un sapere che ha un suo oggetto specifico al quale deve fare costantemente riferimento: lo Stato. M. si muove in questa direzione e non perde di vista il fine della sua indagine, senza mai farsi tentare da considerazioni estranee a un tale metodo.
Queste idee emergono chiaramente nell’opera data alle stampe nel 1623, dove peraltro M. non è mai citato in modo esplicito. La stessa definizione di scienza, presentata come paedia, «vale a dire trattazione specifica di uno specifico argomento», che rinvia direttamente a Tommaso e ad Aristotele, gli permette di distinguere nettamente tra etica e politica, assolvendo in tal modo quegli scrittori politici, come M., che «avevano rivolto la loro attenzione anche agli organismi corrotti e ai comportamenti tirannici, quali parte della politica» (Procacci 1995, p. 158). Si trattava semplicemente di ripresentare in modo più opportuno i passi scandalosi, come quello del cap. xviii del Principe, che S. interpretava come una dura condanna della tirannide (Paedia politices, 1623, p. 31). Tra le finalità della politica vi è certamente l’analisi delle forme corrotte del potere. L’esame schietto e spassionato del regime tirannico, che ha come unico fine la propria conservazione, poteva essere condotto in due distinti modi, indicati da Tommaso: analizzando quei mezzi tirannici che lo rafforzano (l’uso della frode o dell’astuzia) o rendendo espliciti quei modi miti con i quali la tirannide si riveste, presentandosi come una forma non corrotta, ma restando pur sempre tale. Dalle pagine machiavelliane traspariva anche la natura occulta della tirannide. Seguendo il metodo machiavelliano, S. afferma che la politica deve limitarsi a indagare unicamente sui mezzi con i quali è possibile salvare lo Stato, senza considerare quanto concerne la salvezza dell’anima, che resta di stretta pertinenza della teologia. Coloro che avevano attaccato M., lo avevano fatto senza comprendere quale fosse il metodo con cui egli, in perfetto accordo con la filosofia politica classica, si era mosso. L’opera di S. ebbe una notevole circolazione europea grazie a Hermann Conring (1606-1681) e al già citato Gabriel Naudé (1600-1653).
Bibliografia: Paedia politices [...], Roma 1623. Per la biografia si rinvia a M. D’Addio, Il pensiero politico di Gaspare Scioppio e il machiavellismo del Seicento, Milano 1962, e quindi a Kaspar Schoppe. Autobiographische Texte und Briefe, hrsg. K. Jaitner, München 2004, in partic. pp. 3-196, volume al quale si rinvia anche per la bibliografia di S. e per una più ampia raccolta di studi critici. Si vedano inoltre: G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, Roma-Bari 1995, ad indicem, e, per le relazioni con Campanella, G. Ernst, Tommaso Campanella: il libro e il corpo della natura, Roma-Bari 2002 (in trad. inglese con bibl. aggiornata, Dordrecht-Heidelberg-London-New York 2010).