KASTORIA
(gr. Καστοϱία)
Città della Grecia nordoccidentale, posta su una corrugata penisola protesa sul lago omonimo e collegata alla terraferma da un sottile istmo.La regione di K., l'antica Orestide, appartiene dal punto di vista geografico alla Macedonia; in epoca tardoantica la zona di K. era però ritenuta far parte della Tessaglia, e come tale la considerava ancora, nel sec. 6°, Procopio di Cesarea (De Aed., IV, 3, 1). Lo storico ricorda che, presso il lago detto Kastoria, si trovava una città chiamata Diokletianúpolis (probabilmente l'antica Árgos Orestikón), che, per la sua scarsa difendibilità, aveva molto sofferto in passato a causa delle scorrerie dei barbari (forse i Goti di Alarico nel 395 o gli Ostrogoti di Teodorico nel 480); Giustiniano l'aveva fatta quindi ricostruire con salde fortificazioni sulla ben più protetta e scoscesa penisola, conservandole l'antico nome, con il quale è del resto ancora ricordata, prima di assumere quello di K., nei primi decenni del sec. 6°, anche nel Synékdemos di Ierocle (642,12), nella Notitia episcopatuum ecclesiae Constantinopolitanae, del sec. 8° (Papazoglu, 1988) e, ormai come retaggio del passato, nelle opere di Costantino Porfirogenito (De thematibus, II, 38).Il sito su cui sorse la città giustinianea e dove prosperò in seguito quella medievale era in origine occupato dal piccolo oppidum di Celetrum, noto unicamente attraverso un passo di Tito Livio (Ab urbe condita, XXXI, 40, 2), di cui nel sec. 6° dovevano restare solo scarse vestigia. Assai poco si conosce anche del periodo protobizantino della città, a causa del silenzio delle fonti e della scarsità delle testimonianze archeologiche conservatesi: attorno alla Kurşunlu Cami, sorta probabilmente sui resti di una basilica paleocristiana, si sono rinvenuti capitelli protobizantini (Keramopulos, 1932), mentre, a giudicare dai materiali reimpiegati nella costruzione, un altro edificio paleocristiano doveva sorgere sull'area attualmente occupata dalla chiesa dei Taxiarchi; infine, nei pressi del monastero della Panaghia Mavriotissa, in località detta Magazià, sono venuti alla luce una colonna di verde antico e un capitello ionico a imposta databile alla prima metà del sec. 6° (Vemi, 1989), reimpiegati in una chiesetta dedicata a s. Zaccaria (Kurkutidu-Nikolaidu, 1970). Della cinta muraria restano oggi solo pochi brani, oltre alle testimonianze dei viaggiatori e alla documentazione fotografica raccolta nel secolo scorso; solo l'impianto generale e forse qualche isolato segmento possono però essere ipoteticamente attribuiti alla fase giustinianea (Mutsopulos, 1973-1974).Al pari degli altri centri della Macedonia, K. subì, dalla fine del sec. 6°, le incursioni delle tribù slave che sottrassero gran parte della Grecia al controllo del governo bizantino. Fu probabilmente a partire da questo periodo che la città assunse il nome con cui oggi è nota, anche se, come ritiene la maggior parte degli studiosi (Ostrogorsky, 1959, p. 56), non va più riferito a essa un passo di Giorgio Cedreno (Historiarum compendium) relativo all'esilio di alcuni partigiani di Costantino VI ordinato da Irene intorno al 790, nell'ambito della lotta per la conquista del trono imperiale. Ugualmente discussa è l'attinenza a K. di un passo dello Strateghikón (82) di Giovanni Cecaumeno che ricorda la conquista di un kástron ottenuta grazie a uno stratagemma dallo zar bulgaro Simeone nel 918. È comunque certo che in questo periodo, e in particolare alla fine del sec. 10°, K. entrò nella sfera di controllo del regno bulgaro e fu definitivamente riconquistata all'impero bizantino solo con le vittoriose campagne di Basilio II, conclusesi nel 1018.Per tradizione si è generalmente convenuto che la presenza bulgara abbia rappresentato un freno allo sviluppo urbanistico e artistico di K., che sarebbe ripreso soltanto con il completo ripristino dell'autorità bizantina; gli studi più recenti invece hanno potuto stabilire che l'edificazione delle chiese più antiche della città e la realizzazione di alcune parti della loro decorazione pittorica si possano far risalire forse anche fino agli inizi del 10° secolo.Databile intorno a quest'epoca, o poco prima, è per es. la chiesa di S. Stefano, un edificio a pianta basilicale diviso in tre navate da due pareti con grandi aperture ad arco, provvisto di un nartece sormontato da una galleria, cui si accede mediante una scala interna; è probabile che questa galleria sia stata inserita per esigenze strutturali, ovvero per contrastare l'imponente massa del cleristorio sovrastante il naós, piuttosto che per motivi liturgici, e questo anche se al suo interno è ospitata una piccola cappella (asketérion) dedicata a s. Anna. Tanto le navate quanto il nartece sono coperti da volte a botte, mentre la galleria, unico esempio di tale struttura nel repertorio dell'architettura religiosa di K., è coperta da una volta a sezione quadrata. La chiesa era probabilmente l'antica sede episcopale della città, in quanto l'abside, sfaccettata esternamente e semicircolare all'interno, conserva tuttora il sýnthronon con il seggio per il vescovo al centro e un basso témplon in muratura di forma arcaica. La forte elevazione del cleristorio e l'elaborata decorazione del paramento murario esterno, privo però della movimentazione fornita dalle arcate cieche, sono alcuni dei tratti distintivi che l'architettura del S. Stefano condivide con quella di molte altre chiese di Kastoria.All'interno del S. Stefano sono conservati estesi brani di decorazione pittorica, coevi o comunque immediatamente susseguenti alla costruzione della chiesa, concentrati in particolare nel nartece, sulle pareti del naós fino al margine inferiore del cleristorio e in alcuni settori della galleria. Particolarmente efficace per la monumentalità della composizione, quasi costretta nello spazio del nartece, è la complessa rappresentazione del Giudizio finale, nella quale contrastano singolarmente, forse anche per una desunzione da diversi modelli iconografici, le magniloquenti e ieratiche figure di Cristo e degli apostoli in trono rispetto alle minute scene dei dannati dipinte nel sottoscala della galleria. Per il marcato decorativismo e il trattamento geometrico dei panneggi e delle lumeggiature, gli affreschi di S. Stefano trovano i confronti più immediati con le pitture più arcaiche della Cappadocia, influenzate dalla chiesa vecchia di Tokalı (per es. affreschi della El Nazar Kilise a Göreme e della chiesa di Ayvalı Köy a Güllü Dere, dove pure è raffigurato un Giudizio finale), in quanto ne condividono la medesima collocazione in un ambito provinciale, sottoposto agli influssi artistici e culturali dei maggiori centri metropolitani, come Salonicco e Costantinopoli.Contatti stilistici, ravvisabili anche nell'impiego di peculiari motivi ornamentali, come i nimbi profilati da bordi perlinati, sono attestati, nella stessa K., nella chiesa dei Taxiarchi (sec. 10°), una basilica a tre navate scandite da due coppie di colonne, con abside semicircolare all'esterno e alto cleristorio sul naós coperto a botte, sita presso la piazza di Omonoia nella parte sudorientale della città. Gli affreschi più antichi, dislocati nel nartece, restituiscono, pur nel loro precario stato di conservazione, l'immagine di un arcaico programma decorativo, nel quale erano esaltate le maestose figure del Cristo, della Vergine e dei santi.Alla fine del sec. 9° è riconducibile la Panaghia Kubelidiki, l'unica chiesa di K. a possedere una copertura cupolata (lo stesso nome deriva dal turco kubbe, 'cupola'), gravemente danneggiata nel corso della seconda guerra mondiale e ricostruita nel 1949. L'edificio, che si distingue per la sua pianta a triconco, al centro del quale si imposta l'alto tamburo su cui poggia la cupola, e per l'apparato decorativo del paramento esterno, era noto in età bizantina con l'appellativo di Kastriótissa, per la sua contiguità con le mura orientali della cittadella giustinianea restaurate nel corso del sec. 9°, prima della ripresa del conflitto bizantino-bulgaro riacceso dallo zar Simeone nell'894.Nel corso dei secc. 11° e 12° si intensificò la realizzazione di edifici religiosi in cui appaiono rielaborati gli elementi della tradizione edilizia locale; nelle chiese maggiormente rappresentative di questo periodo, Ss. Anargiri e S. Nicola Kasnitzi, semplici edifici a pianta basilicale, è però meno accentuato l'innalzamento del cleristorio, sulle pareti si aprono finestre più ampie, a bifora sotto un largo arco in mattoni, e diviene più manierato e regolare il repertorio delle decorazioni laterizie e ceramoplastiche dei paramenti esterni.Il divario cronologico con le chiese dei secc. 9° e 10° si fa esplicito nella decorazione interna: gli affreschi più antichi dei Ss. Anargiri, confinati per lo più nella parte nord del nartece a destinazione sepolcrale, sono, tuttavia, variamente datati dagli studiosi, che li pongono, con diverse sfumature, tra la seconda metà del sec. 10° e la prima metà del successivo. Una loro precisa collocazione cronologica risulta in realtà difficile in ragione del carattere provinciale e conservativo del loro stile e per la stessa variabilità cronologica delle pitture con le quali vengono messi a confronto (per es. gli affreschi della cripta di Hosios Lukas, nella Focide). Più illuminante è forse la decorazione scultorea della chiesa, i cui capitelli a tronco di piramide ricordano quelli della Panaghia ton Chalkeon di Salonicco, datata al 1028.Discussa è anche la cronologia degli affreschi di S. Nicola Kasnitzi, che quasi tutti gli studiosi mettono comunque in relazione con quelli di S. Pantaleimone a Nerezi, in Macedonia, datati con sicurezza al 1164, privilegiandone volta a volta gli aspetti di precocità o di derivazione rispetto al modello serbo. In comune con gli affreschi di Nerezi, commissionati da Alessio Comneno, nipote dell'omonimo imperatore, l'elaborato programma della chiesa di S. Nicola, dove trovano largo spazio il ciclo cristologico nel naós e quello del santo eponimo nel nartece, ha pure la figura di un committente: si tratta di Niceforo Kasnitzi, mághistros, ritratto assieme alla moglie sulla parete est del nartece, da riconoscersi come un esponente dell'aristocrazia locale che si fregia con orgoglio di un titolo ormai desueto alla sua epoca e non già come un forestiero, forse costantinopolitano, in esilio a K., come per tradizione si è sostenuto sulla base di una errata lettura dell'iscrizione dedicatoria (Lavermicocca, 1976).Più tarda, rispetto a quella di S. Nicola, è la seconda decorazione pittorica dei Ss. Anargiri, che ricopre, obliterandoli quasi del tutto, i primitivi affreschi del sec. 10°-11°; anche in questo caso la critica, se da un lato è concorde nel distinguere nettamente l'opera di due botteghe che lavorarono, simultaneamente o quasi, alla decorazione della chiesa, resta ancora incerta però sulla datazione degli affreschi, pur rimanendo l'oscillazione cronologica entro gli ultimi tre decenni del 12° secolo. Al c.d. pittore B, il meno dotato dei due capibottega, viene attribuito l'inizio della decorazione, con la grande Annunciazione sulla parete sopra l'abside, i profeti sui muri laterali del cleristorio e alcune scene del ciclo cristologico, come la Visitazione, la Natività e la Dormizione. Il resto della decorazione nella navata centrale (figure di santi e altre scene cristologiche, come l'Annunciazione al pozzo) e in quelle laterali (Storie di s. Giorgio e dei ss. Cosma e Damiano) fu eseguito dal c.d. pittore A, una figura di primissimo piano nella pittura monumentale dell'epoca, in sintonia con le espressioni più aggiornate dell'arte tardocomnena. Dall'analisi della sovrapposizione degli strati di intonaco sembra che quest'ultimo maestro sia subentrato in una fase già avanzata della decorazione pittorica, coprendo parte degli affreschi del pittore B; una personalità a parte è quella del c.d. pittore C, che avrebbe operato prevalentemente nel nartece (Hadermann-Misguich, 1975).In particolare nelle scelte iconografiche, nel repertorio ornamentale e nell'esecuzione stilistica, strettissime sono le tangenze riscontrate tra gli affreschi più maturi dei Ss. Anargiri e quelli di S. Giorgio a Kurbinovo, in Macedonia, datati al 1191, tanto che taluni studiosi non hanno esitato a riconoscere negli affreschi della chiesa macedone un'opera, di poco posteriore, del pittore A che operò ai Ss. Anargiri (Hadermann-Misguich, 1975). Come nel S. Nicola Kasnitzi, anche qui la ricca ed elaborata decorazione pittorica fu realizzata grazie alla committenza di una facoltosa famiglia della nobiltà locale, in questo caso i Lemnioti, i cui membri sono ritratti in abiti sontuosi, assieme ai loro parenti, in questa come in altre chiese di K. (un Teodoro Lemniote, sacerdote, figura in un bel ritratto funerario di fine sec. 13° nel nartece di S. Stefano).Un riflesso degli esiti della pittura monumentale tardocomnena a K. è offerto anche da alcune icone coeve, con raffigurazioni del profeta Elia, di S. Giuliana di Nicomedia e della Vergine Odighítria (Archaelogical Coll.; Tsigaridas, 1988).Le fondazioni religiose mediobizantine di K., e soprattutto le loro elaborate decorazioni pittoriche, offrono un'immagine del livello economico e culturale raggiunto dalla città in quel periodo: nonostante la sua particolare posizione geografica, prossima a zone di confine di nevralgica importanza strategica, ne facesse l'obiettivo di reiterati quanto vani assedi da parte dei Bulgari e di temporanee occupazioni, come quelle di Roberto il Guiscardo nel 1083 e di Boemondo nel 1096, descritte da Anna Comnena (Alexiás, VI, 1), pure K., governata da uno stratega a partire dal regno di Michele VII (1071-1078), raggiunse nel corso dei secc. 11°-12° una notevole ricchezza, grazie in particolare allo sfruttamento agricolo del territorio, la cui elevata produttività è ricordata con ammirazione dal geografo arabo al-Idrīsī. Il suo ruolo di città di confine, crocevia di molteplici interessi politici e culturali, fece sì che vi trovassero sede gruppi etnici di varia estrazione, tra i quali particolarmente consistente e attiva dovette essere la comunità ebraica: un riflesso di questa presenza è stato riconosciuto recentemente negli accenti antigiudaici (rappresentazione della Sinagoga nella Crocifissione; mutilazione di Jephonias nella Dormizione) di alcuni tra gli affreschi del katholikón del monastero dedicato alla Panaghia Mavriotissa, datati alla fine del sec. 11° (Epstein, 1982).Anche nel periodo medio e tardobizantino le notizie storiche relative a K. sono scarse e frammentarie e non aiutano a delineare un quadro esauriente dello sviluppo urbano. Si sa che intorno alla metà del sec. 12° Andronico Comneno esercitò la propria autorità sulla città come dux di Niš, Braničevo e Kastoria. Tradizionalmente area di contesa tra Bizantini e Bulgari, con i rivolgimenti politici verificatisi in Grecia dopo la quarta crociata, K. entrò dapprima nella sfera di influenza del Despotato dell'Epiro, fu poi temporaneamente occupata intorno al 1252 dall'imperatore niceno Giovanni III Ducas Vatatze, di nuovo riannessa ai territori epiroti intorno al 1257 da Michele II Angelo Ducas Comneno e finalmente conquistata da Michele VIII Paleologo (1259-1282) nel 1259 dopo la vittoria di Pelagonia. Proprio in relazione a quest'ultimo evento sarebbero state eseguite, tra 1259 e 1264, le pitture esterne del katholikón della Panaghia Mavriotissa, in cui, a fianco della rappresentazione dell'albero di Iesse, compare lo stesso Michele VIII Paleologo insieme ad Alessio I (1081-1118), il fondatore della dinastia comnena al quale l'imperatore paleologo intendeva richiamarsi per affermare la legittimità del proprio impero (Papamastorakis, 1989-1990).Un'altra celebrazione di successi militari è forse alla base degli affreschi votivi (1254-1255) posti sulla facciata ovest della chiesa dei Taxiarchi, in cui, ai lati dell'arcangelo Michele, stanno due figure che un'iscrizione oggi quasi del tutto illeggibile identificava con lo zar bulgaro Michele II Asen (1246-1256) e la moglie Irene (Kalopissi-Verti, 1992).In questo periodo l'inedita compresenza di elementi occidentali e bizantini in territorio greco favorì la formulazione di nuovi lessici artistici improntati a un forte ibridismo: di queste tendenze è pienamente partecipe l'icona di S. Giorgio (Atene, Byzantine Mus.), proveniente dalla chiesa dei Ss. Anargiri, con figura del santo a rilievo e storie della sua vita dipinte ai lati.Il ristabilimento dell'autorità imperiale permise comunque una certa ripresa degli interventi di restauro e di ridecorazione degli edifici religiosi della città, il più ampio dei quali è forse costituito dagli affreschi delle conche nord e sud della Panaghia Kubelidiki. All'età paleologa possono ascriversi pure una fase ricostruttiva e parte degli affreschi della chiesa di S. Giorgio a Omorfi Ekklisia, un villaggio a km. 20 a S-E di K. (Stikas, 1958), e più tardi la costruzione e la decorazione della chiesa di S. Atanasio, realizzata nel 1384-1385 dai fratelli Stoias e Teodoro Muzakes, appena un anno prima che gli Ottomani, interrompendo un convulso periodo nel corso del quale Serbi e Albanesi si erano avvicendati nel possesso di K., conquistassero definitivamente la città, imponendo un lungo dominio che si sarebbe concluso solo nel 1918.
Bibl.:
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