Malevič, Kazimir Severinovič
Pittore, teorico, urbanista russo, di origine polacca, nato a Kiev il 23 febbraio 1878 e morto a Leningrado il 15 maggio 1935. Grande pittore d'avanguardia, teorico del Suprematismo, intraprese una lotta "disperata" per liberare l'arte dal mondo oggettivo; fu anche un acceso sostenitore di un cinema non oggettivo e tendenzialmente astratto, avanzando aperte critiche all'eccessivo realismo di registi come Sergej M. Ejzenštejn e Dziga Vertov.
Dopo una prima formazione da agronomo, si trasferì a Kursk e poi a Mosca per studiare arte. In seguito ad alcune intense esperienze con gruppi di avanguardia artistica legati all'Espressionismo e al Primitivismo, aderì al movimento cubofuturista russo. Nel 1913 accostò l'attività pittorica a quella saggistica intraprendendo ben presto un percorso personale che lo portò ad arricchire il Cubofuturismo con le teorie transmentali (zaum) recepite da Michail Matjušin. Dal 1915 iniziò a scrivere saggi sui principi mistico-espressivi del Suprematismo, la cui trattazione definitiva si concretizzò nel 1920 con la pubblicazione di Suprematizm. In quello stesso anno abbandonò la pittura per dedicarsi esclusivamente all'insegnamento e alla teoria, e nel contempo iniziò a progettare opere plastiche cercando attraverso l'architettura e l'urbanistica di tradurre "la dimensione cosmica del suprematismo". Lentamente ma inesorabilmente inviso al regime stalinista, nel 1930 fu rinchiuso per due mesi in carcere. Nel 1935, gravemente malato, morì nella sua abitazione a Leningrando.
La riflessione di M. partiva da una forte fascinazione per l'arte iconica della Russia contadina che utilizzava forme e colori in funzione antinaturalistica e che avrebbe suggerito la via per un'astrazione in grado di liberare l'arte da qualsiasi referente oggettivo. La sua stessa adesione ai movimenti primitivista, prima, cubofuturista, poi, rappresenta il tentativo di verificare tale possibilità. Nelle opere pittoriche del 1913 M. aveva già compiuto un percorso di semplificazione che lo portò a fondere il Cubofuturismo con le teorie transmentali volte a definire un metodo creativo in grado di penetrare nella sfera della conoscenza tramite l'intuizione. Attraverso la definizione delle forme geometriche essenziali e dei colori primari (passando dal nero al colorato al bianco) la sua arte va nella direzione di annullare l'oggetto trasfigurando l'artista nello "zero delle forme" e, più avanti, "al di là dello zero". Per M. la nuova arte diventa arte pura e assume uno statuto nuovo che ha una specificità prevalentemente formale. Nella decisione espressa nel 1920 di abbandonare la pittura per la scrittura M. abbatte la distinzione tra artista e filosofo giungendo a conseguenze extrapittoriche. Le arti plastiche, invece che ispirarsi a un modello, possono diventare il modello logico per una nuova attività mentale. Per questa via M. sentì la necessità di interrogarsi, seppure incidentalmente, sul cinema. Nei due saggi I likujut liki na ekranach (in "A.R.K. Kino", 1925, 10; trad. it. E trionfano le immagini sugli schermi, in Scritti, 1977) e Živopis′ i kino? (in "A.R.K. Kino", 1926, 2; trad. it. La pittura e il cinema, in Scritti, 1977) egli esamina le modalità di visualizzazione del cinema americano, europeo e sovietico condannando il ricorso ostinato a un'iconografia legata a modelli ottocenteschi borghesi e l'adesione a strutture linguistiche e narrative pre-tecnologiche.
L'accusa mossa al cinema di Sergej M. Ejzenštejn e di Dziga Vertov, o alle teorie rivoluzionarie di Boris Arvatov, è di combattere i modelli borghesi con gli stessi mezzi espressivi che si volevano contrastare rimanendo ancorati al realismo e negando le potenzialità tecnologiche del mezzo. Nonostante M. considerasse Ejzenštejn e Vertov artisti di prima qualità, auspicava per questi un percorso che dagli sviluppi pittorici del Novecento e da P. Cézanne, passando per il Futurismo e il Cubismo, giungesse al Suprematismo e quindi a un cinema non oggettivo, libero dalla pittura da cavalletto. Il cinema in tal modo avrebbe potuto cominciare a riflettere su sé stesso evidenziando la propria essenza e ponendola come vero contenuto dell'opera. Con queste premesse era naturale che M. rimanesse affascinato dal cinema astratto di Hans Richter, che conobbe a Berlino nel 1927 e con il quale scrisse una sceneggiatura per un film mai realizzato. Nel saggio Četvërtoe izmerenie v kino (1929; trad. it. La quarta dimensione nel cinema, in Il montaggio, 1986) Ejzenštejn, introducendo il concetto di montaggio armonico, farà esplicito riferimento alle critiche di M. e preciserà la propria idea di pittoricità nel cinema.
Per gli scritti di K. S. Malevič si fa riferimento all'ed. italiana, Scritti, Milano 1977, e a Suprematismo, Milano 2000. Su di lui, si veda E. Martineau, Malevič et la philosophie, Lausanne 1977; W.S. Simmons, Kazimir Malevich's Black square and the genesis of suprematism, New York 1981; S. Faucherau, Kazimir Malévitch, Paris 1991.