Mizoguchi, Kenji
Regista cinematografico giapponese, nato a Tokyo il 16 maggio 1898 e morto a Kyoto il 24 agosto 1956. Reputato insieme a Ozu Yasujirō e Kurosawa Akira uno dei maggiori registi del cinema nipponico, dagli anni Venti agli anni Cinquanta ne ha segnato le principali tappe sino alle soglie della modernità, di cui è considerato, almeno sul piano stilistico, un anticipatore come Jean Renoir e lo stesso Ozu. Negli anni Cinquanta furono proprio i giovani critici dei "Cahiers du cinéma" a cogliere quest'aspetto dell'opera del regista: il suo cinema, infatti, è caratterizzato da uno stile di regia e messa in scena che si affida ai piani-sequenza e ai long takes, alle immagini distanziate, agli elaborati movimenti di macchina, alle inquadrature in profondità di campo e al complesso intrecciarsi e sovrapporsi di più dati iconicamente significanti. Si tratta di soluzioni che vanno tutte in una direzione ben precisa, in quanto evitano le forme consolidate del découpage classico, privilegiano i modi del montaggio interno, invitano lo spettatore a una lettura più attenta e a uno sguardo più critico e attivo. Il tema dominante dell'opera di M. è quello della condizione femminile. Se da una parte egli denuncia apertamente la realtà di sfruttamento ed emarginazione di cui la donna, in una società prettamente patriarcale, è stata oggetto e continua a esserlo anche nel secondo dopoguerra, dall'altra tuttavia il regista è palesemente vittima di una concezione trascendentale della donna, che finisce con il mitizzarla, rappresentandola ancora una volta come un oggetto, sebbene oggetto di culto e d'ammirazione. Nella sua opera M. ha privilegiato tre modelli di femminilità: la ribelle, colei che reagisce al sopruso di cui è vittima usando le stesse armi dei suoi nemici; la principessa, una donna nobile e tuttavia costretta a confrontarsi con gli aspetti più infimi della società; e la sacerdotessa, colei che ama di un amore assoluto e a esso sacrifica tutta sé stessa. Negli anni Cinquanta il cinema di M. ha avuto una notevole fortuna in Europa, in particolare alla Mostra del cinema di Venezia che ha presentato suoi film in tutte le edizioni dal 1952 al 1956, e premiato con il Leone d'argento rispettivamente Ugetsu monogatari (I racconti della luna pallida di agosto) nel 1953 e Sanshō dayū (L'intendente Sansho) nel 1954.
Di famiglia poverissima e dopo un'infanzia travagliata, resa ancora più difficile dall'allontanamento della sorella maggiore venduta come geisha, M. si diplomò al liceo artistico e lavorò come illustratore pubblicitario. Giunse casualmente nel mondo del cinema, entrando nel 1920 alla Nikkatsu dove venne impiegato prima come attore e poi come aiuto regista. Esordì nel 1923 e realizzò in quattro anni più di trenta film (secondo ritmi in realtà assai comuni all'epoca), per lo più andati perduti. Molti erano dei melodrammi, in particolare i cosiddetti film shinpa ("nuova scuola", il termine si riferisce a una corrente teatrale molto apprezzata in quegli anni), incentrati su tragiche storie d'amore che vedono come protagoniste quelle figure femminili verso le quali il regista avrebbe sempre avuto un'attenzione particolare; ma molti erano adattamenti di opere straniere, a testimonianza della moda dell'epoca per tutto ciò che proveniva dall'Occidente. Fu nei primi anni Trenta che il nome di M. iniziò a interessare i critici, grazie per es. a film come Taki no shiraito (1933, Il filo bianco della cascata), da un testo dello scrittore Izumi Kyōka, in cui il regista già disegna alla perfezione una figura femminile che affronta ogni avversità pur di proteggere l'uomo amato. Nel 1936 M. iniziò a lavorare con lo sceneggiatore Yoda Yoshikata, dando vita a una collaborazione che sarebbe durata pressoché ininterrottamente sino alla fine della sua carriera. Nacquero così, sempre nel 1936, Naniwa hika (Elegia di Osaka) e Gion no shimai (Le sorelle di Gion), film che impressero una svolta realistica al cinema del regista e lo spinsero ad affrontare le contraddizioni della società a lui contemporanea. Durante la guerra M. cercò rifugio nei geidō mono ("biografie di artisti"), per es. con Zangiku monogatari (1939, Storia dell'ultimo crisantemo), uno dei suoi film stilisticamente più compiuti; e quando venne invitato a girare una nuova versione del Genroku chūshingura (Storia dei fedeli seguaci dell'epoca Genroku), un classico dell'epica samuraica, la cui prima parte fu presentata alla fine del 1941 e la seconda all'inizio del 1942, lo fece alla sua maniera, ritagliando uno spazio privilegiato alle figure femminili e omettendo la famosa scena della vendetta dei quarantasette rōnin (samurai senza padrone). Negli anni del dopoguerra e dell'occupazione americana M. realizzò alcuni film sull'oppressione e la liberazione della donna, affrontando il tema non solo sul piano sociale, ma anche su quello sessuale, come accade in Oyūsama (1951, La signora Oyū), da un racconto di Tanizaki Jun'ichirō. Ma fu con Saikaku ichidai onna (1952; Vita di Oharu, donna galante), in cui una vecchia prostituta ripercorre la sua sfortunata esistenza, Ugetsu monogatari, una storia sovrannaturale che è un'attenta riflessione sul rapporto fra l'artista e la sua opera, Sanshō dayū, una leggenda di schiavitù, ribellione e amore familiare, e Chikamatsu monogatari (1954; Gli amanti crocifissi), sul dramma di due amanti in lotta contro il rigido sistema feudale, che M. riuscì a imporre anche all'estero quello stile, elegante e crudele nello stesso tempo, che rende inconfondibile il suo cinema. Quest'ideale tetralogia jidaigeki ("dramma storico") è anche il segno dell'attenzione del regista per la tradizione culturale del proprio Paese, poiché tutti e quattro i film sono trasposizioni di grandi opere della letteratura classica giapponese firmate da autori quali Ihara Saikaku, Ueda Akinari, Mori Ōgai e Chikamatsu Monzaemon. L'ultimo film di M., Akasen chitai (1956; La strada della vergogna), è un gendaigeki ("dramma contemporaneo") che descrive la vita quotidiana di quattro prostitute che lavorano nella stessa casa di tolleranza.
M. Mesnil, Mizoguchi Kenji, Paris 1965.
Kenji Mizoguchi, éd. J. Doniol-Valcroze, Paris 1978.
Il cinema di Kenji Mizoguchi, a cura di A. Aprà, P. Pistagnesi, Venezia 1980.
D. Andrew, Kenji Mizoguchi: a guide to references and resources, Boston (MA) 1981.
D. Serceau, Mizoguchi: de la révolte aux songes, Paris 1983.
K. McDonald, Mizoguchi, Boston 1984.
D. Kirihara, Patterns of time: Mizoguchi and the 1930's, Madison (WI) 1992.
Ugetsu: Kenji Mizoguchi, director, ed. K.I. McDonald, New Brunswick (NJ) 1993.
J.-P. Jackson, Les contes de la lune vague après la pluie: Kenji Mizoguchi, étude critique, Paris 1998.
D. Tomasi, Kenji Mizoguchi, Milano 1998.