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KENYA

di Lina Maria Calandra, Emma Ansovini - Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)
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KENYA.

Lina Maria Calandra
Emma Ansovini

– Demografia e geografia economica. Condizioni economiche. Storia. Webgrafia

Kenya

Demografia e geografia economica di Lina Maria Calandra. – Stato dell’Africa orientale. La giovane popolazione del K. (il 53% ha meno di 19 anni) è cresciuta al ritmo del 2,7% annuo (periodo 2005-15): da 28.686.607 ab. del censimento del 1999, è passata a 38.610.097 del censimento del 2009, mentre una stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs) del 2014 calcola 45.545.980 abitanti. La popolazione urbana (25%) interessa soprattutto la capitale Nairobi (3.768.000 ab., stima UNDESA del 2014) e Mombasa (1.068.000 ab.). Sulla speranza di vita alla nascita (61,7 anni nel 2013) pesano: la diffusione dell’AIDS/HIV (Acquired Immune Deficiency Syndrome/Human Immunodeficiency Virus), con il 6% della popolazione adulta, che posiziona il K. al 4° posto nel mondo per numero di persone malate (1.600.000, stima del 2013 di UNAIDS, Joint United Nations Programme on HIV and AIDS); la povertà (42% della popolazione); le disuguaglianze tra aree rurali e urbane, e tra zone interne e costiere; l’insicurezza legata alle tensioni e ai conflitti regionali (in K. sono presenti 607.223 rifugiati provenienti dalla Somalia, 70%, dal Sud Sudan e dall’Etiopia). Il tasso di alfabetizzazione è al 78%.

Condizioni economiche. – A parte il rallentamento del 2008-09 (dovuto alla crisi post elettorale e a quella internazionale), nell’ultimo decennio la crescita economica è stata in media superiore al 5%, permettendo al K. di entrare a far parte dei Paesi a reddito medio-basso e dei primi dieci Paesi dell’Africa sub-sahariana per PIL: 62,7 miliardi di $ nel 2014 e PIL pro capite a parità di poteri d’acquisto (PPA) di 3138 $, sempre nel 2014. L’economia è trainata da una struttura produttiva e di export abbastanza diversificata: le principali fonti di valuta estera sono il turismo (quasi 1,5 milioni di visitatori l’anno), le rimesse estere (2,7% del PIL), l’esportazione di tè (3° produttore mondiale, con 378.000 t nel 2011). I settori più dinamici sono rappresentati dai servizi bancari, dalle telecomunicazioni e dalle costruzioni. L’economia, inoltre, è ben integrata nel contesto regionale: nonostante lo stato critico delle infrastrutture, il K. riesce a fungere da cerniera e hub commerciale regionale, soprattutto con il porto di Mombasa. Le prospettive di sviluppo sono legate alla scoperta, avvenuta nel 2012, di giacimenti petroliferi nel Nord-Ovest del Paese.

Indicatori economico-sociali
all’Università di Garissa dell’aprile 2015

Storia di Emma Ansovini. – Con le elezioni presidenziali e legislative del dicembre 2007 gli elementi di tensione e di conflitto, che non avevano trovato una composizione nel difficile processo di democratizzazione avviato nel 2002, esplosero precipitando il Paese in una drammatica crisi. La vittoria di stretta misura di Mwai Kibaki del Party of national unity (PNU) fu contestata dal suo principale contendente, Raila Odinga, il cui partito – l’Orange democratic movement (ODM) – aveva conquistato la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento. Le proteste sfociarono in violenti scontri etnici, costati circa 1200 morti e 500.000 sfollati. Solo nel febbraio 2008, con la mediazione dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, si arrivò a un accordo e, in aprile, a un governo di coalizione con Kibaki presidente e Odinga primo ministro. La vita del governo, resa già difficile da tensioni interne, fu scossa dalla pubblicazione dei rapporti sulle violenze postelettorali che portarono, nel novembre 2009, alla richiesta dell’apertura di un’indagine da parte della Corte penale internazionale. Un importante risultato fu però raggiunto con il varo della nuova Costituzione, ratificata con referendum popolare nell’agosto 2010. Fortemente sostenuta tanto da Kibaki quanto da Odinga, la Carta era stata approvata all’unanimità dal Parlamento il 2 aprile 2010: si concludeva così un iter iniziato nel 2002 e che aveva visto nel 2005 la bocciatura referendaria di una prima proposta. Il testo rafforzava i poteri del presidente, ma ne definiva con molta chiarezza anche i limiti, prevedeva un sistema amministrativo decentrato e introduceva il Senato, ma manteneva il sistema delle corti islamiche che, per quanto limitate alla giurisdizione su alcune materie, si ponevano in palese contrasto con i principi ispiratori di uno Stato laico. Veniva anche istituita una commissione indipendente per la riforma agraria con l’intenzione di affrontare un problema da sempre al centro delle agende governative, anche per gli esiti nefasti di scelte politiche più spesso legate a logiche etniche che a criteri coerenti di redistribuzione. Sulla responsabilità delle violenze postelettorali si apriva un contenzioso tra il governo e la Corte penale internazionale che riguardava le modali tà del processo a imputati illustri come Uhuru Kenyatta e William Ruto, i quali, tradizionalmente avversari per appartenere a due etnie rivali (Kikuyu il primo, Kalenjin l’altro), si allearono però in vista delle elezioni presidenziali del marzo 2013. Le consultazioni assegnarono la vittoria a Kenyatta, sul suo contendente Odinga, con poco più del 50% dei voti. Nell’ottobre 2014, dopo aver a lungo contestato le decisioni della Corte penale, Kenyatta, con una mossa a sorpresa, compariva di fronte ai giudici, lasciando i poteri al vicepresidente Ruto. In dicembre le accuse contro Kenyatta venivano ritirate, con una decisione controversa, motivata dall’inadeguatezza delle prove raccolte, che non escludeva però una possibile nuova inchiesta. La stabilità del Paese era peraltro seriamente minacciata dalle azioni dei terroristi di al-Shabaab: numerosi attentati colpirono le zone turistiche, ma anche Nairobi – come quello del centro commerciale Westgate del settembre 2013 – o le aree di confine con la Somalia, come quello all’Università di Garissa dell’aprile 2015. La situazione non era migliorata neanche dopo l’intervento dell’esercito nel Sud della Somalia (ott. 2011).

L’attività di al-Shabaab preoccupava il governo da un lato per l’alto numero di somali presenti sul territorio nazionale, oltre 2.000.000 (solo il campo profughi di Dadaab ospitava 450.000 rifugiati), e dall’altro per la capacità del messaggio estremista di inserirsi nelle tensioni interetniche e interreligiose da sempre vive nel Paese.

Webgrafia: K. Roth, Africa attacks the International criminal court, «New York review of books» 2014, http://www.nybooks.com/articles/archives/2014/feb/06/africa-attacksinternational-criminal-court/ (15 luglio 2015).

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