Khāne-ye dust kojāst?
(Iran 1987, Dov'è la casa del mio amico?, colore, 85m); regia: Abbas Kiarostami; produzione: Ali Reza Zarrin per Kanun; sceneggiatura: Abbas Kiarostami; fotografia: Fahrad Saba; montaggio: Abbas Kiarostami; scenografia: Reza Nami; costumi: Hassan Zahidi; musica: Amine Allah Hessine.
Una scuola dai muri sbrecciati, a nord-est di Teheran. Il maestro rimprovera Mohamed perché ha fatto i compiti su un semplice foglio, dopo aver dimenticato il quaderno a casa di un cugino. Se succederà ancora, lo rimprovera minaccioso l'insegnante, verrà espulso dalla scuola. Tornato a casa, nel villaggio di Quoker, Ahmad si accorge di aver preso per sbaglio il quaderno del suo compagno Mohamed. Per evitare all'amico la severa punizione, decide, di nascosto dalla madre e dalla nonna, di recarsi a casa sua, nel villaggio di Posteh, in modo da potergli restituire il quaderno. Ma Ahmad non conosce l'indirizzo: la strada è faticosa e le ricerche infruttuose, anche per l'incomprensione degli adulti cui egli chiede informazioni. Finalmente, a tarda sera, un vecchio falegname può indicargli l'abitazione dell'amico, ma è troppo tardi. Mohamed non farebbe più in tempo a fare i compiti per il giorno successivo, così Ahmad decide di scriverli per entrambi. Pur arrivando in classe leggermente in ritardo, il ragazzino riesce a salvare l'amico da una sicura punizione.
Pardo di bronzo al Festival di Locarno nel 1989, il terzo lungometraggio di fiction di Abbas Kiarostami rappresenta non soltanto la definitiva consacrazione internazionale dell'autore, ma anche una tappa fondamentale per quella produzione iraniana che, negli ultimi vent'anni, ha individuato nella presenza dei bambini un elemento pressoché insostituibile. Basta pensare, a tale proposito, a opere come Davande (Il corridore, 1985) di Amir Naderi, Bashu, gharibe-ye kuchek (Bashu, il piccolo straniero, 1988) di Bahram Beyza′i, Bādkonak-e sefid (Il palloncino bianco, 1995) di Jafar Panahi, cui si deve la meritata e larga affermazione del cinema dell'Iran nei festival di tutto il mondo.
Come l'amico e collega Mohsen Makhmalbaf, Kiarostami trova nell'estetica del neorealismo italiano, e in particolare nella zavattiniana 'tecnica del pedinamento', un motivo centrale di ispirazione. Alla lezione neorealista vanno fatti risalire una struttura narrativa minimale e quell'interesse nei confronti dell'individuo che tende ad annullare l'eccessiva costruzione del personaggio e qualsiasi componente di tipo divistico (i personaggi del film sono tutti rigorosamente interpretati da attori non professionisti).
La struttura narrativa di Khāne-ye dust kojāst? è quella di un film di viaggio. L'intera vicenda si concentra sul cammino percorso dal piccolo Ahmad attraverso la campagna e i viottoli che separano il suo villaggio da quello dell'amico. A muovere il protagonista è la sua curiosità nei confronti di ciò che si trova al di là dei ristretti confini della sua casa, dentro la quale lo vorrebbero costringere i familiari: è lo stesso utilizzo degli elementi architettonici del cortile e dell'abitazione a sottolineare il regime di chiusura, fatto di obblighi e divieti, cui viene sottoposto il ragazzino, schiacciato dalla presenza severa e ingombrante degli adulti. Attento costruttore di immagini dal forte impatto simbolico, Kiarostami individua nella doppia figura del sentiero (a forma di serpente) e dell'albero l'allegoria del desiderio di conoscenza che funge da motore per la crescita e la formazione del suo personaggio. Un percorso personale in cui, tuttavia, molti commentatori hanno individuato una critica dell'autore nei confronti del ruolo soffocante esercitato sull'individuo dalle istituzioni della società iraniana contemporanea (la famiglia, la scuola, le gerarchie intergenerazionali), isolata dal resto del mondo. Il fatto che il sentiero a zig zag sia stato fatto tracciare dallo stesso Kiarostami ai bambini protagonisti prima delle riprese e che l'albero sia stato appositamente trapiantato laddove prima non c'era, ben rappresenta quel legame profondo tra il cinema e la diretta esperienza di vita che caratterizza l'opera di Kiarostami, autentico maestro per un'intera generazione di autori iraniani di oggi. È significativo che Kiarostami sia ritornato nella stessa zona dell'Iran, sconvolta da un tremendo terremoto nell'estate del 1990, per realizzare Va zendegi edāme dārad (E la vita continua, 1992), alla ricerca dei due giovani protagonisti di Khāne-ye dust kojāst?. All'attenzione dell'autore nei confronti della realtà, si accompagna tuttavia una certa propensione nei confronti del magico e del fiabesco, che trova nell'aspetto sonoro (il fischio insinuante del vento, i latrati lontani) una dimensione appena percettibile, ma di straordinaria suggestione espressiva.
Il cinema di Abbas Kiarostami ha nella lentezza una cifra stilistica primaria. A questo proposito è importante sottolineare la costante strategia narrativa del film, che fa puntualmente slittare il momento dell'incontro tra i due protagonisti, rendendo Ahmad davvero troppo piccolo in confronto all'impresa che deve compiere (come suggerisce l'immagine del protagonista che si staglia su un paio di pantaloni per lui troppo larghi). Tale strategia favorisce una progressiva identificazione dello spettatore con il personaggio di Ahmad, assumendo un po' alla volta i tratti di un'interminabile ed estenuante attesa. A tali meccanismi narrativi, lontani dalla velocità convulsa delle produzioni occidentali di matrice hollywoodiana, si deve la fortuna della cinematografia iraniana d'autore, che nella fase di passaggio tra anni Ottanta e Novanta è stata percepita dalla critica e dal pubblico più attento come modello alternativo per eccellenza al cinema industriale e 'commerciale'.
Interpreti e personaggi: Babak Ahmadpur (Ahmad), Ahmad Ahmadpur (Mohamed Reza Nematzadeh), Kheda Barech Defai (insegnante), Akbar Mouradi (vetraio), Iran Otari (madre di Ahmad), Ayat Ansari (padre di Ahmad).
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