kin selection
<... silèkšn> locuz. sost. ingl., usata in it. al femm. – Teoria evolutiva nota anche come ‘selezione di parentela’, secondo cui la selezione non opera sui singoli individui né sui singoli geni, ma sui legami di parentela, tanto diretti quanto collaterali; la fitness adattativa del gruppo di consanguinei è quindi più importante di quella del singolo individuo. La selezione di parentela sarebbe all'origine del comportamento altruistico e della socialità. Questa teoria è stata utilizzata per spiegare la socialità di gruppi che condividono lo stesso patrimonio genetico, come per es. il comportamento di una madre o di un altro stretto consanguineo che mette a repentaglio la propria vita per salvare un figlio o un altro membro del gruppo parentale: quanto più DNA (e quindi geni) è condiviso dagli individui di un gruppo di consanguinei, tanto più grande sarà la possibilità che un individuo metta a rischio il proprio benessere a vantaggio di un parente. Il valore adattativo della selezione di parentela sta dunque nel fatto che, aiutando uno stretto parente (per es. un fratello o una sorella, con cui viene condiviso il 50% dei geni), l'individuo sta in realtà aiutando i propri geni a perpetuarsi. Due importanti cardini della teoria della selezione di parentela sono costituiti dal riconoscimento dei propri parenti e dall'esibizione di un comportamento preferenziale nei loro riguardi. Gli animali dispongono di un'ampia varietà di mezzi per il riconoscimento dei propri parenti. Le sfumature che essi utilizzano possono essere controllate geneticamente o apprese nella vita prenatale, subito dopo il parto o durante un periodo sensibile (imprinting); nei vertebrati più evoluti, il riconoscimento dei propri parenti si esplica attraverso l'apprendimento per familiarizzazione di caratteristiche individuali distintive o di tratti tipici della famiglia di appartenenza.