King Kong
(USA 1932, 1933, bianco e nero, 100m); regia: Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack; produzione: Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack per RKO; soggetto: Merian C. Cooper, Edgar Wallace; sceneggiatura: James A. Creelman, Ruth Rose; fotografia: Edward Linden, Vernon Walker, J.O. Taylor; effetti speciali: Willis O'Brien; montaggio: Ted Cheesman; scenografia: Thomas Little; costumi: Walter Plunkett; musica: Max Steiner.
Carl Denham, cineasta newyorkese, conduce la propria troupe sulla remota Isola del Teschio, dove gli indigeni adorano una divinità misteriosa. Vorrebbe ambientarvi un film, e per questo è con lui la bionda Ann Darrow, futura stella del cinema da poco sottratta alla miseria e alla fame; di lei presto s'innamora Driscoll, capitano in seconda della nave. Sull'isola Ann viene rapita dagli indigeni, che intendono offrirla al dio Kong nel corso d'una cerimonia sacrificale. Kong, gigantesco scimmione, si limita a raccogliere delicatamente la donna nel palmo della mano, e a portarla via con sé. Denham e compagni li inseguono attraverso la giungla, affrontando dinosauri e l'ira dello stesso Kong, a sua volta coinvolto in affrontamenti feroci (un rettile vorace, uno pterodattilo) per difendere la sua preziosa preda. Lui, in fondo, vuole solo guardarla, annusarla, lentamente spogliarla. Poi Driscoll riesce a raggiungere Ann, e a scappare scivolando con lei lungo una liana: Kong tenta di fermarli, ma i due si lasciano cadere in mare, dove Denham è pronto a farli risalire a bordo. Il cineasta, ormai, non pensa più al cinema: vuole portare Kong a New York, ed esibirlo quale ottava meraviglia del mondo. Narcotizzato e catturato lo scimmione mentre cercava Ann, si fa rotta verso l'America. La sera della prima del suo 'spettacolo', a Broadway, la sala è gremita. Kong appare sul palcoscenico in catene, ma i flash dei fotografi scatenano una reazione selvaggia: riesce a liberarsi, fugge e semina il panico nella città. Tutto quel che lui vuole è avere di nuovo Ann: si arrampica sulla facciata dell'edificio dove lei s'è rifugiata, la prende, la porta con sé fin sulla cima dell'Empire State Building. Una squadra di aerei lo attacca a colpi di mitragliatrice e infine lo abbatte: Kong cade nel vuoto, non prima di aver lasciato Ann, con infinita dolcezza, al sicuro su un cornicione. Denham commenta: "È la Bella che ha ucciso la Bestia".
Di fronte ad aggregati di 'funzioni', di fronte a fiabe che sembrano voler sfidare le esplorazioni strutturali di un grande decifratore come Vladimir Propp, di fronte a esiti narrativi che tutto accumulano e stringono in una strana e composita tessitura, ci si chiede spesso se gli autori, in questo caso Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack, siano consapevoli del loro situarsi in un così ampio territorio dell'immaginario. E viene fatto di rispondere di sì, perché spesso è accaduto, per esempio nei confronti dell'Avventura, di incontrare creatori che a essa avevano dedicato interamente sé stessi, vivendola, scrivendola, illustrandola, tanto da non potersi più sottrarre a un certo clima, a un orizzonte ideativo denso di infinite suggestioni. La genealogia delle grandi scimmie, nelle mentalità collettive, comprendeva già, nel 1933, tanto il misterioso scimmione assassino di Edgar Allan Poe, quanto remoti e molto discussi antenati scoperti da Charles Darwin in un albero genealogico sottoposto, anche nel 1933, a censure, lotte, esorcismi, divieti. C'erano scimmioni rosa in Collodi, scimmie fondamentali in Albert Robida, e poi vennero gli scimpanzé capaci di accudire e far crescere splendidamente il piccolo e inerme Lord Greystoke, fino a trasformarlo per sempre in Tarzan delle scimmie.
Ma King Kong vuole essere ben altrimenti riassuntivo, e il film lo afferma con chiare parole: si cita, infatti, ripetutamente, La Belle et la Bête, così la memoria lambisce la Corte del Re Sole, ritrova Madame Le Prince de Beaumont intenta a scrivere la sua fiaba, chiede alla versatile aristocratica di poter decifrare, alla luce degli impressionanti esiti conseguiti, il senso di un accostamento divenuto perentorio come un exemplum devozionale.
E Madame, dal suo Seicento, risponde proprio come se avesse visto il film. Dice che la Bella, in fondo, desidera incontrare la Bestia, perché nella remota selvaggitudine c'è una garanzia per l'Eros, c'è un Altrove libidinale che le consuetudini calviniste ottundono, perseguitano, vietano. Proprio come accade nell'Isola del Teschio, così anche in un'isola descritta da Pausania (nel 2° sec. d.C.) c'è un gruppo di bruti ‒ forse peggiori delle bestie ‒ che chiede una fanciulla per lasciare ripartire una certa nave. I marinai la concedono, è la più bella a bordo, ovviamente, e poi vanno via. La fanciulla perseguitata domina tutta l'opera di Sade, ma la raffinata Lady Chatterley ha bisogno di quella 'bestia' silvestre del suo guardiacaccia per far davvero bene l'amore.
Se osserviamo bene le nebbie, anzi le brume che definiscono il succinto antefatto e poi la rapida partenza della nave, scopriamo una ragazza molto bella, che non è però meno sola e sventurata di quella narrata da Pausania: la sua avventura comincia nei pressi del Ricovero Notturno Femminile, davvero si può e si deve partire da un ambito tanto inequivocabile. Due grandi narratori dell'Avventura hanno spesso creato sfondi non meno nebbiosi e brumosi: sono Pierre Mac Orlan e Bruno Traven. Si va via comunque, perché la giungla più feroce di tutte è quella d'asfalto, non c'è foresta più truce di quella che ha sostituito le immense e poetiche sequoia con i grattacieli, come comprenderà benissimo King Kong, scalando la sequoia più alta di tutte, il terrifico Empire State Building.
Ann e Kong si sono incontrati proprio come se a volerli insieme fosse proprio stata Madame Le Prince de Beaumont: è una conoscenza intrisa di una cavalleresca e comprovata dedizione. Il tema della giungla e del grattacielo, ovviamente accostati, è uno di quelli che definiscono meglio l'immaginario americano, però la Bestia qui incontra gli aeroplani, perché siamo nei Trenta e "oggi si vola". Ann, poco dopo il suo primo apparire, aveva provato a recitare indossando un costume finemente erotico: andava verso un esito indubbio, e il capo degli indigeni dell'isola offre sei donne in cambio di Ann. C'è esotismo, certo, ma non è quello di Pierre Loti, qui si cerca un Altrove, autentico e struggente, vero perché oppositivo nei confronti della macchina triturante che vende i biglietti per vedere un Re in catene.
Nel 1966, il regista Karel Reisz ritrova Kong mentre racconta la storia di un pittore, anarchico e ossessionato da una madre stalinista che, in Morgan, a Suitable Case for Treatment (Morgan matto da legare) terrorizza la buona società inglese travestito da scimmione, prima di finire per sempre in manicomio.
È una memorabile postilla alla fiaba di Kong. Noi abbiamo amato e amiamo il re dell'Altrove, perché, in un certo senso, mitragliato dagli aerei che stiamo rendendo micidiali, poco alla volta, è morto proprio per noi. Leale e potente, solenne icona di un luogo dove non conoscono la giungla dei grattacieli, ci rammenta che l'amore può collegare la Bella alla Bestia, senza mediazioni, senza mezzi termini. È un amore ben definito, da poema medievale, e gli amanti si stagliano nettamente contro la foresta dei miasmi, contro i grattacieli e le mitragliatrici. Contro noi forsennati.
Interpreti e personaggi: Fay Wray (Ann Darrow), Robert Armstrong (Carl Denham), Bruce Cabot (John Driscoll), Frank Reicher (capitano Englehorn), Sam Hardy (Charles Weston), Noble Johnson (capo indigeno), Steve Clemente (stregone), Victor Wong (Charley), Paul Porcasi (Socrates), Merian C. Cooper (pilota), Ernest B. Schoedsack (artigliere).
Spécial 'King Kong', in "Midi-minuit fantastique", n. 3, octobre-novembre 1962 (con interventi di J. Boullet, J. Ferry et al.).
R. Dadoun, Le fétichisme dans le film d'horreur, in "La nouvelle revue de psychanalyse", n. 8, décembre 1972.
O. Goldner, G. Turner, The making of 'King Kong': the story behind a film classic, South Brunswick (NJ)-New York 1975.
G. Gow, The Cult Movies: 'King Kong', in "Films and filming", n. 244, January 1975.
L.G. Dunn, Creating film magic for the original 'King Kong', in "American cinematographer", n. 1, January 1977.
S. MacQueen, Old 'King Kong' gets face lift, in "American cinematographer", n. 1, January 1989.