Kolossal
Termine impiegato per indicare film spettacolari, ad alto costo, lanciati con grandi campagne promozionali e volti a colpire l'attenzione del pubblico per la loro imponenza produttiva. Non costituisce un vero e proprio genere a sé, ma può riguardare generi e formule differenti: dai film religiosi, storici o mitologici, tradizionalmente associati all'idea di k., ai film bellici, melodrammatici, fantasy, western. Nella sua storia, il k. è stato caratterizzato da una serie di aspetti ricorrenti: una durata del racconto spesso debordante rispetto ai canoni abituali; grandiose scene di massa; scenografie e costumi sfarzosi; racconti articolati su uno sfondo storico epocale; una narrazione strutturata attorno a una serie di scene madri, semplificate nei loro conflitti e imperniate su un forte impatto visivo; imponenti operazioni pubblicitarie che accompagnano l'uscita nelle sale e in certi casi anche innovazioni riguardanti la tecnologia, gli effetti speciali o la fruizione da parte del pubblico. Spesso, la produzione di un k. è legata anche ad argomenti propagandistici e nazionalisti, o viene utilizzata come strumento di autopromozione da parte di una cinematografia allo scopo di acquistare o conservare visibilità sulla scena internazionale.Il termine è utilizzato soprattutto in Italia, che è stata la patria del k. fin da quando, all'inizio degli anni Dieci, il cinema cercava di conquistare un pubblico più ampio e borghese attraverso spettacoli prestigiosi. Al 1913 risalgono Quo vadis? di Enrico Guazzoni o Gli ultimi giorni di Pompei di Eleuterio Rodolfi; del 1914 è Cabiria di Giovanni Pastrone, che ottenne l'apporto di Gabriele D'Annunzio per le didascalie e di Ildebrando Pizzetti per le musiche: sia questi contributi artistici, sia le particolarità linguistiche adottate (i famosi carrelli) e il soggetto scelto (la romanità, l'espansione coloniale in Nord Africa) fecero del film di Pastrone un veicolo delle ambizioni italiane dell'epoca, coronato da un grande successo internazionale. Sulla sua scia, David W. Griffith realizzò negli Stati Uniti The birth of a nation (1915; La nascita di una nazione) e Intolerance (1916), contribuendo a una pratica del k. che si diffuse ampiamente nel corso degli anni Venti, continuando a privilegiare gli argomenti storici o religiosi: Cecil B. DeMille diresse The ten commandments (1923; I dieci comandamenti); Fred Niblo girò Ben Hur (1925); l'industria italiana in crisi post-bellica cercò di rilanciarsi con nuove versioni di Quo vadis? (1924) di Gabriellino D'Annunzio e Georg Jacoby e Gli ultimi giorni di Pompei (1926) di Amleto Palermi e Carmine Gallone; Abel Gance realizzò in Francia l'imponente Napoléon (1927), della durata di quasi quattro ore, con scene simultanee proiettate su tre schermi contemporaneamente (mentre in Germania Metropolis, 1927, di Fritz Lang rappresentò le minacce della società contemporanea ricorrendo alla fantascienza). L'avvento del sonoro ridimensionò solo momentaneamente questo gigantismo, e negli anni successivi tendenze kolossal si imposero sia all'interno del sistema hollywoodiano dei generi, puntando anche sulla grandiosità di avventure, passioni, catastrofi ambientate in epoca più recente (San Francisco, 1936, di W.S. Van Dyke; In old Chicago, 1938, L'incendio di Chicago, di Henry King; Gone with the wind, 1939, Via col vento, di Victor Fleming), sia nelle altre cinematografie: dalla Francia (Les misérables, 1933, I miserabili, di Raymond Bernard) alla Germania (Münchhausen, 1943, Il barone di Münchausen, di Josef von Baky), all'Italia, dove il fascismo tentò di celebrare la storia romana e nazionale con produzioni di ampio respiro (Scipione l'Africano, 1937, di Gallone).
Una svolta nella storia del k. si ebbe con gli anni Cinquanta, quando la concorrenza della televisione spinse a produrre un numero crescente di film in grado di accentuare la spettacolarità delle proiezioni cinematografiche rispetto al piccolo schermo. Il genere privilegiato continuò a essere quello religioso, il cui periodo di maggior importanza cadde proprio tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Sessanta. A dare il via fu ancora una volta l'Italia, con Fabiola (1949) di Alessandro Blasetti, subito seguito da Samson and Delilah (1949; Sansone e Dalila) di DeMille e quindi da una lunga serie di titoli, caratterizzati da un crescendo spettacolare: Quo vadis (1951; Quo vadis?) di Mervyn LeRoy, David and Bathsheba (1951; Davide e Betsabea) di H. King, The robe (1953; La tunica) diretto da Henry Koster, The ten commandments (1956; I dieci comandamenti) sempre di DeMille, Ben Hur (1959) di William Wyler, King of kings (1961; Il re dei re) di Nicholas Ray, Barabba (1961) di Richard Fleischer, The greatest story ever told (1965; La più grande storia mai raccontata) di George Stevens, La Bibbia (1966) di John Huston. The robe servì anche da veicolo per il lancio del Cinemascope, un formato che con le sue grandiose dimensioni caratterizzò a lungo il k.; Cinecittà divenne, inoltre, una capitale di questo tipo di film, dove le ricche produzioni o coproduzioni statunitensi furono affiancate dai peplum italiani, che riproducevano la struttura del k. in un contesto più economico. Oltre ad argomenti biblici e religiosi, a essere privilegiati dal k. furono prestigiosi soggetti letterari (War and peace, 1955, Guerra e pace di King Vidor; dal romanzo di L.N. Tolstoj venne tratto anche Vojna i mir, 1965-1967, Natascia ‒ L'incendio di Mosca, versione di oltre quattro ore diretta da Sergej F. Bondarčuk), esotici (55 days at Peking, 1963, 55 giorni a Pechino, di N. Ray), epico-storici, come il potente e barbarico The Vikings (1958; I Vichinghi) di Fleischer o il polacco Faraon (1966; Il faraone) di Jerzy Kawalerowicz, ma anche vicende riguardanti fatti più recenti, come Exodus (1960) di Otto Preminger sulla nascita dello stato di Israele, Judgment at Nuremberg (1961; Vincitori e vinti) di Stanley Kramer sul processo di Norimberga, The longest day (1962; Il giorno più lungo) di Andrew Morton, Ken Annakin, Bernard Wicki e Gerd Oswald sullo sbarco in Normandia, Paris brûle-t-il? (1966; Parigi brucia?) di René Clément sulla liberazione di Parigi, Tora! Tora! Tora! (1970) di Fleischer, Masuda Toshio e Fukasaku Kinji sull'attacco a Pearl Harbor. Numerosi anche i k. imperniati su personaggi storici o leggendari: dall'Ulisse (1954) di Mario Camerini, fino al Cristoforo Colombo di Ridley Scott, 1492: conquest of Paradise (1992; 1492 ‒ La scoperta del Paradiso) o al disastroso Christopher Columbus: the discovery (1992; Cristoforo Colombo: la scoperta) di John Glen, quando la ricorrenza del cinquecentenario della scoperta dell'America provocò la rivalità fra produzioni concorrenti.Bisogna d'altronde ricordare come i k. si siano spesso rivelati non solo grandi successi ma anche flop devastanti che, accompagnati da una crescita incontrollata dei costi di produzione, causarono o rischiarono di provocare fallimenti clamorosi. Tra i casi più celebri, Il gattopardo (1963) di Luchino Visconti e Cleopatra (1963) di Joseph L. Mankiewicz; oppure Sodom and Gomorrah (1962; Sodoma e Gomorra) di Robert Aldrich, e in seguito Heaven's gate (1980; I cancelli del cielo) di Michael Cimino, Dune (1984) di David Lynch, Revolution (1985) di Hugh Hudson. Esistono al tempo stesso molte personalità del cinema la cui immagine è rimasta in buona parte legata proprio alla produzione di k., come, tra i registi, DeMille (che varia dai soggetti biblici al western: The plainsman, 1937, La conquista del West; Unconquered, 1947, Gli invincibili) e David Lean (Lawrence of Arabia, 1962, Lawrence d'Arabia; The bridge on the river Kwai, 1957, Il ponte sul fiume Kwai; Doctor Zhivago, 1965, Il dottor Zivago); tra i produttori, David O. Selznick (Gone with the wind), Darryl F. Zanuck (The longest day), Samuel Bronston (El Cid, 1961, e The fall of the Roman empire, 1964, La caduta dell'impero romano, entrambi di Anthony Mann; 55 days at Peking) o Dino De Laurentiis (La Bibbia; Waterloo, 1970, di Bondarčuk; Dune; King Kong, 1976, di John Guillermin); tra gli attori, Charlton Heston (basti citare Ben Hur) o Victor Mature (tra gli altri film The robe).
Una seconda svolta nella storia del k. si ebbe a partire dalla metà degli anni Settanta, quando la rinascita di Hollywood si sviluppò attraverso una serie di superproduzioni che ostentavano la loro ricchezza sfarzosa, ponendosi anche su un terreno apertamente metacinematografico. Una sorta di riflessione sul k. è, per es., tutto il filone catastrofico che s'impose a metà del decennio, con titoli come The towering inferno (1974; L'inferno di cristallo) di Guillermin che ripresero in termini contemporanei alcuni topoi del cinema epico-mitologico e li svilupparono come celebrazione dello spettacolo cinematografico in sé, recuperando anziane star: in questo modo, il filone si propose come cimitero simbolico della vecchia Hollywood e luogo di rinascita della sua vocazione spettacolare. Molti registi di primo piano della nuova generazione si misurarono con questo rilancio di grandi produzioni: da Francis Ford Coppola (The god-father, 1972, Il padrino; Apocalypse now, 1979; The Cotton club, 1984, Cotton club) a George Lucas (Star wars, 1977, Guerre stellari), da Steven Spielberg a Michael Cimino, che tuttavia incontrarono due clamorosi insuccessi commerciali proprio con i loro film intesi in termini più esplicitamente grandiosi (rispettivamente 1941, 1979, 1941 ‒ Allarme a Hollywood, e Heaven's gate). Da allora la realizzazione di k. tese a diventare sempre più una pratica corrente del sistema hollywoodiano, progressivamente incentrato su produzioni ad alto budget e ad altissimi costi promozionali, affidate preferibilmente a registi in grado di dimostrarsi innanzitutto efficienti amministratori di complesse operazioni economiche. La politica del blockbuster sconfinò così, in molti casi, nell'aggiornamento del vecchio k., offrendo però una serie di innovazioni: i film-evento ispirati agli eroi dei fumetti, un tempo portati sullo schermo in produzioni minori e dalla fine degli anni Settanta al centro di costosissime operazioni pop (Superman, 1978, di Richard Donner; Batman, 1989, di Tim Burton; Spider-man, 2002, di Sam Raimi); il modello sempre più diffuso del videogame, che ha dato origine anche a film ad alto costo ispirati direttamente ai videogiochi; le saghe fantascientifiche o fantasy, culminate nell'operazione di The lord of the rings (2001-2003; Il signore degli anelli), tre film di tre ore ciascuno diretti come un'unica opera da Peter Jackson a partire dal romanzo di J.R.R. Tolkien. Ma permangono k. d'argomento tradizionale, che vanno dal recupero del peplum (Gladiator, 2000, Il gladiatore, diretto da R. Scott) al melodramma bellico (Pearl Harbor, 2001, di Michael Bay), al catastrofico e allo storico, rappresentati da due esempi straordinari di k. d'autore: Titanic (1997) di James Cameron e Gangs of New York (2002) di Martin Scorsese, quest'ultimo girato a Cinecittà come i k. degli anni Cinquanta.Anche le cinematografie europee hanno continuato a produrre k., ritenendo necessario fronteggiare la supremazia commerciale statunitense sul terreno del grande spettacolo. L'inglese Richard Attenborough è così diventato per molto tempo uno specialista del settore, spaziando come regista dal bellico (A bridge too far, 1977, Quell'ultimo ponte) al genere biografico (Young Winston, 1972, Gli anni dell'avventura; Gandhi, 1982); tra gli italiani, oltre a Sergio Leone (Once upon a time in America, 1984, C'era una volta in America) o Giuseppe Tornatore (La leggenda del pianista sull'oceano, 1998), va segnalata la particolare propensione al k. da parte di Bernardo Bertolucci (Novecento, 1976; The last emperor, 1987, L'ultimo imperatore; Little Buddha, 1993, Piccolo Buddha). Sempre più spesso, inoltre, le nazioni europee hanno puntato su costose coproduzioni, attingendo al patrimonio letterario (esemplare Der Name der Rose, 1986, Il nome della rosa, di Jean-Jacques Annaud), anche se la distanza tra il k. cinematografico e la superproduzione televisiva paradossalmente si fa talvolta breve. Infine, sono cominciati a giungere nelle sale occidentali k. di cinematografie tradizionalmente emarginate dal mercato, come l'indiano Lagaan-Once upon a time in India (2001; Lagaan) di Ashutosh Gowariker. L'enfasi spettacolare del k., del resto, se da una parte sconfina spesso in effetti deteriori, dall'altra rimanda a una grandiosità trascinante che fa parte della tradizione cinematografica e attira l'attenzione di autori prestigiosi: è stato inoltre osservato come, accanto a opere tronfie e vacue, la pratica del k. sia sfociata in film importanti, capaci di rappresentare un'epoca grazie alla loro ambizione. Nonostante certe sue caratteristiche appaiano sempre più datate, quindi, il k. occupa ancora una posizione centrale nel sistema cinematografico degli inizi del 21° sec., che vede la progressiva riduzione delle produzioni medie e punta sempre più sull'impatto di singoli film-evento.
J. Cary, Spectacular! The story of epic films author, London 1974 (trad. it. Milano 1975); G.A. Smith, R. Harrison, Epic films: cast, credits and commentary on over 250 historical spectacle movies, Jefferson 1991; S. Klawans, Film follies: the cinema out of order, New York 1998.