Ichikawa, Kon
Regista giapponese nato a Ujiyamada il 20 novembre 1915. Appartenente alla generazione dei registi che hanno iniziato l'attività nel secondo dopoguerra, I. si è distinto da Kurosawa Akira, Kinoshita Keisuke e Kobayashi Masaki per una maggiore ecletticità, una propensione ai modi della commedia acre e pungente, spesso intrisa di cinismo e humour nero e per il frequente ricorso a grandi opere della letteratura giapponese moderna e contemporanea. Pur legato a modelli di rappresentazione classica, in varie occasioni si è messo in luce per l'originalità delle soluzioni espressive, in particolare nell'uso dello schermo panoramico, della profondità di campo e del colore. In Occidente I. è conosciuto per i suoi due film sulla Seconda guerra mondiale, Biruma no tategoto (1956; L'arpa birmana) e Nobi (1959; Fuochi nella pianura), il primo dei quali fu presentato nel 1956 al Festival di Venezia, dove ottenne il Premio San Giorgio e una menzione speciale. Nel 1960 con Kagi (1959, La chiave) vinse al Festival di Cannes il Premio speciale della giuria.
Appassionato di disegno, dopo aver studiato presso un istituto tecnico di Osaka, I. entrò negli studi della compagnia JO che, nel 1938, sarebbe confluita nella Tōhō. Si occupò inizialmente di animazione, ma fu poi incluso nel gruppo degli assistenti alla regia. Nel 1946 realizzò il suo primo lavoro, Musume Dōjōji (La ragazza del tempio Dōjō), un film di marionette ispirato alla tradizione del teatro bunraku, che il regista considera a tutt'oggi uno dei suoi film più riusciti. Nei primi anni Cinquanta, il nome di I. era soprattutto legato a una serie di commedie noir, memori di certa lezione hollywoodiana, in cui il regista affrontava anche temi di carattere sociale (come la rinascita del militarismo in Pū san, 1953, Il signor Pū), oltre a dipingere una serie di caricature assai velenose (come nel variegato mondo di Okuman chōja, 1954, Il miliardario). Nel 1955 con Kokoro (Il cuore), tratto da un romanzo di Natsume Sōseki, storia dell'amicizia fra uno studente e un uomo maturo, inaugurò una serie di notevoli adattamenti di grandi opere letterarie, avvalendosi della collaborazione della moglie e sceneggiatrice Wada Natto. Seguirono così, fra gli altri, Nihonbashi (1956), da Izumi Kyōka, Shokei no heya (1956, La stanza della punizione) da Ishihara Shintarō, Enjō (1958, Conflagrazione) da Mishima Yukio, Kagi da Tanizaki Jun'ichirō e Hakai (1962, Il comandamento infranto) da Shimakazi Tōson.
Furono però soprattutto i due film antimilitaristici del periodo, Biruma no tategoto e Nobi, a dare un respiro internazionale al cinema del regista. Il primo narra la storia di un soldato che, dopo la fine della guerra, decide di non tornare in patria e, indossato il saio di un monaco buddista, seppellisce i cadaveri lasciati sui campi di battaglia; il secondo, tratto da un romanzo di Ōoka Shōhei, è incentrato su un gruppo di soldati che, per sopravvivere alla fame, si dà al cannibalismo. In quegli stessi anni, i più felici del cinema di I., il regista fornì ulteriore prova del suo eclettismo con Yukinojō henge (1963, La vendetta di un attore), una moderna rilettura del teatro kabuki a ritmo di jazz, in cui sono sfruttate a fondo le possibilità espressive dello schermo panoramico e del colore; con Taiheiyō hitoribotchi (1963, Solo nel Pacifico), sull'avventura solitaria di un uomo in mezzo all'oceano; e con Tōkyō orinpikku (1965; Le olimpiadi di Tokyo), una rappresentazione assai personale e priva di retorica dei giochi olimpici e del mondo dello sport.
Successivamente I. smarrì la sua vena creativa e, pur continuando a dirigere un gran numero di film di ogni tipo e genere, alcuni dei quali interessanti, non ritrovò la continuità del periodo a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Dell'ultima fase della sua carriera, si può ricordare il successo commerciale di Inugami ke no ichizoku (1976, La famiglia Inugami), da un romanzo giallo di Yokomizo Seishi, popolare autore di mistery più volte adattati per il cinema; Sasame yuki (1983, Neve sottile), dal capolavoro di Tanizaki; il remake di Biruma no tategoto (1985); una sontuosa versione dell'epica del Chūshingura (Il forziere dei vassalli fedeli), Shijūshichinin no shikaku (1994, I quarantasette rōnin); e il jidaigeki Dora Heita (1999), storia di un magistrato dell'epoca Tokugawa in lotta contro la malavita organizzata.
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