KOUROS e KORE
1 (Κούρος). - Nella letteratura d'arte antica il termine k. ha sostituito completamente l'altro altrettanto approssimativo di "Apollini" a indicare la statua virile nuda stante dell'età arcaica. k. di conseguenza sta a significare quella raggiunta monumentalità nella statuaria, quale è documentata a partire dalla seconda metà del VII sec. a. C. Ma, innanzi tutto, la nascita e lo sviluppo di questo tipo formale illustra meglio di ogni altro fatto quella intensa concentrazione della plastica greca sulla figura virile, scelta come tema primo ed essenziale di ogni sua espressione. All'idea di k. rimane estranea qualsiasi azione, qualsiasi movimento, persino la presenza di attributi troppo voluminosi e tali che ne alterino l'equilibrio formale. Tutt'al più le braccia lievemente contratte dei gemelli Kleobi e Bitone di Delfi (v. delfi; polymedes) suggeriscono o implicano l'azione del trarre il carro della madre sacerdotessa di Hera, azione pietosa che ha come conseguenza la loro eroizzazione. Si tratta quindi di una immagine plastica che non si appoggia ad alcun pretesto di azione o di "racconto" e che viene invece unicamente giustificata da un intimo equilibrio di forme, dalle armonie e dai sottili contrappesi di un corpo fiorente e perfetto. Risultato, seppure non il motore primo di questo stato di cose, è quel senso di presenza magica e quasi ossessionante che costituisce il supremo segreto dell'arcaismo greco (v. greca, arte).
Come è noto, la concezione della figura virile eretta e rigida in una sorta di immanenza statica e allo stesso tempo carica di energie vitali rappresenta, già nei suoi inizî, un punto di arrivo, una semplificazione già estremamente adulta dalle infinite, liberissime esperienze formali della piccola plastica geometrica e subgeometrica. E non è da escludere che alla base di questa riconquistata semplicità di struttura sia non tanto l'influenza di schemi formali egiziani, come alcuni hanno voluto, quanto le necessità della nuova tecnica marmorea, l'impegno di ritrovare una figura umana chiaramente e semplicemente scandita entro un blocco di marmo.
Come conseguenza, per circa un secolo e mezzo la scultura greca ebbe a proporsi il tema della figura umana come motivo centrale, ricercando appassionatamente le armonie formali di un corpo giovane e perfetto sino a farne la suprema offerta agli dèi e in termini moderni la più alta espressione dell'arte.
Questa oscura, istintiva tendenza a quasi divinizzare il corpo umano, unita al bisogno di dare dimensioni umane alle idee e alle personalità divine hanno contribuito ugualmente al predominio del tipo del k. nella plastica dell'arcaismo. Come è noto con minime variazioni di tono o semplicemente per effetto di una iscrizione questo può rappresentare un dio, un eroe o un mortale. Koùroi colossali sono stati rinvenuti anche in santuarî di divinità femminili come l'Heraion di Samo, e, di dimensioni naturali, sull'Acropoli.
Il considerevole numero di esemplari che si sono venuti a raccogliere permette sino a un certo punto di seguirne lo sviluppo sino al margine dell'età severa. Ma non sarà mai abbastanza ripetuto quanto pericoloso possa essere l'astrarre questo tema plastico dal fluire vitale delle esperienze artistiche delle varie scuole scultoree della Grecia.
In territorio ionico esistono esempî di figure stanti drappeggiate che per estensione di termini si continua a chiamare koùroi. In realtà l'unica aggiunta che appare legittima al corpo nudo giovanile è la mitra cretese che fasciando il punto di vita impone un'energica cesura orizzontale e accentua la snellezza delle figure.
Il tipo del k. viene a cessare intorno al 480 a. C. con figure del tipo del Giovinetto di Kritios (v.) dell'Acropoli. Il corpo umano appare oramai soggetto alle leggi di gravità e vive liberamente nelle condizioni dell'aria, il k. perfetto e immobile, omphalòs dell'universo come voleva L. Curtius, ha cessato la sua funzione.
Bibl.: W. Deonna, Les Apollons archaïques, Parigi 1909; A. Della Seta, Il nudo nell'arte, Milano 1930; L. Curtius, Interpretationen, Berna 1947, p. 11; E. Homann Wedeking, Die Anfänge der griechischen Plastik, Francoforte s. M. 1950; G. M. A. Richter, Kouroi, Londra 1960.
2 (Κόρη). - Il vocabolo che corrisponde a "la giovinetta, la fanciulla" e che ha anche il valore di "la vergine" e "la figlia", è per gli antichi appellativo comune di certe divinità femminili, innanzi tutto Persefone, Atena e le ninfe. Nella letteratura d'arte antica peraltro il termine è impiegato correntemente a indicare la costituzione e la ripetizione di un tipo plastico femminile astratto, il contrapposto del koùros, anonimo e nello stesso tempo suscettibile di svariate interpretazioni.
L'origine occasionale del termine si ebbe nei ritrovamenti spettacolari di decine e decine di figure marmoree femminili, più o meno frammentarie e tutte mdeterminate, negli scavi della colmata persiana sull'Acropoli. Nella varietà di opinioni avanzate, se esse rappresentassero Atena o altra divinità oppure delle offerenti, il nome più semplice e indeterminato di kòrai prevalse e restò a designare la statua femminile stante dell'arcaismo medio e recente. Se infatti alcuni studiosi, come Ch. Picard, impiegano il termine a indicare qualsiasi statua femminile arcaica, l'accezione più comune ne limita la validità alla statua in abito ionico dagli svariati andamenti obliqui, o a immagini contemporanee ed equivalenti nello spirito come la Kore in peplo n. 679.
In sostanza k. è la statua femminile tipica e anonima dell'età arcaica, che un attributo recuperato o qualsiasi altro processo di identificazione può trasformare in una dea, un' eroina o una offerente. Alla base di questo concetto vi è la persuasione che l'artista greco, al di là degli interessi rappresentativi immediati, si proponesse, magari inconsciamente, l'elaborazione di un tipo umano stabile e perenne. Anche senza riconoscere la validità assoluta di questo modo d'intendere, la critica moderna ammette l'importanza di questi continui riferimenti a un tema formale stabile e astratto nella stessa varietà delle formulazioni. Nell'estrema reticenza espressiva dell'arte greca dell'arcaismo null'altro che minime indicazioni esteriori quali gli attributi, il gesto, o vaghissime coloriture di intonazione più intima servono a differenziare le personalità divine o umane. Latona, la madre, e Artemide, la sorella, si dispongono parallele e indistinguibili accanto ad Apollo, a partire dagli sphyrèlata di Dreros (v. bronzo; sphyrelation) sino al frontone del tempio degli Alcmeonidi a Delfi (v.). Di conseguenza il termine indeterminato di k. è appropriato a illustrare quel substrato fisso e costante che la vivificatrice ispirazione degli scultori greci interviene a modificare e a colorire secondo le esigenze del momento per trarne le immagini delle divinità e delle offerenti.
L'impiego di una forma femminile astratta, non appoggiata ad alcuna intenzione rappresentativa precisa, come le Cariatidi che in alcuni edifici vengono a sostituirsi alle colonne, sembra confermare questo peculiare atteggiamento dello spirito ellenico. Non sarà quindi senza significato che le fanciulle della loggetta dell'Eretteo venissero chiamate Kòrai.
Bibl.: T. Homolle, De antiquissimis Dianae simulacris, Parigi 1885; H. Lechat, Au Musée de l'Acropole, Lione 1903, p. 264; G. Dickins, Catalogue of the Akropolis Museum, Cambridge 1912, p. 32; E. Langlotz, Die archaischen Marmorskulpturen der Akropolis, Francoforte 1939, p. 7 ss.