Im, Kwon Taek
Regista cinematografico coreano, nato a Chăngsong (Chölla meridionale), nella parte meridionale della Corea del Sud, il 2 maggio 1936. Cineasta versatile e prolifico, autore di circa cento film realizzati a partire dagli anni Cinquanta, I. è uno dei registi di spicco della cosiddetta nouvelle vague coreana, in grado di attraversare i generi e di spingersi nei territori della politica, della storia e della religione. Nel 2002 ha vinto (ex aequo) il premio per la regia al Festival di Cannes per Chihwaseon (Ebbro di donne e di pittura).
Terminati gli studi alla Scuola superiore Sungil di Kwangju, I. si recò a Pusan, dove lavorò dapprima come operaio edile e successivamente decise di aprire un laboratorio specializzato nella trasformazione degli stivali militari americani in scarpe per il mercato interno. Fallite le sue aspirazioni imprenditoriali, si avvicinò al cinema nel 1956 quando, trasferitosi a Seoul, iniziò a lavorare come assistente alla regia. Dopo alcuni anni firmò il suo primo lavoro, Dumanganga jal itgora (1962, noto come Farewell to the Duman river), un film sulla resistenza contro l'occupazione giapponese che ottenne un grande successo, aprendo a I. le porte di un'industria cinematografica in fervente crescita anche se completamente dominata dalle case di produzione. I suoi esordi risultano legati al cinema di largo consumo, alla realizzazione di opere commerciali espressamente rivolte a quel pubblico che assiduamente affollava le sale cinematografiche coreane. Si trattava, nella maggior parte dei casi, di film d'azione, melodrammi, film di guerra, opere storiche di stampo hollywoodiano, la cui lavorazione non durava mai più di tre mesi. Poco è rimasto di questo periodo intenso e fruttuoso (molti, infatti, sono i film andati perduti), durante il quale il regista pose le basi di un percorso creativo, fondato principalmente sul recupero della tradizione culturale del proprio Paese. Questo tema, caro al regista, è stato da lui ripreso in Chunyang (2000, noto come Le chant de la fidèle Chunyang), ispirato a un'antica leggenda orale più volte rivisitata dalla letteratura, dal cinema e dalla televisione. All'inizio degli anni Settanta si assistette a una svolta importante nella sua carriera, legata alla volontà di descrivere i problemi e i drammi della vita reale, che trovò la prima espressione in Jabcho (1973, noto come The deserted widow), film prodotto in economia di mezzi dallo stesso I. e ispirato alla vita di sua madre. L'operazione, che fu un insuccesso commerciale, servì tuttavia a conferire la necessaria credibilità al regista, soprattutto agli occhi della critica. Il prestigio conquistato dal regista consentì che nel successivo Jung on (1973, noto come The testimony) venissero impiegati ingenti capitali messi a disposizione dalla Korean Motion Picture Promotion Corporation. I. raggiunse, però, la piena maturità di linguaggio e di stile con Chokpo (1978, noto come Genealogy). Ambientato negli anni Quaranta, durante l'occupazione giapponese, è la storia di un uomo che, di fronte all'obbligo di assumere un cognome giapponese, sceglie il suicidio pur di mantenere integro l'onore. Lo sfruttamento e la corruzione sono al centro di film come Ticket (1986), Sibaji (1987, noto come Mère porteuse) e Adada (1988), dove i temi della prostituzione, dell'oppressione della donna e dell'avidità di denaro sono raccontati con sguardo profondamente critico nei confronti di una società che non considera il valore dell'uguaglianza fra gli esseri umani. Anche la religione e la spiritualità, intese nelle forme più diverse, costituiscono temi cari al regista coreano che ha dedicato al buddismo due film di grande fascino: Mandala (1981, noto come Deux moines), tratto dal romanzo autobiografico di un ex monaco e primo film di I. ad aver riscosso un successo internazionale, e Aje, aje, bara aje (1989, noto come Come come come upward), in cui al buddismo professato dai monaci che vivono isolati sulle montagne alla ricerca del Nirvana si contrappone quello della gente comune. Con Pul-ui Ttal (1983, noto come Daughter and the flames) si ritorna all'antica tradizione dello sciamanesimo raccontata attraverso le vicende di un giornalista che ripercorre la storia della madre, scomparsa dopo essere stata accusata di stregoneria. Nonostante la prolifica filmografia, I. ha trovato il riconoscimento internazionale soltanto a partire dagli anni Ottanta grazie all'attenzione dimostrata da alcuni festival internazionali. In particolare, grande successo ha ottenuto Chihwa-seon, incentrato sulla vita di Jang Seung Up, un celebre pittore coreano del 19° secolo.
Il cinema sudcoreano, a cura di A. Aprà, Venezia 1992, passim.