Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Tra il Cinquecento e il Seicento i riformatori passano da una fase di forte polemica contro le strutture e i dogmi della Chiesa cattolica a una fase di strutturazione interna che li conduce, in breve, verso la formulazione di una propria ortodossia. Nell’ambito di questo processo la Chiesa protestante si farà portavoce di nuovi valori ricorrendo però, all’occasione, a metodi repressivi.
La spinta rivoluzionaria che ha generato e sostenuto luteranesimo e calvinismo si esaurisce nella seconda metà del XVI secolo dando luogo a un compiuto e organico sistema dogmatico e religioso; il Liber concordiae del 1580 – che raccoglie il catechismo di Lutero, la Confessio augustana e gli articoli di Smalcalda – vincola due terzi dei protestanti tedeschi e definisce compiutamente la nuova linea interpretativa del cristianesimo.
L’ortodossia suscita lo spettro della “diversità”, ritenuta una manifestazione di rifiuto e di opposizione alla Verità religiosa. Coloro che un tempo sono stati considerati eretici, perché in disaccordo con quella che si riteneva la sola vera Chiesa, ora proclamano e professano la fedeltà a un’altra struttura, a un’altra Chiesa, ancora una volta vista come l’unica dotata di legittimità, e colpiscono gli avversari con la stessa accusa di eresia e di falsità.
Anche nel mondo protestante, come in quello cattolico, si fa strada l’idea (tradizionale, ma ora più forte per la rottura dell’unità cristiana) che alla differenza religiosa corrisponda un dissenso globale, che investe cioè l’ordine costituito religioso, politico e sociale. Pertanto non esiste lotta religiosa che non abbia risvolti politici e che non sia, come sanno bene i principi, guerra di religione.
Questa concezione, espressa già dalla pace di Augusta (1555) e riassunta nella formula cuius regio eius religio, è d’altra parte confortata da un apparato normativo che, se anche non riesce ad annullare completamente inevitabili deviazioni nel campo della fede e della morale, pure incide in modo talmente profondo da determinare una significativa capacità di controllo politico da parte dello Stato: non esiste un solo paese luterano al cui interno sorgano movimenti antimonarchici.
D’altra parte i puritani (minoranza che, seppure anch’essa non estranea a discriminazioni contro i cattolici e contro chi, come i Levellers, si fa portavoce di istanze “eccessivamente” democratiche, si batte per l’accettazione del principio di “tolleranza”) adottano un’idea di Stato che, prevedendo forti limitazioni e concrete condizioni all’estensione del potere supremo si contrappone alle teorie assolutistiche proclamando la necessità che lo Stato, sia esso monarchico o repubblicano, serva i cittadini e non viceversa.
La ricerca ossessiva dell’ortodossia introduce, con il tempo, nelle teologie luterana e calvinista, un carattere di scolasticismo (cioè di razionalismo e logica esasperati) che predispone all’accettazione delle scoperte scientifiche e delle nuove concezioni cosmologiche. Ciò che però sperimentano, in modo diretto ed evidente, i contemporanei è la soffocante pressione dell’apparato ideologico intorno al quale disputano solo i più esperti, creando di nuovo la separazione tra depositari del sapere e passivi fruitori di esso.
Le ortodossie luterana, calvinista e anglicana presto elaborano, anche se con inevitabili differenziazioni, modelli di comportamento del buon cristiano estremamente minuziosi, che intendono porre dei limiti alle manifestazioni religiose di carattere popolare. Frequentare con assiduità il culto domenicale, entrare per primo e uscire per ultimo dall’assemblea, leggere le Sacre Scritture e ricevere coscienziosamente i sacramenti, condurre una vita sobria e morigerata dedita al lavoro, la cui prosperità è sicuro indizio della grazia divina, divengono imperativi cui è impossibile sottrarsi nell’atmosfera di crescente conformismo di questa età.
A differenza dei cattolici, che puntano all’osservanza dei sette sacramenti e alla mediazione del sacerdote tra il fedele e Dio, i riformati accentuano il carattere diretto del rapporto tra il credente e il divino, senza peraltro trascurare la presenza della famiglia e della comunità. La lettura quotidiana della Bibbia, ad esempio, è occasione di un culto domestico cui partecipano tutti i membri della famiglia – anche i più giovani e la servitù –, guidato dal padre che legge i versetti, seguiti poi da canti e preghiere. Sempre il padre, incaricato di un vero e proprio magistero familiare, recita il ringraziamento prima dei pasti.
Anche la partecipazione ai momenti collettivi è estremamente importante, soprattutto presso i calvinisti, che più degli altri riformati credono nella necessità di inquadrare i credenti in una struttura che li trascenda e, allo stesso tempo, ne aiuti e ne controlli la fedeltà a Dio. A differenza dei cattolici, però, il coinvolgimento dei protestanti nelle pratiche di gruppo non elimina la natura individualistica della religiosità e del destino di salvezza di ciascun fedele.
L’elaborazione di codici di comportamento va d’altronde di pari passo con la strutturazione delle Chiese e con l’azione dei principi, soprattutto calvinisti, che impongono loro un ordinamento assai preciso, fino a trasformarle in Chiese di Stato totalmente soggette al potere politico, come nel caso di quella presbiteriana. Gli Atti di uniformità della Chiesa anglicana del 1559 e del 1662, ad esempio, identificando lealtà politica e obbedienza, impongono l’adeguamento dei sudditi alla fede calvinista, e arrivano a stabilire, con i Trentanove articoli, un’interpretazione univoca delle questioni dogmatiche e religiose.
Ma uno dei più laceranti dilemmi del cristianesimo di questa epoca, tanto cattolico, quanto riformato, riguarda il rapporto tra la sovranità dell’uomo e il libero arbitrio. Su questo tema si discute accesamente e le frequenti dispute sono tante occasioni per meglio definire e ribadire l’ortodossia. Il sinodo di Dordrecht (1618), al quale partecipano centocinque teologi, ad esempio risolve, con una condanna senza appello delle ragioni degli arminiani, gli scontri tra questi e i gomaristi. Indicatore significativo delle connessioni tra autorità civile e religiosa, oltre che dell’ingerenza di quest’ultima negli affari politici, è il sostegno dato ai vincitori dalla fazione politica guidata da Maurizio di Orange-Nassau e da Giacomo I, anche in nome della salvaguardia della ortodossia ufficiale.
L’Olanda tuttavia non riesce a imporre una stretta ortodossia, e forse neppure vuole. D’altronde la situazione politica, di cui le controversie religiose sono veicolo e interprete, ha maggiore fluidità che altrove; la precoce affermazione dei gruppi mercantili e la grande attenzione rivolta alla prosperità del Paese rendono eccezionalmente dinamici i rapporti tra i ceti influenti portando spesso a superare di fatto i provvedimenti che in qualche modo rischiano di limitare la crescita economica: ad Amsterdam, ad esempio, già dal 1631 si ignora il decreto contro gli arminiani.
Ma l’iniziale persecuzione degli arminiani è solo una tra le manifestazioni dell’eliminazione violenta del dissenso religioso; a essa si accompagna l’esemplare caso di Miguel Serveto, medico spagnolo e libero pensatore, respinto da ogni parte dell’Europa per le sue idee eterodosse sulla Trinità, che, comparso a Ginevra, viene catturato, processato e condannato al rogo come eretico; o, in Inghilterra, la condanna (1612) degli eterodossi Edward Wightman e Bartholomew Legate, bruciati sui roghi di Lichfield e Smithfield. Questi eventi sono resi possibili anche dall’adozione di norme fortemente repressive che alzano il livello di trasgredibilità ideologica, così l’ Ordinanza contro la bestemmia del 1648, che prevede la pena di morte per tutti coloro che negano la divinità di Cristo, la dottrina della Trinità o l’esistenza della vita dopo la morte.
All’ortodossia si reagisce allora in più modi: si cerca, ad esempio, di superare il disorientamento religioso passando da una religione all’altra mantenendo la sola convinzione dell’esistenza di Dio, come è il caso eccezionale, ma significativo, di un ciabattino tedesco alternativamente luterano, monaco, pietista, cattolico e infine ebreo; oppure ammettendo con il mistico tedesco Jakob Böhme, che Dio ha abbandonato “la parola”, ora imprigionata nelle diverse confessioni, e che solo nel mondo naturale Egli può essere riconosciuto e adorato; o ancora riscoprendo (in modo sempre più consistente nel corso del secolo) l’importanza della natura.
Ma segno di una volontà di estraniazione dall’ortodossia è anche la proliferazione di nuove sette millenaristiche, più o meno partecipi anche di un radicalismo politico, e la rinascita del misticismo che, per esempio in Olanda, si esprime attraverso visioni chiliastiche. E ne esce favorita, inoltre, la ricerca individuale, anche per l’alto valore attribuito alla pietà del singolo, bene che trascende gli angusti confini di una Chiesa sola. Un diffuso estremismo colpisce, così, tutte le confessioni a causa delle forti tensioni religiose e sociali. La rigenerazione nella fede non basta a quanti cercano anche una vita che non conosca la miseria e la triste quotidianità, si tratti di contadini tedeschi e olandesi, di radicali puritani inglesi, o degli stessi ebrei che cominciano a vendere tutti i propri beni per seguire il messia Shabbatai Zevi in Terra Santa.
Affermare, però, che solo in queste forme si esprime la pietà individuale e collettiva sarebbe parziale e fuorviante: anche all’interno di convinzioni ortodosse c’è posto per manifestazioni di devozione e di pietismo altrettanto importanti, come attestano gli esempi, senz’altro molto significativi, dei teologi luterani Johann Valentin Andreae, Johann Arndt e del poeta protestante Paul Gerhardt.
Con la pace di Westfalia (1648) si conclude il periodo delle guerre di religione all’interno della Germania: si riconosce l’esistenza di tre confessioni religiose, la cattolica, la luterana e la calvinista e, almeno in forma retorica, il diritto di ciascuno a professare una religione diversa da quella del proprio sovrano. Si rinuncia pertanto a perseguire ulteriormente quel programma europeo di restaurazione religiosa e cattolica di cui si erano fatti accaniti paladini i gesuiti e gli Asburgo di Spagna e d’Austria. È una rinuncia che segna l’adesione a una concezione più laica del potere, il quale, forte di una maggiore sicurezza, può stabilire con la Chiesa un rapporto sempre meno sbilanciato a favore di questa.