L'Africa islamica: Libia
di Enrico Cirelli
La Libia si trova in quel vasto settore dell'Africa mediterranea compreso tra la Tunisia e l'Egitto. Il suo territorio, limitato da confini privi di un'identificazione morfologica, è occupato in gran parte dal deserto del Sahara e comprende a sud il Fezzan, su cui digradano le propaggini del Tibesti. La parte orientale del Deserto Libico, quasi completamente ricoperta da depositi sabbiosi e ghiaiosi, ha spiccate caratteristiche di pianura, anche se raggiunge, in alcune zone sud-orientali, alture di oltre 1800 m; a ovest sono invece predominanti tavolati rocciosi che raggiungono 600-700 m s.l.m. La fascia costiera centrale, bassa e sabbiosa, racchiude un ampio golfo, che prende il nome di Gran Sirte, mentre la regione orientale (Cirenaica) e quella occidentale (Tripolitania) presentano modeste formazioni montuose che limitano a ovest una ristretta pianura costiera. In questa fascia di territorio, la Gefara, si è potuto maggiormente concentrare il popolamento grazie alle sue condizioni favorevoli. Il clima molto arido, di tipo desertico, è caratterizzato da fortissime escursioni termiche e da venti caldi e secchi che soffiano dall'interno verso il mare. Le precipitazioni sono rare e non permettono la formazione di importanti corsi d'acqua. Molto frequenti sono invece i tracciati dei widyān, corsi fluviali sotterranei, quasi sempre asciutti in superficie. Molto più importante, per quel che riguarda le risorse idriche, è la falda acquifera i cui affioramenti superficiali favoriscono spesso la formazione di oasi. La vegetazione è di conseguenza molto rada e stepposa, quando non esistente, se si eccettuano alcune aree costiere e le oasi, dove il manto vegetale raggiunge livelli considerevoli.
Nel periodo islamico il Paese fu abitato principalmente da popolazioni arabo-berbere e fu caratterizzato da una densità demografica molto bassa a causa delle condizioni ambientali sfavorevoli. I nuclei del popolamento si concentrarono principalmente nelle due aree costiere più favorevoli, dove si trovano anche i centri urbani più importanti. La prima occupazione del Nord Africa da parte degli Arabi non ebbe un'importante ripercussione sulla composizione etnica o demografica delle vaste regioni conquistate. L'esercito musulmano e i pochi dignitari che lo seguivano tendevano generalmente a sovrapporsi alle culture preesistenti senza creare fratture e senza accelerare il processo di disgregazione del paesaggio antico. Ad esempio, il modello di città che si era imposto tra il IV e il VI secolo non solo perdurò, ma si amplificò con fenomeni di nuove fondazioni. Tale evidenza è stata più volte presentata per tutte le città della Cirenaica e per Sirte e Tripoli, che prese il posto di Leptis Magna nel primato economico e politico della regione. Una tappa verso questo processo di allontanamento dell'autorità centrale può essere stata segnata dal riassetto dato sul finire del VI secolo dall'imperatore Maurizio alle province africane con l'istituzione dell'esarcato di Cartagine. Probabilmente in questo momento decadde il ducato della Tripolitania, la cui sede era stata fissata a Leptis Magna per espressa volontà di Giustiniano.
La Cirenaica e la Tripolitania vennero conquistate dalle truppe arabe tra il 642 e il 662. Si trattava inizialmente di piccole scorrerie e solo in alcuni casi di conquiste stanziali, guidate da Amr ibn al-As, da suo nipote Uqba ibn Nafi e da Sharik ibn Sumay, che si spinsero oltre la Sirte, lungo la costa fino a Tripoli e nell'interno fino al Fezzan (dove il più importante centro carovaniero di Zawila fu fondato poi nel 918 dal berbero Ibn Khattab al-Hawwari). La Libia entrò dunque a far parte di quel vasto territorio, noto come Ifriqiya, solo nella seconda metà del VII secolo. I confini di questa regione nel IX secolo sono noti grazie alla linea di resistenza costruita da Ibrahim ibn al-Aghlab e dai suoi successori contro le aggressioni berbere, tulunidi e maghrebine. Il limes occidentale, costituito dal mare oltre il massiccio dei Kutama, ovvero la piccola Cabilia, passava a ovest di Sétif, comprendendo Arba (Msila), ultimo possedimento aghlabide da quel versante. Poco più a est il confine comprendeva Tobna, capoluogo dello Zab, e proseguiva inglobando Biskra e Tahuda, restringendosi verso la costa in una fascia che tendeva ad ampliarsi verso sud in corrispondenza del paese dei Nefusa, per concludersi 25 km a ovest di Barqa, in corrispondenza del territorio di Tocra, nella Pentapoli.
Le operazioni di conquista della Libia furono in realtà molto più complesse di quanto mostrino le fonti ufficiali arabe. Furono, ad esempio, impiegati nelle operazioni navali contingenti e navigli copti, se non addirittura gruppi di dissidenti monofisiti in disaccordo con le imposizioni religiose del governo centrale di Costantinopoli. Inizialmente anche alcune tribù berbere aiutarono le operazioni di conquista del territorio, come, ad esempio, nella regione di Leptis Magna, dove le autorità bizantine si trovavano in continuo conflitto con i gruppi dei Banu Luhan, insediati nella Tripolitania orientale e nella regione leptitana. Subito dopo, d'altronde, iniziò una forte e duratura resistenza, soprattutto nei territori più interni. Leggendaria, per certi versi, la resistenza dei Berberi della regione di Ghadames (ar. Ġdāms), guidata da una donna di nome Dihya, detta "la Profetessa" (ar. al-kāhina), che riuscì a imprigionare all'interno di sotterranei numerosi combattenti al seguito del glorioso Uqba. L'aiuto divino riuscì miracolosamente a porre in salvo lo stesso conquistatore, che si trovava in difficoltà per il forte caldo nei dintorni dell'oasi di Ghadames. Battendo con gli zoccoli sul terreno, la sua cavalla fece scaturire una polla d'acqua, conosciuta come Ain el-Fress e ancora oggi visibile.
Un evento fondamentale per la storia del Maghreb e di tutto il Dar al-Islam prese avvio proprio dal Gebel della Tripolitania, da dove i Berberi Zanata sostennero per primi il leggendario Abd Allah ibn Ibad, fondatore e promotore della dottrina ibadita, tra la fine del VII e gli inizi dell'VIII secolo, che rivendicava il diritto di ciascun musulmano a essere eletto alla carica di califfo. L'islamizzazione fu graduale e lenta, così come era avvenuto in passato con la diffusione del cristianesimo e ancora prima con la romanizzazione. Molto debole e contrastato fu certamente il controllo del territorio da parte delle autorità arabe, stanziate nelle città costiere, che continuarono a essere occupate almeno fino all'XI secolo, secondo modelli largamente studiati e conosciuti nell'Alto Medioevo occidentale: si tratta, come vedremo di seguito nel dettaglio, di città a isole, caratterizzate da piccoli agglomerati di case e strutture costruite nei dintorni di monumenti antichi abbandonati e trasformati per le nuove esigenze. Nelle aree rurali, i gruppi berberi insediati in piccoli villaggi fortificati furono in gran parte indipendenti e riuscirono a imporsi nelle regioni alle spalle del Gebel senza eccessivi problemi, almeno fino alla nascita dell'emirato aghlabide (800-909), sfruttando le risorse agricole dei widyān, ancora molto fertili, e le ricchezze del commercio trans-sahariano.
Quando nel 972 i Fatimidi lasciarono l'Ifriqiya per prendere il controllo dell'Egitto, la Tripolitania e la Cirenaica furono affidate a governatori ziridi, appartenenti a una famiglia del gruppo berbero dei Sanhagia, sostenitori dell'ismailismo fatimide. Agli inizi dell'XI secolo prese il potere a Tripoli e nella Tripolitania una famiglia locale: i Banu Khazrun, un ramo dei Berberi Zanata, che approfittarono del conflitto nato tra gli Ziridi e il califfo fatimide. Si conosce molto poco del periodo di governo di questo gruppo tribale della regione, a parte il fatto che essi riuscirono ad amministrare il traffico marittimo che costeggiava Tripoli e la Sirte e ad attirare le carovane provenienti dalle direttrici terrestri.
Le incursioni dei Banu Hilal e Sulaym nella metà dell'XI secolo, fenomeno noto come taġrība ("migrazione verso Occidente"), non sembrano avere determinato gli effetti catastrofici raccontati da Ibn Khaldun, anche se proprio nell'XI secolo la regione entrò gradualmente in una crisi economica profonda, da cui non riuscì a sollevarsi nei secoli successivi. È possibile, come sostiene M. Brett, che la trasformazione sia piuttosto da imputare al nuovo terminale del traffico carovaniero, rappresentato dal Cairo, o che la causa sia da cercare nel definitivo impoverimento delle risorse agricole, danneggiate dal nuovo regime agropastorale, come sostengono G. Barker e D. Gilberston grazie alle ricerche effettuate nell'ambito delle ricognizioni del predeserto, svolte sotto il patrocinio dell'UNESCO e del governo libico. Il sistema di sfruttamento del paesaggio cambiò radicalmente: da un modo di produzione agropastorale si passò a un sistema decisamente nomadico-pastorale. Bisogna inoltre considerare che l'invasione hilaliana fu, diversamente dalla prima conquista, un'occupazione demografica. Per la prima volta, infatti, un consistente numero di Arabi si insediò nell'Ifriqiya. Si tratta di popolazioni seminomadiche che istituirono un diverso regime di controllo del territorio e si interessarono solo raramente alle lotte per l'amministrazione dello Stato. È ormai, però, del tutto chiaro che fu un fenomeno indipendente dalla volontà fatimide di "punire" l'emirato ziride; il califfo ismailita sfruttò semplicemente la taġrība a fini propagandistici.
L'emirato khazrunide terminò secondo alcuni nel 1077, mentre secondo altri tra il 1095 e il 1146, periodo che vide le coste della Libia frequentemente razziate dai Normanni fino alla conquista di Tripoli. Pochi anni dopo, la città e il territorio furono riconquistati dagli Almohadi (dinastia maghrebina, 1130-1269), che riuscirono però a controllare la regione solo nominalmente. La Libia venne a dividersi in molti piccoli territori indipendenti, amministrati da comunità berbere o arabe, slegate fiscalmente da Tripoli e dalle altre città costiere. Nello stesso periodo si diffuse largamente in Africa settentrionale il sufismo e le comunità sufi divennero una forma fondamentale di organizzazione del territorio. L'autorità religiosa e la legittimità islamica dello Stato vennero riposte nei vari capi delle comunità sufi, che svolgevano un vero e proprio ruolo di mediazione sociale tra i funzionari dell'amministrazione dello Stato e la società rurale. La situazione rimase invariata agli inizi del XIV secolo quando gli Hafsidi, che affidarono il controllo militare della regione ai Berberi Hawara, stabilirono una loro residenza a Tripoli. Nel 1324 salirono invece al potere i Banu Thabit, che amministrarono direttamente anche Gharian e Zanzur nel territorio tripolino, fino al 1401. In questa data gli Hafsidi, sotto il comando del sultano Abu Faris, tornarono ad amministrare direttamente la regione. Il dominio del potente emiro dell'Ifriqiya sarebbe durato tuttavia solo fino al 1460, quando un altro capo berbero, Shaykh Mansur, si impadronì nuovamente di Tripoli. La maggiore risorsa del Paese fu, in questi decenni, la pirateria, vera e propria spina nel fianco del monopolio commerciale spagnolo nel Mediterraneo occidentale.
La Libia entrò nell'orbita ottomana all'inizio del XVI secolo, anche se prima di iniziare a far parte dei possedimenti turchi subì una breve conquista da parte della Spagna. Tripoli venne occupata nel 1510 dal comandante Pedro Navarra e affidata da Carlo V, nel 1535, ai cavalieri di Rodi, sotto il cui potere rimase fino al 1551. La regione fu posta in seguito sotto la dipendenza stabile di un governatore, eletto dall'imperatore ottomano, che risiedeva a Costantinopoli. Il pascià (ar. bašā) amministrava la regione attraverso un sistema contributivo controllato da giannizzeri e da rappresentanti delle tribù berbere sufi, che garantirono, almeno in parte, l'ordine politico e l'amministrazione della giustizia islamica. In questi secoli, a causa dell'inefficace gestione delle risorse e delle proprietà, la Libia subì un processo di regressione radicale. La frammentazione della regione in piccoli distretti autonomi di pertinenza delle kabilāt determinò la nascita di abitati sparsi e il sorgere di piccole case rurali isolate in prossimità dei widyān e dei profondi pozzi (bir) realizzati lungo il loro corso. Si diffuse sul territorio una nuova tipologia di mausolei, che rappresenta la testimonianza più visibile di questo periodo in ambito rurale. Generalmente i marabutti occuparono aree di sfruttamento del territorio abitate in età romana. Le ragioni di questa scelta risiedevano probabilmente nella facilità di reperimento e recupero di materiali edilizi, offerti da antiche ville e fattorie. La presenza dei mausolei permette inoltre di individuare le linee generali dell'occupazione territoriale ottomana, definendo i confini dei pascoli e delle aree fertili coltivate in prossimità dei widyān spettanti alle varie tribù.
Nel XVII secolo i giannizzeri elessero un dey che affiancava il pascià nel governo del Paese. Nel 1711 la Tripolitania si rese indipendente grazie ad Ahmed Qaramanli, un notabile locale di origine turca, ufficiale dei giannizzeri, che si fece inizialmente eleggere dey e successivamente pascià. Poco tempo dopo il suo insediamento a Tripoli, egli estese il suo controllo anche alla Cirenaica. La sua dinastia durò fino agli inizi del XIX secolo, sfruttando assiduamente la pirateria e la corsa e intrattenendo anche rapporti commerciali legittimi con le potenze europee. L'indipendenza dei Qaramanli terminò nel 1835, quando il sultanato ottomano, per impedire l'occupazione della Libia da parte dei Francesi, se ne riappropriò a tutti gli effetti, lasciando tuttavia ampi margini alla diffusione della confraternita religiosa dei Senussi (detta Senussiyya). La Senussiyya, forte soprattutto in Cirenaica, era dotata di una propria organizzazione interna, che riuscì a resistere, per lunghi anni, ai primi tentativi dell'Italia di impadronirsi della Libia, anche dopo la cessione da parte della Turchia della sovranità sul Paese, avvenuta con il trattato del 1912.
Le indagini archeologiche che hanno interessato la Libia dagli inizi del XX secolo si sono concentrate generalmente sulle fasi monumentali di età romana e su quelle di età bizantina, lasciando praticamente inesplorati i periodi successivi alla conquista islamica del territorio. Nella seconda metà del XX secolo tali ricerche hanno fatto considerevoli progressi in questo campo, anche se molti sono i passi ancora da compiere. Un importante impulso a questo rinnovato interesse è coinciso con la grande rivoluzione del 1969 e con la nascita della Repubblica Socialista Libica nel 1976. Una delle acquisizioni di maggiore interesse è quella che la conquista dell'Islam non causò, nelle regioni studiate, la fine degli insediamenti urbani, come è stato del resto verificato nel Vicino Oriente. Gli scavi condotti in Cirenaica (Bengasi, Tolemaide e Tocra) e a Leptis Magna hanno dimostrato che le città continuarono a vivere, anche se con forme e concezioni diverse da quelle degli insediamenti anteriori. Alcuni esempi di città possono ben testimoniare questo fenomeno di rioccupazione dei siti preislamici in un periodo di transizione in cui si mescolano elementi bizantini, berberi e arabi. Uno di essi è costituito dalla città di origine punica di Sabratha (ar. Ṣabra o Ṣabrāṯa), dove sono state individuate numerose sepolture appartenenti all'età islamica, soprattutto nell'area del foro, della Basilica III e nei pressi del teatro. È certo che la città continuò a essere occupata all'interno delle mura, restaurate in età bizantina, almeno fino alla metà dell'XI secolo. Sopravvisse forse nella forma di città a isole, come Leptis e come la maggior parte delle città altomedievali. Resta da chiarire se il piccolo porto continuò a essere usato anche nei secoli posteriori e in quale momento l'insediamento si sia spostato nel vicino villaggio descritto da F. Minutilli come un agglomerato di case e capanne.
Altro esempio significativo è rappresentato dalla città di Tolemaide (gr. ΠτολεμαίϚ, ar. Ṭulmayṯa), situata sulla costa libica orientale, che nel primo periodo islamico servì da porto per la città di Barqa. L'insediamento portuale, fondato in età ellenistica, tra la fine del IV e il III sec. a.C., divenne in età tardoantica un'importante e ricca città e venne scelta come sede vescovile. In età bizantina, dopo la distruzione subita a opera dei Vandali, divenne un potente presidio militare; una volta conquistata dagli Arabi tornò a essere fiorente scalo di merci di scambio con l'Egitto, ancora in auge nel XII secolo, quando il porto, chiuso da un molo che univa gli scogli, riceveva navi cariche di stoffe pregiate, di cotone e di lino. L'insediamento islamico era accolto all'interno delle mura bizantine, ancora ben conservate nel corso del Medioevo e oggi quasi del tutto distrutte. Scavi effettuati nella seconda metà del secolo scorso dimostrano che alcune abitazioni di età bizantina furono rioccupate nella prima età islamica. Di particolare interesse un edificio studiato da J. Ward-Perkins, costruito in età romana, abbandonato nel IV secolo in seguito a un evento traumatico, probabilmente un terremoto, fu ricostruito nel VI e trasformato nella prima età islamica in un piccolo complesso produttivo, diviso in varie unità collegate tra loro, utilizzato per la spremitura dell'olio. Molti altri edifici a Tolemaide presentano prove evidenti di occupazione in età islamica; è, ad esempio, considerevole una costruzione con aula triabsidata nell'area nord-orientale, che presenta un'iscrizione in caratteri cufici su un blocco pavimentale.
Ulteriore caso che esemplifica ancora una volta la rioccupazione di siti preislamici della Libia al momento della conquista può essere considerato il sito di Tocra, città tra le più importanti della Cirenaica romana e in seguito della Pentapoli di epoca bizantina. Nel VI secolo, quando Giustiniano si impossessò dell'Africa settentrionale, cinse la città di solidissime mura. L'insediamento presenta evidenti segni di occupazione di età islamica, periodo in cui, secondo le testimonianze scritte, era controllato da popolazioni berbere. La città islamica si insediò all'interno delle fortificazioni bizantine, un complesso di forma quadrata di 600 m per lato, costruito con blocchi squadrati di riutilizzo dagli edifici della città antica, munito di circa 30 torri di pianta quadrangolare. Tra gli edifici più importanti, che presentano evidenze dell'occupazione islamica delle città, bisogna segnalare un impianto termale di origini romane, ancora in uso in epoca bizantina. Un'iscrizione a caratteri cufici si stagliava sull'ingresso principale dell'atrio dell'edificio termale, a dimostrazione della sua continuità d'uso anche nel periodo islamico. Testimonianze di rioccupazione sono state inoltre individuate in una fortificazione costruita dai Bizantini come avamposto delle difese di Tocra, pochi anni prima della conquista del comandante Amr ibn al-As, e successivamente restaurata dagli Arabi.
In generale si è attualmente meglio informati sui principali monumenti del periodo fatimide, in particolar modo nella Cirenaica, e ricerche di superficie hanno portato negli ultimi anni l'attenzione anche alle diverse fasi del popolamento dei periodi successivi, soprattutto nel territorio leptitano (Wadi Tharaghlat), nelle aree predesertiche e nel Gebel della Tripolitania. Importanti ricognizioni sono inoltre in corso nel Fezzan e nei territori meridionali. La città di Zawila (Cillaba), di origine garamantica, è il più importante centro carovaniero del Fezzan. Vi si trovano marabutti, considerati dalla tradizione diretti discendenti del profeta. Le indagini archeologiche si sono concentrate su una moschea localizzata a 1 km dall'abitato, detta la Moschea Bianca: essa è il luogo di sepoltura di Sidi Muhammad, un marabutto che sembra avere fondato la moschea stessa, ed è prevalentemente costruita con blocchi di riutilizzo provenienti dalle mura della città romana di Cillaba. La moschea non è orientata secondo la qibla (direzione della Mecca) tradizionale e questo ha suggerito a H. Ziegert e A. Abdussalam, che si sono occupati del suo studio (1973), che l'edificio originario fosse di origine preislamica; non è tuttavia da escludere che si tratti di un orientamento da associare alla tradizione ibadita. All'angolo dell'edificio è situata la base quadrata di un grande minareto, provvisto di una rampa di scale esterna poggiante su uno spesso muro che raggiungeva la sommità; questo tipo di soluzione è simile a quella di molte moschee ibadite di Gerba e a quella della moschea di età fatimide rinvenuta a Medina Sultan e studiata da G. Fehérvári.
La città di Ghadames (l'antica Cydamus), nata all'interno di un'oasi di forma circolare che si trovava all'incrocio di importanti vie carovaniere provenienti dal Sudan e dirette verso il Mediterraneo, fu abitata fin dal Paleolitico e occupata da Lucio Cornelio Balbo Minore in età augustea. Essa fu conquistata faticosamente dagli Arabi e mantenne anche in seguito forti caratteristiche berbere. L'oasi intera è cinta da un muro di terra battuta spesso 4-5 m circa ed è caratterizzata da due nuclei distinti: il primo, a ridosso delle mura, era abitato agli inizi del XX secolo prevalentemente da Arabi del gruppo Awlad Bellel, mentre il secondo nucleo insediativo, di dimensioni maggiori, si trova all'interno dell'oasi ed era abitato da Banu Mazigh e da Banu Uazit, di origine berbera. La città, caratterizzata da una planimetria del tutto irregolare e attraversata da vie coperte e tortuose, è stata al centro di un importante progetto di ricerca coordinato da P. Cuneo, la cui improvvisa scomparsa ha impedito l'edizione definitiva dei dati raccolti. L'attenzione si è concentrata sui complessi a ridosso delle mura e sugli isolati costruiti intorno alle porte principali, con un ingente lavoro che ha preso in esame 85 elementi architettonici. Indagini sono state condotte anche nella parte centrale dell'oasi e su alcuni complessi del suburbio, caratterizzati da monumenti funerari di età libica e romana (gli idoli) e dai marabutti di Sidi Khadrawi e di Ismail ad-Darari.
La distribuzione degli insediamenti, nel periodo di passaggio tra l'età bizantina e le prime invasioni arabe, presenta diversi problemi di interpretazione. La maggiore difficoltà risiede nell'identificazione stessa degli insediamenti in base alla datazione della ceramica. Alcuni studi compiuti sul materiale rinvenuto in una fornace di età aghlabide, nell'area del porto di Leptis Magna, hanno permesso l'identificazione di alcune forme di ceramica comune del IX secolo, di fondamentale aiuto per la datazione dei siti di questo periodo nei casi in cui non siano rappresentate le rare ceramiche invetriate, fossile-guida per l'età fatimide. Nelle diverse aree indagate si rileva, in questo periodo, una generale crescita della densità insediativa, testimoniata peraltro dalle fonti storiografiche, che giudicano il secolo dell'emirato aghlabide come il periodo di massimo splendore per il territorio nordafricano, dopo lo sviluppo di età imperiale romana. Ovviamente non è possibile generalizzare, ma possiamo in grandi linee affermare che la più importante trasformazione del paesaggio "libico", nella fase di passaggio tra età bizantina e islamica, è segnata dall'evoluzione delle fattorie fortificate in torri e villaggi fortificati. Essi si articolano, in genere, intorno a una torre centrale e sono muniti di un complesso circuito murario, potenziato da bastioni e contrafforti. Le modeste abitazioni sono disposte all'interno del perimetro murario; di forma rettangolare e dotate di strutture di stoccaggio alimentare e recinti per gli animali, esse sono molto simili alle case rurali abitate fino ai primi decenni del XX secolo. Per le coperture si ricorreva al sistema delle ġurfa, caratteristiche cellette coperte da volte a botte, che si trovano anche nella Tunisia meridionale. Una caratteristica comune a tutte le fortificazioni prese in esame è la presenza di decorazioni a stucco negli intradossi delle volte degli edifici centrali. Il tema decorativo è, in genere, estremamente semplice e rivela un marcato sostrato autoctono. All'esterno degli insediamenti un'area, spesso ben identificabile, era destinata allo scarico dei fondi di focolari domestici e dei rifiuti alimentari. Questi depositi di terra scura forniscono generalmente elementi fondamentali per la datazione degli insediamenti.
La costante scelta di posizioni strategiche, come i rilievi del terreno che dominano le vallate dei widyān destinate alla coltivazione, determinò la creazione di una rete di posti di controllo in collegamento visivo tra loro. Anche le carovane trans-sahariane potevano utilizzare questi avamposti fortificati come caravanserragli o per lo stoccaggio e la distribuzione delle merci, prima dell'arrivo al più vicino approdo sul Mediterraneo. Le merci di scambio prodotte in questo periodo dal predeserto tripolitano consistevano in cereali, animali e generi derivati dal loro sfruttamento, come formaggi, lana e cuoio. Le antiche piantagioni olivicole, che sopravvivono lungo la costa per l'autoconsumo e il mercato locale, vennero sostituite nell'entroterra da campi di cereali e da attività pastorali intensive.
Oltre alla città di Madina Sultan, lungo la costa del Golfo della Sirte, si trovano una serie di gsur (sing. gasr, ar. qaṣr), in uno dei quali, Gasr Sidi Hassan, il Dipartimento di Archeologia di Leptis Magna ha compiuto tra luglio e ottobre del 1993 una lunga campagna di scavi. Si tratta di un edificio rettangolare (21 × 14 m) con un cortile centrale, su cui si affaccia una serie di ambienti di dimensioni diverse, circondato da un muro spesso 1 m circa e dotato, inoltre, di una torre di avvistamento; l'ingresso principale era infine protetto da una piccola torre semicircolare. L'edificio sembra essere stato costruito in età tardoantica e restaurato nella prima età islamica. Un'importante fase di occupazione risale al periodo fatimide, come testimonia la grande quantità di monete auree e di ceramiche appartenenti al X secolo. Intorno a queste fortificazioni costiere si sviluppano generalmente piccoli abitati, come attestato dagli esempi di Gasr Ghigna, Gasr Silin e Gasr Ras al-Hammam, nel territorio di Leptis Magna, ma anche nel litorale più occidentale, come nel caso di es-Sabiriyya, ubicata 50 km a ovest, nel territorio di Sabratha.
Una serie di ricerche di superficie si è svolta lungo il corso del Wadi Tharaghlat nel territorio di Leptis Magna, a opera del Dipartimento di Antichità della Libia e dell'Università di Roma Tre. Nel corso di queste indagini sono stati riconosciuti numerosi insediamenti di età islamica, alcuni stabiliti su centri di età romana, ma in gran parte rappresentati da siti di nuova occupazione, databili a partire dal IX secolo, con evidenti caratteristiche di tradizione berbera. Si tratta principalmente di villaggi fortificati a controllo delle vallate fertili; non mancano tuttavia altre tipologie di insediamento, come torri isolate, piccoli villaggi aperti di età ottomana e ribāṭ (fortino di marabutti). Un'intensa attività di ricognizione è stata svolta da D. Oates negli anni Cinquanta del Novecento nel territorio di Tharuna, che dimostra le stesse dinamiche insediative, e sul corso dei widyān Merdum, Soffegim e Zemzem in area predesertica. Qui le fondamentali ricerche condotte sotto il patrocinio dell'UNESCO e la direzione di D. Mattingly e G. Barker (ULVS) hanno registrato il fiorire di questo tipo di fortificazioni a partire dalla prima età islamica. Diversamente dai villaggi del Gebel, abbandonati solo di recente, gli gsur del predeserto dimostrano di avere perso le loro funzioni in un'età molto anteriore.
Una grande concentrazione di villaggi è localizzata sulle alture del Gebel Nefusa, nell'area a sud-ovest di Tripoli. La regione si caratterizzò fin dalla prima età islamica per la forte crescita delle comunità ibadite e per un conseguente isolamento dalle altre comunità musulmane della Tripolitania. Tra il 1969 e il 1973 J.W. Allan, attraverso un'intensa attività sul campo, è riuscito a individuare circa 29 moschee, dislocate in una ristretta area del Gebel. Il maggior numero di moschee si trova in aperta campagna, distante dagli insediamenti, mentre solo alcune si trovano all'interno di villaggi; le moschee sono spesso associate alle tombe dei santi e, secondo l'interpretazione dello studioso, costituiscono meta di pellegrinaggio. Esse sono per lo più costruite di pietra, spesso riutilizzando materiali provenienti da edifici romani, così come è stato verificato, ad esempio, nei ribāṭ documentati dalle attività di superficie nel territorio di Silin, pochi chilometri a ovest di Leptis Magna. Solo raramente questi edifici possono essere datati; secondo Allan, in qualche caso è possibile che essi siano stati costruiti su chiese anteriori, come si può dedurre dal fatto che alcuni sono chiamati kanīsa o taġlis: tuttavia, in mancanza di prove materiali, questa affermazione non può essere convalidata.
Le moschee presentano una notevole varietà di stili e di tecniche costruttive, che ne impedisce una vera e propria classificazione. Sono edifici di modeste dimensioni, se si pensa che una delle più grandi, localizzata nell'area di Fursatta, un piccolo villaggio sulla strada per Cabao, misura 11,7 × 12,7 m. La moschea è sorretta da arcate impostate su pilastri e colonne alternate, parallele al muro della qibla. Su di esso si trova una nicchia lievemente asimmetrica, di forma semicircolare che ospita il miḥrāb; in altre moschee il miḥrāb è invece una piccola rientranza di forma quadrangolare. Altro edificio da citare è la moschea Tiwitrawin di Gasr Iefren, a fianco della quale si trova un basso minareto voltato con quattro pinnacoli disposti agli angoli, che ricordano quelli presenti in edifici di culto e in abitazioni di Ghadames e del Nord Africa. La più importante moschea esplorata da Allan nella regione è quella di Abu Maruf Wiyar ibn Jawad, a Sharwas (Sharus), costruita, secondo N.M. Lowick, nella seconda metà del X secolo. Il nome dell'edificio è associato a quello di un religioso, vissuto alla fine del IX secolo. Secondo una tradizione orale il centro era il più importante della regione nella prima età islamica, ma fu distrutto da un conflitto con il vicino villaggio di Wighu agli inizi del XII secolo. All'interno della moschea si trovano numerose iscrizioni, la più importante delle quali ricorda un verso dalle caratteristiche ibadite: "il Corano è il nostro unico imam e la sunna è la nostra strada". Una seconda iscrizione, sopra un arco che fronteggia il miḥrāb, riporta un versetto coranico (II, 130) e fa riferimento ai più grandi profeti dell'Islam, del giudaismo e del cristianesimo. Dimostra secondo Lowick l'attenzione ecumenica del centro del Gebel Nefusa, in cui convivevano, come del resto in gran parte del dār-al-Islām, molte comunità cristiane ed ebraiche.
Nella regione si trovano numerosi villaggi-granai fortificati, una sorta di depositi collettivi gestiti dai diversi gruppi familiari, che presentano notevoli similitudini con quelli attestati nella Tunisia meridionale. Uno dei più rappresentativi è forse il villaggio berbero di Cabao, un insediamento rupestre che domina la regione. Vi si trovano le caratteristiche cellette coperte a volta per l'alloggiamento delle riserve alimentari (ġurfa), disposte una accanto all'altra intorno a un ampio cortile centrale. Erano protette da un custode (dellal), pagato dalle varie comunità rurali che vi afferivano. Il gasr è databile alla prima età islamica, come quelli del Wadi Tharaghlat. Certamente più imponente è il villaggio fortificato che si trova sulle pendici della città di Nalut, il sito forse più interessante del Gebel Nefusa. Si trova sull'area dove sorgeva l'antico centro libico di Tabumati, considerato uno dei presidi del limes tripolitano in età romana sulla pista per Ghadames. L'abitato è costituito in parte da edifici rupestri e in parte da case in muratura che, ravvicinate l'una all'altra seguendo le linee di pendenza dell'altura su cui sono arroccate, creano tra di loro anditi larghi in alcuni casi solo 1 m circa. Nell'insediamento si trova anche una piccola moschea, restaurata nel 1811, di cui si ignora la data di costruzione: si tratta di un edificio parzialmente ipogeo, come molti altri della regione, il cui minareto, assente nelle sue forme tradizionali all'interno del Gebel Nefusa, è costituito da una struttura a tripode voltata, sotto la quale si posizionava il mu'aḏḏin per il richiamo alla preghiera. Isolato dall'insediamento e in una posizione più elevata si trova il gasr arabo-berbero, un'imponente costruzione databile a partire dalla prima età islamica, in parte scavata nel calcare. Si tratta del tipico villaggio-deposito, costituito da oltre 300 ġurfa, sovrapposte l'una all'altra fino a raggiungere in alcuni casi i sei piani, coperte a volta e accessibili dall'esterno tramite piccole aperture rettangolari. Nella corte centrale del deposito collettivo, rimasto in funzione fino alla prima metà del XX secolo, si teneva anche un mercato settimanale.
al-Bakri, Kitāb al-masālik wa'l-mamālik (ed. W. Mac Guckin de Slane, Description de l'Afrique septentrionale), Alger 1911-13; E. Scarin, Le oasi del Fezzan, Bologna 1924; R.G. Goodchild, Byzantines, Berbers and Arabs in 7th Century Libya, in Antiquity, 41 (1967), pp. 115-24; A. Abdussalam, Barqa Modern El-Merj, in LibyaAnt, 8 (1971), pp. 121-28; A. Hutt, Survey of Islamic Sites, in LibSt, 3 (1972), pp. 5-6; J.W. Allan, Some Mosques of the Jebel Nefusa, in LibyaAnt, 9-10 (1973), pp. 147-69; H. Ziegert - A. Abdussalam, The White Mosque of Old Zuila, ibid., pp. 221-22; N.M. Lowick, The Arabic Inscriptions on the Mosque of Abu Ma'ruf at Sharwas (Jebel Nefusa), in LibSt, 5 (1974), pp. 14-19; M. Shagluf, The Old Mosque of Ujlah. Some Islamic Sites in Libya, in Art and Archaeology Research Papers, London 1976, pp. 25-28; J.A. Lloyd et al., Excavations at Sidi Khrebish Benghazi (Berenice), I, Tripoli 1977; J.A. Riley, The Petrological Investigation of Roman and Islamic Ceramic from Cyrenaica, in LibSt, 10 (1979), pp. 35-46; G.D.B. Jones, Excavations at Tocra and Euhesperides, Cyrenaica, 1968-1969, in LibSt, 14 (1983), pp. 109-21; O. Brogan - D. Smith, Ghirza. A Libyan Settlement in the Roman Period, Tripoli 1984; J.B. Ward-Perkins - J.H. Little - D.J. Mattingly, Town Houses at Ptolemais, Cyrenaica. A Summary Report of Survey and Excavation Work in 1971, 1978-1979, in LibSt, 17 (1986), pp. 109-53; G.R.D. King, Islamic Archaeology in Libya, 1969-1989, in D.J. Mattingly - J.A. Lloyd (edd.), Libya: Research in Archaeology, Environment, History and Society 1969-1989, pp. 193-207; I. Sjöström, Tripolitania in Transition. Late Roman to Islamic Settlement, Avebury 1993; P. Cuneo, L'architecture de terre de la ville-oasis de Ghadames en Libye, in VII Conferência Internacional sobre o estudo e conservaçâo de arquitectura de terra (Silves, Portugal, 24-29 outubro 1993), Lisboa 1994, pp. 129-33; G. Barker - D.J. Mattingly (edd.), Farming the Desert. The UNESCO Libyan Valleys Archaeological Survey, I. Synthesis, Paris - Tripoli - London 1996; M. Munzi et al., Ricerche topografiche nel territorio di Leptis Magna. Rapporto preliminare 2000, in M. Khanoussi (ed.), Histoire et archéologie de l'Afrique du Nord (Tabarka, 8-13 mai 2000), Tunis 2003; E. Cirelli, Villaggi e granai fortificati della Tripolitania nel IX secolo, in Africa Romana XV, pp. 369-85.
di Francesca Romana Stasolla
Città (lat. Cornidanum; ar. Aǧdabiyya) della Libia, a sud di Bengasi a 18 km dalla costa. La presenza di falde acquifere ha consentito che nel sito si sviluppasse un insediamento.
Del periodo romano restano poche testimonianze: un'iscrizione sulla roccia del 52 d.C., frammenti di iscrizioni riutilizzati nella costruzione della moschea e tombe, rinvenute nel 1971, con ceramiche e vetri romani. Nel IX secolo A. fu un centro carovaniero sulla via che congiungeva Cirenaica e Tripolitania da cui partiva anche un percorso per il Sudan attraverso il Sahara. Venne conquistata dai Fatimidi nel 912 e a questo periodo risalgono i due più importanti monumenti ancora visibili: una moschea e un palazzo fortificato (qaṣr). Scavi eseguiti negli anni Settanta del Novecento (Whitehouse 1972-73) hanno dimostrato come la moschea fatimide, fondata dal califfo al-Qasim (934-946) sia stata costruita sul sito di un precedente edificio, con la medesima funzione, che costituirebbe il primo monumento islamico della città. La moschea del X secolo presenta una pianta con un cortile centrale, sotto il quale si trovava una cisterna, circondato da un porticato con sala di preghiera sul lato sud-orientale; il minareto, che si conserva solo per qualche metro di altezza, è ottagonale su base quadrata. Di notevole interesse è la decorazione di pietra e stucco. Il monumento di maggior importanza è la residenza fortificata, edificata per accogliere il califfo fatimide e la sua corte. Il palazzo era costruito in conci di pietra tagliata e le mura esterne avevano una larghezza di circa un metro. L'impianto presentava una struttura rettangolare con torri angolari circolari e salienti a sezione quadrangolare al centro di ogni lato esterno, uno dei quali costituiva l'entrata. All'interno il cortile centrale era circondato dagli ambienti residenziali. Il complesso di appartamenti sul lato sud-occidentale, in asse con l'entrata, costituiva il fulcro del palazzo: una camera oblunga, o antesala, aperta sul cortile da tre arcate era seguita da tre ambienti coperti con volte a botte, di cui quello centrale, più grande degli altri, terminava in un'abside: esso doveva probabilmente avere la funzione di sala delle udienze del califfo fatimide. L'architettura dell'insieme e l'impianto a T rovesciata degli ambienti di rappresentanza trovano paralleli nel contemporaneo palazzo di Ashir (935/6) e nel successivo complesso della Qala dei Banu Hammad (1006).
A. Abdussaid, Early Islamic Monuments at Ajdabiya, in LybiaAnt, 1 (1964), pp. 115-19; H. Blake - A. Hutt - D. Whitehouse, Ajdabiyah and the Earliest Fatimid Architecture, ibid., 8 (1970), pp. 105-20; D. Whitehouse, Excavations at Ajdabiyah. An Interim Report, in LibSt, 3 (1971-72), pp. 12-21; Id., Excavations at Ajdabiyah. Second Interim Report, ibid., 4 (1972-73), pp. 20-27; P. Donaldson, Excavations at Ajdabiyah: an Interim Report, ibid., 7 (1976), pp. 9-10; J.A. Riley, Islamic Ware from Ajdabiyah, in LibSt, 13 (1982), pp. 85-104; D. Whitehouse, s.v. Agedabia, in EAM, I, 1991, pp. 196-97.
di Enrico Cirelli
Insediamento (ar. Awǧīla) fondato nei pressi di un importante gruppo di oasi, 200 km a sud dalle coste della Cirenaica.
Importante tappa delle carovane trans-sahariane che da Kufra si dirigevano verso Berenice e Tocra, A. si trovava sulla via che collegava l'Egitto con la Tripolitania e il Fezzan. Il sito è conosciuto, secondo la tradizione della prima conquista islamica, come meta di una scorreria del generale Uqba ibn Nafi. Vi fu forse sepolto nel 647 Abd Allah ibn Abi Sarh, il principale artefice della conquista di Cipro, inviato dal califfo Omar per governare l'Alto Egitto. La sua presenza nell'oasi è probabilmente da collegare al tentativo da parte del comandante arabo di occupare la Nubia. Menzionata in varie fonti arabe tra il X e il XII secolo, A. viene descritta da al-Bakri (XI sec.) come un importante centro con moschee e mercati. Uno studio di M. Shagluf (1976) ha permesso di approfondire la conoscenza di una moschea associata ad Abd Allah ibn Abi Sarh, databile alla prima età islamica. Si tratta di un edificio, in gran parte ipogeo, costruito in mattoni crudi e pietra di dimensioni considerevoli (21 × 30 m), sottoposto a varie fasi edilizie e a restauri, l'ultimo dei quali è databile alla fine del XVIII secolo. Il tetto è realizzato in tronchi di palma e terra cruda. La moschea era divisa originariamente in sei navate, sostenute da arcate con profilo a ferro di cavallo e sormontate da volte a forma conica, appena sopraelevate rispetto al piano di calpestio. Sono presenti nella navata che fronteggia la qibla (direzione della Mecca), un miḥrāb (nicchia di preghiera) ben conservato e un minbar (pulpito) che ricorda quelli attestati in alcune moschee della Penisola Arabica, diffuse nella regione dell'Higiaz e di Najd. Questo è in realtà l'unico elemento che conferisce una datazione per la moschea riferibile alla prima età islamica. Il mausoleo di Abd Allah è collegato all'edificio tramite un passaggio aggiunto di seguito. All'interno dell'abitato si trova inoltre una moschea inserita in un complesso più ampio, risalente al XII secolo.
J. Despois, s.v. Awdjila, in EIslam2, I, 1960, pp. 785-86; C. Massana, L'architettura musulmana della Libia, Castelfranco Veneto 1972; M. Shagluf, The Old Mosque of Ujlah, in Art and Archaeology Research Papers, London 1976, pp. 25-28; G.R.D. King, Islamic Archaeology in Lybia, 1969-1989, in LibSt, 20 (1989), pp. 193-207.
di Enrico Cirelli
Città (ar. Barqa al-Marǧ) fondata secondo Erodoto nel 560 a.C. e situata a nord-est di Bengasi a 20 km dalla linea di costa.
Prima ancora della conquista di Alessandria, B. cadde senza resistenza sotto l'influenza araba nel 642/3 grazie a una piccola spedizione. Una cronaca copta del vescovo Giovanni di Nikiou riferisce che la maggior parte del contingente offensivo era inoltre di origine copta. Dopo il pagamento di un tributo di 13.000 dinari la città fu restituita alle autorità bizantine. Una seconda impresa militare ebbe luogo nel 644/5: si trattò di una spedizione navale diretta verso l'intera Pentapolis per prenderne possesso e per fare rapidamente ritorno in Egitto; essa dovette dunque avvenire prima che le truppe bizantine riprendessero il controllo di Alessandria, nel 645. Le operazioni di conquista furono completate dal comandante Uqba intorno al 660.
Nel IX secolo B. fu al centro di sanguinosi scontri tra Tulunidi e Aghlabidi, che se ne contendevano il controllo. Il commercio con l'Egitto era ancora molto prospero nell'XI e nel XII secolo. Nel 1842, quando l'insediamento era ormai in rovina, i Turchi costruirono un castello intorno al quale si sviluppò successivamente la nuova città. Scavi condotti tra il 1956 e il 1962 dimostrarono che il nuovo insediamento fu costruito direttamente sopra l'antica città islamica. Alcuni studi sulla topografia urbana rivelarono inoltre che la città araba ricalcava interamente i limiti di quella antica, un insediamento a pianta rettangolare circondato da un fossato. Le pietre e i marmi della città antica furono riutilizzati in alcuni monumenti islamici, come nel caso della moschea Zawiyat as-Sanusiya, appena all'esterno dell'insediamento romano, costruita in età ottomana contemporaneamente al castello, che conserva numerose colonne di marmo, in precedenza attribuite a età antica. Dopo un terremoto che danneggiò la moschea nel 1962, fu possibile osservare sulle colonne, precedentemente ricoperte da intonaci, alcune iscrizioni in cufico fiorito con la professione di fede, la šahāda, e il nome del califfo fatimide al-Muizz (952-975). Le colonne furono probabilmente trasportate nella moschea da alcuni edifici monumentali di età fatimide, che si trovavano all'interno della città; si tratta dunque di occupazioni tutt'altro che sporadiche e che consentono di escludere la destrutturazione dell'abitato nel passaggio dal periodo bizantino all'età islamica.
Bibliografia
A. Abdussalam, Barqa Modern El-Merj, in LibyaAnt, 8 (1971), pp. 121-28.
di Enrico Cirelli
Città (gr. ΕὐεσπεϱιδεϚ, Βεϱενίϰη; ar. Benġāzī) fondata nel V sec. a.C. e dotata di un'imponente cinta muraria costruita, o forse restaurata da Giustiniano, dopo la guerra contro i Vandali.
L'imperatore si impegnò anche nella ricostruzione di molti edifici pubblici e costruì un nuovo impianto termale. La città non perse mai
di importanza nel corso di tutto il Medioevo, soprattutto a causa del suo porto, e non cessò mai di essere occupata. Evidenze del primo periodo islamico provengono da quasi tutti gli scavi finora effettuati nel sito di Sidi Khrebish (ar. Sīdī Ḫarbiš). Un gran numero di edifici dell'antico insediamento è stato datato alla prima età islamica; tra di essi risaltano una chiesa e un vasto quartiere abitativo nei dintorni. La chiesa, costruita nel VI secolo, presenta segnali di distruzione in corrispondenza della conquista musulmana e di restauro nel periodo immediatamente successivo; essa era forse ancora officiata in età islamica, ma secondo altri venne destinata ad altri usi secolari. Alcuni blocchi della chiesa furono anche reimpiegati negli edifici attigui, costruiti in età romana e riadattati in età araba. La cinta di pianta trapezoidale fu consolidata in età medievale. A essa fu aggiunta anche una torre circolare con paramento in blocchi di recupero. La torre è stata datata al primo periodo islamico, perché del tutto simile a quelle presenti nelle fortificazioni identificate a Tocra e ad Ajdabiyya e nei ribāṭ di Monastir e Susa. Sul sito sono state anche ritrovate numerose monete della prima età islamica, che non sembrano superare il primo quarto dell'XI secolo, e una modesta quantità di ceramiche invetriate con decorazioni policrome di un tipo apparentemente diverso rispetto a quelle studiate da J.A. Riley ad Ajdabiyya e a quelle rinvenute negli scavi di Madina Sultan. Tali ceramiche testimoniano una considerevole vivacità commerciale, non solo con l'Egitto, ma anche con insediamenti della Tunisia e con il Mediterraneo orientale. Nel XIII secolo B. ospitò anche un avamposto della Repubblica di Genova, che dopo il trattato del 1216 con l'emiro Abu Zakariyya Sahiya controllava tutto il traffico della regione. La città, gravemente danneggiata dai bombardamenti inglesi della seconda guerra mondiale, è oggi completamente ricostruita.
J.A. Lloyd et al., Excavations at Sidi Khrebish Benghazi (Berenice), I, Tripoli 1977.
di Massimiliano Munzi
Villaggio (ar. Zāwiyat Driana) situato sulla costa, 35 km a nord-est di Bengasi.
La deduzione di Adrianopoli si situa nel quadro dei provvedimenti adottati da Adriano per combattere lo spopolamento delle campagne cirenaiche, causato dalla rivolta giudaica e dalla sua repressione. Con la nuova colonia la Pentapoli libica potrebbe essersi espansa in una Hexapolis, nome attestato da un'iscrizione di Cirene. La città è nota dai soli itinerari che la ricordano tra Berenice e Teucheira. Le distanze registrate dall'Itinerarium Antonini e dalla Tabula Peutingeriana, 28 miglia da Berenice e 18 da Teucheira, e la permanenza toponomastica assicurano l'identificazione di Adrianopoli con D. Come sembra attestare il materiale ceramico di superficie, il sito era già frequentato nel corso del I sec. d.C. Nell'abitato anteriore alla deduzione adrianea potrebbe forse ricercarsi quel Cauculi Vicus menzionato dal Periplo di Scilace (108). L'abbandono sembra anteriore all'età bizantina, forse accelerato dall'assenza di un porto naturale. Un piccolo villaggio rioccupa il sito forse già nel X-XI secolo, certamente nella tarda età islamica.
P. Della Cella, al seguito di una spedizione militare, visitò la località nel 1817. Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo a D. era attiva una zāwiya (edificio in cui si praticava il sufismo) della confraternita dei Senussi. Nel 1910, alla vigilia della guerra italo-turca, il villaggio venne visitato da F. Halbherr e G. De Sanctis nel corso della prima missione in Libia e descritto come una piccola località costituita da "poche case, una zāwiya di Senussi, pozzi e orti" e "abitata da una sottotribù degli Auaghir". Ricognizioni, condotte da archeologi inglesi alla fine degli anni Sessanta del Novecento, portarono alla scoperta delle infrastrutture idrauliche (acquedotto, cisterne) della città romana, nonché di numerosi elementi architettonici antichi riutilizzati come materiali di costruzione nelle murature del villaggio di epoca islamica. Il villaggio consta di un gruppo di case, costruite con mattoni crudi e, più raramente, con pietra, che si sviluppano intorno alla moschea di Sidi Ibraham al-Ghamari, fondata su strutture antiche. Tra gli edifici più antichi di epoca islamica è un ḥammām, databile al X-XI secolo in base ad alcuni elementi della decorazione architettonica. A sud dell'abitato è il cimitero islamico, che pare impostarsi sulle cisterne romane. Nei campi affiorano le murature degli antichi edifici. Nei dintorni spiccano le rovine di due antichi siti fortificati.
P. Della Cella, Viaggio da Tripoli alla frontiera dell'Egitto, Genova 1819 (Città di Castello 19122), p. 129; H. Duveyrier, La confrérie musulmane de Sidi Muhammed ben ῾Alî es-Sanoûsî et son domaine géographique en l'année 1300 de l'Hégire = 1883 de notre ère, in Bulletin de la Société de Géographie de Paris, 5 (1884), pp. 145-226; P. Mainoldi, Dizionario geografico della Libia con notizie sull'occupazione italiana, Palermo 1914, p. 39; E. Ghislanzoni, Notizie archeologiche sulla Cirenaica, Roma 1915, p. 36; L.V. Bertarelli, Guida d'Italia del Touring Club Italiano. Possedimenti e colonie, Milano 1929, p. 463; G. Oliverio, Federico Halbherr in Cirenaica, Bergamo 1932, pp. 16-18; G. Narducci, La colonizzazione della Cirenaica nell'antichità e nel presente, Bengasi 1934, pp. 67, 149-50; L.V. Bertarelli, Guida d'Italia del Touring Club Italiano. Libia, Milano 1937, p. 371; P. Romanelli, La Cirenaica romana, Verbania 1943, pp. 118, 233; R.G. Goodchild, The Decline of Cyrene and Rise of Ptolemais. Two New Inscriptions, in QuadALibia, 4 (1961), pp. 83-95; F. Valori, Storia della Cirenaica, Firenze 1961, p. 52; G.D.B. Jones - J.H. Little, Coastal Settlement in Cyrenaica, in JRS, 61 (1971), pp. 64-79; Iid., Hadrianopolis, in LibyaAnt, 8 (1971), pp. 53-67; A. Hutt, Survey of Islamic Sites, in LibSt, 3 (1971-1972), pp. 5-6; Id., North Africa: Islamic Architecture, London 1977, p. 86.
di Enrico Cirelli
Insediamento (ar. Ġirza) situato 250 km a sud dalla costa della Tripolitania, lungo il corso dell'omonimo Wadi Ghirza, un affluente del Wadi Zemzem, in area predesertica.
In età islamica l'abitato si attesta nell'area dell'antico centro romano, separato dalla necropoli dove sorgono i celebri mausolei. Gli abitanti chiamavano questi imponenti segnacoli "gli idoli" e, secondo al-Bakri, erano oggetto di venerazione pagana e venivano loro rivolte preghiere per ottenere la guarigione dei malati. Gh. fu oggetto di analisi sistematiche e di scavi tra il 1953 e il 1957 da parte di O. Brogan e di D. Smith. L'insediamento si compone di circa 40 edifici, di varie dimensioni, sparsi sul terreno in uno spazio aperto privo di cinta muraria, anche se alcuni sono dotati di mura imponenti simili a quelle degli gsur (sing. gasr, ar. qaṣr). Gh. raggiunse il suo apice tra il III e gli inizi del VI secolo. Il territorio circostante presenta una intensa proliferazione di fattorie fortificate con numerosi impianti agricoli, che rappresentano veri e propri centri del potere rurale. Non si conoscono le vicende dell'insediamento nella seconda metà del VI secolo e nella prima età islamica; esso fu certamente occupato nel corso del IX secolo, come testimonia il rinvenimento di un dirhām (moneta d'argento) di Harun ar-Rashid coniato a Baghdad (786-809). Secondo i due studiosi la moneta fu un vero e proprio oggetto di venerazione all'interno del tempio di origine romana e si trovava dentro un ambiente lasciato intatto nel corso dei restauri di epoca posteriore. Ci sono anche prove di installazioni di un periodo compreso tra il X e il XII secolo. Alcuni ambienti dello stesso edificio, dove fu trovata la moneta irachena, furono riadattati ad abitazione privata, costruita con caratteristiche che la avvicinano a modelli conosciuti e studiati in area desertica e predesertica. La datazione dell'edificio è fornita da monete fatimidi e da alcuni esemplari di ceramiche invetriate, simili al materiale rinvenuto in insediamenti algerini e a Madina Sultan. All'interno dell'insediamento è stato anche individuato il miḥrāb (nicchia di preghiera) di una piccola moschea aperta, tra gli edifici 31 e 32. Si tratta di una tipologia di moschee molto frequente in ambiente desertico e ben conosciuta nel mondo rurale islamico.
Tra i materiali rinvenuti nel corso degli scavi risaltano anche diversi lacerti di tessuti, alcuni di origine locale, ma altri certamente importati da area bizantina, realizzati in cotone e alcuni tessuti provenienti da altre aree islamiche. Tutti questi rinvenimenti testimoniano un notevole dinamismo commerciale dell'insediamento, dove transitavano merci e prodotti provenienti da varie regioni dell'Africa settentrionale e da altre parti del Mediterraneo.
Bibliografia
O. Brogan - D. Smith, Ghirza. A Libyan Settlement in the Roman Period, Tripoli 1984
di Enrico Cirelli
La più importante città della Tripolitania in età antica (lat. Leptis Magna), sede del duca bizantino dopo l'occupazione giustinianea; si riteneva abbandonata e disabitata già dalla fine del VI secolo e occupata da insediamenti in età islamica.
Recenti ricerche hanno invece provato l'esistenza di un abitato stabile, durante la prima età islamica, che insiste sostanzialmente sulle strutture della rinnovata città bizantina, intorno al piccolo porto che sostituì quello monumentale di età severiana. L'abitato di L. si trasformò certamente in un insediamento molto più modesto, con le stesse caratteristiche della stragrande maggioranza delle città altomedievali. Al suo interno sono stati rinvenuti diversi piccoli quartieri, costruiti sulle rovine dei monumenti antichi. Il nucleo più importante è stato identificato nei pressi del porto, sulle banchine e all'interno degli edifici che vi si affacciavano. Si tratta nella maggior parte dei casi di abitazioni costruite con materiale di recupero e particolarmente con rocchi di colonne ed elementi di trabeazione del colonnato, interamente smantellate e documentate in maniera del tutto approssimativa nel corso degli scavi degli anni Cinquanta del Novecento. Nella parte centrale del molo, addossati al centro dei magazzini sopra uno strato di sabbia spesso circa 3 m, direttamente sul piano di calpestio della banchina, sono stati inoltre trovati resti di un frantoio per olive, anche in questo caso attribuibili al periodo arabo. Costruzioni dello stesso tipo sono state rinvenute anche in prossimità del Foro Vecchio e sul lato orientale della basilica, anch'esse realizzate con materiale di risulta tra cui nuclei interni di laterizio provenienti dagli edifici del centro monumentale. Strutture di età araba sono state anche rinvenute nel corso degli scavi condotti, nella seconda metà degli anni Sessanta da E. Fiandra nel Tempio Flavio. Nel corridoio dell'edificio sono stati individuati i resti di una fornace a forma di vescica, insieme a una vasta area di attività per la produzione ceramica. Al suo interno è stata rinvenuta un'intera infornata di anfore e brocche con versatoio, acrome e deformate dalla cottura, databili all'età aghlabide. Nelle vicinanze, a conferma di questa evidenza, bisogna inoltre segnalare il rinvenimento di una moneta appartenente allo stesso periodo. Nella città sono state anche rinvenute alcune sepolture "urbane", identificate di recente nell'area del Foro Vecchio e nel corso degli scavi di R. Bartoccini, nell'area del foro severiano e della via colonnata. Gruppi di case si installarono anche nei pressi delle mura della città di VI secolo, forse restaurate nella prima età islamica. Appartiene a questo periodo la trasformazione del mercato monumentale in edificio residenziale; alcune abitazioni furono inoltre costruite nei pressi del circo e dell'anfiteatro, vicino ai quali fu realizzata anche una piccola moschea. A sostegno di queste evidenze archeologiche intervengono anche numerose testimonianze scritte, che ricordano più volte la città in età aghlabide anche in occasione di un importante conflitto che interessò gli eserciti tulunidi e le armate dell'Ifriqiya. La città fu teatro della battaglia decisiva tra i due contingenti nell'881, quando al-Abbas ibn Tulun riuscì a entrare con l'inganno all'interno delle mura urbane e a saccheggiare la città. A partire dall'età fatimide L. dovette trasformarsi in una sorta di villaggio fortificato dove, secondo la testimonianza di al-Bakri, si riuniva un mercato e resisteva qualche ombra di industria. Nonostante l'invasione hilaliana la regione leptitana rimase una delle più fertili della Tripolitania, producendo un'abbondante raccolta di datteri e di olive adatte per la spremitura e la produzione di una grande quantità di olio, secondo la testimonianza di al-Idrisi.
Nelle sue vicinanze si trovano due importanti gsur (sing. gasr, ar. qaṣr), restaurati in età islamica sui resti di edifici bizantini, nati come avamposti della città di L.: Gasr Ras al-Hammam e Mergheb. Sull'architrave dell'ingresso principale del primo si trova un'iscrizione, su cui si legge il nome di Abd Allah, datata da G. Levi Della Vida al 1080 e numerose tracce di restauro in età islamica. Vi si insediarono i Berberi Hawara che avevano assunto il controllo del territorio leptitano già a partire dal VI secolo. L'insediamento principale si spostò gradualmente nei pressi del villaggio di Leggata, nato forse già tra il VI e il VII secolo vicino a un piccolo porto naturale che permetteva l'approdo di navigli di transito verso Tripoli, nel luogo dove verrà fondata, nel XVIII secolo, la città turca di Homs.
G. Levi Della Vida, Iscrizione araba di Ras el-Hammam, in Scritti in onore di F. Beguinot, Napoli 1949, pp. 77-81; R.G. Goodchild - J.B. Ward-Perkins, The Roman and Byzantine Defences of Leptis Magna, in PBSR, 8 (1953), pp. 42-73; R. Bartoccini - A. Zanelli, Il porto romano di Leptis Magna, in BArchit, 13 (1958); M. Talbi, L'Émirat aghlabide 184-296/800-909, Paris 1966; E. Fiandra, Missione Archeologica dell'Università di Perugia a Leptis Magna (Libia). Quarta e quinta campagna di scavo, in AnnPerugia, 6 (1968-69), pp. 377-94; E. Cirelli, Leptis Magna in età islamica: fonti scritte e archeologiche, in AMediev, 28 (2001), pp. 423-40.
di Massimiliano Munzi
Città (ar. Surt, od. Madīna Sulṭān o al-Mudayna) ubicata 55 km a est della moderna Sirte, sul luogo della stazione romana di Iscina, menzionata dall'Itinerarium Antonini e dalla Tabula Peutingeriana, e nei pressi del porto punico di Charax, ricordato da Strabone e Tolemeo.
La città medievale di Surt è il più grande sito archeologico della regione sirtica. L'importante stazione sulla strada Barqa - Ajdabiyya - Tripoli fu, forse già dall'VIII secolo, una piccola città-stato kharigita, che verosimilmente successe a Iscina senza soluzione di continuità. Surt fece infatti la sua comparsa nella documentazione letteraria alla fine del IX secolo, quando al-Yaqubi la citò come città dei Berberi Mindasah, Mahanda e Fantas. Il centro conobbe un rapido sviluppo durante la prima età fatimide; esso era già fiorente sotto il califfo al-Mansur, quando Ibn Hawqal, passando per Surt, ne lasciò una prima accurata descrizione. La città, che in questo periodo superava Ajdabiyya in ricchezza, era amministrata da un governatore fatimide, la cui prima cura era la riscossione delle tasse imposte sui traffici commerciali: nei suoi mercati le merci sbarcate dalle navi si scambiavano con quelle locali, quali allume, lana e carne di montone. L'agglomerato era circondato da forti mura difensive ed era abitato da Berberi, che vi possedevano fattorie, mentre quelli del territorio vi venivano a trovare pascoli per cammelli e capre. Surt raggiunse però il suo acme con il califfo fatimide al-Muizz, che ne fece un'importante base militare e navale nel quadro dei preparativi per la conquista dell'Egitto. Fu in questo momento che si eressero i forti e venne ricostruita la moschea; ne ha lasciato una vivida immagine al-Bakri, che nell'XI secolo la descrisse come una grande città, situata presso il mare, circondata da mura di mattoni in cui si aprivano tre porte, con una moschea, un ḥammām e diversi mercati. La città non aveva sobborghi, ma era ricca di palme da datteri, giardini, sorgenti d'acqua dolce e cisterne.
Il trasferimento dei Fatimidi al Cairo prima, poi il lungo conflitto tra questi e gli Ziridi, che portò all'invasione dei Banu Hilal e Sulaym, ne determinarono la decadenza. Quando, a metà del XII secolo, il geografo al-Idrisi la visitò, Surt versava in misere condizioni e il suo palmeto era insufficiente ai bisogni dei pochi abitanti. Nel secolo successivo il centro era quasi del tutto abbandonato. Ali ibn Sad al-Maghrib, che scrisse in età hafside, ne parla come di una vecchia base militare, distrutta dagli Arabi beduini, che ne riutilizzarono alcuni edifici fortificati come residenze. Dopo l'abbandono e fino alla rioccupazione turca della Libia, avvenuta nel 1835, la regione, che ereditò il nome antico, rimase senza centro giuridico-amministrativo. Per rimediare l'amministrazione ottomana eresse nel 1842 una fortezza a Marsa Zaafran, dove si insediò il bey di Surt. Il forte turco, chiamato Gasr Zaafran e successivamente Gasr Sert, fu riparato dagli Italiani nel 1912 e intorno a esso si sviluppò l'odierna città di Sirte.
La storia moderna di Surt, ormai denominata M.S. (o al-Madina), ebbe inizio con l'esplorazione di F. William, capitano della marina britannica, e H.W. Beechey, che visitarono il sito nel 1821. Forse quattro anni prima vi era già giunto P. Della Cella che, aggregatosi a una spedizione militare condotta da un figlio del principe Qaramanli da Tripoli alle frontiere dell'Egitto, incontrò "antiche rovine" a circa quattro ore di cammino da Zaafran verso est e le identificò con la Charax di Strabone. Vi giunse poi nel 1849 H. Barth, che per primo identificò il complesso archeologico con Charax, Iscina e Surt. L'ipotesi venne ripresa e sviluppata, qualche anno dopo, da K. Müller. Durante l'occupazione italiana il capitano L. Cerrata, nel corso di una ricognizione estensiva della regione sirtica, tornò sul sito, ma attribuì le rovine principalmente alla romana Iscina, mentre le guide del Touring Club le identificarono con l'antica città araba. M.S. giunse alla ribalta archeologica nel 1950, quando R.G. Goodchild vi condusse un'accurata ricognizione supportata da fotografie aeree scattate da apparecchi della Royal Air Force di base a Malta. L'archeologo inglese, che pubblicò i risultati delle ricerche di superficie nel 1964, attribuì definitivamente il complesso archeologico fortificato alla città di Surt e i resti in pisé circostanti a Iscina. Le fotografie aeree e la ricognizione sul campo gli permisero di tracciare una mappa dell'area e di identificare i principali edifici del centro arabo. Il Department of Antiquity of Libya intraprese le indagini di scavo soltanto un decennio più tardi: fu infatti negli anni 1963-66 che la città araba venne per la prima volta sottoposta a scavi archeologici, che interessarono la moschea e il forte sud-occidentale. Nel 1968 si procedette a una prima sistemazione dell'area archeologica e a restauri delle strutture, che proseguirono negli anni successivi. Le attività di scavo ripresero, in collaborazione con la Society of Libyan Studies, alla fine degli anni Settanta; quindi il cantiere di scavo riaprì per breve tempo nel 1996, in seguito a una decisione presa alla Conferenza degli Archeologi Arabi tenutasi l'anno prima a Tripoli.
Fu nella prima età fatimide che l'impianto urbano di Surt si sviluppò, fu fortificato e monumentalizzato, grazie anche alla vitalità del porto, erede dell'emporio punico di Charax nel tratto di costa a nord della città. Le fiorenti attività commerciali crearono le condizioni per un'economia monetaria, documentata dai rinvenimenti numismatici, tra cui due dirhām (moneta d'argento) dei califfi al-Muizz (952-975) e al-Hakim (996-1021). Il circuito murario poligonale di blocchi di pietra, lungo 1650 m, racchiudeva una superficie urbana di 18,4 ha. Le mura inglobavano due forti, anch'essi di pietra. Subito a nord della città vi era un terzo forte, con la funzione di piccolo avamposto fortificato. Nel perimetro murario sono state identificate tre porte urbane, una a ovest, una a nord e una terza a sud-est, corrispondenti alla descrizione di al-Bakri. Fortemente decentrata verso est si trova una moschea a pianta rettangolare (31 × 41 m), ricostruita nel X secolo, probabilmente da al-Muizz negli anni compresi tra l'ascesa al potere e la conquista dell'Egitto. L'edificio si compone di una corte e di una sala di preghiera, con la qibla (direzione della Mecca) orientata a sud/sud-est. All'angolo nord-ovest è il minareto con base quadrata su cui si imposta un elevato ottagonale. La moschea è arricchita da una lussuosa decorazione architettonica di pietra e stucco, nonché da epigrafi in cufico fiorito. Il cuore della città fatimide era il centrale quartiere artigianale, la madīna, con forni per pane e fornaci per la produzione del vetro. Dopo le scorrerie hilaliane gli edifici subirono alcune alterazioni; più tardi, tra la fine dell'età fatimide e quella hafside, quando la città era ormai in via di abbandono, la moschea venne rozzamente suddivisa in povere abitazioni di nomadi.
Bibliografia
P. Della Cella, Viaggio da Tripoli alle frontiere di Barberia dell'Egitto, Genova 1819 (Città di Castello 19122), p. 50; F.W. Beechey - H.W. Beechey, Proceedings of the Expedition to Explore the Northern Coast of Africa from Tripoli Eastward, London 1828, pp. 169-71; GGM, pp. 458-59; H. Barth, Travels and Discoveries in North and Central Africa, Being a Journal of an Expedition Undertaken under the Auspices of H.B.M.'s Government in the Years 1849-1855, I, London 1857, pp. 334-35; G.A. Freund, Viaggio lungo la Gran Sirte, in Pionieri italiani in Libia, Milano 1912, p. 171; L. Cerrata, Sirtis, Avellino 1933, pp. 209-12; L.V. Bertarelli, Guida d'Italia del Touring Club Italiano. Libia, Milano 1937, p. 310; R.G. Goodchild, Medina Sultan (Charax-Iscina-Sort), in LibyaAnt, 1 (1964), pp. 99-106; M. Mostafa, Excavations in Medinet Sultan. A Preliminary Report, ibid., 3-4 (1966-67), pp. 145-54; A. Abdussaid, An Early Mosque at Medina Sultan, ibid., pp. 155-60; T. Bakir, Archaeological News 1968 (Tripolitania), ibid., 5 (1968), pp. 195-204; M. Abou-Hamed - M. Shaglouf - B. Ateya, Archaeological News 1972-1974, ibid., 11-12 (1974-75), pp. 297-304 (in part. Medinet Soltan, p. 302); A. Abdussaid - M. Shaghlouf - G. Fehérvári, Excavations at El-Medeinah, Ancient Surt 1977, in LibSt, 8 (1976-77), pp. 9-12; A. Abdussaid et al., Second Season of Excavations at El-Medeinah, Ancient Surt, ibid., 9 (1977-78), pp. 13-18; M. Shaghlouf - G. Fehérvári - E. Chin, Excavations at El-Medeinah, Ancient Surt, Third Season, 1979, ibid., 10 (1978-79), pp. 5-10; G.R.D. King, Islamic Archaeology in Libya, 1969-1989, ibid., 20 (1989), pp. 193-207, in part. pp. 200-202; I. Sjöström, Tripolitania in Transition: Late Roman to Islamic Settlement, Aldershot 1993, p. 135 ss.; A. Abdussaid, Medina Sultan, 1996, in LibyaAnt, n.s., 3 (1997), pp. 203-205; G. Fehérvári et al., Excavations at Surt (Medinat al-Sultan) between 1977 and 1981, Tripoli - London 2002.
di Enrico Cirelli
Città (lat. Oea; ar. Ṭarāblus, Ṭarāblus al-Ġarb) della Tripolitania situata sulla costa occidentale della Libia.
T. è probabilmente una delle città islamiche più conservate dell'Africa settentrionale; essa presenta molte similitudini con altri centri portuali del Mediterraneo ottomano e della Spagna. Secondo le fonti scritte fu l'unica città bizantina della Tripolitania a cercare di resistere alla prima ondata di conquiste di Amr ibn al-As nel 643. T. dimostra una continuità insediativa senza confronti con le altre città libiche. Gli edifici antichi sono stati in gran parte trasformati nei nuovi edifici della città islamica. Recenti studi hanno dimostrato che anche l'Arco di Marco Aurelio, l'unico monumento antico della città visibile in superficie, venne riutilizzato nel Medioevo. La descrizione della città da parte di A. Tidjani e lo studio di alcune vedute del XVI secolo permettono di affermare infatti che all'interno dell'arco quadrifronte fu realizzata una piccola moschea, almeno a partire dal XIV secolo. L'installazione religiosa, ricavata tamponando le arcate del tetrapylon, riuscì a proteggere l'edificio dalle spoliazioni sistematiche cui erano andati incontro gli altri monumenti della città. Alcune iscrizioni graffite databili alla prima età islamica (694/5) sono state individuate nei blocchi rivolti verso l'interno. Nei dintorni si trovava anche un piccolo cimitero islamico.
Le mura furono ricostruite in età omayyade (749/50) a opera di Abd ar-Rahman ibn Habib, anche se sono scarse le testimonianze archeologiche di questo intervento costruttivo, forse da identificare nelle strutture di 6 m circa rinvenute in scavi del 1964. Il tratto sul mare, non previsto dalle difese romane della città, fu invece costruito dalle fondamenta alla fine dell'VIII secolo. Le mura attuali, databili al XVI secolo secondo quanto attestano due iscrizioni ottomane, furono restaurate nel 1837 da Yusuf al-Qaramanli. Per la realizzazione delle mura e per il restauro del castello, a ridosso del porto, dopo il saccheggio perpetrato da Pedro Navarra nel 1510, furono utilizzati blocchi provenienti dagli edifici della città antica e islamica. Nell'881 T. sostenne per 40 giorni circa il duro assedio di al-Abbas ibn Tulun in cui furono certamente impiegate armi ossidionali. La situazione fu sbloccata dall'intervento di 12.000 guerrieri berberi Nefusa, intervenuti a sostegno dell'emiro per riaffermare la loro sovranità sul territorio. Il castello nacque invece sui resti di un edificio di età romana o bizantina e restaurato nella prima età islamica; nel IX secolo esso riuscì a proteggere Abd Allah ibn al-Aghlab da una rivolta del suo esercito. Uno dei più antichi edifici conosciuti è probabilmente la moschea di an-Naqah, costruita secondo la tradizione da Amr ibn al-As. Il suo titolo deriva infatti dal nome del cammello su cui fu trasportato il tributo versato dagli abitanti di Tripoli al condottiero arabo come riscatto e da questi utilizzato per la costruzione della moschea. La datazione è comunque discussa da M. Warfelli ed esiste una tradizione di età fatimide che attribuisce la sua fondazione al califfo al-Muizz nel 973. Un restauro fu certamente operato agli inizi del XVII secolo da Safar Dai, che restituì un grande edificio di forma irregolare (44 × 20 m) con numerosi spolia di età romana, in particolar modo capitelli e colonne, che sorreggono circa 42 cupole di mattoni impostate su campate ogivali. La facciata è inoltre protetta da un modesto portico a due arcate, al fianco del quale si trova un minareto a base quadrata coronato da pinnacoli a coda di rondine.
Una seconda moschea oggetto di studi nella seconda metà del XX secolo è quella costruita dal pascià Darghut (1556-1564). L'edificio fu in gran parte danneggiato durante la seconda guerra mondiale e oggi restaurato; anche al suo interno sono presenti numerosi capitelli di età romana. Il monumento islamico di maggior risalto è comunque la moschea Ahmad Pasha al-Qaramanli, da questi costruita nel 1736 nel quartiere del sūq coperto. Vi si trova un miḥrāb (nicchia di preghiera) con arco a ferro di cavallo e un sistema di ablaq (alternanza cromatica dei conci di pietra negli archi) in stile andaluso. L'edificio è decorato con mattonelle smaltate policrome prodotte negli ateliers di Qallaline, nelle vicinanze di Tunisi. Lo stesso tipo di decorazione si trova in numerosi altri edifici di T., come nella moschea di Gurgi (1833), circondata da eleganti portici, e in alcune abitazioni private e fundūq (pl. fanādiq, ostelli per viaggiatori e mercanti); questi ultimi rappresentano una tipologia architettonica tipica del Nord Africa e hanno solitamente una struttura a due piani con cortile centrale.
S. Aurigemma, Le fortificazioni della città di Tripoli, in Notiziario Archeologico, 2 (1916), pp. 218-300; A. Lézine, Tripoli. Notes archéologiques, in LibyaAnt, 5 (1968), pp. 55-68; G. Messana, L'architettura musulmana della Libia, Tripoli 1972; M. Warfelli, The Old City of Tripoli. Some Islamic Sites in Libya, in Art and Archaeology Research Papers, London 1976, pp. 2-18; M. Brett, The City State in Medieval Ifriqiya: the Case of Tripoli, in Villes et sociétés urbaines au Maghreb. IVe Congrès international d'histoire et de civilisation du Maghreb (Tunis, 11-13 Avril 1986), Tunis 1986; M.A. Abulgassem, La survie de l'arc de Marc Aurèle et de Lucius Vérus à Tripoli au fil des siècles, in LibyaAnt, n.s., 1 (1995), pp. 125-33; P. Cuneo, The Multi-Dome Mosque Architecture of Tripoli, Libya, between Regional Tradition and Ottoman Influence, in Proceedings of the 10th International Congress on Turkish Art (Istanbul, 1991), Ankara 1995, pp. 511-19.