Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Delle dottrine alchemiche islamiche la cultura europea del XIII secolo assimila prevalentemente l’aspetto legato alla metallurgia. Sia gli alchimisti che i filosofi della natura latini vedono nelle teorie della tradizione araba, fino a quel momento sostanzialmente sconosciuta, una possibilità per completare la conoscenza del mondo minerale che, non sviluppata in maniera esauriente da Aristotele, è basata soltanto su opere come la Naturalis Historia di Plinio, le Etimologie di Isidoro di Siviglia e lapidari di origine bizantina.
Tra i primi risultati dell’assimilazione delle teorie alchemiche arabe da parte dei filosofi e naturalisti occidentali troviamo alcuni tentativi di adattamento e integrazione all’interno di compendi enciclopedici come quelli di Bartolomeo Anglico e Vincenzo di Beauvais. Il primo è un francescano formatosi a Oxford nella prima metà del XIII secolo al quale dobbiamo il De proprietatibus rebus (Sulle proprietà delle cose), un trattato di carattere pedagogico di notevole successo, in seguito tradotto anche in francese, olandese e spagnolo. Nelle sezioni dedicate alla geologia e mineralogia Bartolomeo mutua molte informazioni da Avicenna, ma in generale l’alchimia è sostanzialmente trascurata. Diverso è il caso del frate domenicano Vincenzo di Beauvais, nella cui opera enciclopedica, intitolata Speculum Maius, si trovano i primi riferimenti e un primo tentativo di integrazione dell’alchimia nelle gerarchie del sapere occidentale. Seguendo le coordinate tracciate da Avicenna e al-Razi, Vincenzo di Beauvais condivide un atteggiamento possibilista nei confronti della trasmutazione di specie e considera l’alchimia alla stregua delle arti meccaniche, come fosse un’applicazione pratica della mineralogia, allo stesso modo di come l’agricoltura lo è della botanica.
Vincenzo si appropria della teoria di matrice araba che riconosce nello zolfo e nel mercurio i costituenti primari dei metalli e la amplia, ritenendo che le varie specie metalliche siano scomponibili nei quattro spiriti primari dell’arsenico, del mercurio, dello zolfo e del sale ammoniaco, a partire dai quali si possono ricomporre le specie metalliche dell’argento e dell’oro.
Un’altra testimonianza significativa, che mostra l’importanza dell’alchimia negli ambienti universitari, è il Liber secretorum alchimiae di Costantino Pisano, il quale ne propone l’insegnamento in un corso universitario e cerca di legittimare la speculazione sulla trasmutazione di specie nel contesto teorico dei Meteorologica di Aristotele. L’opera di Costantino spicca per la disinvoltura epistemologica con la quale affronta il tema del rapporto tra l’alchimia e i saperi teorico-pratici come la medicina, l’astronomia e la profezia; in essa è inoltre contenuto un trattato alchemico sulla pratica della trasmutazione dal titolo Semita recta (La via diritta) che in seguito ritroviamo tra gli scritti alchemici attribuiti ad Alberto Magno ma che in realtà sembra una derivazione dalla Summa perfectionis magisterii attribuita allo pseudo-Geber.
Per gli alchimisti la ricerca del segreto delle operazioni per trasformare i metalli vili in oro non può essere considerata un’arte meccanica ma parte integrante della ricerca filosofica. È in questa prospettiva che i due massimi rappresentanti dell’alchimia duecentesca, il cosiddetto Geber latino (XIII sec., pseudonimo del frate francescano Paolo di Taranto) e Alberto Magno, il doctor universalis della scolastica, accolgono e interpretano i procedimenti operativi degli alchimisti cercando di assimilarli nella gerarchia del sapere scolastico.
Alberto Magno considera le dottrine di matrice araba sulla generazione dei metalli un completamento della sua filosofia naturale e di quella di Aristotele. Nel suo De mineralibus, che pretende di completare le lacune aristoteliche sulla mineralogia e sulla geologia, vengono prese in considerazione varie dottrine alchemiche, inquadrandole in un discorso unitario e omogeneo.
Da esse l’alchimia emerge come una scienza specialistica, dotata di un proprio apparato dottrinario e di specifiche finalità operative preposte alla conoscenza teorica e alla trasformazione tecnica dei metalli. Per Alberto esiste una dipendenza epistemologica dell’alchimia nei confronti della più generale filosofia della natura; gli esperimenti e le osservazioni degli alchimisti assumono il valore di criteri epistemologici per discriminare sulla validità di teorie e ipotesi.
Particolarmente importante è la risposta di Alberto al monito contro gli alchimisti avanzato da Avicenna nel De congelatione et conglutinatione lapidum, dove si ribadisce l’invariabilità delle specie e l’impossibilità tecnologica di provocarne un’alterazione. Alberto risolve la questione delle trasformazioni sostanziali attraverso una diversa interpretazione del concetto di specie avicenniano. Per il medico e filosofo persiano, infatti, le specie metalliche hanno un valore logico-ontologico, quindi non ha senso porsi il problema della loro trasmutazione, poiché questa riguarda soltanto ciò che è inerente alla materia e non le specie, che invece hanno valore di forma sostanziale. Al contrario, Alberto intende il termine species non come “forma sostanziale”, ma nel senso di “forma specifica” che determina la condizione fisica dei metalli e che è quindi materialmente modificabile; la forma specifica è una caratteristica secondaria che determina lo stato fisico dei metalli, mentre la forma sostanziale, in senso aristotelico e avicenniano, determina l’essenza del corpo metallico in sé e non partecipa alle trasformazioni materiali.
Per Alberto, quindi, la differenza tra l’oro e il ferro non è di carattere essenziale ma dipende dal grado di perfezione della “specie metallica”, cioè della “forma specifica” in atto. Questo passaggio è particolarmente importante perché attraverso questa “forzatura” del concetto di forma avicenniano la riproduzione del processo di generazione metallica diventa artificialmente possibile. Secondo questa concezione ilemorfica della materia, secondo la quale cioè tutti gli esseri sono composti di materia e di forma, l’alchimista può intervenire e modificare il processo di generazione dei metalli, perché i principi della loro generazione sono insiti nella materia stessa. Secondo Alberto l’alchimista deve agire sui metalli come il medico sugli organismi viventi: una volta individuata la causa della malattia cerca di rimuoverla predisponendo il corpo alla guarigione; allo stesso modo l’artefice interviene sulle sostanze metalliche rimuovendo la loro forma specifica e predisponendo i costituenti primi in modo che la natura, che agisce per mezzo del potere degli elementi e degli influssi planetari, possa, accelerando e forzando i tempi, portare a maturazione la nuova forma metallica. In una prospettiva del genere, quindi, si capisce come la trasmutazione, oltre a essere logicamente plausibile, si pone come una reale possibilità che dipende dalla messa a punto di una tecnologia adeguata a tale scopo; si tratta di continuare la sperimentazione fin tanto che non si riesca a codificare il processo di generazione della nuova specie metallica.
In sintonia con l’opera di Alberto Magno è anche il cosiddetto Geber latino, il quale si rivolge agli alchimisti con l’appellativo di filosofi; egli vuole così sottolineare la dimensione teoretica dell’alchimia e prendere le distanze da coloro che assimilano questa disciplina alle arti meccaniche. Geber latino descrive i materiali sui quali lavora l’artefice con i termini della filosofia scolastica: parla di mixtio per indicare le sostanze naturali e di minima per indicarne i costituenti primari. Anche per lui, come per Alberto Magno, l’alchimia è una disciplina subalterna alla filosofia naturale, dalla quale deriva e si differenzia per il fatto di basarsi su operazioni manuali e non sui libri. L’arte alchemica non si limita a imitare la natura, ma opera in armonia con essa predisponendo i materiali necessari alla trasmutazione metallica. L’opera più importante e più nota di Geber è la Summa perfectionis magisterii, nella quale l’autore raccoglie i materiali della tradizione araba dalle opere di Razi (Liber secretorum e Liber de aluminibus et salibus), Jabir (Liber septuaginta), Pseudo Aristotele (De perfecto magisterio) e Avicenna (De congelatione et conglutinatione lapidum ed Epistola ad Hasen regem de re recta).
Tra le fonti latine, invece, anche se nel XIII secolo è creduta molto più antica e di origine greca, viene dato particolare rilievo allo pseudo-epigrafico Liber Hermetis e all’idea da esso veicolata secondo la quale il tradizionale rapporto di subordinazione dell’arte alla natura, di matrice aristotelica, viene ribaltato. In sintonia con l’impostazione ermetica dell’alchimia, per la quale l’artefice riproduce in laboratorio le operazioni dalle quali è scaturita la realtà naturale, si avanza la tesi per cui l’arte umana interviene nei processi di generazione naturali modificandoli dall’interno. Per l’autore anonimo del Liber Hermetis, quindi, i prodotti dell’arte eguagliano quelli naturali, e in taluni casi possono perfino superarli, pur rimanendo naturali nella loro essenza.
Sulla base degli argomenti presentati nel Liber Hermetis, nella Summa perfectionis si propone un’analisi confutativa di tutte le obiezioni sollevate nel dibattito filosofico sull’alchimia, alle quali l’autore risponde rimandando dal piano dialettico a quello empirico dell’effettiva realizzazione dell’opus. Nel secondo libro della Summa si prendono in considerazione i metalli che, come nella tradizione araba, sono indicati quasi sempre con i nomi dei pianeti a loro corrispondenti (Sole-oro, Luna-argento, Giove-rame, Marte-ferro, Mercurio-argentovivo, Venere-stagno/piombo), in modo da sottolineare lo stretto legame tra la loro realtà materiale e gli influssi astrali dai quali dipendono. Per Geber i metalli sono composti omogenei costituiti a partire da minima, ovvero particelle microscopiche distinte sul piano qualitativo secondo la teoria della materia aristotelica.
Lo schema operativo della trasmutazione seguito dagli alchimisti è scandito da una prima fase nella quale il metallo viene decomposto in una materia indifferenziata, che per Geber è la pura sostanza dell’argento vivo. Da questa, successivamente, si ottiene la medicina in grado di trasmutare i metalli con i quali viene messa in contatto. Come per la tradizione araba di Jabir e Razi, le fasi operative dell’opus sono sette: sublimazione, distillazione, calcinazione, soluzione, coagulazione, fissazione, e infine fluidificazione o cerazione, descritte in maniera chiara e priva di allusioni metaforiche. Il terzo e ultimo libro, infine, è dedicato alla realizzazione della medicina capace di curare e aumentare il grado di perfezione dei metalli. Nonostante Geber mostri un atteggiamento orientato maggiormente alla sperimentazione, egli rivela qui un’influenza della concezione alchemica di Alberto Magno secondo la quale l’alchimista, una volta individuate le cause che determinano l’imperfezione del metallo, opera su di esso come un medico per facilitare l’azione della natura e farlo pervenire così a uno stato di perfezione più elevato.
Un progresso ulteriore nel dibattito epistemologico sull’alchimia si ha con Ruggero Bacone, il quale inquadra questa disciplina all’interno di un ampio programma di riforma della conoscenza teso a superare le separazioni e la rigidità della gerarchia dei saperi proprie dell’epistemologia scolastica.
Nella sua Scientia duplex Bacone definisce l’alchimia scientia duplex, distinguendo una parte speculativa, che si occupa in generale dei problemi inerenti alla generazione di tutte le cose naturali inanimate, e una parte operativa, che testa e certifica la validità delle speculazioni teoretiche relativa alla generazione di metalli, colori e medicinali. Bacone sviluppa il parallelismo con la medicina, già proposto da Alberto, arrivando a considerare l’alchimia come un presupposto fondamentale, oltre che della medicina, anche di tutta la filosofia naturale; ma, mentre la medicina può essere collocata facilmente entro i quadri gerarchici dell’epistemologia scolastica, semplicemente ponendola in rapporto di subordinazione alla filosofia naturale, l’alchimia viene a infrangere questa gerarchia. L’elemento che impedisce di inserire l’alchimia entro i quadri del sapere scolastico è la dimensione operativa: l’alchimia produce l’oggetto che intende spiegare e quindi non può rientrare entro gli schemi logico-deduttivi della filosofia naturale aristotelica. Mentre la medicina agisce su un oggetto ben definito e analizzabile indipendentemente dal processo effettivo della cura, permettendo una demarcazione netta tra dimensione teoretica e dimensione operativa, nell’alchimia questo non è possibile e, inevitabilmente, esperienza e teoria finiscono per intersecarsi.
Per quanto riguarda il problema della trasmutazione Bacone condivide inizialmente le limitazioni poste nel De congelatione et conglutinatione lapidum, che credeva essere un’opera originale di Aristotele, per poi distanziarsene una volta resosi conto che si trattava di un’opera di Avicenna. La presa di coscienza che in Aristotele non vengono posti veti nei confronti della trasmutazione induce Bacone a ritornare sui suoi passi e a riconsiderare il proprio scietticismo sull’alchimia, giungendo perfino a concludere che l’oro artificiale prodotto dagli alchimisti è migliore di quello naturale; nella forma di “oro potabile”, cioè preparato per mezzo della distillazione al fine di un’assunzione terapeutica, questo metallo acquista il potere non solo di risanare gli organismi malati, ma anche di prolungare la vita. Con Bacone cambiano i termini del dibattito e l’alchimia da arte meccanica, legata esclusivamente al problema della trasmutazione metallica, assume una dimensione filosofica che finisce per minare i fondamenti del paradigma aristotelico. Questo tema del farmaco capace di prolungare la vita, che ha un corrispettivo nella tradizione alchemica indiana e cinese, trova una limitazione nella teologia cristiana, che non contempla la possibilità dell’immortalità materiale. Perseguendo questa prospettiva Bacone apre così un altro fronte di contrasto con il sapere istituzionale che contribuisce a gettare un ulteriore discredito sull’alchimia.