Sistema bipartitico, grandi partiti nazionali maggioritari, sistema elettorale plurality, governo monopartitico, frequenza dell’alternanza, possibilità di premiership fortemente personalizzate e in grado di innovare e decidere, sono tutte caratteristiche distintive del sistema politico-istituzionale inglese che hanno definito il cosiddetto ‘modello Westminster’ come il prototipo della democrazia maggioritaria. Sin dall’Ottocento e fino ai giorni nostri, tale modello di governo ha prodotto tanto ammirazione quanto continui tentativi di imitazione.
Dal secondo dopoguerra, le alternanze sono state abbastanza regolari, pur vedendo relativamente lunghi cicli d’egemonia ora del partito conservatore (come nel 1979-97), ora del partito laburista (come nel 1997-2010). Ad alternanze che si sono svolte all’interno di un quadro consensuale (come nel periodo della consensus politics, dal 1945 al 1979), ci sono state alternanze di ‘alternativa’ che hanno causato profondi e radicali cambiamenti nell’agenda politica e sociale, come nel caso del thatcherismo e del blairismo.
La premiership di Margaret Thatcher (1979-90), prima ancora di quella del presidente americano Donald Reagan (1981-89), ha cambiato completamente l’agenda politico-culturale nazionale e internazionale, ponendo fine a quel ‘compromesso socialdemocratico’ che aveva caratterizzato gli assetti politici e le politiche pubbliche delle democrazie occidentali nel secondo dopoguerra. Contro i vincoli dello statalismo burocratico, contro l’assistenzialismo improduttivo, contro i poteri di veto di un sindacalismo ritenuto corporativo, contro il lungo ristagno dell’economia, e infine contro un partito laburista ancorato a posizioni anacronistiche e settarie, la politica di governo thatcheriana ha rilanciato un’ideologia basata sul mercato puro e sull’individualismo, inaugurando il cosiddetto neo-liberismo.
Anche la premiership di Tony Blair (1997- 2007) ha avuto la grande ambizione di ridefinire radicalmente l’agenda politica della vecchia sinistra laburista e socialdemocratica, lanciando una sorta di ‘terza via’ tra quest’ultima e il neo-liberismo. Blair ha avuto il merito di portare a compimento il processo di rinnovamento del partito laburista, liberandolo da tutte le scorie ideologiche del passato e rendendolo di nuovo competitivo e appetibile elettoralmente; di accettare alcune importanti innovazioni delle politiche thatcheriane (come il sostegno alla competitività e il rilancio dell’economia di mercato); di perseguire una strada di modernizzazione nelle politiche economiche, sociali e istituzionali, cercando di salvaguardare il difficile equilibrio tra libertà individuale e uguaglianza sociale, tra efficienza economica e solidarietà sociale. Per un decennio il blairismo ha avuto successo in patria e all’estero, connotandosi come uno straordinario esempio positivo di personalizzazione della leadership sul versante democratico - e come la Thatcher trovò in Reagan la sua sponda americana, Blair l’ha trovata in Bill Clinton.
Ma le vicende di questi due grandi primi ministri (entrambi sconfitti non dalle elezioni, ma all’interno dei rispettivi partiti) dimostrano come la politica inglese sia legata, a causa proprio dell’alternanza e dei ricambi frequenti di classe politica, a cicli politici che hanno necessariamente un inizio e un termine, impedendo la cristallizzazione del sistema politico.
C’è da dire che per la prima volta in 65 anni le ultime elezioni del 6 maggio 2010 non hanno prodotto un chiaro vincitore, in grado di formare da solo un governo, anche sotto forma di governo di minoranza. L’alternanza si è verificata, ma la formazione di un governo di coalizione è avvenuta in sede post-elettorale. Con l’accordo di coalizione tra conservatori e liberaldemocratici - che ha dato vita al governo del premier conservatore David Cameron, con vice premier il liberale Nick Clegg - si annunciano vari e profondi cambiamenti politico-istituzionali (referendum sull’alternative vote, durata fissa quinquennale della legislatura, che sottrae al premier il potere di indire elezioni anticipate, regolamentazione del voto di sfiducia, ecc.). È tutto da vedere se l’attuale governo di coalizione sarà l’eccezione o diventerà in futuro la regola della politica inglese, ponendo fine al classico bipartitismo e allo stesso modello Westminster.