L'altra meta della matematica
Molto tempo è passato da quando uno storico della matematica, Gino Loria, esponeva senza pudore i pregiudizi dell’ambiente matematico nei confronti della presenza femminile nel mondo della ricerca: «Per indole, per principi, per convinzione io sono costretto ad essere assai riservato nell’incoraggiare ad accedervi chi la provvida Natura sembra chiamare ad altri destini». Poi, a sostegno di questa sua tesi, citava l’opinione di un medico (nipote del matematico A.F. Möbius) che pensava che «una donna matematica sia contro natura, in certo senso un ermafrodito. Accade una cosa analoga a ciò che notasi per altre attitudini. Donne dotte ed artiste sono prodotti di degenerazione. Soltanto in forza di deviazione della specie, in forza di deviazione patologica la donna può acquistare qualità diverse da quelle che la rendono amante e madre. Bisogna, dunque aspettarsi che nelle donne d’ingegno esistano ancora altre deviazioni. [...] Nessuno dubiterà che la matematica si sarebbe svolta altrettanto felicemente anche se non fossero vissute le donne matematiche che enumerammo. Nessuna ha somministrato qualche cosa di essenziale, nessuna ha concepito metodi nuovi. Furono buone scolare, nulla più». (G. Loria, Scritti, conferenze, discorsi sulla storia delle Matematiche, 1937). Lo stereotipo di una scarsa attitudine delle donne alle discipline scientifiche, e alla matematica in particolare, che ancora negli anni Cinquanta del Novecento risuonava nell’interrogativo del matematico italiano Francesco Severi («Il cervello femminile è proprio adatto alle astruserie matematiche?») ha contribuito a lungo, insieme ai tradizionali pregiudizi legati alla differenza di genere e alla condizione femminile, ad alimentare la discriminazione nei confronti dell’accesso delle donne agli studi e alla ricerca matematica.
Oggi le matematiche presenti nella scuola e nell’università sono numerose e le posizioni raggiunte dall’“altra metà del cielo” non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle dell’inizio del secolo scorso. Periodicamente riemergono, di qua o di là dell’oceano, resistenze e dubbi sulla presunta incompatibilità tra genere femminile e ragionamento matematico (la natura irrazionale ed emotiva delle donne sarebbe poco adatta al rigore e all’aridità di questa disciplina, quasi che esista un gene maschile della matematica), ma non trovano più molto credito. Eppure, anche nel campo della matematica, quella femminile non è una pacifica e tranquilla marcia per affermare le proprie competenze e le proprie capacità. I ruoli più gratificanti, economicamente e socialmente, restano appannaggio del mondo maschile. La metafora del “tetto di cristallo” mostra tutta la sua validità anche nell’ambiente della ricerca scientifica: è come se le donne lavorassero in una stanza con un soffitto di vetro, una barriera invisibile quanto resistente che comprime e ostacola la loro affermazione professionale e la loro carriera.
Se si dà per scontato che la minor presenza femminile nella storia della disciplina e nella ricerca non sia dovuta a una presunta incompatibilità cognitiva, quante sono le donne che nel corso dei secoli hanno legato la loro esistenza allo studio e allo sviluppo della matematica? Chi sono, oltre a Ipazia di Alessandria, divenuta tragica icona della donna scienziata, le matematiche più celebri che la storia ci ha tramandato? Il Novecento ha visto una vera e propria crescita esponenziale degli addetti alla ricerca. I calcoli diventano dunque problematici e poco affidabili. Ma se, per avere una prima valutazione, ci si ferma alla fine dell’Ottocento, si può affermare che nel mondo occidentale le donne scienziate erano state fino ad allora poco meno di mille. Di queste, le matematiche sono circa duecento; di queste, ancora, le più famose sono state Sophie Germain, Sonia Kovaleskaja ed Emmy Noether.
La prima era nata a Parigi nel 1776. Non potendo seguire, in quanto donna, le lezioni dell’École polytechnique (appena fondata), si limitò a raccogliere gli appunti di Lagrange, cui successivamente inviò un suo lavoro di analisi firmato con il nome di monsieur Le Blanc. Lo stesso stratagemma usò con Gauss, con cui entrò in corrispondenza all’inizio del nuovo secolo. E fu proprio Gauss a smascherarla. Nel 1806, Napoleone combatte contro i prussiani e Sophie, preoccupata per la vita del suo protettore, chiede a un ufficiale dell’esercito napoleonico di salvaguardare l’incolumità dell’illustre matematico. Gauss viene così a conoscenza della vera identità di monsieur Le Blanc e, a proposito dei suoi scritti sulla teoria dei numeri, ora così le risponde: «Quando una donna, a causa del suo sesso, o delle abitudini e dei pregiudizi, incontra una quantità di ostacoli infinitamente maggiore rispetto ad un uomo nel familiarizzare con questi problemi, e tuttavia supera questi ostacoli e penetra ciò che vi è più di nascosto, questa donna possiede senza dubbio il più nobile coraggio, un talento straordinario e un ingegno superiore». Dalla teoria dei numeri, Sophie Germain passa a occuparsi di problemi di fisica matematica e in particolare di teoria dell’elasticità. Grazie ai risultati conseguiti in questo campo, nel 1816 vince il premio straordinario messo a concorso dall’Accademia delle scienze di Parigi, dopo una dura polemica contro buona parte della commissione e, in particolare, contro S.D. Poisson, che nel frattempo si era avvalso nei suoi studi di alcuni risultati della Germain (naturalmente, senza citarla). Sophie muore nel 1831 e l’impiegato che scrive l’atto di morte preferisce qualificarla come rentière, piuttosto che come matematica.
Sof’ja Kovaleskaja, meglio conosciuta come Sonia, era invece nata a Mosca nel 1850. La sua giovinezza si colloca negli anni della ribellione nichilista, quando i giovani dell’aristocrazia russa si rivoltano contro ogni forma di autorità e si entusiasmano di fronte all’emancipazione delle donne, all’istruzione e alla diffusione della scienza. Centinaia di ragazze lasciano le loro famiglie per recarsi all’estero a studiare. Per superare la difficoltà di ottenere il passaporto, non essendo sposate e prive dell’autorizzazione paterna, nei circoli studenteschi radicali era invalsa l’abitudine di contrarre un matrimonio di convenienza. È così che Sonia riesce a trasferirsi in Europa, prima a Vienna e poi in Inghilterra, dove conosce tra gli altri George Eliot, Herbert Spencer, Charles Darwin e Thomas Huxley. In Germania, è a Heidelberg che intraprende gli studi veri e propri di matematica, che poi continua a Berlino, dove riesce per quattro anni a ottenere lezioni private da uno dei padri dell’analisi moderna, K. Weierstrass. Nella primavera del 1871 si reca a Parigi, dove nel frattempo erano scoppiati i combattimenti tra repubblicani e comunardi e dove la sorella di Sonia era diventata una convinta femminista e una delle leader della Comune. Il periodo trascorso con Weierstrass, a Berlino, è fondamentale per la formazione matematica della Kovaleskaja. È grazie all’eminente e influente matematico tedesco che Sonia riesce a ottenere il dottorato in matematica (in absentia) dall’università di Göttingen, il primo assegnato a una donna e uno dei primi in assoluto in Europa. La sua tesi contiene quel famoso teorema – ora comunemente ricordato come teorema di Cauchy-Kovalevskaja – che assicura esistenza e unicità al cosiddetto problema di Cauchy per le equazioni alle derivate parziali, quando cioè sono assegnati i valori al contorno che la soluzione e la sua derivata normale devono assumere. Esigenze familiari riportano Sonia in Russia. È un periodo difficile, in cui gli studi matematici vengono abbandonati. Riprenderanno grazie alle insistenze di Weierstrass e di un suo allievo svedese, G. Mittag-Leffler, che le assicura un posto di professore all’università di Stoccolma. Per Sonia è una nuova occasione per riprendere la sua battaglia per l’emancipazione femminile. Il suo più aperto avversario è il commediografo August Strindberg (1849-1912) per il quale «una femmina professore di matematica è un fenomeno pericoloso e sgradevole persino, si potrebbe dire, una mostruosità; e il fatto che sia stata invitata in un paese dove ci sono così tanti maschi matematici di gran lunga superiori può essere spiegato soltanto con la galanteria degli svedesi verso il sesso femminile». Nel 1886 Sonia vince invece il prestigioso Premio Bordin dell’Accademia delle scienze francesi, la più alta onorificenza scientifica che una donna abbia mai raggiunto, con una memoria sulla rotazione di un corpo rigido attorno a un punto fisso.
Emmy Noether (1882-1935), tedesca, appartiene a un periodo successivo, quando anche la ricerca matematica appare ormai professionalizzata nelle sue modalità e nelle sue cadenze. Figlia del celebre geometra Max, ne segue le orme all’università di Erlangen. Può però immatricolarsi solo nel 1904, dopo cinque anni di frequenza in qualità di uditrice. Benché la sua tesi sia giudicata da Hermann Weyl un «maestoso capolavoro» e gli esaminatori le concedano il massimo dei voti, difficile si rivela la ricerca di un’occupazione. Emmy, per otto anni, lavora del tutto gratuitamente aiutando il padre nell’Istituto matematico e addirittura sostituendolo, negli ultimi anni, quando la sua salute non gli permette più di assolvere a tutti gli impegni. È David Hilbert ad accorgersi di lei e a chiederle, con Felix Klein, di unirsi al gruppo che a Göttingen collaborava con Einstein alla formulazione della relatività generale. La battaglia che Hilbert e Klein devono sostenere contro gli elementi più conservatori della facoltà è dura. La maggior parte dei colleghi è concorde nel ritenere che l’arrendevolezza verso una sempre maggiore presenza femminile nell’università costituisca una vergognosa dimostrazione di debolezza morale. Da qui la celebre battuta di Hilbert: «Non mi sembra che il sesso della candidata sia un buon motivo per non ammetterla. Dopo tutto, il Senato accademico non è un bagno pubblico!». Il sarcasmo di Hilbert non è sufficiente. Emmy Noether ottiene la cattedra solo nel ’21. Donna, ebrea e pacifista, finisce la sua carriera (e la sua vita) negli Stati Uniti, vedendo universalmente riconosciuti i suoi lavori pionieristici di algebra astratta.
La realtà italiana non è diversa da quella europea. Le donne riescono ad accedere all’università negli ultimi decenni del secolo, mentre molto più difficile e più lento è il loro inserimento e la loro affermazione tra il personale docente. Il punto di riferimento per la matematica italiana è costituito da Maria Gaetana Agnesi, nata a Milano nel 1718 da una ricca e nobile famiglia. La Agnesi si occupò di analisi e di calcolo differenziale e integrale. La sua opera più celebre, le Istituzioni analitiche ad uso della gioventù italiana, fu pubblicata nel 1748. Contiene quella curva di equazione x 2y = d 2(d – y), nota come versiera di Agnesi, che era stata precedentemente studiata da Fermat e da Guido Grandi (al secolo F.L. Grandi).
Dopo l’Unità la prima donna laureata in matematica è Iginia Massarini, che nel 1887 discute a Napoli una tesi Sul sistema di due coniche studiate nelle loro equazioni generali con il sussidio delle forme invariantive e in notazione simbolica. Il suo esempio viene seguito, sul finire del secolo, da solo altre 18 ragazze. Tra le prime laureate una menzione speciale merita Cornelia Fabri, per l’interesse delle sue pubblicazioni e una “vita normale” dove l’amore per la ricerca entra in conflitto con gli affetti e le incombenze familiari e inevitabilmente ha la peggio. Così Volterra ricorda la prima delle sue allieve: «Il suo esame di laurea fu un avvenimento per l’università di Pisa, non solo in quanto per la prima volta veniva ivi ad addottorarsi una donna, ma anche perché la prova fu sostenuta in modo ammirevole dalla candidata che riportò i pieni voti assoluti e la lode [...]. Non sta a me parlare della santissima vita che condusse. Gli ultimi suoi anni furono consacrati tutti alla famiglia e alle opere di pietà».
La prima donna che, nel 1923, viene chiamata a ricoprire una cattedra di matematica in un’università italiana è Pia Nalli (1886-1964), che si era laureata a Palermo sotto la guida di Giuseppe Bagnera. Analista, vince il concorso a Cagliari per poi tornare in Sicilia, a Catania, solo diversi anni dopo. La sua produzione scientifica (costituita da circa 60 pubblicazioni) è ragguardevole già negli anni precedenti la prima guerra. Spicca in questo periodo la monografia Esposizione e confronto critico delle diverse definizioni proposte per l’integrale di una funzione limitata o no, che costituisce una survey accurata di concetti che avevano trovato una nuova sistemazione solo pochi anni prima, con l’opera di Lebesgue. Subito dopo la guerra, compaiono quelle Note e Memorie che contengono i maggiori contributi di Pia Nalli in analisi, sull’operatore integrale di terza specie a nucleo simmetrico e sulla corrispondente equazione integrale, prima che i suoi interessi si orientino verso il calcolo differenziale assoluto.