L'amaro lagrimar che voi faceste
Sonetto della Vita Nuova (XXXVII 6-8), su schema abba abba; cde dce, presente, oltre che nella tradizione ‛ organica ' del libro e delle sue rime e nella Giuntina del 1527, anche in altri codici di rime dantesche. È il terzo per la Donna gentile o pietosa, e rappresenta un passo ulteriore verso il consentimento pieno all'amore per lei, in quanto ammette per la prima volta la tentazione di D. di obliare Beatrice. La situazione è chiaramente definita dalla prosa: Io venni a tanto per la vista di questa donna, che li miei occhi si cominciaro a dilettare troppo di vederla; onde molte volte me ne crucciava nel mio cuore ed aveamene per vile assai (XXXVII 1). È costruito, con notevole maestria tecnica, su di un lungo periodo strofico con armoniche pause e modulazioni interne (vv. 1-13), contenente il rimprovero agli occhi infedeli. L'ultimo verso, Così dice 'l meo core, e poi sospira, acquista dal suo stesso isolamento intensità e rilievo maggiori, ed evidenzia la tonalità più intima dell'ispirazione, come, nel precedente Color d'amore, la chiusa ma lagrimar dinanzi a voi non sanno.
In entrambi i casi la chiusa epigrammatica resta volutamente aperta e indefinita, col senso di una conclusione non raggiunta, di una pacificazione non ottenuta, di un'ambiguità che risponde intimamente alla crisi in atto del sentimento. Quanto alle cadenze preciniane e prepetrarchesche di questi sonetti, avvertite dal Sapegno e da altri, conviene forse risalire al comune archetipo ovidiano, alla tendenza epigrammatica ed elegiaca in esso implicita, che D. svolge originalmente sul personale acquisto della misura stilistica della ‛ dolcezza '. Certo, rispetto alle rime della lode, c'è qui una minore tensione contemplativa e mitica, una ricerca psicologica definita su parametri più quotidiani, sottolineata dalla misura narrativa della prosa. Il Sapegno parla di uno stato di perplessità, irrequietudine e avvilimento conseguenti alla morte di Beatrice che si rispecchierebbe in questi sonetti " elaborati e vistosi assai più che non intimamante sentiti "; ma converrà togliere al giudizio la connotazione negativa e insistere, oltre che sulla loro " maestria formale " (che è pur sempre, comunque sia, un acquisto), sul loro valore nella storia della Vita Nuova e della poesia di Dante. Come hanno giustamente osservato D. De Robertis e il Pernicone, questo e il sonetto seguente, Gentil pensero che parla di vui, si riflettono tematicamente e stilisticamente nella grande canzone Voi che 'ntendendo, come lo ‛ stilo de la loda ' in Amor che ne la mente mi ragiona. Nella poetica delle dolci rime essi rappresentano il tema dello scavo interiore e dell'elegia dialetticamente compresente a quello dell'inno e dell'affermazione totale: basterà ricordare, per quest'intima fusione di elemento patetico e di elemento contemplativo, un'altra grande canzone, Amor che movi tua vertù dal cielo. Cfr. anche VIDERO LI OCCHI MIEI QUANTA PIETATE, e GENTIL PENSERO CHE PARLA DI VUI.
Bibl. - Oltre ai commenti, soprattutto quello di N. Sapegno, Firenze 1957², Barbi-Maggini, Rime 140 ss., e Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 145, 148 e Appendix 341-362; G. Lisio, L'arte del periodo nelle opere volgari di D., Bologna 1902, 105; D. De Robertis, Il libro della Vita nuova, Firenze 1961, 168-173; ID., Le Rime di D., in Nuove lett. I 310-316, ora in Il libro della Vita nuova, cit., pp. 271-279; V. Pernicone, Le Rime, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 680; Barbi-Pernicone, Rime 381, 384-385.