L’anatocismo e le banche
L’anatocismo bancario riceve una disciplina speciale rispetto a quella comune ex art. 1283 c.c., frutto di innovazioni legislative, interpretazioni giurisprudenziali e pronunce del giudice delle leggi. Per i decenni anteriori all’anno 2000, quando essa è stata legittimata dall’art. 120 del testo unico bancario, la pratica di inserire nei contratti di conto corrente le clausole anatocistiche ha comportato ingenti debiti per interessi dei clienti, che la Corte Suprema ha reputato non dovuti. Le azioni di ripetizione, promosse a fronte delle azioni di pagamento intraprese dalle banche o in via autonoma, hanno dovuto essenzialmente affrontare due questioni, quali il decorso del termine di prescrizione ex art. 2033 c.c. e la validità di un anatocismo annuale, in sostituzione di quello trimestrale. Entrambe hanno ricevuto soluzione per particolari profili, alla stregua dei concorrenti interventi menzionati.
L’anatocismo bancario è tema che ha visto, negli anni, ripetuti interventi sia del supremo organo della giustizia ordinaria, sia del legislatore e della Corte costituzionale, in uno scambio di voci che ne ha configurato l’attuale regolamentazione.
In particolare, la disciplina attuale deriva, per i contratti conclusi dopo il giugno 2000, dall’art. 120 t.u.b., che rende legittime le clausole anatocistiche alle condizioni ivi previste.
Per i contratti conclusi prima di tale data, a tutt’oggi numerosi, la loro disciplina discende dall’applicabilità dell’art. 1283 c.c., onde la nullità delle clausole di anatocismo anche annuale, con la conseguente titolarità dell’azione di ripetizione dell’indebito, che si prescrive in dieci anni dalla chiusura del conto (Cass., S.U., 2.12.2010, n. 24418), atteso che la fissazione del dies a quo alla data del singolo addebito non dovuto disposta per legge (art. 2, co. 61, d.l. 29.12.2010, n. 225, introdotto dalla legge di conversione 26.2.2011, n. 10) è caduta in virtù di sentenza del giudice delle leggi (C. cost. 5.4.2012, n. 78).
Per comprendere la situazione in atto, giova considerare le ragioni dell’autonomia raggiunta dall’anatocismo bancario rispetto a quello del diritto comune delle obbligazioni.
1.1 Breve storia della capitalizzazione trimestrale degli interessi nei rapporti bancari
Superando la tesi che reputava esistente un uso normativo, ai sensi dell’art. 1283 c.c., legittimante le clausole di capitalizzazione trimestrale, da decenni inserite nelle condizioni generali dell’Abi ed applicate ai contratti di conto corrente, nella primavera del 1999 la Corte di cassazione diede alla disposizione una nuova lettura, la quale escludeva, per gli enti creditizi, la possibilità di far valere usi normativi idonei a superare il divieto di anatocismo preventivo, enunciando un principio reiteratamente confermato dalle successive sentenze e non più smentito1.
A tale indirizzo diede immediato riscontro il legislatore, per prevenire il contenzioso.
Con l’art. 25 d. lgs. 4.8.1999, n. 342, che innovava l’art. 120 t.u.b., fu dettato un regime speciale dell’anatocismo nelle operazioni bancarie, ridisciplinando le modalità di calcolo degli interessi su base paritaria tra banca e cliente. Esso era composto di tre commi.
Mentre il co. 1 si limitava a sostituire la formulazione della rubrica dell’art. 120, i co. 2 e 3 disciplinavano rispettivamente i contratti conclusi dopo e prima dell’entrata in vigore della normativa di rango secondario.In particolare, per la regolamentazione in avvenire, il secondo comma dell’art. 25 citato integrava l’art. 120, 2 co., t.u.b., che rinviava ad una specifica disciplina del Cicr (emanata il 9.2.2000), mentre, per i rapporti pregressi, il terzo comma dell’art. 25 stabiliva che le clausole di anatocismo, contenute nei contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della disciplina del Cicr dovessero considerarsi «valide ed efficaci» fino a tale data, con ciò sancendo, per via normativa, la legittimità di quell’uso.
La nuova disciplina fu alquanto criticata in dottrina, con riguardo sia al metodo e sia al merito dell’intervento riformatore, e fu fatta oggetto di numerose ordinanze di rimessione al giudice delle leggi.
Per i contratti conclusi prima della menzionata delibera regolamentare, dei quali si provvedeva a salvare gli effetti, l’art. 25, co. 3, d. lgs. 4.8.1999, n. 342 cadde per effetto della sent. C. Cost. n. 425/2000, la quale dichiarò l’incostituzionalità della norma, nella parte in cui stabiliva in maniera indiscriminata la validità ed efficacia delle clausole di anatocismo2.
Il secondo comma della disposizione, invece, passò indenne al vaglio costituzionale3.
Pertanto, l’art. 120, co. 2, t.u.b. fornisce ormai la base legale alle pattuizioni riguardanti la capitalizzazione periodica degli interessi nei contratti bancari. Le clausole di capitalizzazione trimestrale, conformi al disposto dell’art. 120 t.u.b. e della delibera Cicr, sono dunque salve. Le banche e gli intermediari finanziari applicano l’anatocismo legittimamente, sulla base di una fonte scritta di rango secondario, autorizzata dal legislatore, che ha corretto i profili di disparità più evidenti.
Si può parlare di specialità dell’anatocismo nei rapporti bancari e finanziari, divenuto un fenomeno autonomo da quello del diritto comune delle obbligazioni e sottratto alla disciplina dell’art. 1283 c.c.
Resta il problema per le (peraltro numerose) clausole anatocistiche inserite nei contratti conclusi anteriormente al 2000. Tali clausole oggi sono nulle, perché l’eliminazione ex tunc (in virtù della sent. C. cost. n. 425/2000) dell’eccezionale norma di salvezza per le clausole già stipulate le lascia sotto il vigore della disciplina comune, ossia l’art. 1283 c.c., che ne dispone la nullità.
A tal proposito, la Corte Costituzionale esclude la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., quando situazioni uguali nel corso del tempo siano regolate in modo difforme, posto che «proprio il fluire stesso del tempo costituisce un elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche»4.
A questo punto, si tratta di individuare le conseguenze che si accompagnano alla dichiarazione di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, sancita dall’art. 1418 c.c. per contrarietà alla norma imperativa dell’art. 1283 c.c., con riguardo ai contratti “chiusi” ed ai contratti in corso fino al cambiamento dell’attuale clausola anatocistica.
La nullità delle clausole anatocistiche è oggettivamente parziale, ai sensi dell’art. 1419, co. 1, c.c., in quanto esse assumono, verosimilmente, valore essenziale solo per il creditore. Essa, ai sensi dell’art. 1421 c.c., può essere pronunciata d’ufficio, a fronte di una domanda di adempimento della banca5 ed anche di risoluzione6.
Quanto ai rimborsi, non contenendo il codice civile una disciplina generale delle restituzioni da contratto nullo, vale il rinvio contenuto nell’art. 1422 c.c.: affermata la nullità delle clausole bancarie di capitalizzazione trimestrale, ne deriva, da un lato, il diritto di ripetere i pagamenti degli interessi già effettuati, ai sensi dell’art. 2033 c.c., non sorretti da giusta causa di attribuzione; dall’altro, ove necessario, il diritto di rifiutare legittimamente la prestazione degli interessi anatocistici, che sarebbero dovuti in virtù della previsione contrattuale.
Le questioni aperte, peraltro, su cui si erano riscontrati ampi contrasti fra i giudici di merito, erano soprattutto due: la decorrenza della prescrizione dell’azione di restituzione dell’indebito e la possibilità di calcolare comunque la capitalizzazione annuale a carico del cliente.
2.1 Le conseguenze: azione di indebito e momento di decorrenza della prescrizione dell’azione
All’epoca di cui si discute, i soggetti che agivano in ripetizione erano le imprese, più che i consumatori, in quanto prevaleva l’indebitamento delle prime su quello delle famiglie.
Mentre l’azione di nullità è imprescrittibile, l’azione di ripetizione è, invece, soggetta a prescrizione, a norma dell’art. 1422 c.c.
Restano, anzitutto, inapplicabili gli art. 2947 e 2948, n. 4, c.c., relativi al credito risarcitorio ed a quello per interessi: il primo, in quanto il credito del cliente non deriva da fatto illecito della banca; il secondo, perché non si tratta del credito per interessi vantati dal cliente, ma di quello alla ripetizione di somme, sia pure per interessi, addebitate senza titolo, e dunque la prescrizione prevista dall’art. 2948, n. 4, c.c. resta estranea alla fattispecie, riguardando gli interessi dovuti, mentre qui si tratta della ripetizione di interessi non dovuti, che è ipotesi di ripetizione d’indebito. Il credito per interessi, infatti, si prescrive in cinque anni, ma quello per la ripetizione di interessi indebitamente corrisposti si prescrive in dieci anni.
L’azione è soggetta, in conclusione, all’ordinaria prescrizione decennale, di cui all’art. 2946 c.c.
Circa, però, il dies a quo del termine prescrizionale, si affermava, da taluno, che il contratto di conto corrente genera un rapporto giuridico unitario, sia pure articolato in una pluralità di operazioni: dunque, il momento di decorrenza della prescrizione andrebbe individuato nel giorno della chiusura definitiva del conto, atteso che la stabilizzazione del rapporto fra le parti si verifica soltanto da essa e, quindi, solo allora sono ripetibili le somme indebite corrisposte sin dall’inizio del rapporto7. La tesi muove dalla ricostruzione dottrinale del conto corrente bancario come contratto misto (mandato, più un altro contratto, quale deposito, apertura di credito, ecc.), che diviene unico, in quanto svolge un’unica funzione.
Secondo altri, invece, la prescrizione decorre dal momento in cui il cliente avrebbe potuto esercitare il diritto di ripetizione, ossia dal giorno della chiusura periodica del conto, perché allora la banca ha esatto gli interessi, e, dunque, il cliente ha avuto il diritto ed il potere di agire in giudizio ex art. 2935 c.c. per ripetere quanto indebitamente annotato8. Questa tesi confuta la ritenuta unitarietà del rapporto, osservando che, anche nei contratti a prestazione periodica, il solvens ha diritto di esercitare più pretese di ripetizione, ove il contratto sia nullo, portando l’esempio della locazione e dei canoni pagati in misura maggiore mensilmente: ciascuna delle singole prestazioni indebite della cui esecuzione e della cui ripetizione si tratta, anche all’interno di un rapporto di durata, costituisce una prestazione indebita suscettibile di ripetizione e rispetto alla quale corre un autonomo termine di prescrizione. La tesi in esame si rifà piuttosto all’inquadramento del contratto di conto corrente quale frutto di un collegamento negoziale fra i contratti costitutivi della disponibilità (deposito, apertura di credito) e quello di mandato, in quanto esso persegue diverse finalità del cliente e non diviene un contratto unitario, mantenendosi i contratti strutturalmente distinti.
2.2 (segue) La capitalizzazione annuale degli interessi anatocistici
Una volta accolta dalle Sezioni Unite della Cassazione la tesi della nullità della clausola del conto corrente bancario che prevede la capitalizzazione trimestrale a carico del cliente, le corti di merito si trovavano di fronte al problema del ricalcolo degli interessi dovuti alle banche.
Una parte della giurisprudenza e della dottrina, mostrando insoddisfazione per l’esclusione di qualsiasi conseguenza per il debitore che non adempie all’obbligazione di pagamento degli interessi e, dunque, azzera il costo del denaro per il cliente (quello che è stato definito un «paradosso economico»), aveva invero ricercato altre strade, capaci di evitare tale conseguenza, reputata eccessiva.
Era stata, pertanto, da molti tribunali applicata la capitalizzazione annuale.
Tra gli argomenti addotti a sostegno di tale possibilità, si osservava come, premessa l’esigenza di impedire che l’inadempimento dell’obbligazione di pagamento di interessi sia priva di alcuna responsabilità per il debitore, si debba individuare la ratio dell’art. 1283 c.c. nell’esigenza di diluire l’effetto moltiplicatore derivante da una frequenza eccessivamente elevata delle scadenze recanti la produzione di nuovi interessi, ritenendosi che lo scopo sia perseguito dal legislatore con l’impedire termini di scadenza degli interessi eccessivamente ravvicinati tra loro.
In tale prospettiva, l’intento del legislatore sarebbe non già quello di limitare la responsabilità del debitore per inadempimento dell’obbligazione di interessi al solo caso in cui vi sia una domanda giudiziale o una convenzione successiva, bensì di impedire il suddetto moltiplicarsi dell’obbligazione di interessi: effetto moltiplicatore scongiurato proprio dal meccanismo della capitalizzazione annuale, che troverebbe il referente normativo nella previsione di cui all’art. 1284 c.c.
In definitiva, poiché è la legge stessa a ritenere adeguato l’anno quale termine entro il quale viene a scadenza l’obbligazione di interessi, si inferisce che detto termine costituisca anche un periodo temporale idoneo ad impedire quell’effetto di moltiplicazione automatica del debito che l’art. 1283 c.c. intende scongiurare.
Ancora più tranchant, era la ritenuta inapplicabilità dell’art. 1283 c.c. al conto corrente bancario, tesi enunciata già quando si discorreva della capitalizzazione trimestrale, ed ancor più utile per l’anatocismo annuale.
Secondo la tesi avversa ad ogni tipo di capitalizzazione, doveva, invece, negarsi il diritto della banca anche all’anatocismo annuale, non essendo consentito neppure un diverso ritmo della capitalizzazione, pur quando siano decorsi molti anni e con possibile trasformazione di un saldo passivo in un saldo attivo per il cliente.
2.3 La sentenza delle Sezioni Unite n. 24418/2010
Con la sentenza 2.12.2010, n. 24418, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno risolto entrambe le questioni, fissando importanti principi.
In primo luogo, la decorrenza della prescrizione per l’azione di ripetizione viene reputata «soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati».
La corte era chiamata a stabilire se fosse configurabile un «pagamento», asseritamente indebito, da parte del cliente, con la conseguente pretesa di restituzione, dunque soggetta a prescrizione solo dal momento in cui un pagamento è avvenuto.
La soluzione ha riguardato specificamente il contratto di apertura di credito bancario in conto corrente.
Per esso, la Corte ha ragionato nel senso che è il modo di funzionamento tipico di tale contratto (artt. 1842 e 1843 c.c.) a palesare, allorché il cliente si limiti a ripristinare in tutto o in parte la disponibilità, che egli esegue meri versamenti, non pagamenti in senso tecnico.
I versamenti, invece, possono essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca: e questo può accadere solo quando i versamenti (oltre al caso del conto scoperto cui non acceda alcuna apertura di credito) siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento.
Non è così, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere.
Sin dal momento dell’annotazione, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, il correntista potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso e recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non può agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo.
Il secondo principio affermato attiene alla capitalizzazione annuale, dalla Corte reputata in ogni caso illegittima, perché l’art. 1283 c.c. osta anche ad un’eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale: pertanto, «dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione».
Non esiste, nel dictum della Corte, un uso normativo atto a giustificare, nel settore bancario, una deroga ai limiti posti all’anatocismo dall’art. 1283 c.c.
2.4 La legge n. 10/2011
Dopo appena pochi mesi dalla pubblicazione della predetta sentenza, la l. 26.2.2011, n. 10, di conversione con modificazioni del d.l. 29.12.2010, n. 225, cd. “Decreto mille proroghe”, all’art. 1 co. 1, richiamando l’allegato «Modificazioni apportate in sede di conversione», ha aggiunto numerosi commi all’art. 2 del citato decreto legge, fra i quali il co. 61, il quale così ha disposto: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge».
Essa ha, pertanto, inteso incidere sul primo principio dettato nell’arresto delle Sezioni Unite, avanti ricordato. Il decorso della prescrizione è stato fissato, per legge, al momento dell’annotazione dell’operazione; addirittura, si dispone l’esclusione del diritto alla ripetizione dell’indebito già versato.
Il ragionamento della Corte di cassazione, riguardante il valore giuridico dell’annotazione a seconda che il versamento sia o no ripristinatorio della provvista nell’apertura di credito, viene interamente cancellato: in tutti i rapporti di conto corrente bancario, si dispone che sin dall’annotazione della posta decorre la prescrizione di eventuali pretese restitutorie.
2.5 La sentenza della Corte Costituzionale n. 78/2012
La norma è stata subito fatta oggetto di plurime ordinanze di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Con la sentenza 5.4.2012, n. 78, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del predetto art. 2, co. 61, d.l. n. 225/2010, inserito in sede di conversione.
Essa ha ritenuto violato l’art. 3 Cost., in quanto la norma retroattiva non rispetta i principî generali di eguaglianza e ragionevolezza, essendo intervenuta sull’art. 2935 c.c. in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, né rappresenta una possibile variante di senso del testo originario della norma oggetto d’interpretazione, rendendo altresì asimmetrico il rapporto contrattuale di conto corrente. Inoltre, l’art. 2, co. 61, d.l. n. 225/2010 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo sotto un altro profilo.
Invero, la Corte non ha ravvisato i motivi imperativi d’interesse generale, idonei a giustificare l’effetto retroattivo, con violazione del parametro dell’art. 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU: infatti, se è vero che, in linea di principio, al legislatore non è vietato emanare norme civili retroattive, tuttavia i principî della preminenza del diritto e dell’equo processo ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia.
Essa ha così concluso: «Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011 (comma introdotto dalla legge di conversione). La declaratoria di illegittimità comprende anche il secondo periodo della norma («In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»), trattandosi di disposizione strettamente connessa al primo periodo, del quale, dunque, segue la sorte».
Il contratto di conto corrente accede, di regola, a tutte le convenzioni con gli utenti del servizio bancario, situazione che amplia l’importanza delle vicende che lo riguardano, sino ad interessare la categoria dei risparmiatori-investitori.
Per quanto riguarda i profili trattati, qualche ulteriore osservazione meritano alcune fattispecie di imputazione degli interessi anatocistici sui conti correnti bancari ed, in generale, i rapporti banca-cliente.
3.1 I versamenti costituenti pagamento
Si ricorda come molti, in passato, avessero sottolineato l’esigenza di un diverso trattamento della capitalizzazione nelle ordinarie obbligazioni pecuniarie e nel conto corrente bancario: evidenziando come il contratto di conto corrente bancario, per il suo meccanismo di funzionamento, debba dirsi addirittura estraneo all’ambito applicativo dell’art. 1283 c.c.
Si osserva, infatti, che nel conto corrente bancario le parti convengono di regolare i rapporti dare-avere con le annotazioni e non la materiale dazione di denaro, con saldo disponibile in ogni momento, il quale indica la moneta bancaria utilizzabile, mentre l’annotazione sul conto ha effetto immediatamente estintivo delle reciproche obbligazioni, e, alla chiusura del conto periodica, i crediti reciproci, derivanti dal rapporto stesso, vengono esatti con l’annotazione: pertanto, con l’annotazione il rapporto relativo agli interessi si estinguerebbe, tanto da non potersi parlare di interessi scaduti, che producono altri interessi.
Tale situazione di confusione degli interessi nelle somme risultanti a saldo sarebbe solo analoga al fenomeno dell’anatocismo, salvo invece costituire una caratteristica intrinseca del tipo contrattuale. Sarebbe proprio il sistema delle annotazioni in conto e della continua formazione del saldo, di cui all’art. 1852 c.c., a comportare l’annotazione degli interessi con la periodicità pattuita dalle parti nell’esercizio dell’autonomia privata. Insomma: nel conto corrente bancario «l’anatocismo non c’è, come fattispecie», e ciò perché «l’annotazione degli interessi primari riduce il saldo disponibile (comunque creato: giacenza o fido della banca)»9. Con l’annotazione e l’immediato formarsi di un nuovo saldo, gli interessi si mescolano al capitale, perdono la loro natura, trasformandosi in capitale: ecco perché vi è differenza rispetto all’art. 1283 c.c., dove gli interessi restano sempre tali (ad es. al fine dell’applicazione dell’art. 1194 c.c.).
Ma la tesi secondo cui, posto che il meccanismo giuridico di regolazione periodica degli interessi passivi comporta il soddisfacimento e non già la capitalizzazione a debito degli interessi stessi, ciò avvenendo, ove il conto sia attivo, mediante decurtazione di essi dal saldo, e, ove il conto sia invece passivo, attraverso rimborso, con contestuale elargizione di credito da parte della banca per far fronte a tale adempimento, non è stata accolta nella sent. Cass., S.U., 4.11.2004, n. 12095, che individuava, appunto, in tali clausole una vera e propria capitalizzazione trimestrale degli interessi, comportante anatocismo illecito ex art. 1283 c.c.
A confutare questa prospettazione, già respinta dalla sentenza ora citata, ha provveduto anche Cass. 18.1.2006, n. 870, la quale spiega: «Per quanto riguarda poi l’ulteriore profilo in ordine alla dedotta inapplicabilità dell’art. 1283 c.c. prospettato sul rilievo che tale norma riguarderebbe solo gli interessi corrispettivi e moratori e non già quelli compensativi in cui si identificherebbero quelli di conto corrente, si osserva che – a parte l’uso indiscriminato che a volte viene fatto dei due termini (corrispettivi e compensativi) nonché il fatto che solo l’art. 1499 c.c. (relativo alle obbligazioni del compratore nel contratto di vendita) fa esplicito riferimento all’“interesse compensativo” – non può in ogni caso negarsi la natura corrispettiva degli interessi di conto corrente, rientrando certamente nell’ambito di applicazione del principio in base al quale l’utilizzazione di un capitale o di una cosa fruttifera obbliga l’utente al pagamento di una somma proporzionale e cioè corrispettiva al godimento ricevuto».
Tali sentenze dunque individuano una vera e propria capitalizzazione trimestrale degli interessi, comportante anatocismo illecito ex art. 1283 c.c.
Orbene, nella attuale situazione, fondamentale è la sentenza Cass., S.U., 2.12.2010, n. 24418, al cui “diritto vivente” si torna a far riferimento, una volta eliminata dalla consulta la disposizione di legge che la smentiva.
Essa, come esposto, ha peraltro dichiaratamente limitato il suo decisum al caso dei versamenti in funzione ripristinatoria della provvista, in presenza di un’apertura di credito.Nel far ciò, la corte, con riguardo al contratto di apertura in conto corrente, in cui il versamento sia stato ripristinatorio della provvista, e richiamando la nota distinzione operata in tema di azione revocatoria fallimentare, ha negato la natura di pagamento in senso tecnico, come sopra si è ricordato.
Ne deriva che, laddove le condizioni siano diverse, la prescrizione decorre dalla data in cui il pagamento indebito è stato eseguito. Questo avverrà tutte le volte in cui, come precisa la sentenza stessa, l’atto abbia efficacia solutoria, ossia appunto si tratti di pagamento, come accade quando il versamento venga eseguito su di un conto passivo (cd. scoperto) in assenza di qualsiasi apertura di credito a favore del correntista oppure ove il versamento sia destinato a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento (cd. extra fido).
3.2 Il mercato creditizio tra funzionalità e controlli
Si afferma che la posizione dell’impresa bancaria non è pari a quella di ogni altro imprenditore, essendo caratterizzata da uno strutturale squilibrio finanziario, il quale ispira la disciplina di settore (dall’autorizzazione all’esercizio dell’impresa alla vigilanza, dalla partecipazione al capitale al controllo della crisi) ed incide anche sui contratti, in particolare quelli di erogazione del credito (artt. 115 ss. t.u.b.); per tener conto di tali peculiarità, si ammette, ad esempio, la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali (art. 118 t.u.b.).
Al sistema bancario, peraltro, sono affidate funzioni di politica economica, in quanto attività imprenditoriale di pubblico interesse, quale ordinamento sezionale. L’impresa bancaria ha obblighi di protezione nei confronti dei depositanti (art. 47 Cost.) e l’atteggiamento in ordine alla erogazione del credito deve venirne influenzato.
La Corte di cassazione, sin dal 2004, ha recepito istanze diffuse, tese al riequilibrio del rapporto tra le banche e gli utenti del servizio da esse prestato, alterato dall’esistenza di un sistema bancario a vocazione oligopolistica, sostanzialmente indotta dall’esistenza delle norme bancarie uniformi.
Essa ha compiuto, più in generale, importanti affermazioni sulla responsabilità degli intermediari10 e relativa agli illeciti commessi nello svolgimento dell’attività bancaria11.
Può collocarsi nell’ambito della trasparenza del contratto anche il fenomeno della produzione degli interessi sugli interessi, dal momento che l’anatocismo incide sui costi del contratto: l’art. 1283 c.c., si afferma tradizionalmente, mira a rendere edotto il debitore dei maggiori costi legati al protrarsi dell’inadempimento, perché con la domanda giudiziale gli potranno essere richiesti gli interessi anatocistici, ed a far sì che egli calcoli l’esatto ammontare del debito quando sottoscrive la convenzione anatocistica. La tutela offerta dalle norme speciali è però indefettibile.
Invero, il rapporto tra le banche e gli utenti del relativo servizio necessariamente deve essere riequilibrato in via normativa, mediante la creazione di un mercato del credito più rispondente alle esigenze della concorrenza. Il testo unico bancario del 1993 costituì una tappa fondamentale del cammino dall’oligopolio amministrato della legge bancaria del 1936 al mercato. Il mercato del credito è stato, quindi, influenzato da importanti avvenimenti – come «l’inarrestabile processo di “europeizzazione”, le modifiche nell’assetto proprietario e dei controlli, l’anelito al mercato e alla concorrenza»12 – che non potevano non investire anche i rapporti banca-cliente, dove la trasparenza nelle operazioni bancarie è divenuto l’obiettivo primario.
Nell’ambito dei contratti, tanto di erogazione del credito quanto nella raccolta del risparmio, il punto nodale attraverso cui passa la tutela è dunque l’informazione circa le condizioni contrattuali: vanno in questa direzione le norme13 del settore finanziario (alle quali è seguita, come è noto, la ricerca di trasparenza anche in altri settori, la tutela del risparmiatore avendo storicamente precorso i modelli di tutela del consumatore), cui va il compito essenziale di arginare condotte spregiudicate e riconquistare la fiducia del mercato.
1 Cass., 16.3.1999, n. 2374 e 30.3.1999, n. 3096, in Giur. it., 1999, 1221, con nota di Cottino, G., La cassazione muta indirizzo in tema di anatocismo; Fall., 1999, 1234, con nota di Panzani, L., Anatocismo e capitalizzazione trimestrale degli interessi bancari; Cass., 11.11.1999, n. 12507, in Foro it., 2000, I, 451, con nota di Palmieri, A., L’anatocismo, le banche e il tramonto degli usi: un prospective overruling del legislatore e Nigro A., L’anatocismo nei rapporti bancari tra passato e futuro; Cass., S.U., 4.11.2004, n. 21095, ivi, 2004, I, 3294, con nota di Palmieri, A.-Pardolesi, R., L’anatocismo bancario e la bilancia dei Balek.
2 La sentenza C. cost., 17.10.2000, n. 425 è edita, fra l’altro, in Corr. giur., 2000, 1453, con nota di Carbone, V., L’anatocismo bancario dopo l’intervento della corte costituzionale e Riv. dir. privato, 2000, 734, con nota di Ferro Luzzi, P., «Le opzioni ermeneutiche dell’ambito semantico»; l’anatocismo arriva alla corte costituzionale.
3 C. cost., ord., 4.7.2008, n. 254, in Foro it., 2008, I, 2728.
4 C. cost., 12.10.2007, n. 341, in Foro it., 2008, I, 2100.
5 Fra le altre, Cass., 25.11.2010, n. 23974, 10.10.2007, n. 21141 e 12.4.2007, n. 8820.
6 Cfr. Cass., S.U., 4.9.2012, n. 14828, in tema di preliminare di permuta.
7 Così, fra le tante, Trib. Benevento, ord. 12.2.2010, Trib. Torino, 21.1.2010 e Trib. Brescia, 18.1.2010, tutte in www.ilcaso.it.
8 Cfr. Trib. Mantova, 2.2.2009 e App. Brescia, 16.1.2008, ibidem; Trib. Monza, 12.12.2005, in Banca borsa., 2007, II, 204; Trib. Torino, 30.10.2003, in Giur. it., 2004, 102. In tal senso la dottrina dominante: fra gli altri, Grasso, G., Cassazione, anatocismo e istituti di credito: possono le banche vantare un legittimo affidamento sull’interpretazione uniforme della suprema corte di cassazione?, in Riv. dir. civ., 2006, II, 61; Palmieri, A.-Pardolesi, R., op cit.
9 Cfr. Ferro Luzzi, P., Una nuova fattispecie giurisprudenziale: “l’anatocismo bancario”, postulati e conseguenze, in Giur. comm., 2001, I, 5 ss., spec. 16 ss.; Dell’anatocismo, del conto corrente bancario e di tante cose poco commendevoli, in Riv. dir. priv., 2000, 201; Lezioni di diritto bancario, Torino, 1995, 162. Quindi, cfr.: Colombo, C., L’anatocismo, Milano, 2007, 137 ss. e 154; id., Anatocismo - [postilla di aggiornamento, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2005, 1 ss.; Morera, U., Anatocismo bancario ed errori di prospettiva: nonostante la cassazione, c’è luce in fondo al tunnel, in Giust. civ., 2005, I, 1841, secondo cui nel conto corrente bancario «in funzionamento» il fenomeno anatocistico non è neppure configurabile dal punto di vista giuridico; Scozzafava, O.T., L’anatocismo e la cassazione: così è se vi pare, in Contratti, 2005, 221; La Rocca, G., L’anatocismo - Dall’inadempimento ai contratti di credito, Napoli, 2003, spec. 87 ss., 147, 153 ss.; id., Anatocismo nei contratti bancari: razionalità e storia della recente novella, in Foro it., 1999, I, 3637; Cabras, G., La capitalizzazione degli interessi nel conto corrente bancario: l’equivoco della sineddoche, in Giur. comm., 2000, I, 348 ss., a p. 352 ss., ove afferma che l’art. 1283 c.c. riguarda gli interessi sulle somme di denaro esigibili, ma nel conto corrente bancario a favore della banca non esistono obbligazioni pecuniarie, perché solo il correntista può disporre delle somme in ogni momento; Cavalli, G., Conto corrente bancario, in Enc. giur. Treccani, 1988, 6, per il quale «l’anatocismo appare connaturato al regolamento in conto corrente, tant’è vero che anche nella fattispecie dell’art. 1823 la chiusura periodica implica l’assorbimento degli interessi nel capitale, con tutte le conseguenze che ne derivano in caso di continuazione del rapporto»; Marini, A., Anatocismo e usi bancari, in Riv. dir. comm., 1982, II, 89 ss.
In giurisprudenza, così App. Torino, 7.5.2004, in Giust. civ., 2005, I, 1835, ove la citata nota favorevole di Morera, e id., 14.8.2003, in Foro pad., 2003, I, 529; Trib. Roma, 11.11.2004, in Giust. civ., 2005, I, 1841, secondo cui, nell’apertura di credito in conto corrente, «il materiale rientro di capitale ed interessi nel termine stabilito è sostituito dalla loro annotazione in conto – corrispondente ad una restituzione virtuale – cui segue – quale nuovo prestito virtuale – la loro unificazione come voce di capitale nel periodo successivo», e id., 28.3.2001, in Riv. dir. comm., 2002, II, 383.
10 Cfr., da ultimo, Cass., 10.8.2012, n. 14299, sul diritto dell’azionista al risarcimento del danno in caso di violazione dell’obbligo di o.p.a.; Cass., S.U., ord. 8.4.2011, n. 8034 e 11.6.2010, n. 14056, sulla responsabilità in caso di inidoneo prospetto informativo di un’o.p.a.; 17.2.2009, n. 3773 e S.U., 19.12.2007, n. 26724, sulla responsabilità nei servizi di investimento e i doveri di informazione.
11 Cass., S.U., 30.9.2009, dalla n. 20929 alla n. 20939, in particolare sui doveri degli amministratori e dei sindaci e sul concorso di persone nell’illecito.
12 Palmieri, A., L’anatocismo, le banche e il tramonto degli usi, cit.
13 Si pensi agli artt. 2 e 3 l. 7.3.1996, n. 108 sull’usura, che impone siano resi noti i tassi effettivi globali medi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari; i già citati artt. 116-123 t.u.b. ed, in particolare, l’art. 122 sul tasso annuo effettivo globale, con la relativa normativa regolamentare; gli artt. 21 e 23 t.u.f., sull’adeguatezza delle informazioni nella prestazione dei servizi di investimento, con gli artt. 26 ss. della delibera Consob 1.7.1998, n. 11522; gli artt. 30 ss. t.u.f. sulle offerte dei prodotti finanziari fuori sede e a distanza; gli artt. 121 ss. t.u.f. sul credito al consumo, gli artt. 126 bis ss. t.u.f. sui servizi di pagamento anche in moneta elettronica e gli artt. 67 bis ss. d.lgs. 6.9.2005, n. 206 sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori; anche nel vicino settore delle assicurazioni, il Titolo XIII c. assicurazioni, è intitolato alla Trasparenza delle operazioni e protezione dell’assicurato.