di Ludovico Carlino
Se il 2014 può essere considerato l’anno della definitiva ascesa dello Stato islamico (Is), la storia del gruppo affonda le radici in un percorso militante decennale, accelerato dal conflitto siriano e dall’incerta transizione politica irachena, che in ultima istanza hanno permesso all’organizzazione di diventare un elemento portante dell’asse d’instabilità regionale. L’Is è difatti l’ultima versione del gruppo militante sunnita sorto nel 2004 con il nome di al-Qaeda in Iraq, organizzazione che deriva dalla precedente Jamaat al-Tawhid wal-Jihad di Abu Musab al-Zarqawi. Dopo anni di apparente debolezza, approfondita dalla surge Usa del 2007 e dall’opposizione del movimento tribale sunnita anti-jihadista dei cosiddetti ‘Consigli del risveglio’, l’Isha riconsolidato la sua posizione in Iraq tra il 2011 ed il 2012 sotto la guida dell’attuale emiro Abu Bakr al-Baghdad. Nello stesso periodo, al-Baghdadi ha iniziato a porre le basi per la successiva espansione in Siria, mentre il paese si stava avviando verso la feroce guerra intestina che continua a vedere contrapposta la variegata opposizione armata siriana e le forze del regime di Bashar al-Assad.
Nel 2012, al-Baghdadi ha inviato in Siria uno dei suoi luogotenenti, Abu Muhammed al-Jawlani, con l’incarico di creare un’organizzazione jihadista da inserirsi nella lotta contro Assad. Il nuovo gruppo, Jabhat al-Nusra, si è presto affermato come una delle fazioni più efficaci tra le fila dell’insurrezione siriana, spingendo al-Baghdadi nell’aprile del 2013 ad annunciarne la fusione con l’Isin una nuova entità, lo Stato Islamico di Iraq e Siria (Is). L’annuncio, tuttavia, è stato respinto da al-Jawlani e dallo stesso leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, intervenuto nella disputa intimando al-Baghdadi, che ha subito rifiutato, di annullare la fusione e restringere le proprie operazioni al solo Iraq. Nel contesto siriano, questo disaccordo si è materializzato in numerosi tentativi di mediazione senza successo e aspri combattimenti tra Is, Jabhat al-Nusra e diverse fazioni islamiste siriane, che secondo alcune stime avrebbero causato la morte di almeno 6.000 militanti.
La contrapposizione con al-Zawahiri si è ulteriormente approfondita nel giugno 2014, quando l’Isha proclamato la restaurazione del Califfato islamico, annunciato una nuova sigla per il gruppo, Stato islamico, e chiesto a tutte le entità jihadiste di Asia, Nord Africa e Medio Oriente di prestare giuramento di fedeltà al nuovo califfo Abu Bakr. La mossa dello Stato islamico ha creato una profonda, e probabilmente insanabile, frattura nello scenario attuale del jihadismo globale, con varie fazioni rimaste attorno all’orbita di al-Qaeda e altre che hanno proclamato la loro fedeltà al califfo Abu Bakr.
Sono diversi i fattori che spiegano l’ascesa dello Stato islamico. In primo luogo, il gruppo controlla una vasta aerea che dalla Siria orientale arriva direttamente ai sobborghi settentrionali di Baghdad, un territorio che ha nei fatti cancellato la linea di confine tra i due paesi. Il controllo di quest’area geografica, a prescindere dalla sua utilità strategica, ha un profondo significato propagandistico, rappresentando la realizzazione concreta del progetto qaedista di creare uno Stato islamico nel cuore del Medio Oriente. Presentandosi come l’unico gruppo in grado di ottenere un successo laddove al-Qaida ha fallito, lo Stato islamico mina alla base l’autorità e la legittimità della leadership qaedista, rafforzando le proprie credenziali religiose al cospetto della comunità transnazionale jihadista. Questa posizione ideologica di forza poggia poi le proprie basi su dinamiche propriamente strategiche e politiche. Dal dicembre 2013, lo Stato islamico ha lanciato due grandi offensive di terra in Iraq che hanno permesso al gruppo di conquistare importanti città come Mosul e Fallujah e gran parte della provincia di Anbar. Questa avanzata ha disintegrato le difese dell’esercito iracheno, e consentito al gruppo di mettere le mani su equipaggiamenti militari e ricche aree petrolifere, garantendo al gruppo un costante flusso di risorse per finanziare le proprie operazioni.
Questo secondo elemento si collega alla dinamica politica alla base del successo dell’Is, risultato di un costante processo di cooptazione delle tribù sunnite alienate dalle politiche del governo iracheno dell’ex premier Nouri al-Maliki a guida sciita. Questo processo ha permesso all’Isdi sfruttare il risentimento e l’opportunistico sostegno di parte delle tribù irachene per mettere insieme una coalizione di forze insurrezionali che include milizie tribali, ex militari dell’esercito di Saddam Hussein, e milizie baathiste come il Naqshbandi Army, che hanno lanciato una sfida diretta all’autorità del governo centrale arrivando a minacciare la stessa capitale Baghdad.
L’affermazione militare dell’Israppresenta un ulteriore elemento di complessità per ogni prospettiva di possibile, e al momento remota, soluzione del conflitto siriano, in quanto il gruppo è oramai parte di un arco d’instabilità che dal Libano si propaga fino all’Iraq. Nonostante il controllo territoriale del gruppo non sia destinato a rimanere incontrastato, la possibilità che le capacità operative e militari dell’Ispossano essere degradate dall’intervento a guida statunitense appaiono al momento limitate, circostanza che incrementa il rischio di una costante propagazione del messaggio del gruppo a livello regionale.