Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’espansione economico-politica e militare delle potenze europee, oltre che di Stati Uniti e Giappone, modifica il quadro geopolitico mondiale. La pace è salvaguardata grazie a un nuovo equilibrio internazionale, ma l’espansionismo, il neomercantilismo e la militarizzazione degli Stati – resa possibile dalla creazione di potenti apparati di produzione bellica – determinano un equilibrio precario che porta in sé i presupposti di un’imminente rottura.
“Gli Europei hanno inventato mezzi meravigliosi per salvare la vita degli uomini. Ma è sorprendente vederli fare tutto il possibile per salvare vite umane e nel contempo fabbricare negli arsenali di Woolwich e di Krupp nuove macchine, nuovi cannoni, proiettili e altri consimili aggeggi per ammazzare più rapidamente la gente”.
Queste annotazioni, riportate dallo scià di Persia nel suo diario di un viaggio compiuto in Europa poco dopo il 1870, rappresentano forse la testimonianza migliore del processo di militarizzazione avviato dalle maggiori potenze europee in quel periodo.
Aspirando ad ampliare la loro area economica al di là delle frontiere della madrepatria, i principali Paesi europei danno vita nel corso dell’Ottocento a una vera e propria corsa agli armamenti. Le spese per l’esercito aumentano considerevolmente, cosicché si registra uno sviluppo militaristico che segue leggi proprie e talvolta addirittura indipendenti da quelle che regolano lo sviluppo capitalistico. I dati relativi alle spese ordinarie per l’esercito, sostenute dalle potenze europee nell’ultimo trentennio del XIX secolo, esprimono fino in fondo i termini di questo processo. Nel 1870, Germania, Austria, Ungheria, Francia, Inghilterra, Italia e Russia spendono circa 60 milioni di sterline per i loro eserciti e, trent’anni dopo, questa ragguardevole cifra è già raddoppiata. Nello stesso arco di tempo la Germania, a conferma del suo prepotente emergere quale potenza di primo piano, triplica addirittura il suo sforzo economico per la realizzazione di un’efficiente e moderna struttura militare, superando la stessa Inghilterra che tuttavia continua a detenere un indiscusso primato per le spese della sua flotta. Ma, per cogliere meglio la portata reale del fenomeno di militarizzazione dei Paesi europei, bisogna guardare all’incremento delle spese pro capite. I dati percentuali, espressi in marchi e relativi al periodo 1875-1907, delineano un quadro oltremodo preciso del fenomeno di concentrazione di enormi capitali nel settore degli armamenti. Mentre le spese pro capite in Inghilterra e Francia passano rispettivamente dal 16 al 26 percento e dal 15 al 24 percento, in Germania passano invece dal 9 al 18,5 percento.
Alla fine del secolo appare evidente che il quadro della potenza militare dei principali Paesi europei ha subito profonde trasformazioni. La Francia, che è stata a lungo la potenza più militarista del continente, sembra ora perdere terreno soprattutto a vantaggio della Germania, ma anche della Gran Bretagna, dopo un tentativo di rivaleggiare con la sua flotta. L’Inghilterra, infatti, non si presenta più come una potenza militare di tipo continentale: la sua flotta supera nettamente quella francese e tedesca. Al declino dell’Austria, che si avvia a uscire lentamente dal novero delle grandi potenze, si oppone lo sforzo dell’Italia che, per farvi parte, raddoppia le spese militari, destinandone un terzo all’allestimento di una marina moderna. Grazie al suo potenziale bellico, la Russia si colloca al terzo posto di questa singolare graduatoria, dopo Inghilterra e Germania. Tuttavia, il processo di militarizzazione delle potenze europee non dipende soltanto dalla forte concentrazione delle loro risorse economiche nel campo degli armamenti, bensì dalla coeva rivoluzione industriale che, sia pure in misura diversa, riguarda tutti i principali paesi del Vecchio Continente.
L’allestimento di potenti eserciti, nei quali l’artiglieria va assumendo un posto di primo piano, e il varo di poderose unità navali richiedono l’affermazione di una moderna struttura industriale, la cui espressione rivoluzionaria è rappresentata dallo sviluppo del comparto dell’acciaio. La sostituzione del bronzo con l’acciaio segna infatti la nascita dell’artiglieria moderna, le cui armi – per mezzo di alcuni ritrovati tecnici quali la polvere da sparo senza fumo – diventano strumenti offensivi di grande potenza. Allo stesso modo la sostanziale evoluzione registrata dalle marine militari con l’adozione della propulsione a vapore, con l’uso del ferro per la costruzione degli scafi, con la comparsa delle torri corazzate e dei moderni cannoni rigati e a retrocarica esige un notevole incremento della produzione di acciaio, una maggiore disponibilità di carbone e un complessivo avanzamento industriale.
La seconda metà dell’Ottocento è contraddistinta dalla forte espansione economica degli Stati Uniti che alla fine del secolo diventano la massima potenza industriale del mondo. Anche in questo caso le statistiche sono oltremodo eloquenti.
La produzione di carbone delle grandi potenze aumenta in maniera considerevole: in Germania si passa dai soli 6 milioni di tonnellate del 1850 a circa 150 milioni, in Inghilterra dai 57 ai 228 milioni e in Francia dai 5 ai 34 milioni; ma è negli Stati Uniti che si compie un balzo in avanti veramente prodigioso, passando dai poco più di 3 milioni ai 244 milioni di tonnellate. Il quadro non muta se si prendono in considerazione i dati relativi alla produzione di acciaio: alla fine del secolo la Germania può contare su una produzione di circa 7 milioni di tonnellate che supera quella inglese, pari a 5 milioni, ma è nettamente inferiore a quella americana che supera i 10 milioni di tonnellate. Tedesche e americane sono le grandi società siderurgiche del tempo, come la Krupp che, grazie alla scoperta di un nuovo tipo di acciaio e all’introduzione del metodo Bessemer, si afferma nel mondo per la sua produzione bellica (cannoni e corazzate) e, tra le grandi società americane, la Carnegie Steel Company o la gigantesca U.S. Steel Corporation, fondata dal banchiere Morgan.
Le statistiche relative alla Russia esprimono appieno lo sviluppo industriale in atto in quel Paese. Non diversamente anche l’Italia, pur essendo un Paese povero, riesce a creare un potente esercito e una armata navale con navi che costano 25 milioni l’una. Decisiva è l’azione statale nella creazione delle grandi acciaierie di Terni, volute da Brin per ragioni militari, e la politica protezionistica adottata dal governo italiano, altrettanto determinante nella realizzazione di una fitta trama di legami tra siderurgia, cantieri navali e marina. Il ritmo d’incremento appare chiaramente dai seguenti indici: nel periodo 1880-1887, la produzione delle industrie metallurgiche passa da 100 a 147, quella delle industrie meccaniche da 100 a 131 e quella delle chimiche da 100 a189.
A modificare il quadro mondiale interviene, poi, la modernizzazione del Giappone che, nel volgere di pochi decenni, si trasforma in un Paese capitalistico. Con il ruolo propulsivo dello Stato, l’industria di guerra insieme alle ferrovie assurge a motore di sviluppo per il Paese. Le spese militari, che sul finire del secolo rappresentano circa il 50 percento del bilancio statale, fanno assumere all’industria bellica un ruolo strategico fondamentale.