L'appello nel rito degli appalti
Il d.l. 24.6.2014, n. 90, convertito, con modificazioni, in l. 11.8.2014, n. 114, reca, agli artt. 38-42, disposizioni di forte impatto sul giudizio amministrativo (digitalizzazione, comunicazioni e notificazioni in via telematica, contrasto dell’abuso del processo, ecc.). A tali novità è dedicato uno specifico intervento in questa Area del volume. Il presente contributo si sofferma unicamente sulla parziale riscrittura dell’art. 120 c.p.a., ad opera dell’art. 40 del suddetto decreto. Al dichiarato fine di accelerare ulteriormente il rito in materia di appalti pubblici, si è delineato un procedimento speciale caratterizzato, sia in primo sia in secondo grado, da una accentuata speditezza. Le regole introdotte suscitano, tuttavia,molte perplessità. Incentrando l’analisi sul solo processo di appello, si illustra la portata delle sopravvenienze normative, accennando ai più evidenti problemi applicativi.
Per una migliore comprensione delle innovazioni introdotte dal d.l. n. 90/2014, occorre dedicare brevi cenni alla disciplina previgente.
1.1 La disciplina previgente
Giova innanzitutto osservare che il c.p.a. ha configurato il rito previsto dall’art. 120 c.p.a. come un procedimento “speciale” rispetto a quello, già “abbreviato”, di cui all’art. 119 c.p.a. Va poi ricordato che il suddetto art. 120 consiste nella trasposizione, con alcune modifiche, dell’art. 245 del d.lgs. 12.4.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), siccome risultante dalla novella ad esso apportata dall’art. 8, co. 1, lett. da a) a d), del d.lgs. 20.3.2010, n. 53 (attuativo della dir. 2007/66/CE), rimasto in vigore dal 27.4 al 15.9.2010. Anche all’indomani del d.l. n. 90/2014 le principali peculiarità del rito disciplinato dall’art. 120 c.p.a. – caratterizzato da una spiccata celerità – riguardano essenzialmente i seguenti aspetti:
a) il ridotto ambito oggettivo di applicazione, circoscritto ai soli giudizi di cui all’art. 119, co. 1, lett. a), c.p.a., relativi essenzialmente ai ricorsi proposti contro gli atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, e contro i provvedimenti dell’AVCP (autorità, peraltro, soppressa dall’art. 19 dello stesso d.l. n. 90/2014, ora ANAC);
b) la preclusione della tutela giustiziale (id est, del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica);
c) il termine perentorio per l’impugnativa, ridotto a 30 giorni e, di norma, decorrente, per il ricorso principale e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79 del Codice dei contratti pubblici e, per il ricorso incidentale, secondo quanto stabilito dall’art. 42 c.p.a.;
d) l’obbligo di proporre motivi aggiunti, e non autonomi ricorsi, nei confronti di nuovi atti della medesima procedura di gara;
e) la sinteticità di tutti gli atti di parte e dei provvedimenti del giudice;
f) la possibilità della pubblicazione anticipata del dispositivo;
g) la previsione della facoltà, per finalità cautelari, di proporre appello avverso il solo dispositivo;
h)il rinvio, per tutto quanto non previsto dall’art. 120, all’art. 119 c.p.a. sia per il primo grado sia per l’appello, nonché per i giudizi di revocazione e di opposizione di terzo.
1.2 Le modifiche apportate dal d.l. n. 90/2014
Su tale impianto normativo è intervenuto il co. 1 dell’art. 40 del d.l. n. 90/2014, modificato nel corso della navetta parlamentare, dettando regole processuali applicabili ai giudizi introdotti con ricorso depositato, in primo grado o in appello, in data successiva a quella di entrata in vigore del decreto, ossia a decorrere dal 25.6.2014.
Alcune modifiche riguardano unicamente il giudizio di primo grado e concernono:
a) la forte restrizione della possibilità di concedere misure cautelari (co. 8 bis), essendosi previsto il potere del giudice di subordinarne l’efficacia, comunque di durata mai superiore a 60 giorni (salvo eventuale rinnovo), alla prestazione di una cauzione commisurata al valore dell’appalto messo a gara;
b) l’abbreviazione (co. 9) del termine per la pubblicazione del dispositivo, ora solo a richiesta di parte, innovativamente stabilito in 2 giorni decorrenti, però, «dall’udienza di discussione», e non, com’era in precedenza, dalla data della deliberazione collegiale (non necessariamente coincidente con quella di discussione);
c) la riduzione (co. 9) dei tempi per la pubblicazione della sentenza, fissati in 30 giorni dall’udienza di discussione, mentre prima il termine di redazione (non di pubblicazione) era di 23 giorni decorrenti dalla decisione (v. gli artt. 89, co. 1, 120, co. 3, 119, co. 2, c.p.a).
Le altre modifiche, tutte contenute nel novellato co. 6 dell’art. 120, sono invece comuni al primo e al secondo grado del giudizio e consistono, ferma restando la possibilità della definizione immediata della lite nell’udienza cautelare:
a) nell’obbligo di decidere sempre la controversia con sentenza in forma semplificata;
b) nell’obbligatoria fissazione d’ufficio e in ogni caso – ossia a prescindere dalla proposizione e dall’accoglimento, o no, di un’eventuale istanza cautelare – di un’udienza di discussione da tenersi entro 45 giorni dalla scadenza del termine, di 30 giorni, decorrente dal perfezionamento della notificazione del ricorso nei confronti delle parti diverse dal ricorrente; mentre, secondo il previgente regime, l’udienza era, a seconda dei casi, fissata d’ufficio dal collegio («alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell’ordinanza») nell’ipotesi dell’accoglimento di un’istanza cautelare o, qualora non fosse stata proposta o accolta un’istanza cautelare, dal presidente dell’ufficio giudiziario «con assoluta priorità»;
c) nella possibilità di differire, con ordinanza, la discussione - ma unicamente al ricorrere di esigenze istruttorie o di integrazione del contraddittorio o di rispetto dei termini a difesa - a una successiva udienza da fissarsi non oltre 30 giorni dalla data della prima;
d) nella comunicazione della data della prima udienza, con immediato avviso alle parti a cura della segreteria, esclusivamente a mezzo di posta elettronica certificata;
e) nell’introduzione in via sperimentale (per 2 anni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, cioè a decorrere dal 19.8.2014; v. il co. 2 bis dell’art. 40) di un meccanismo di contenimento della lunghezza dei ricorsi e degli altri atti difensivi, secondo quanto stabilito da un apposito decreto del Presidente del Consiglio di Stato, limitando il sindacato giurisdizionale (con divieto, tuttavia, dell’assorbimento delle censure) alle sole questioni trattate nell’ambito del prescritto numero di pagine e con conseguente inimpugnabilità delle decisioni (in appello e per revocazione) in relazione a motivi contenuti in pagine eccedenti dette soglie dimensionali.
Completa la nuova disciplina del rito degli appalti l’art. 41 del d.l. n. 90/2014 che, tra l’altro, introduce nel co. 2 dell’art. 26 c.p.a., in materia di sanzioni pecuniarie irrogabili nei confronti del soccombente che abbia agito o resistito temerariamente, la previsione del potere del giudice, di primo o secondo grado, di elevare l’importo della sanzione fino all’1% del valore del contratto, cioè oltre il quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo.
Prima di approfondire le ricadute applicative delle nuove regole processuali, occorre esaminare le ragioni che hanno giustificato l’intervento legislativo.
2.1 La ratio dell’intervento normativo
Secondo la relazione illustrativa del d.l. n. 90/2014 l’intento perseguito con l’art. 40 è stato quello di accelerare ulteriormente il rito degli appalti, al dichiarato scopo di disincentivare le sospensioni in via cautelare delle aggiudicazioni e delle successive sottoscrizioni dei contratti messi a gara, pervenendo così ad una rapida definizione delle relative controversie. Coerente con siffatto finalismo è pure la ricordata norma in tema di liti temerarie.
La filosofia dell’intervento legislativo è però criticabile, in quanto sembra poggiare su un’errata percezione delle vere ragioni dei ritardi che affliggono il public procurement italiano e su una malcelata insofferenza per il controllo giurisdizionale di legalità nel settore degli appalti; ciò nonostante l’effettività di tale sindacato rinvenga un’ampia e solida copertura normativa nel diritto dell’Unione europea1.
Riguardo al primo aspetto va ribadito che il regime processuale previgente già stabiliva termini dimezzati per i giudizi in materia di appalti, consentendo la pronuncia di decisioni definitive (ossia in secondo grado) entro un arco temporale sovente inferiore a un anno: non convince quindi la tesi dell’eccessiva durata dei giudizi quale causa delle lungaggini delle procedure di affidamento; i ritardi piuttosto si generano, come è da tempo ben noto, nelle fasi “a monte” (programmazione degli interventi, reperimento dei finanziamenti, indizioni delle gare, ecc.) e in quelle “a valle” (contestazioni nelle fase esecutiva, rallentamento dei lavori, ecc.) rispetto al processo amministrativo.
In ordine al secondo profilo deve osservarsi che il rigore di alcune norme introdotte negli ultimi anni (si allude al sensibile aumento del contributo unificato, alla previsione di stringati termini processuali, alla progressiva riduzione degli spazi per la tutela cautelare, alla “semplificazione” delle sentenze, ecc.) rischia, nel complesso, di disincentivare l’accesso alla giustizia e di ostacolare il libero dispiegarsi del diritto inviolabile alla difesa, in tal modo limitando fortemente, in nome di un poco meditato “efficientismo”, la pienezza della tutela giurisdizionale.
2.2 Le norme applicabili all’appello
Passando all’analisi tecnico-giuridica delle nuove disposizioni, occorre innanzitutto individuare, stante l’oggetto di questo contributo, quali norme si applichino all’appello. La novella ha difatti lasciato immutato il co. 11 dell’art. 120 c.p.a. che richiama, per i processi di appello, revocazione e di opposizione di terzo, soltanto i co. 3, 6, 8 e 10 del medesimo articolo, determinando un disallineamento tra il primo e il secondo grado del giudizio.
Ebbene, non si applicano all’appello:
a) il nuovo co. 8 bis sulle misure cautelari2;
b) i termini abbreviati per il deposito della sentenza e per la pubblicazione del dispositivo (co. 9). Si applicano, invece, le regole dettate dal riscritto co. 6 e quelle sulle sanzioni pecuniarie per le liti temerarie.
2.3 La fissazione d’ufficio dell’udienza di discussione
Le principali novità riguardano quindi – nulla essendo mutato quanto al dimezzamento dei termini (quelli, breve e lungo, per impugnare e quelli di cui all’art. 73, co. 1, c.p.a.) e alla possibilità di definire immediatamente il giudizio in sede cautelare ex art. 98 c.p.a. – a) la fissazione d’ufficio dell’udienza pubblica di discussione3, b) l’obbligo di decidere la lite con sentenza in forma semplificata e c) la circoscritta potestà del giudice di rinviare la definizione del merito a una successiva, comunque ravvicinata, udienza. In ordine a quest’ultima innovazione è agevolmente pronosticabile che i rinvii della discussione non saranno rari giacché il contenzioso sugli appalti registra una frequente proposizione di appelli incidentali, con conseguente necessità di concedere termini a difesa. Più in generale, poi, risulta difficile immaginare come la brevità dei tempi imposti dal rito possa rendersi compatibile con alcune attività istruttorie, quali, ad esempio, lo svolgimento di una consulenza tecnica o di una verificazione.
In ogni caso i termini in questione sono perentori solo per gli adempimenti delle parti, mentre sono da intendersi come ordinatori per il giudice: l’inosservanza dei 45 giorni (o dei 30, nell’ipotesi del rinvio), non potrà infatti dar luogo ad alcuna (inconcepibile) decadenza dalla potestas iudicandi né ad alcuna invalidità processuale, fatta salva la eventuale responsabilità disciplinare dei magistrati quando le inosservanze fossero reiterate e gravi.
La regola dell’obbligatoria definizione della lite con sentenza in forma semplificata, oltre ad esser frutto di un pessimo drafting normativo (ponendosi in contrasto con la perdurante previsione di tale forma quale “ordinaria”, ai sensi del co. 10 dello stesso art. 120), potrebbe dar luogo, tenuto conto anche del drastico taglio dei tempi per lo studio dei fascicoli, a rischi di “sommarizzazione” della cognizione giurisdizionale e della relativa motivazione, atteso che difficilmente tutte le controversie, per di più in un settore tanto complesso, potranno esser decise con un sintetico riferimento a un elemento del fatto o a una questione di diritto oppure, ancora, con il richiamo a un precedente conforme. Va riconosciuto, in positivo, che la norma, oltre ad accelerare la redazione dei provvedimenti, dovrebbe agevolarne la stesura, alleggerendo così i carichi di lavoro dei giudici.
2.4 Il contenimento del numero delle pagine degli atti
A ulteriore bilanciamento della riduzione dei termini processuali è stato opportunamente introdotto, come sopra accennato, un meccanismo flessibile di attuazione del principio di sinteticità degli atti di parte (ex art. 3 c.p.a.), in precedenza indirettamente coercibile soltanto in sede di regolamento delle spese processuali (v. l’art. 26, co. 1, c.p.a.): il decreto del Presidente del Consiglio di Stato recherà, infatti, l’indicazione dei limiti dimensionali degli atti processuali, differenziandoli in relazione alle varie tipologie di controversie, al loro valore effettivo, al loro spessore tecnico e agli «interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti». Al di là del non chiaro significato di quest’ultima locuzione, meritano apprezzamento sia il tentativo di “semplificare” l’attività difensiva sia la connessa sanzione processuale, desumibile a contrario dalla lettera della norma, della non impugnabilità (anche per revocazione) delle sentenze per omesso esame delle questioni trattate nelle pagine eccedenti i suddetti limiti.
La disposizione presta, nondimeno, il fianco a tre critiche: a) innanzitutto, il Legislatore avrebbe dovuto generalizzare il suddetto meccanismo, estendendolo a tutti i riti, senza circoscriverlo ai soli giudizi di cui all’art. 120; b) come osservato dai primi commentatori4, si sarebbe dovuta prevedere l’introduzione anche di vincoli relativi al formato degli atti difensivi, soprattutto con riguardo alla distinzione tra il fatto e il diritto (regole del genere, peraltro, potrebbero costituire oggetto di “suggerimenti”, non cogenti, da inserire nel decreto attuativo); c) non si sarebbe dovuto concepire il meccanismo in questione come una mera sperimentazione di durata biennale (art. 40, co. 2-bis, del d.l. n. 90/2014).
Le novità processuali appena esposte sollevano, oltre alle difficoltà applicative già segnalate, altre perplessità delle quali va dato succintamente conto.
3.1 La pubblicazione della sentenza e del dispositivo
Non applicandosi in appello il co. 9 dell’art. 120, allora dovrebbe ancora valere la previgente disciplina, secondo cui la sentenza è redatta, e non anche pubblicata, entro il termine, ordinatorio, di 23 giorni dalla decisione (con salvezza, dunque, della prassi delle eventuali plurime camere di consiglio, senza necessità in tali evenienze di rimettere sul ruolo la causa, come ora invece s’imporrà in primo grado); inoltre il dispositivo sarà pubblicato, a esclusiva richiesta di parte, entro 7 giorni dalla decisione (ex art. 119, co. 5, c.p.a.).
3.2 Le misure cautelari
Ancorché l’art. 40 del d.l. n. 90/2014 non abbia mutato la disciplina degli incidenti cautelari in appello, nondimeno è possibile pronosticare che la novella disincentiverà, nei fatti, sia le impugnazioni delle ordinanze cautelari sia l’istanze ex art. 98 c.p.a. e ciò in ragione, soprattutto (ma non solo: v. il nuovo co. 2 dell’art. 26 c.p.a.), della nuova regola sulla ravvicinata fissazione d’ufficio dell’udienza di discussione: invero, detta regola - ove rispettata – non risulterà utilmente compatibile con un incidente cautelare, tanto più se in doppio grado.
3.3 Il regime transitorio
Il novellato art. 120 rafforza il regime di maggiore celerità dei giudizi sugli appalti rispetto al restante contenzioso amministrativo e, in più, introduce un ulteriore “doppio binario” tra i ricorsi depositati, in primo e in secondo grado, prima e dopo il 25.6.2014, dies a quo dell’applicazione delle nuove disposizioni. Si avrà così una discrasia tra i processi “accelerati” anteriori a tale data (che proseguiranno, nel grado, con il “vecchio” rito) e quelli “superaccelerati” successivi.
1 Il riferimento è alle c.d. “direttive ricorsi” (89/665/CEE e 92/13/CEE, poi integrate dalla dir. 2007/66/CE) volte ad assicurare, in tutto il territorio dell’Unione europea, una tutela uniforme contro le eventuali violazioni della disciplina comune sulle procedure di affidamento.
2 Secondo De Nictolis, R., Le novità dell’estate 2014 in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in www.federalismi.it, 16.7.2014, il mancato richiamo, nel co. 11, del nuovo co. 8 bis, sarebbe frutto di un refuso e così anche l’analogo disallineamento normativo in relazione al co. 9.
3 È stato quindi riproposto lo schema procedimentale dell’art. 245 del d.lgs. n. 163/2006, come novellato dal d.lgs. n. 53/2010.
4 Così De Nictolis, R., op. cit.