L'archeologia del Subcontinente indiano. Dal Neolitico all'eta del Bronzo: la Civilta della valle dell'Indo
di Jonathan M. Kenoyer
Allo stato attuale delle ricerche, lo sviluppo di società complesse nel Subcontinente è documentato con maggiore omogeneità e profondità nella zona corrispondente alla valle dell'Indo; nella sua più ampia accezione, questa comprende una vasta area percorsa dai diversi tributari del fiume Indo, che nascono a ovest dai Monti Kirthar e Sulaiman del Baluchistan, a nord-ovest dall'Hindukush e dal Karakoram, a nord e a est dal Pamir e dallo Himalaya. Nel periodo preistorico, ai margini orientali della piana dell'Indo scorreva un secondo grande fiume, variamente noto come Sarasvati, Ghaggar, Hakra o Nara, di cui doveva essere tributaria la Satlej (l'antico Satadru), ora affluente dell'Indo e, secondo alcuni studiosi, anche la Yamuna. A est la valle dell'Indo confina con il deserto del Thar e i Monti Aravalli, a sud-est vi sono le isole del Kutch, la penisola del Saurashtra e la regione del Gujarat. I delta dell'Indo e del Ghaggar/Hakra/Sarasvati non sono oggi più distinguibili come entità separate; considerati nel loro complesso essi si estendono dal Grande Rann del Kutch a est fino alla costa rocciosa del Baluchistan, presso la moderna Karachi.
Sotto il profilo climatico la valle dell'Indo e le regioni limitrofe sono soggette a due principali sistemi meteorologici: quello dei cicloni invernali negli altopiani occidentali, responsabili di innevamento nel Baluchistan e piovosità in varie aree della valle dell'Indo, e quello dei monsoni estivi nell'area peninsulare, che arrecano umidità nelle zone montane del Nord e nella parte settentrionale della piana. La zona meridionale e i deserti del Rajasthan sono invece caratterizzati da scarsa piovosità.
Con "tradizione dell'Indo" o "tradizione dell'Indo-Sarasvati" si definisce il complesso delle strategie di adattamento che sfociarono nell'integrazione di diverse comunità della valle dell'Indo e di regioni adiacenti; essa comprende anche l'età della "economia appropriativa", dal momento che comunità mobili di cacciatori-raccoglitori continuarono a esistere parallelamente allo sviluppo dei grandi centri urbani. La tradizione dell'Indo è stata suddivisa in cinque età e numerose fasi (le prime senza rigide delimitazioni spaziotemporali, le seconde limitate a contesti locali o regioni e pertinenti ad archi cronologici relativamente ristretti), che consentono di organizzare e confrontare materiali provenienti da diversi orizzonti cronologici e geografici.
Tra il 10.000 e il 2000 a.C. le comunità di cacciatori-raccoglitori mobili e semistanziali si avviarono verso lo sfruttamento intensivo di particolari specie animali e vegetali. La fase iniziale di questo periodo coincide con la fine del Pleistocene, quando questo processo si osserva in una vasta regione che va dall'Egitto settentrionale alla valle dell'Indo. Siti riferibili a queste comunità di transizione sono stati rinvenuti nella zona pedemontana del Baluchistan, nelle Rohri Hills e nei deserti limitrofi e in tutte le regioni costiere, dal Makran al Gujarat; sono caratterizzati dalla presenza di strumenti microlitici, chiocciolai, macine e allineamenti di pietre. Questa età, più comunemente definita come Neolitico, o "della Prima Produzione di Cibo", è nota principalmente dalle fasi iniziali (7000-5500 a.C. ca.) di occupazione del sito di Mehrgarh, dove è attestata in modo conclusivo la domesticazione di piante e animali, l'esistenza di granai e lo sviluppo della produzione ceramica.
Tra il 5500 e il 2600 a.C., ovvero nella cosiddetta "età della Regionalizzazione", emergono numerose culture regionali. La maggior parte dei siti ha rivelato la presenza di più fasi di occupazione e sviluppo culturale. L'artigianato specializzato, che include la produzione ceramica, la metallurgia, l'intaglio di pietre preziose, la lavorazione della faïence, della steatite, ma anche di materiali organici quali tessuti, legno e fibre vegetali, si sviluppa in numerose località e si diffonde in tutte le principali regioni. Un'ampia rete commerciale, che collega gli insediamenti e facilita il movimento di beni e di materiale grezzo, si sviluppa lungo i fiumi principali e attraverso i passi montani, mantenuta dalle élites emergenti e da mercanti itineranti. Le comunità specializzate nell'allevamento, nella pesca, nella raccolta e nella caccia continuano a coesistere con quelle praticanti un'agricoltura stanziale. Il periodo finale corrisponde all'emergere di chiefdoms complessi e di un processo di urbanizzazione di cui è chiaro indizio, oltre all'espansione delle reti di traffico, la comparsa di insediamenti fortificati, di sigilli geometrici di terracotta, osso e avorio e di un sistema rudimentale di scrittura sotto forma di graffiti sulla ceramica.
La successiva "età dell'Integrazione" è rappresentata da una sola fase, la "harappana", databile tra il 2600 e il 1900 a.C. circa, quando si verifica l'integrazione delle diverse entità regionali in un sistema politico, economico e ideologico più ampio. In tutta la regione è attestata una gamma relativamente uniforme di tipi ceramici e di altri aspetti della cultura materiale, compresi i simboli rituali; il fenomeno dell'urbanizzazione si attesta su vasta scala, con grandi città costruite con mattoni cotti e insediamenti satelliti edificati con mattoni crudi. La standardizzazione del sistema di scrittura e di quello metrico e ponderale indica la presenza di un sistema di tassazione e di regolazione del commercio. Ordine gerarchico e stratificazione sociale si riflettono nell'architettura, nei sistemi di insediamento, negli stili dei manufatti e nell'organizzazione della produzione. Benché la fase harappana rappresenti la prima organizzazione politica di tipo statale, non si individuano un insediamento egemone né monarchie ereditarie o di Stati territoriali altamente centralizzati. Ugualmente problematica è l'assenza di templi, palazzi e ricche sepolture d'élite, elementi invece caratteristici delle antiche società urbane di Mesopotamia, Egitto e Cina.
Cambiamenti ambientali, dell'organizzazione sociopolitica, della distribuzione del popolamento e dei modelli d'insediamento caratterizzano la successiva "età della Localizzazione" (1900-1300 a.C. ca.). Alcuni centri urbani si contraggono e si moltiplicano i piccoli insediamenti; scompaiono le strutture politiche ed economiche della fase harappana e i manufatti a esse associati, come sigilli e pesi; si affermano Stati locali, o chiefdoms, con interazione politica e sociale su scala ridotta. Con la frammentazione delle culture regionali scompare anche la precedente uniformità degli stili dei manufatti; i cambiamenti principali si manifestano nelle pratiche funerarie, nella ceramica dipinta e negli oggetti rituali. Come testimoniano le fonti letterarie, si diffondono in tutta la parte settentrionale del Subcontinente le lingue indoarie e l'ideologia e la cultura vedica. Accanto a tecnologie nuove, quali le fornaci ad alta temperatura e la produzione di vaghi di collana di vetro, restano in uso le tecniche harappane relative ad agricoltura, allevamento, produzione ceramica, lavorazione delle conchiglie e metallurgia.
Con gli inizi dell'agricoltura e dell'allevamento in molte comunità stanziali comincia a diminuire l'importanza della caccia. Il rapporto tra animali domestici e selvatici nel sito di Mehrgarh durante il Neolitico mostra una graduale contrazione della fauna selvatica: dal 90% dei livelli più antichi fino al 40% della fine del periodo. Le principali specie cacciate comprendono gazzelle, pecore selvatiche, cinghiali, Cervidi, antilopi, bovini, bufali acquatici, onagri, maiali ed elefanti. Sono state rinvenute anche ossa di piccoli carnivori, pesci, uccelli e tartarughe. Il peso delle specie selvatiche nella dieta degli agricoltori stanziali varia molto nel corso dell'età della Regionalizzazione. L'analisi preliminare dei resti animali del sito di Nausharo, circa 6 km a sud di Mehrgarh, rivela una notevole diminuzione delle specie selvatiche, dal quasi 20% del periodo harappano antico (2800-2600 a.C.) al 5% circa del periodo harappano (2600-1900 a.C.).
Durante l'età dell'Integrazione, l'approvvigionamento delle città harappane deriva dalla combinazione di agricoltura intensiva ed estensiva, allevamento, caccia e pesca. A seconda dei livelli di piovosità o esondazione annuale in una particolare regione, si possono praticare due principali tipi di agricoltura: la rabī῾ (grano, orzo, legumi, sesamo, verdure e forse cotone perenne), che prevede la semina in autunno e il raccolto in primavera, e la ḫarīf, con semina durante la stagione dei monsoni e raccolto in autunno. I prodotti tipici della seconda comprendono cotone, sesamo, datteri, meloni e piselli e, a partire dal 2600 a.C., riso, sorgo e nuove specie di miglio nel Gujarat. La regolazione delle acque irrigue avviene attraverso sistemi di pozzi, canali e dighe. Estesi canali di irrigazione sono stati rinvenuti a Shortughai, in Afghanistan; a Dholavira e a Lothal sono attestate imponenti cisterne per la raccolta delle acque piovane e di esondazione.
L'allevamento comprende bovini (Bos indicus gibbuto e Bos taurus non gibbuto), bufali d'acqua, pecore e capre; una più ampia varietà di risorse animali, comprese quelle acquatiche, è sfruttata nelle città. A Harappa l'analisi preliminare ha indicato che, durante la fase pienamente urbana del sito, circa il 25% dei resti animali appartiene alla fauna selvatica, una percentuale notevolmente più ampia rispetto a quella documentata a Nausharo nello stesso periodo. Animali di piccola taglia, forse tenuti come domestici, sono conigli, pavoni, fagiani, quaglie, falchi, piccioni, papere, scimmie, scoiattoli. Tigri, leopardi, rinoceronti, gaviali, elefanti, bisonti (Bos gaurus), bufali acquatici, cervi, antilopi, onagri sono cacciati anche per le pelli, le corna o le zanne. Oltre ai crostacei d'acqua dolce, per molti piccoli siti costieri una risorsa importante è costituita dalla pesca e dalla raccolta di conchiglie marine. Pesce essiccato (pomadasidi, sgombri, tonni, pesci-gatto marini e lucci) e conchiglie sono destinati sia al consumo locale sia al commercio, che tocca località dell'interno anche molto distanti (ad es., Harappa, più di 850 km a nord).
A partire dal 3300 a.C. circa alcuni insediamenti cominciano a imporsi come centri regionali. Gli insediamenti più grandi sono generalmente circondati da una cerchia di mura di mattoni crudi e ripartiti all'interno da vie e vicoli; in alcuni siti sono distinguibili un settore abitativo e un'area pubblica. La struttura sociale si avvia verso una crescente stratificazione, testimoniata da una maggiore varietà nelle dimensioni delle abitazioni, negli ornamenti, nella ceramica, negli utensili e nelle armi. Le figurine di terracotta, che ritraggono uomini, donne e bambini abbigliati in modo diverso e con differenti pettinature, costituiscono un'ulteriore indicazione di stratificazione sociale ed etnica.
Le città più grandi, come Harappa, Mohenjo Daro, Ganweriwala, Rakhigarhi, potrebbero essere state delle città-stato relativamente indipendenti, che esercitavano un controllo politico diretto su una rete locale di insediamenti. Nei centri urbani dovevano trovarsi diversi gruppi elitari in competizione: mercanti, specialisti del rituale e individui che detenevano il controllo di risorse come terra, bestiame, materiale grezzo. All'interno dei centri urbani non vi sono edifici o gruppi di edifici predominanti; la presenza di numerosi grandi edifici e spazi pubblici nella città bassa di Mohenjo Daro e il Mound F a Harappa confermano piuttosto l'ipotesi che nelle città vi fossero gruppi elitari distinti. Fa eccezione il sito di Dholavira, nel Kutch: qui una serie di aree fortificate con tre linee di mura concentriche e con una cittadella dominante, dove si aprono quattro porte principali, suggerisce l'egemonia di una singola classe. È possibile che la città fosse un piccolo regno, ma non si esclude che si trattasse di una colonia dipendente da una delle città dell'area centrale. Gli insediamenti rurali mostrano una struttura sociale meno stratificata, con una popolazione più omogenea di agricoltori, pastori, pescatori, minatori e cacciatori-raccoglitori. L'integrazione politica, economica e ideologica tra città e zone rurali è dimostrata dal commercio e dallo scambio di beni di prestigio sociale e rituale.
Oltre alla disposizione e organizzazione delle città, la presenza di gerarchie è confermata da oggetti "rituali", ornamenti, sigilli e pesi, che continuano a marcare la diversificazione sociale nel corso del primo periodo storico e costituiscono dunque la più evidente testimonianza di continuità tra le due fasi di urbanizzazione. Non vi sono tuttavia indizi sufficienti per postulare la presenza, già nella valle dell'Indo, del sistema castale rigidamente definito su base ereditaria, tipico della più tarda società brahmanica.
Immensa è l'estensione geografica degli insediamenti dell'Indo, la cui superficie è stimata tra i 680.000 e gli 800.000 km2. Degli oltre 1500 siti noti solo pochi (nell'ordine delle decine) sono stati oggetto di scavo: tra i più importanti si contano Mohenjo Daro, Harappa, Chanhu Daro, Kot Diji, Amri, Allahdino, Balakot, Nausharo, Gumla, diversi siti delle Rohri Hills e Miri Kalat in Pakistan; notevole il sito di Shortughai in Afghanistan. I principali siti scavati in India sono Dholavira, Rakhigarhi, Kalibangan, Kuntasi, Lothal, Alamgirpur, Banawali, Desalpur, Surkotada, Rupar, Manda, Rangpur, Rojdi e Nageshwar. I dati emersi da ricognizioni e scavi suggeriscono una gerarchia insediativa composta da cinque livelli; al vertice di questa piramide sono le città la cui ubicazione è legata a un vantaggio strategico.
Cinque insediamenti coprono una superficie superiore ai 50 ha: Mohenjo Daro (200 ha), Harappa (150 ha), Ganweriwala e Rakhigarhi (80 ha) nelle regioni centrali, Dholavira (100 ha) nel Kutch. I quattro centri urbani dell'interno sono disposti a distanza regolare lungo una linea a zig-zag. Un secondo livello insediativo va dai 10 ai 50 ha ed è rappresentato, tra gli altri, da Judeirjo Daro (24,3 ha) e Kalibangan (12,1 ha). La distanza intermedia tra i principali centri di questa categoria è notevolmente variabile e può riflettere la presenza di reti irregolari, a loro volta motivate dall'accessibilità o da specifiche alleanze sociopolitiche. I centri del terzo livello coprono una superficie compresa tra 5 e 10 ha; a esso appartengono siti come Amri (8 ha), Lothal (7,5 ha), Chanhu Daro (6 ha) e Rojdi (5,3 ha). I centri del quarto livello oscillano tra 1 e 5 ha, come Allahdino (1 ha), Kot Diji (1 ha), Rupar (3,5 ha), Balakot (4 ha), Surkotada (2,6 ha), Nageshwar (1 ha), Nausharo (4 ha). Sono testimoniati poi numerosi siti la cui estensione è inferiore a 1 ha, molti costituiti da tracce in superficie di accampamenti di pastori transumanti, altri con resti di fornaci che potrebbero indicare periodi più lunghi di occupazione. Quantunque non documentata, va considerata una sesta categoria di insediamenti, costituita dai villaggi galleggianti delle comunità fluviali e lacustri, che non hanno lasciato tracce archeologiche.
La maggior parte degli insediamenti seguono un impianto a rete irregolare e non uno schematico modello a griglia. I centri più grandi sono solitamente composti da due o più mounds, uno dei quali spesso più alto degli altri. Molti centri minori sono costituiti da un singolo mound e presentano suddivisioni interne, come a Surkotada. Gli insediamenti sono costruiti entro mura massicce di mattoni crudi o su piattaforme realizzate con mattoni crudi o pietra. Le imponenti mura che circondano molti insediamenti possono essere in alcuni tratti isolate e collegate a un accesso o una porta principale, in altri funzionare come un massiccio rivestimento (spesso anche 3 m) dei margini del mound. Queste strutture possono aver assolto funzioni diverse, come proteggere la città dalle inondazioni durante i monsoni, dall'erosione e dall'accumulo d'acqua nel sito, oltre a definire un'area urbana ben distinta con funzioni amministrative e difensive.
Sia nei principali centri urbani sia negli insediamenti rurali sono state individuate, pur in mancanza di una vera e propria standardizzazione, tre diverse tipologie edilizie. La prima si articola intorno a un ambiente centrale: le stanze interne non hanno un accesso diretto dalla strada, da cui le isola un muro o un ambiente d'ingresso; la seconda comprende complessi formati da abitazioni di proporzioni più vaste circondate da unità di minore grandezza, con diversi accessi dalla strada, in cui forse si deve riconoscere un'abitazione con annesso laboratorio e alloggio per comunità al servizio dell'abitazione principale; la terza comprende grandi strutture pubbliche, di solito con ingresso aperto o passaggi che consentono il transito da una zona all'altra. Non è nota la funzione precisa di tali strutture, fatta eccezione per il Grande Bagno, complesso incentrato su una cisterna stagna realizzata con straordinaria perizia tecnica; non è noto però come e da chi questa struttura fosse impiegata. La realizzazione di simili complessi (come i cd. "granai" di Mohenjo Daro, Harappa e Lothal) implica l'impiego di una ingente forza lavoro, nonché costi elevati. La maggior parte degli insediamenti può contare su sistemi idraulici e igienici di accurata progettazione e manutenzione: vi sono pozzi con rivestimento di mattoni e piattaforme per abluzioni, con piccole tubazioni che conducono le acque di scarico verso ampi canali di scolo stradali provvisti di pozzetti igienici; le strade sono dotate di contenitori per la raccolta dei rifiuti che, con ogni probabilità, venivano poi convogliati in discariche esterne.
L'artigianato della valle dell'Indo può essere suddiviso in base a due criteri fondamentali di indagine: la possibilità di reperire sul posto le materie prime e il diverso grado di complessità delle tecnologie implicate nella produzione. Le attività sono variamente strutturate: la ceramica è probabilmente prodotta e distribuita entro una rete commerciale locale su base parentale, probabilmente sganciata da controlli centralizzati. Per altre attività, come la lavorazione del rame e la produzione di vaghi di pietre preziose, sono ipotizzabili sistemi di interazione più complessi, sostenuti in qualche misura dall'autorità centrale. La lavorazione delle conchiglie produce sia manufatti per i mercati locali sia beni di prestigio destinati alle élites e al commercio su lunga distanza. I sigilli di steatite sono invece realizzati in un limitato numero di insediamenti.
Il commercio e lo scambio interno sono documentati da una serie di indicatori: pesi cubici di pietra altamente standardizzati sono attestati in tutti i principali siti; sigilli con caratteri alfabetici sono utilizzati per contrassegnare le cretule, indicatori tra i più importanti del commercio sia interno sia internazionale. La ceramica destinata all'esportazione reca iscrizioni con il nome dei proprietari, i prodotti in spedizione e/o la destinazione prevista. È possibile accertare l'area di provenienza di particolari varietà di selce e pietre dure; diverse specie di conchiglie marine provengono dal Gujarat, dal Makran e dall'Oman. Una complessa rete di tracciati interregionali collega i centri urbani maggiori alle regioni esterne e tra di loro, mentre tracciati intraregionali garantiscono l'accesso anche alle città minori e ai villaggi e la ridistribuzione dei prodotti locali e dei beni essenziali. Nel corso del periodo harappano sono documentati contatti commerciali con il Golfo Persico, l'Afghanistan e la Mesopotamia. Diversi prodotti provenienti dalla valle dell'Indo ‒ sigilli, vaghi di collana, conchiglie ‒ sono attestati nei siti della Mesopotamia, ma vi sono scarse testimonianze della presenza nei siti dell'Indo di prodotti mesopotamici, forse costituiti per lo più da materiali grezzi o deperibili. I pochi oggetti allogeni qui rinvenuti ‒ specificamente sigilli a cilindro ‒ sono infatti con tutta probabilità di produzione locale o provenienti da regioni intermedie, come l'Iran nord-orientale o l'Afghanistan.
In nessun insediamento della valle dell'Indo sono documentate tracce di distruzione attribuibili a eventi bellici, né sono stati rinvenuti accumuli significativi di armi lungo le mura o in corrispondenza delle porte. La mancanza di testimonianze dirette non indica ovviamente un'assenza di conflitti militari, ma piuttosto che tali conflitti non ebbero luogo nei grandi centri o negli insediamenti commerciali. Potenziali armi belliche, oltre che strumenti di caccia, sono archi e lance, lunghi coltelli, corti pugnali di rame/bronzo, teste di mazza di pietra e un gran numero di sfere di terracotta, probabilmente proiettili.
Il sistema di scrittura, largamente documentato nei siti harappani, era probabilmente impiegato da élites che utilizzavano sigilli di steatite incisi e vari tipi di tokens o tavolette iscritte, probabilmente per identificare la proprietà di beni o registrare transazioni economiche, operazioni contabili, eventi rituali o socioeconomici. Tale sistema ebbe origine nel periodo antico (3300-2800 a.C. ca.) in siti quali Harappa, Rehman Dheri e Nausharo, per diffondersi successivamente in tutta la regione. Benché esso non sia stato ancora decifrato, alcuni segni pittografici possono essere compresi tramite l'analisi contestuale. Le iscrizioni sono in genere molto brevi e consistono in media di cinque simboli distinti; l'iscrizione più estesa consta di 26 caratteri. Il verso della scrittura è principalmente da destra verso sinistra, ma sono noti esempi di scrittura bustrofedica. Non è improbabile che lo stesso sistema fosse applicato a lingue diverse, che dovevano essere presenti nella regione dell'Indo.
Dopo la ceramica iscritta, i sigilli intagliati rappresentano il più diffuso esempio di scrittura, sotto forma di brevi iscrizioni accompagnate da diversi motivi iconografici, tra cui ricorre una figura teriomorfa o mitologica volta di profilo, di fronte alla quale è un oggetto variamente interpretato come braciere o sostegno per le offerte. Durante le ultime fasi di occupazione della fase harappana compaiono sigilli con complesse raffigurazioni di eventi mitologici o rituali, dotati di un passante sul retro, probabilmente per essere portati al collo o al polso. Impressioni di sigilli sono attestate sulla ceramica e sulle sigillature di contenitori o di legacci di chiusura delle balle di materiali. In alcuni casi è documentato l'impiego di due o più sigilli, le cui impressioni erano spesso sovrapposte, ma in modo da lasciare visibile la scrittura. Iscrizioni sono presenti anche su ornamenti d'oro, braccialetti, oggetti di osso e di avorio, strumenti di bronzo e contenitori.
Pratiche e credenze religiose trovano rappresentazione in simboli e raffigurazioni a carattere narrativo (sacrifici e scene di adorazione) sui sigilli, sulla ceramica e diversi altri oggetti; le statuine di terracotta raffigurano personaggi maschili muniti di corna oppure figure femminili dagli ornamenti complessi. Simboli astratti come lo swastika e oggetti enigmatici sono con ogni probabilità da ricondurre a un ambito ideologico, benché non sia possibile conoscerne il significato in assenza di fonti scritte. La religione harappana, o il complesso dei rituali, si articola in una molteplicità di livelli che spaziano dai culti locali a grande diffusione a forme più consolidate di religione di stato. Alcune sculture sono state interpretate come raffigurazioni di divinità o di re-sacerdoti, ma l'identificazione è dibattuta. Le raffigurazioni cultuali di alberi e divinità arboree inducono a credere che la maggior parte dei riti si svolgesse all'aperto o sotto alberi sacri (baniano, pipal, acacia). Infine, alcune strutture architettoniche di vaste proporzioni possono aver avuto funzione templare, ma tale ipotesi non trova ancora conferma.
La credenza nell'aldilà è testimoniata dai corredi funerari rinvenuti nelle sepolture. In insediamenti quali Lothal, Rupar, Harappa e Kalibangan sono state rinvenute sia aree cimiteriali ben distinte sia sepolture isolate. La ridotta estensione dei cimiteri suggerisce che solo alcuni gruppi sociali praticassero l'inumazione dei corpi. Non vi sono elementi per ritenere che nella stessa necropoli fossero sepolti individui appartenenti a differenti classi sociali. A Harappa gli individui sepolti evidenziano in generale una mancanza di patologie gravi e di carenze alimentari; le sepolture consistono di una fossa rettangolare orientata su un asse nord-sud, sul fondo della quale è deposto un corredo di ceramiche su cui era adagiato il corpo, racchiuso in una bara o avvolto in un sudario e con il capo rivolto verso nord. Oltre alle offerte alimentari spesso contenute all'interno del vasellame, i corredi comprendono ornamenti personali quali anelli di rame, talvolta grani di agata o diaspro e, nelle sepolture femminili, collane con vaghi di steatite, cavigliere, braccialetti di conchiglia indossati al braccio sinistro, specchi di rame. Non sono invece attestati oggetti con iscrizioni o manufatti pregiati quali sigilli, ornamenti d'oro, vaghi di corniola o strumenti di rame.
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di Stefano Pracchia
Località del Sind (Pakistan) a breve distanza dalla riva destra dell'Indo, 100 km circa a nord di Hyderabad, scavata nel 1929 da N.C. Majumdar e in seguito, tra il 1959 e il 1962, da J.-M. Casal. I depositi archeologici, che formano due colline adiacenti (A e B), attestano una continuità di insediamento compresa tra il Calcolitico e la cultura di Jhangarh. Dopo un lungo periodo di abbandono la sequenza del sito si conclude con depositi di epoca islamica.
Le prime tracce di frequentazione indicano un'occupazione limitata, databile intorno al 3000 a.C., attestata principalmente da un piccolo canale, da due livelli con giare interrate (periodo IA) e da frammentari manufatti di rame; successivamente (periodo IB) compaiono le prime case di mattoni crudi di forma irregolare e nuovi tipi ceramici, come la coppa su alto piede che diverrà caratteristica del periodo harappano. Il sito raggiunge il massimo sviluppo areale nel periodo IC, caratterizzato dalla presenza di edifici di mattoni crudi a più vani rettangolari, talvolta impostati su filari di pietre, e di strutture a compartimenti, interpretate come abitazioni su piattaforma. Nell'ultima breve fase (fase D), assieme a tipologie ceramiche che si diffonderanno nel periodo harappano, sono documentati elementi che accomunano A. ad altri siti del Baluchistan e dell'Afghanistan. Nell'arco complessivo del periodo I, databile tra la fine del IV millennio e il secondo quarto del III millennio a.C., si assiste al progressivo aumento di complessità delle strutture e al miglioramento delle tecniche di produzione della ceramica, con un incremento dell'uso del tornio e una crescente accuratezza nella realizzazione di forme e decorazioni.
Indicatori distintivi del periodo II sono la vasta opera di livellamento effettuata su parte del sito per far posto a nuovi edifici (periodo IIA) e il forte aumento di ceramica legata, per forma e decorazione, al successivo periodo harappano. Sono documentate tracce di strutture, tra cui un basamento di mattoni crudi con buche di palo e possibili resti di un bastione. Da questo periodo in poi l'occupazione del sito sembra ridursi in estensione; compaiono le piccole giare di derivazione metallica e grossi bacini carenati con orlo aggettante. Il periodo IIB, collocato alle soglie dell'Harappano, è d'importanza cruciale nel dibattito sulla datazione dell'inizio della Civiltà dell'Indo (che i nuovi dati forniti da siti come Mehrgarh e Nausharo, in Pakistan, pongono attorno alla metà del III millennio a.C.) e sulla sua continuità culturale con i periodi più antichi.
Il periodo III comprende quattro fasi: Harappano (IIIA), di Transizione (IIIB), Mohenjo Daro tardo (IIIC) e Jhukar (IIID), distinte da Casal sulla base dei confronti ceramici con altri siti della Civiltà dell'Indo, in particolare Harappa, Mohenjo Daro e Chanhu Daro. Nell'Harappano sono documentate fornaci rettangolari, nella fase di Transizione un muro a blocchi di pietra e nella fase C le prime strutture di mattoni cotti. La ceramica, che nelle prime due fasi corrisponde pienamente a quella della Civiltà dell'Indo, cambia nella fase C, quando al posto dell'ingubbiatura rosso brillante compare uno sfondo violaceo, rosso brunastro o cioccolato chiaro. La fase D è documentata solo su base ceramica e per la presenza di un sigillo frammentario di pietra. La datazione delle quattro fasi segue le incertezze della cronologia della Civiltà dell'Indo, dalla metà del III millennio circa al primo quarto del II millennio a.C. Il periodo IV è attestato da frammenti ceramici caratteristici della cultura di Jhangarh. I recipienti, lucidati all'interno, presentano un impasto di colore grigio e sono decorati con motivi geometrici incisi. Attorno al XVI sec. d.C., dopo un abbandono di circa venti secoli, il sito viene di nuovo occupato. I depositi del periodo V, distinti in due fasi su base ceramica, documentano una continuità di vita di circa centocinquanta anni nei quali sulla collina A si succedono diverse fasi edilizie, mentre per la B inizia la destinazione a luogo di sepoltura, ancora attestata per il villaggio odierno.
Bibliografia
N.C. Majumdar, Explorations in Sind, Karachi 1934; J.-M. Casal, Fouilles de Amri, Paris 1964; B.B. Lal - S.P. Gupta (edd.), Frontiers of the Indus Civilization, New Delhi 1984; G.L. Possehl (ed.), Harappan Civilization. A Recent Perspective, New Delhi 19932.
di Massimo Vidale
Anche noto col nome locale di Ghola Doro, B. sorge circa 500 m a sud-est del villaggio omonimo. Il monticolo si trova sulle coste sud-orientali del golfo del Kutch, distretto di Rajkot (Gujarat); fu scavato per cinque anni a partire dal 1995-96.
Il centro, nella seconda metà del III millennio a.C., si trovava a distanza di 10-20 km da altri tre importanti siti costieri coevi: Shkarpur (dalla parte opposta del golfo), Kuntasi nello stesso distretto e, più a sud, Pithad. Prima dello scavo appariva come un monticolo di pianta approssimativamente rettangolare, con lati di 120 × 160 m, un asse principale orientato in direzione nord-ovest/sud-est e un'altezza massima di circa 7,5 m dalla piana circostante. Gli scavi definirono una occupazione scandita da quattro periodi principali, i più antichi dei quali definiti "urbani", attribuiti alle fasi principali di sviluppo della Civiltà dell'Indo nell'età dell'Integrazione, e l'ultimo, "posturbano", attribuito all'età della Localizzazione. La peculiare planimetria quadrangolare del monticolo è dovuta alla presenza di uno spesso muro perimetrale difensivo di mattoni crudi su massicce fondazioni in grandi lastre di arenaria, costruito e mantenuto in efficienza nel corso delle due fasi centrali di occupazione, a occupare l'intera porzione settentrionale del sito (ca. 65 × 57 m).
Nel primo insediamento si usavano tipi ceramici analoghi a quelli di Mohenjo Daro e agli altri centri del Sind della seconda metà del III millennio a.C., una ceramica chiamata col nome di Anarta, tipica del Gujarat settentrionale, e una ceramica locale con impasto rosso e con decorazione policroma. Una datazione al 14C colloca la fase I intorno al 2450 a.C. Tra i manufatti rinvenuti vi sono forme ceramiche "classiche" della tradizione dell'Indo, terracotta cakes triangolari, perline di cornalina e lapislazuli, micropesi cubici di pietra dura, strumenti di rame e resti di un possibile impianto per fonderlo. Le case avevano muri di mattone crudo e pavimenti ricchi di cenere con stesure calcaree.
Nella fase II fu eretta nella parte nord dell'abitato una possente fortificazione perimetrale, rivestita da uno strato di argilla fortemente calcarea di colore chiaro, che dettava anche l'orientamento ortogonale dei vicoli interni. Il muro era stato costruito in almeno tre momenti diversi ed era conservato per un'altezza massima complessiva di 5 m circa; aveva uno spessore di 7,5 m alla base, rastremato sino alla sommità, con bastioni angolari interni sporgenti per 3,8 m. Direttamente addossati alla faccia interna delle mura si trovavano ampi edifici in crudo e file di stanze. La composizione degli assemblaggi ceramici ripete quella più antica, ma la percentuale di materiale di affinità con la produzione dell'Indo è molto superiore e più ampio è il repertorio delle forme, tra le quali grandi giare da immagazzinaggio e giare ingobbiate in nero, usate per il trasporto di derrate su lunghe distanze. Sono stati rinvenuti vaghi di cornalina, amazzonite, lapislazuli, steatite e faïence, bracciali ricavati dal guscio della Turbinella pyrum, lunghe lame nella selce opaca delle Rohri Hills e i consueti terracotta cakes di terracotta triangolari. L'economia del centro si basava sull'estrazione, la concentrazione e la ridistribuzione di materie prime e prodotti artigianali di pregio. Sebbene le attività artigianali risultino documentate sia a nord sia a sud, è nell'area fortificata settentrionale che si concentrano gli indicatori di attività quali la lavorazione della conchiglia e della faïence (prodotta in loco), del rame e della pietra dura per produrre elementi di collana. Quest'ultima attività e la produzione della ceramica avevano luogo anche nel settore meridionale.
Nella fase III il centro sembra investito da una crisi generalizzata nelle attività edilizie, nella manutenzione degli spazi urbani e nella gestione dei rifiuti. L'aspetto archeologico più significativo è la rarità delle ceramiche (e dei manufatti) dell'Indo e il predominio di prodotti ceramici definiti da G. Possehl come di tipo Sorath, che trovano numerosi confronti con produzioni tarde dei siti di Rangpur e Rojdi e il cui fossile guida è una ciotola emisferica con presa rialzata cilindrica. Essi prevalgono anche nella successiva fase IV, composta soprattutto da residui domestici in scarichi ricchi di cenere, con scarsi resti di costruzioni, apparentemente effimere. La fase IV è datata all'età della Localizzazione, entro i primi secoli del II millennio a.C.
Bibliografia
M.K. Dhavalikar, Kuntasi: a Harappan Port in Western India, in SAA 1989, pp. 73-81; K.K. Bahn - D. Gowda, Shell Working at Nagwada (North Gujarat) with Special Reference to Shell Industries of the Harappan Tradition in Gujarat, in Man and Environment, 28, 2 (2003), pp. 51-80; V.H. Sonawane et al., Excavations at Bagasra - 1996-2003: a Preliminary Report, ibid., pp. 21-50.
di Massimo Vidale
Sito urbano riferibile all'età dell'Integrazione, o fase harappana, nel distretto di Hissar, Stato dell'Haryana (India).
Le rovine si estendono per un'area di 400 m di lato e raggiungono un'altezza massima di 10 m. L'importanza delle stratigrafie e delle scoperte di B. è molteplice: la sequenza archeologica presenta in successione depositi riferibili alle età della Regionalizzazione (periodo I), dell'Integrazione (periodo II) e della Localizzazione (periodo III). I depositi del periodo I (2500-2300 a.C. ca.) mostrano significative somiglianze con i contemporanei depositi del sito di Kalibangan, in primo luogo per quanto riguarda la ceramica. Sono stati identificati edifici con mattoni standardizzati cotti e crudi, evidenze di pianificazione urbana e il consueto ampio repertorio di gioielleria e ornamenti personali in vari materiali (ceramica, steatite, faïence, conchiglia, pietre semipreziose, oro).
Nel periodo II (datato al 14C tra il 2300 e il 1700 a.C. ca.), il sito appare circondato da un perimetro continuo trapezoidale di spesse recinzioni di mattoni crudi, con grandi bastioni d'angolo a pianta quadrangolare. Una zona, nell'angolo sud-ovest del sito, è racchiusa da un'ulteriore partizione interna. Questa soluzione ripropone così, con una variante locale, il modello di bipartizione urbana osservato in altri siti della fase harappana (Mohenjo Daro, Harappa, Kalibangan, Surkotada, Lothal). Le strade seguono l'orientamento dei recinti di difesa, rivelando un articolato disegno di pianificazione urbana. Nella cultura materiale le complesse associazioni di diverse classi ceramiche che caratterizzavano il periodo precedente si trasformano: mentre alcuni tipi di produzioni sembrano confluire nelle "classiche" tipologie dell'età dell'Integrazione, altri sembrano sopravvivere; sono anche attestate nuove classi, paragonabili a ceramiche calcolitiche della piana gangetica e del Rajasthan. Oltre ai ricchi ornamenti personali, si ricorda la scoperta di importanti sigilli a stampo di steatite, di pesi cubici di pietra, di figurine di terracotta e di sofisticati strumenti di rame. B. in questo periodo può essere interpretato come un centro amministrativo regionale o una piccola capitale di provincia.
Nel periodo III (1700-1400 a.C. ca.) il sito appare completamente trasformato: alle strutture di mattoni si sostituiscono abitazioni di terra battuta; alla profusione dei materiali usati nel periodo II per la fabbricazione degli ornamenti personali si oppone ora una spiccata predilezione per elementi di faïence. Scompaiono tipici tratti culturali e manufatti harappani come la scrittura, i sigilli, i bracciali di terracotta, i pesi cubici standardizzati e le perle discoidali di steatite. Nella produzione ceramica, che risulta profondamente diversa da quella di tradizione harappana, si è creduto di ravvisare una ripresa delle tradizioni tecnologiche e soprattutto pittoriche del periodo I. Le maggiori affinità riscontrate sono con le ceramiche del cimitero H di Harappa, di Jhukhar nel Sind e con i complessi dei livelli postharappani di Lothal e di Rangpur.
Bibliografia
R.S. Bisht - S. Ashtana, Banawali and Some Other Recently Excavated Harappan Sites in India, in SAA 1977, pp. 223-40; R.S. Bisht, Banawali, a New Harappan Site in Haryana, in Man and Environment, 2 (1978), pp. 86-88; Id., Excavations at Banawali, 1974-77, in G.L. Possehl (ed.), Harappan Civilization, New Delhi 1982, pp. 113-24; B.K. Thapar, Recent Archaeological Discoveries in India, Paris - Tokyo 1985, pp. 64-66.
di Massimo Vidale
Sito protostorico di tipo urbano della tradizione culturale dell'Indo, situato nel Sind, sulla sponda sinistra dell'Indo, nel distretto di Nawabshah, vicino al villaggio di Jamal Kirio, circa 130 km a sud di Mohenjo Daro (Pakistan).
Scoperto nel 1930 dall'archeologo indiano N.C. Majumdar e scavato dall'americano E.J.H. Mackay tra il 1935 e il 1936, si compone di tre monticoli, denominati da I a III, che in antico, prima dell'intervento di forti processi erosivi, dovevano far parte di un'unica estensione. I resti archeologici visibili in superficie occupavano un'area di circa 200 × 150 m; i livelli inferiori includono importanti resti architettonici che potrebbero interessare un'area ancora più vasta. L'ampio uso di mattoni crudi nell'edilizia, unitamente ai fenomeni erosivi di superficie e a probabili processi fluviali, indica come Ch.D. fosse un sito particolarmente difficile da scavare con i metodi del tempo; di conseguenza, alcune delle interpretazioni allora proposte vanno rilette oggi con una certa cautela. Nella sequenza cronologica, Mackay aveva identificato non meno di cinque livelli di occupazione riferibili all'età dell'Integrazione o fase harappana (2600-1900 a.C. ca.), seguiti da mal conservate stratigrafie di abitato attribuite alla cultura di Jhukar (età della Localizzazione o fasi finali dell'età del Bronzo, 1900-1300 a.C. ca.), quindi da livelli della più tarda cultura di Jhangar. È assai probabile che il sito fosse abitato già nell'età della Regionalizzazione (5000-2600 a.C. ca.).
I contesti archeologici riferibili all'età dell'Integrazione (2600-1900 a.C. ca.) mostrano, malgrado le dimensioni apparentemente ridotte del sito, soluzioni urbanistiche e architettoniche molto simili a quelle osservate nelle grandi città di Harappa e di Mohenjo Daro: spesse opere di muratura, forse con funzione di recinzione, strade che s'intersecano ad angolo quasi retto, grandi sistemi di piattaforme di mattoni crudi, che proteggono dalle inondazioni edifici a pianta subrettangolare con basamenti di mattoni cotti e alzato di terra cruda, pozzi e canalette di drenaggio. Il complesso meglio conservato sorge al centro del monticolo II: all'intersezione tra due grandi strade si trova un gruppo di abitazioni con basamenti di cotto; in due di esse sono state rinvenute grandi quantità di oggetti finiti e semifiniti, molti dei quali (elementi di collana di cornalina, di agata e di steatite; punte di trapano di sillimanite; sigilli a stampo di steatite; residui di lavorazione di bracciali e cucchiai di conchiglia marina) riferibili ad attività artigianali specializzate. Più che a case di artigiani è lecito pensare a residenze di facoltosi mercanti in grado di sponsorizzare la produzione e ospitare temporaneamente gli artigiani. Una delle abitazioni conteneva una sofisticata fornace, forse destinata al riscaldamento del calcedonio per ottenerne la varietà rossa, la cornalina, come ancora oggi si fa in Gujarat. A Ch.D. venivano prodotte alcune merci di lusso utilizzate a Mohenjo Daro: le lunghe perle cilindriche di cornalina, probabilmente oggetto di traffico con la Mesopotamia, e i cucchiai ottenuti dalla conchiglia del murex (Chicoreus ramosus) proveniente dalle regioni costiere del Gujarat e del Kutch (è significativo che insediamenti dell'età dell'Integrazione della penisola del Gujarat offrano confronti per le ceramiche del sito). La vocazione artigianale di Ch.D. durante la fase harappana è sottolineata dal rinvenimento di centinaia di oggetti riferibili alla lavorazione di selce, agata, steatite, conchiglia e faïence. La superficie mostra anche abbondanti resti di fornaci, forse per la cottura di mattoni.
Gli strati della cultura di Jhukar sembrano contenere abitazioni realizzate con materiale di reimpiego dai livelli harappani, associate a una ceramica rosacea dipinta in rosso e in nero-purpureo a motivi geometrici; i sigilli a stampo, di steatite o di faïence, del tipo "a compartimenti", recano semplici disegni geometrici e sono stati paragonati a simili oggetti iranici del II millennio a.C. Uno iato cronologico sembra separare i livelli di Jhukar e di Jhangar, questi ultimi contraddistinti da ceramiche grigie o nere decorate con motivi semplici come incisioni a zig-zag e triangoli campiti.
Bibliografia
N.C. Majumdar, Explorations in Sind, Delhi 1934; E.J.H. Mackay, Bead Making in Ancient Sindh, in JAOS, 57 (1937), pp. 1-13; Id., Chanhu-daro Excavations 1935-36, New Haven 1943; S. Piggott, Prehistoric India, Harmondsworth 1950; M. Vidale - G.M. Shar, Surface Evidence of Craft Activities at Chanhu-daro, March 1984, in AnnOrNap, 45 (1985), pp. 585-98; M. Vidale, The Paste Plaques and Cylinders of Chanhu-Daro: a Descriptive Report, ibid., 47, 1 (1987), pp. 57-66; Id., Specialized Producers and Urban Elites: on the Role of Craft Production in Mature Harappan Urban Contexts, in J.M. Kenoyer (ed.), Old Problems and New Perspectives in the Archaeology of South Asia, Madison 1989, pp. 171-81; J.M. Kenoyer - M. Vidale, A New Look to the Stone Drills of the Indus Tradition, in P.B. Vandiver et al. (edd.), Materials Issues in Art and Archaeology, III, Pittsburgh 1992, pp. 495-518.
di Massimo Vidale
Esteso complesso archeologico nel distretto di Kutch (Gujarat), formato da due grandi monticoli, situato sull'isola di Khadir, emergente dalla grande depressione costiera nota come Grande Rann del Kutch.
I monticoli archeologici, localmente noti con i nomi di Kotada e Bazar, corrispondono a una estesa città fortificata dell'età dell'Integrazione o fase harappana della tradizione dell'Indo (2600-1900 a.C. ca.), di cui Dh. rappresenta uno dei grandi centri. Il sito venne scoperto nel 1967-68 da J.P. Joshi e scavato in estensione a partire dal 1990 dall'Archaeological Survey of India, sotto la direzione di R.S. Bisht. La città, nel III millennio a.C., sorgeva su un'isola circondata da basse acque salate: era un territorio arido, percorso da torrenti stagionali e dipendente per le riserve di acqua dolce, sia in superficie sia sotterranee, dalle scarse e irregolari acque del monsone. Dh. appare suddivisa in tre parti: una città bassa a est, il cui nucleo principale sembra estendersi su di un'area approssimativamente quadrata di 300 m circa di lato; una città media (250 m ca. in direzione nord-sud × 360 m est-ovest, alt. mass. 13,5 m), protetta per lunghi tratti da un muro di mattoni crudi rivestito di pietra, a sud da tre muri di pietra paralleli riempiti di terra, con bastioni angolari e porte di accesso; un'acropoli nell'angolo sud-occidentale (160 m nord-sud × 300 m est-ovest, alt. 15-18 m). Tra l'acropoli e la città media, a sud di quest'ultima, si trova un ampio spazio libero di almeno 45 m.
L'acropoli è racchiusa da due recinzioni monumentali quadrangolari di mattoni crudi intonacati; la zona orientale, il cosiddetto "castello", è a sua volta circondata da uno spesso muro di cinta, con accessi monumentali. Questa complessa struttura concentrica è circondata da un'ulteriore fortificazione quadrangolare di mattoni crudi, con rivestimento interno di pietra (650 m ca. nord-sud × 800 m est-ovest); a ovest e nord-ovest si estendono altri monticoli minori, che corrispondono probabilmente a contemporanei insediamenti suburbani. Alcuni studiosi indiani considerano questa evidenza come una prova della suddivisione della società harappana in tre o quattro ordini di gerarchia sociale, che tentano di accostare al più tardo sistema castale del periodo vedico. Alcuni dei ritrovamenti più importanti di Dh. provengono dall'area del castello, dove in particolare si segnala la monumentalità delle porte di accesso, con scalinate, colonnati e ambienti collegati, in uno dei quali, connesso alla porta nord (la principale), è stata rinvenuta un'iscrizione monumentale formata da nove caratteri, ciascuno dei quali alto 37 cm e largo 25-27 cm, realizzati a mosaico con tessere di faïence o pasta vitrea. L'iscrizione è ancora indecifrata, ma si è tentati di supporre che indichi il nome della città. Nel centro del castello è stata inoltre rinvenuta una vasca monumentale alimentata da un canale per la raccolta dell'acqua, che ricorda il cosiddetto Grande Bagno di Mohenjo Daro.
Oltre ai resti relativi alla fase harappana, gli scavi di Dh. hanno messo in luce livelli databili all'età della Regionalizzazione, con ceramiche fabbricate al tornio di fogge e tradizioni tecnologiche piuttosto varie, come spesso si riscontra nei complessi archeologici del Subcontinente nella prima metà del III millennio a.C. Non è chiaro se le prime opere di fortificazione e segmentazione urbana siano state eseguite in questo arco di tempo o solo a partire dalla fase harappana. Negli strati di questo periodo una ceramica locale domestica, relativamente grossolana, sembra imitare alcune delle forme ricorrenti del consueto repertorio harappano, peraltro presente con altri oggetti tipici di questa fase, come elementi di collana, bracciali di terracotta e conchiglia, strumenti di rame/bronzo, pesi e micropesi cubici di pietra, sigilli a stampo con iscrizioni.
Negli strati più recenti si ravvisano i segni di un progressivo degrado nella qualità degli edifici e della manutenzione urbana e sembra che le architetture monumentali venissero utilizzate e frequentate in modo improprio e irregolare. Parte delle ceramiche mostra affinità con quelle della cultura di Jhukar nel Sind: siamo alle soglie dell'età della Localizzazione. Le ultime fasi insediative a Dh. sono attestate dal rinvenimento di resti di capanne circolari con base di pietra, forse abitate da nomadi a intervalli stagionali.
Bibliografia
B.B. Lal (ed.), A Review, in IndAR, 1967-68, pp. 14-17; S. Pandya, Kotado. A Major Urban Settlement in Greater Rann of Kutch, in R.K. Sharma (ed.), Indian Archaeology, New Perspectives, Delhi 1982, pp. 127-30; R.S. Bisht, A New Model of the Harappan Town Planning as Revealed at Dholavira in Kutch: a Surface Study of its Plan and Architecture, in B. Chatterjee (ed.), History and Archaeology, Delhi 1989, pp. 397-408; Id., Dholavira: New Horizons of the Indus Civilization, in Purātattva, 20 (1989-90), pp. 71-82; S. Biswas, Dholavira, Harappan Treasure Trove, in India Today, August 31, 1993, pp. 90-92.
di Massimo Vidale
Ubicato nel distretto di Sahiwal (Panjab, Pakistan), H. è il sito archeologico della Civiltà dell'Indo scavato con maggior intensità e frequenza dagli inizi del XIX secolo a oggi. Da esso deriva il nome di "civiltà harappana" comunemente usato nella letteratura anglofona per la Civiltà dell'Indo. Il moderno villaggio di H. si trova sulla sponda sinistra di un canale secondario del fiume Ravi, che probabilmente, nel III millennio a.C., ne costituiva invece il letto principale.
I monticoli archeologici, individuati dagli scavatori con lettere dell'alfabeto e visibili nella piana alluvionale da una certa distanza, si estendono in superficie approssimativamente per 100 ha e raggiungono un'elevazione massima di circa 11 m dalla superficie circostante; essi sono separati da vaste zone pianeggianti, oggetto di intensa coltivazione, e da profonde gole erosive scavate dalla pioggia. Il monticolo E, il più elevato, occupa la parte meridionale del sito e ha la forma di un trapezio irregolare con la base maggiore rivolta a nord. Immediatamente a nord-ovest sorge il monticolo AB, la cui pianta quadrangolare irregolare indica la presenza di un blocco urbano isolato simile a una cittadella, secondo uno degli schemi urbanistici che caratterizzano la Civiltà dell'Indo. La suddivisione in una "cittadella" nord-occidentale e una "città bassa" a est, infatti, ricorre anche a Mohenjo Daro e Kalibangan. Subito a nord del monticolo AB sorge il basso rilievo del monticolo F, anch'esso di conformazione quadrangolare. A nord del monticolo E, il sito, ovvero la città bassa, si estende per almeno altri 500 m, ma le rovine sono inglobate dal villaggio moderno, che ne preclude l'esplorazione archeologica.
Il periodo I (fine del IV millennio a.C.), identificato solamente nel monticolo E, appartiene culturalmente a una fase antica degli orizzonti giustamente definiti da M.R. Mughal "antico-harappani", a sottolinearne la continuità con i successivi sviluppi della Civiltà dell'Indo. Esso comprende strati di occupazione, focolari e strutture di mattone crudo erette sul suolo vergine, prima che l'abitato fosse protetto da recinzioni murarie in crudo. Sulla superficie vergine sono state identificate impronte di carri, che sembrano già seguire la traccia di un impianto urbano con assi viari approssimativamente ortogonali. Il periodo II (primi secoli del III millennio a.C.), anch'esso di affinità antico-harappana, include strati e strutture per uno spessore di 2 m circa. Sono stati identificati 5-6 livelli costruttivi, tutti associati a ceramiche di tipo kotdijano simili a quelle del periodo I. Le costruzioni si sviluppano rispettando un regolare tracciato urbano e recinzioni monumentali sorgono intorno ai margini del monticolo E, dove è stata individuata anche un'area destinata probabilmente alla produzione di ceramica. La cultura materiale del periodo II mostra una graduale transizione verso i tipi e le forme del periodo III, corrispondente allo sviluppo della Civiltà dell'Indo.
Il periodo III (2700-1900 a.C.) comprende depositi spessi fino a 2 m. Nell'angolo nord-ovest del monticolo E le recinzioni murarie in crudo vengono coperte da nuovi massicci elevati di mattoni cotti, con porte monumentali sul lato sud; compaiono aree specializzate in diversi tipi di produzione artigianale, alcune delle quali all'interno delle aree recintate. Al periodo III si datano molte delle scoperte più famose effettuate nel sito, quali il "granaio", i "quartieri operai", le piattaforme circolari del monticolo F, le fortificazioni della cittadella (AB), e il cimitero R37. Il cosiddetto "granaio" è un'enigmatica struttura rettangolare con basamento di mattone cotto, con un corridoio centrale che dava accesso a due file simmetriche e ortogonali formate da 29 ambienti rettangolari stretti e lunghi. Al di là di una generica somiglianza con altre strutture protostoriche usate come magazzini, nulla, in realtà, dimostra l'esatta funzione dell'edificio, peraltro molto diverso dal supposto granaio di Mohenjo Daro. La stessa incertezza interpretativa grava sulle case definite come "quartieri operai", una serie di unità modulari rettangolari prive di confronti significativi. Anche le file di piattaforme circolari con foro centrale, costruite con mattoni cotti disposti di taglio con assetto radiale, sono di funzione non chiara. Quanto alle fortificazioni messe in luce lungo il perimetro del monticolo AB, diversi studiosi suggeriscono che si tratti di opere continuamente restaurate e mantenute in efficienza a fini di difesa non solo da aggressioni armate, ma anche dalle piene, oltre che con funzione ideologica di demarcazione tra gli abitanti della città e il mondo esterno; murature simili, come si è visto, sono state rinvenute del resto anche in altri settori dell'abitato.
La ripresa degli scavi del cimitero R37 ha messo in luce una densa serie di sepolture a inumazione, spesso ricavate le une a danno delle altre. I defunti, in posizione supina orientata nord-sud, in diversi casi erano stati inumati entro bare lignee calate in grandi fosse rettangolari. Gruppi di vasi di ceramica venivano deposti sotto o a lato della bara. I corredi, non ricchi, comprendono ornamenti come braccialetti di conchiglia, perle e amuleti di pietra semipreziosa, collane o cavigliere di perline a disco di steatite e, per le donne, specchi circolari di bronzo. In un caso, un inumato di sesso maschile aveva una eccezionale acconciatura formata da migliaia di microscopiche perline di pasta di steatite. Complessivamente, sembra trattarsi dell'area cimiteriale riservata a uno specifico segmento della popolazione.
In generale, il periodo III è caratterizzato da architetture di mattoni cotti, da migliaia di sigilli a stampo di steatite con iscrizioni, da micropesi cubici di selce bruna zonata, da grandi quantità di sofisticati ornamenti di pietra dura e di sostanze ceramiche artificiali, da raffinati esempi di ceramica dipinta in nero su ingubbiatura rossa tipica della Civiltà dell'Indo e dalla presenza di piccole tessere di faïence con brevi iscrizioni e probabili notazioni numeriche. Tra i manufatti più famosi si ricordano un piccolo torso maschile di arenaria rossa, scolpito con un notevole senso plastico, e una statuetta di pietra grigia, anch'essa maschile; per la loro raffinata eleganza, non tutti concordano nel considerarle opere del III millennio a.C.
Culturalmente affini agli orizzonti detti "tardoharappani" della prima metà del II millennio a.C. sono i periodi IV (una fase transizionale) e V, che comprendono il cimitero H e una serie di stratificazioni purtroppo molto mal conservate sulla superficie della cittadella e altre porzioni della città. Il cimitero H comprende una serie di sepolture che attestano riti quali la scarnificazione e la cremazione parziale o completa del defunto. Le ceramiche sono dipinte in nero su rosso con uno stile molto diverso da quello tipico della Civiltà dell'Indo: sulle urne funerarie, oltre a decorazioni fitomorfe, compaiono motivi di probabile valenza astrale, figure animali come pavoni e bovini, creature mitologiche e, più raramente, figure umane. Sulla base dell'ipotesi che la cultura del cimitero H sia riferibile agli Ari che avrebbero invaso le piane dell'Indo, sono stati compiuti diversi tentativi per associare queste immagini a temi letterari dei più antichi testi vedici.
Infine, vanno ricordate ulteriori fasi di occupazione di età storica e medievale, ancora in corso di definizione archeologica: si segnalano sporadici esempi di sculture in stile Gupta, una tomba islamica e i resti di un caravanserraglio di età Moghul.
Bibliografia
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di Jonathan M. Kenoyer
Insediamento formato da due distinti mounds, ubicato nei pressi di Larkana, poco a nord di Mohenjo Daro.
I livelli superiori, buddhisti, furono investigati nel 1918 da R.D. Banerji, mentre gli scavi di N.G. Majumdar nel 1928 rivelarono la presenza di un periodo di occupazione harappana. Gli scavi intrapresi nel 1973-74 da A. Nabi Khan e in seguito da M.R. Mughal rivelarono la sequenza culturale completa e dimostrarono la contemporaneità della caratteristica ceramica del cosiddetto "tardo-Jhukar" e della ceramica harappana durante la fase finale dell'occupazione harappana del sito; l'associazione delle due produzioni ceramiche è documentata anche a Mohenjo Daro e, probabilmente, a Chanhu Daro e Amri.
Mughal individuò tre periodi di occupazione, denominati antico, medio e tardo Jhukar, cui fa seguito l'abbandono del sito. I livelli più alti del Mound B sono interessati da fasi di occupazione relative al primo periodo storico e da una più tarda, databile al XVII secolo. La ceramica harappana è diffusa in tutti i livelli preistorici e costituisce il 50% dell'assemblaggio proveniente dal sito. I livelli più antichi, interessati da forti infiltrazioni d'acqua, contenevano frammenti di ceramica Quetta Wet, con ingobbio a risparmio e corpo camoscio, simili a quelli messi in luce nei livelli più antichi a Mohenjo Daro e Chanhu Daro. Questo significa che i livelli inferiori di Jh. dovrebbero essere ascritti al periodo di Kot Diji o tardo-Jhukar e datati, in base alle sequenze cronologiche di Harappa e Nausharo, al 3300-2800 a.C. circa.
Lo scavo del sito non è stato oggetto di una pubblicazione completa, tuttavia Mughal riporta che nel corso del tardo-Jhukar compaiono solo dieci tipi ceramici ascrivibili alla produzione che viene generalmente definita "ceramica di Jhukar". Il restante 80% della ceramica attestata nei livelli più tardi è harappana. Mentre non sono descritti i caratteri specifici di quest'ultima, la ceramica di Jhukar viene definita da Mughal come distinta da motivi decorativi dipinti in nero su ingobbio rosso: losanghe allungate simili a pesci stilizzati, elementi circolari con punti rossi, motivi a foglia realizzati con tratti spessi, motivi circolari sui bordi dei piatti, quadrati, croci e linee a zig-zag multiple. Fondandosi sulle datazioni al 14C calibrato di Mohenjo Daro pubblicate da G.F. Dales (2165 e 1860 a.C.), Mughal attribuisce la fase finale della ceramica di Jhukar al 1700 a.C. circa.
La "fase Jhukar", così come è definita da J.G. Shaffer, è divenuta sinonimo della tradizione culturale del tardo Harappano meridionale, documentata nelle fasi harappane finali a Jh., Mohenjo Daro, Chanhu Daro e Amri. Alcuni aspetti della cultura materiale mostrano segni di continuità con la precedente fase harappana, mentre un cambiamento è riscontrabile nei sigilli, ora di forma circolare, con decorazioni geometriche e scrittura assente. I sigilli circolari sono attestati in tutti i siti menzionati, come anche a Pirak e, più recentemente, nel sito di Gilund (Rajasthan).
Bibliografia
N.G. Majumdar, Explorations in Sind. Being a Report of the Exploratory Survey Carried out during the Years 1927-28, 1929-30 and 1930-31, Delhi 1934, pp. 5-18; G.F. Dales - J.M. Kenoyer, Excavations at Mohenjo Daro, Pakistan. The Pottery, Philadelphia 1986; M.R. Mughal, Jhukar and the Late Harappan Cultural Mosaic of the Greater Indus Valley, in SAA 1989, pp. 213-22; J.G. Shaffer, The Indus Valley, Baluchistan and Helmand Traditions. Neolithic through Bronze Age, in R. Ehrich (ed.), Chronologies in Old World Archaeology, Chicago 19923, pp. 441-64.
di Massimo Vidale
K. ("braccialetti neri"), sito protostorico di media grandezza (età della Regionalizzazione e dell'Integrazione) sorto lungo l'antico corso del fiume Ghaggar (corso settentrionale dell'Hakra), è il complesso archeologico più importante di un gruppo di insediamenti identificati a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo nel distretto di Ganganar (Rajasthan, India), 300 km circa a nord-ovest di Delhi.
I livelli più antichi, venuti in luce alla base di un monticolo nel settore nord-occidentale del sito, sono spessi circa 1,5 m. Già l'insediamento più antico (presumibilmente della fase kotdijana, tra il 2800 e il 2600 a.C.) appare protetto da una fortificazione quadrangolare di mattoni crudi (250 × 180 m), che col tempo crebbe in spessore da 2 a 3-4 m circa. L'entrata principale si trovava sul lato nord, in corrispondenza di un'apposita rientranza obliqua del muro (soluzione adottata nello stesso periodo nella cittadella di Harappa). Durante l'età dell'Integrazione (2600-1900 a.C.) questo primo nucleo si sarebbe trasformato in una cittadella quadrangolare dominante, posta a nord-ovest di una più ampia città bassa, secondo lo stesso modello urbanistico riconoscibile a Harappa, a Mohenjo Daro e a Rakhigarhi. Al 2800-2600 a.C. viene datato un campo agricolo, identificato all'esterno dell'abitato, arato con una tecnica a griglia ortogonale che permetteva forse di coltivare due diverse specie di piante nello stesso tempo e che sembra implicare la trazione animale. Il notevole sviluppo delle pratiche agricole è confermato dal fatto che, nello stesso periodo, quasi il 60% dei pollini apparteneva a cereali.
L'abitato è composto da case in crudo e pietra a più stanze, costruite con mattoni che misuravano 30 × 20 × 10 cm (in contrasto con i più tardi moduli 4:2:1 della Civiltà dell'Indo) e contenenti focolari e forni domestici, interrati e sopraelevati, e pozzi cilindrici per l'acqua rivestiti di intonaci a calce. Tra i reperti va ricordata un'abbondante industria litica su lama di selce, con lame fortemente ritoccate, un'ampia gamma di ornamenti personali, tra cui bracciali di conchiglia, perle di steatite e altre pietre semipreziose, oltre a rari manufatti di rame/bronzo (un bracciale e alcune asce piatte). La variabilità tecnica e formale delle ceramiche più antiche di K., forse accentuata da una descrizione molto analitica, appare in realtà conforme a buona parte dei principali siti della tarda età della Regionalizzazione; essa è contraddistinta dalla compresenza di varietà diverse (almeno sei, secondo gli archeologi indiani): una classe di colore rosato, con disegni in nero o bicromi (nero/bianco) raffiguranti piante e animali, tra cui capridi, bovini, uccelli e pesci; una ceramica affine alle cosiddette Wet Wares di Quetta, ma con motivi dipinti sull'esterno; altre classi dipinte simili a quelle di Amri e Kot Diji; ciotole o bacini dalle pareti interne profondamente incise a linee parallele. Alcune forme ceramiche di K., in particolar modo la coppa su alto piede, anticipano tipi più tardi dell'età dell'Integrazione. Disegni spiraliformi rappresentano forse versioni stilizzate delle "corna del bufalo d'acqua", per le quali si ipotizzano forti implicazioni simboliche o religiose.
Tra il 2600 e il 1900 a.C., K. raggiunse non meno di 12 ha di estensione, con due monticoli di forma quadrangolare allungata disposti in direzione nord-sud. Il primo abitato si trasforma in una cittadella fortificata quadrangolare (240 × 120 m), che riproduce l'assetto dell'antica entrata principale obliqua. Il nuovo muro perimetrale, con spessore da 9 a 11 m, è munito agli angoli e lungo i lati di grossi bastioni quadrangolari (mass. 13 × 17 m). La cittadella è a sua volta divisa in due settori romboidali di uguali dimensioni: il settore nord, con ingresso principale obliquo e asse viario interno obliquo che portava a residenze private, e il settore sud, accessibile dal settore nord mediante una scala monumentale di mattoni cotti, affiancata da file di buche di palo, controllata da due spessi bastioni. Il settore sud, protetto da bastioni quadrangolari, ospitava grandi piattaforme rialzate di mattoni crudi e cotti, circondate da vie e strade; su di esse si sono osservate file di "altari del fuoco", più verosimilmente basi di fornaci di forma oblunga con residui basali del pilastro che ne reggeva il piano perforato. A lato furono osservati fosse e pozzetti con resti carboniosi e ossa animali. L'insieme ricorda analoghe scoperte a Rakhigarhi.
Circa 40 m a sud-est sorge la città bassa, anch'essa racchiusa da una recinzione di circa 360 × 240 m (l'intera urbanistica di K. sembra basarsi su una misura di 120 m con modulo 2:1 nella cittadella e 3:2 nella città bassa). Il recinto è di mattoni crudi, meno spesso e con bastioni quadrangolari solo agli angoli. Anche qui l'entrata principale, controllata da una guardiola interna, era posta a nord-ovest e seguiva un asse obliquo. L'abitato, scavato solo in minima parte, è percorso da una griglia abbastanza regolare che definisce una ventina di irregolari isolati urbani, seguendo l'asse obliquo dell'entrata piuttosto che l'orientamento del muro esterno di difesa. Le case, di mattone crudo, erano più grandi di quelle del periodo precedente; il traffico di animali e carri doveva essere intenso, visto che gli angoli degli edifici erano a volte protetti da paracarri lignei. Circa 300 m a sud-ovest dell'abitato si trovava una piccola necropoli divisa in due settori, uno riservato a inumazioni in posizione distesa, l'altro con fosse circolari contenenti sepolture entro giare ceramiche e depositi di vasi apparentemente privi di resti ossei.
Bibliografia
B.B. Lal - B.K. Thapar, Excavations at Kalibangan: New Light on the Indus Civilization, in Cultural Forum, 9 (1967), pp. 78-88; B.B. Lal, Perhaps the Earliest Ploughed Field So Far Excavated in the World, in Purātattva, 4 (1971), pp. 1-3; B.K. Thapar, New Traits of the Indus Civilization at Kalibangan. An Appraisal, in SAA 1971, pp. 85-104; Id., Synthesis of the Multiple Data as Obtained from Kalibangan, in D.P. Agrawal - A. Ghosh (edd.), Radiocarbon and Indian Archaeology, Bombay 1973, pp. 264-71; B.B. Lal, Kalibangan and the Indus Civilization, in D.P. Agrawal - D.K. Chakrabarti (edd.), Essays in Indian Protohistory, New Delhi 1979, pp. 65-67; S. Ashtana, Pre-Harappan Cultures of India and the Borderlands, New Delhi 1985, pp. 156-63, 183-85; J.G. Shaffer, The Indus Valley, Baluchistan and Helmand Traditions: Neolithic through Bronze Age, in R. Ehrich (ed.), Chronologies in Old World Archaeology, I, Chicago - London 19923, pp. 441-64; R. Allchin - B. Allchin, The Birth of Indian Civilization. India and Pakistan before 500 B.C., New Delhi 1993, pp. 120-23.
di Massimo Vidale
Il monticolo di K.D. (distretto di Khairpur, Sind, Pakistan) sorge a ovest del forte dell'omonimo villaggio, sulla sponda sinistra dell'Indo, circa 20 km a sud di Khairpur Mirs e 40 km a est di Mohenjo Daro.
Fortemente eroso e danneggiato da vecchi sterri, esso misura circa 200 × 120 m e si eleva per 12 m dalla piana circostante, ma i depositi si estendono certamente su un'area ben maggiore, al di sotto della superficie attuale. Il centro protostorico sorgeva a ridosso delle Rohri Hills, da cui si estraeva una selce opaca bruno-chiara che, per la sua eccezionale qualità, era uno dei principali articoli di commercio a lunga e media distanza tra i centri della valle dell'Indo; non vi è dubbio quindi che gli antichi abitanti di K.D. ne controllassero l'estrazione, la lavorazione e la distribuzione.
Il sito, scavato con saggi verticali da F.A. Khan nel 1955 e nel 1957, restituì per la prima volta consistenti livelli ben più antichi di quelli della Civiltà dell'Indo, con ceramiche simili a contemporanei reperti provenienti da Harappa, Sarai Khola, Jalilpur, Gumla e altri siti. K.D. diede quindi il nome all'insieme delle culture protostoriche della valle dell'Indo tra la fine del IV e la metà del III millennio a.C., oggi indicate di preferenza come culture dell'età della Regionalizzazione (4000-2600 a.C. ca.). Mentre Khan aveva postulato l'esistenza di una netta frattura tra la più antica cultura di K.D. e quella della Civiltà dell'Indo, M.R. Mughal ha introdotto la definizione di "orizzonti antico-harappani", per sottolineare invece come la cultura di K.D. e altre di questo arco cronologico rappresentino in realtà le fasi formative della Civiltà dell'Indo.
La sequenza ricostruita da Khan, a partire dal suolo vergine, si articola in 16 fasi di occupazione. Le datazioni al 14C collocano i livelli precedenti la Civiltà dell'Indo (fasi 16-4, periodo I) tra gli ultimi due secoli del IV millennio a.C. e la prima metà del III millennio a.C. Le fasi harappane (fasi 3-1, periodo II), separate dalle precedenti dalle tracce di un vasto incendio, si datano a partire dal 2500 a.C. circa. Sin dal periodo I il sito risulta suddiviso in due parti: una cittadella superiore fortificata, difesa da spesse mura e bastioni con basamento e nucleo interno di pietra a secco e rivestimento esterno di mattoni crudi, e una "città bassa" in cui si affollavano abitazioni comuni. Le fasi 16-4 sono una lunga sequenza di episodi di costruzione, vita, distruzione o ristrutturazione di abitazioni (che nelle fasi più tarde si estesero alla sommità del muro perimetrale, occultandolo parzialmente), accuratamente costruite con mattoni crudi.
La ceramica, di elevata qualità, ha pareti sottili e corpo in genere molto compatto; di colore rosato, camoscio o rosso, è decorata con bande di ingubbiatura di color rosso o crema, soprattutto sul collo e sulla spalla dei vasi, su cui corrono semplici motivi geometrici tracciati in rosso, bruno, nero o porpora. La forma più comune è una giara globulare con un breve orlo verticale rialzato; tipici sono anche la coppa su alto piede, la ciotola emisferica, il piatto e il coperchio. Motivi decorativi tipici della cultura di K.D. sono quello detto "a scaglie di pesce", il festone, la linea ondulata. Una giara presenta la raffigurazione di una divinità cornuta, che ricorre anche in altri siti contemporanei. Altri reperti caratteristici sono braccialetti, modellini di carro e figurine zoomorfe di terracotta, oggetti di conchiglia marina, lunghe lame di selce di buona fattura, alcune delle quali con forte ritocco, elementi di collana in pietra semipreziosa; gli oggetti di rame/bronzo sono piuttosto rari.
Nelle fasi harappane, nell'area della cittadella sono state trovate le tracce delle abitazioni più ricche, fornite di grandi giare e di probabili vasche da bagno di terracotta. L'abitato era organizzato in insulae delimitate da un tracciato viario tendenzialmente ortogonale; le abitazioni avevano basamenti di pietra, alzati e pavimenti di mattone crudo, soffitti formati da travi lignee coperte da stuoie rivestite di argilla. Alla ceramica della cultura di K.D. si sostituisce la tipica ceramica harappana, comprendente giare dipinte in nero con elaborati motivi geometrici e naturalistici su superfici ingobbiate rosse. Gli oggetti di rame/bronzo divengono più comuni. Tra i tipici manufatti harappani rinvenuti ricordiamo anche sigilli a stampo e brevi iscrizioni su ceramica.
Bibliografia
F.A. Khan, Excavations at Kot-Diji, in PakA, 2 (1965), pp. 11-85; M.R. Mughal, The Early Harappan Period in the Greater Indus Valley and Northern Baluchistan (c. 3000-2400 B.C.) (Diss., University of Pennsylvania), Philadelphia 1970; D.P. Agrawal, The Archaeology of India, London - Malmö 1982, pp. 129-32; M.R. Mughal, Current Research Trends in the Rise of the Indus Civilization, in G. Urban - M. Jansen (edd.), Forschungsprojekt DFG Mohenjo-Daro. Veröffentlichung der Seminarbeiträge (Aachen, 5.-6. Dezember 1981), Aachen 1983, p. 13 ss.; J.G. Schaffer, Indus Valley, Baluchistan and the Helmand Traditions. Neolitic through Bronze Age, in R.W. Ehrich (ed.), Chronologies in Old World Archaeology, I, Chicago - London 19923, pp. 441-64, in part. pp. 447-48.
di Massimo Vidale
Sito archeologico ubicato allo sbocco del fiume Sabramati, presso l'estremità del Golfo di Khambhat, nello Stato del Gujarat (India).
Il monticolo (400 × 300 m alla base; alt. mass. 3,5 m), che come tanti altri recava il nome moderno di "città dei morti", fu scavato in estensione tra il 1954 e il 1959, ma i criticabili metodi impiegati diedero adito a interpretazioni oggi in gran parte obsolete. I livelli più antichi sono probabilmente databili alla fase recente dell'età della Regionalizzazione (5500-2600 a.C. ca.), mentre i depositi più tardi, risalenti al 1850 a.C. circa, si datano all'inizio dell'età della Localizzazione (1900-1300 a.C. ca.).
Nella seconda metà del III millennio a.C., al culmine della fioritura della Civiltà dell'Indo, nell'età dell'Integrazione (2600-1900 a.C. ca.), la città (oltre 8 ha di superficie) era protetta da una possente recinzione di mattoni crudi, spessa 12-13 m, che si sviluppava lungo un perimetro trapezoidale. Oltre alle possibili implicazioni militari, amministrative e simboliche, essa doveva costituire un riparo da piene disastrose, che comunque sembrano aver investito la città in più episodi. All'interno, una griglia di strade larghe circa 4-6 m e vicoli secondari ortogonali di 2-3 m di ampiezza divide la città in 7 insulae urbane, alcune delle quali insistono su vasti sistemi di piattaforme in crudo. L'angolo sud-occidentale (un'area di 136 × 111 m) fu interpretato come una "acropoli", isolata e sostenuta da ulteriori, monumentali piattaforme in crudo su cui sorgevano importanti edifici, mal conservati e di funzione piuttosto oscura. Della più vasta di questa serie di (ipotetiche) costruzioni rimaneva una enigmatica fila di 12 stanzette modulari con pavimentazioni in cotto e canalette di drenaggio, confluenti in un unico grande sistema fognario inclinato verso il lato occidentale del perimetro, che richiamano analoghi ritrovamenti nella "cittadella" di Mohenjo Daro.
Sempre nell'acropoli, nel blocco D, furono scavati i resti della cosiddetta Warehouse (magazzino commerciale). Le ricostruzioni grafiche pubblicate, non del tutto attendibili, mostrano un grande edificio (48,5 × 42,5 m) a basamento quadrangolare, fatto di una serie di compartimenti rialzati di mattoni crudi separati da passaggi ortogonali, piuttosto simili a quelli che formavano le sostruzioni del cosiddetto "granaio" di Mohenjo Daro. La costruzione, distrutta da un incendio, aveva probabilmente un consistente alzato ligneo. In uno dei passaggi, in apparente contesto di crollo e incendio, fu trovata una concentrazione di cretule (70 ca.) con impronte di sigilli a stampo recanti da un lato le consuete immagini zoomorfe con iscrizioni, dall'altro le impressioni dei rivestimenti usati per imballare le derrate o le mercanzie. Alcune cretule recano più impronte di sigillo sovrapposte, a testimoniare un procedimento amministrativo di particolare complessità. Di fronte alla Warehouse si estende un enorme bacino idraulico di mattoni cotti (219 × 37 m; prof. 4,5 m ca.), che si pensò destinato al carenaggio di imbarcazioni provenienti dal mare, anche sulla base del rinvenimento sul fondo, presso i margini della vasca, di grandi pietre con fori passanti, interpretate come ancore. Sono in molti oggi a ritenere che il bacino fosse in realtà una enorme cisterna di acqua semipotabile utilizzata per l'irrigazione dei campi e per le attività quotidiane, secondo una consuetudine ancora attestata nel Subcontinente, e che le "ancore" fossero pietre forate naturalmente o contrappesi per bracci a leva usati per sollevare l'acqua.
Ampio risalto fu dato alla presenza, al di fuori dell'acropoli, di possibili resti di lavorazioni e impianti artigianali (ceramica, trasformazione di agata, rame/bronzo, conchiglia, avorio). Se è vero che L. era un centro di lavorazione e distribuzione della conchiglia marina e che vi si tesaurizzavano ingenti partite di elementi di collana di agata (proveniente dalle vicine aree di estrazione di Ratampur-Rajpipla), la vocazione produttiva del centro oggi appare decisamente ridimensionata. Il ritrovamento di un sigillo a stampo di tipo dilmunita testimonia l'inclusione di L. nel raggio delle attività commerciali dei mercanti del golfo residenti a Failaka, Tarut e Bahrain. La città, infine, aveva una piccola necropoli situata, come a Harappa e a Kalibangan, sul lato occidentale dell'abitato e forse destinata, come negli altri casi, a un limitato segmento della collettività urbana; in genere, i corpi erano inumati in posizione distesa entro casse lignee o ciste di mattoni crudi, con ceramiche e altri poveri corredi.
Bibliografia
S.R. Rao, Lothal and the Indus Civilization, Bombay 1973; Id., Lothal. A Harappan Port Town (1955-62), I-II, New Delhi 1979; Id., New Light on Indus Script and Language, in B.B. Lal - S.P. Gupta (edd.), Frontiers of the Indus Civilization. Sir Mortimer Wheeler Commemoration Volume, Delhi 1984, pp. 193-99.
di Massimo Vidale
L'area archeologica di M. si trova al margine settentrionale delle pianure di Kachi, ai piedi del passo del fiume Bolan, uno dei principali valichi che nel Baluchistan settentrionale connettono le pianure dell'Indo all'entroterra afghano.
Scoperta nel 1968 e scavata per oltre trenta anni da una missione francese, M. ha dimostrato l'autonomia dell'evoluzione sociale preistorica nel Subcontinente indiano. Le prime tracce di frequentazione dell'area (VIII millennio a.C. o prima) indicano la presenza di campi di allevatori e protocoltivatori seminomadici. Nelle più antiche fasi sedentarie, che sulla base del 14C e dei confronti archeologici si collocano tra il 7000 e il 5500 a.C. (periodo IA/B), a M. viveva una comunità neolitica che ignorava la ceramica. Gli studi paleoambientali indicano dal 6000 al 4000 a.C. circa condizioni più umide e molto più favorevoli delle attuali, con aree semilacustri o perifluviali con fitte foreste di ripa e fertili pianure, in parte coperte da graminacee e leguminose spontanee.
Nel principale sito neolitico, sui depositi privi di ceramica poggiano strati del Neolitico ceramico (periodo IB, ca. 6000-5500 a.C.) e calcolitici più tardi, spesso fortemente erosi. Nei livelli più antichi del Neolitico preceramico il 90% dei semi è rappresentato da una varietà di orzo nudo esaploide, probabilmente una specie di origine locale (forse presente anche allo stato selvatico), soppiantata, tra il VII e il VI millennio a.C., da varietà di grano nudo. Piccole quantità di semi di grano, che sembrano appartenere a varietà pienamente domesticate anche nei livelli inferiori, lasciano aperta la possibilità dell'importazione da ovest di specie già coltivate. Negli strati più antichi sinora scavati compaiono la gazzella, la pecora e la capra selvatica, i daini Axis axis e Cervus dauvaceli, le antilopi Boselaphus tragocamelus e Antilope cervicapra, il Bos namadicus (probabile antenato selvatico dello zebù), il bufalo, l'onagro, il cinghiale e l'elefante. In generale, le ossa dei bovini selvatici rappresentano in tali contesti il 4% del totale. Alla fine del Neolitico preceramico la percentuale dei bovini domestici si avvicina al 40% e intorno al 5000 a.C. si assesta al 65%. Nel corso del VI millennio declina la caccia ai grandi animali, mentre cresce l'allevamento dei caprovini.
Le prime abitazioni di M. sono case ben costruite con mattoni crudi, a pianta rettangolare (da 18 a 25 m2 ca.), suddivise da setti cruciformi in quattro stanze uguali. I mattoni erano piano-convessi e allungati (8 × 12 × 62 cm). Diverse stanze contenevano focolari. Le pareti erano intonacate; alcune case erano rivestite esternamente da pittura rossa, altre da pitture murali geometriche (rosso, bianco, nero). Il tetto era costituito da pali coperti da stuoie, ramaglie e fango. Le case erano iso-orientate, con stretti passaggi laterali, e l'abitato era difeso da tratti di mura perimetrali. Vi sono ossa animali, macine, mortai, pestelli, percussori e lisciatoi di pietra levigata, ciottoli con bordi affilati (forse prototipi di asce), lame e trapani di selce, oltre a diversi tipi di strumenti di osso, gruppi di nuclei di selce, di punte di trapano e blocchetti di calcite. Sono anche presenti frammenti di semplici statuine femminili e zoomorfe di argilla cruda. Nei livelli superiori del periodo IA sono presenti strutture rettangolari di maggiori dimensioni, regolarmente suddivise in sei stanze, apparentemente prive di porte, considerate prototipi degli "edifici a compartimenti" così numerosi alla fine del Neolitico: costruzioni simmetriche con file di ambienti paralleli, lunghi e stretti, con un passaggio o corridoio ortogonale al centro. Vi si trovano resti di falcetti, impronte di cereali e strumenti di pietra levigata (accette, macine, pestelli). Intorno vi erano focolari all'aperto e spessi accumuli di rifiuti, a suggerire attività collettive esterne. Gli edifici a compartimenti erano forse magazzini, che ricordano nella struttura i basamenti dei contemporanei "granai" a bassi muretti paralleli trovati nella Turkmenia meridionale oppure a Çayönü Tepesi, in Anatolia. Non è escluso che M. svolgesse una funzione di immagazzinamento collettivo per diverse comunità seminomadiche, anche se mancano chiari segni di attività amministrative.
Sono state sinora messe in luce oltre 300 sepolture neolitiche, in una vasta area funeraria che insiste sui livelli superiori del monticolo del Neolitico aceramico. Le sepolture si trovano nei pressi delle abitazioni, dapprima in semplici fosse, poi in tombe a grotticella (una piccola cavità sotterranea con muretto di mattoni crudi, che separava la cavità stessa dal pozzetto d'accesso). I defunti, cosparsi di ocra e abbigliati con raffinati gioielli di calcite, steatite (lavorata in piccolissime perline, spesso sbiancate a elevate temperature), turchese, lapislazuli, agata zonata, cornalina e conchiglia, erano accompagnati da corredi che comprendevano borse ed elaborati canestri. Le tombe suggeriscono gerarchie sociali (corpi di infanti deposti con ricchi corredi indicano uno status già ereditario) e differenziazione dei ruoli (la presenza di alcuni oggetti, come, ad es., nuclei e lame di selce, sembra riferirsi all'attività svolta in vita).
Nel periodo IB, mentre si moltiplicano gli edifici a compartimenti, compare la ceramica, ottenuta pressando un impasto di argilla con abbondante tritume di paglia sopra e intorno a canestri e cotta a basse temperature. Dopo il 5000 a.C. nella ceramica permane la paglia tritata, ma scompaiono le impronte di canestri; le pareti si fanno più sottili e vengono a volte coperte da ingubbiature rossastre. Il periodo II (5500-4500 a.C. ca.) è comunemente considerato la fase finale del Neolitico, o la prima fase locale dell'età della Regionalizzazione. Con il successivo periodo III (4500-3500 a.C. ca.) esso include buona parte del Calcolitico; il periodo IV di M. corrisponde invece al 3600-3000 a.C. (tarda età della Regionalizzazione).
Nell'intervallo tra il 5000 e il 3600 a.C. (una delle fasi meno note della protostoria del Subcontinente) gli abitati si espandono, mentre si evolvono e si arricchiscono le tecnologie artigianali. Gli edifici a compartimenti si addensano a lato di piattaforme artificiali in crudo e terrazze che sembrano aver avuto lo scopo di isolare e proteggere i nuclei centrali degli insediamenti dalle piene del fiume. Gli archeologi francesi stimano la superficie coperta da ceramiche calcolitiche ad almeno 100 ha. Tra gli edifici a compartimenti e le case vi sono pavimentazioni di mattoni crudi accostati, con resti di fuochi, concentrazioni di ossa animali, cenere, ciottoli, percussori e industria di selce. La ceramica adotta motivi geometrici e naturalistici dello stile detto "di Togau A" e nel corso del IV millennio a.C. si fa sempre più elaborata e stilizzata. Agli ultimi secoli dello stesso millennio si datano le ceramiche dette "di Kechi Beg", policrome (nero-rosso-bianco) e dalle ricche decorazioni geometriche. All'allargamento degli abitati e della scala delle attività produttive e alla varietà dei consumi si contrappone, nelle necropoli, un parallelo e graduale impoverimento dei corredi funerari. Le sepolture tardocalcolitiche contengono ornamenti e utensili rari e poco vistosi.
Tra il 3600/3500 e il 2000 a.C. si individuano a M. cinque periodi (da IV a VIII). Di questi, i periodi V e VI corrispondono agli ultimi secoli della stessa età della Regionalizzazione, mentre i periodi VII e VIII cadono nella seconda metà del III millennio a.C. (età dell'Integrazione). In un sito di M. databile agli inizi del III millennio a.C. sono state rinvenute case a più stanze dotate di basse porte, con cortili interni e blocchi di stanze separati da piccoli corridoi e, per la prima volta, giare da derrata. Queste unità domestiche, ben diverse dalle semplici case quadripartite del Neolitico, vengono interpretate come sedi di famiglie allargate; la loro diffusione corrisponde alla fine dell'uso degli edifici-magazzini a compartimenti. Notevoli livelli di elaborazione formale si raggiunsero anche nella fabbricazione di figurine umane di terracotta e in quella di sigilli a stampo di avorio, osso, terracotta e pietra con disegni geometrici, forse legati al superamento delle antiche pratiche di concentrazione e ridistribuzione del prodotto agricolo. Alla prima metà del III millennio a.C. si datano un "quartiere di ceramisti", delimitato da un lungo muro di contenimento con semipilastri regolarmente intervallati, e una piattaforma monumentale, posta di fronte a questo, di mattone crudo, esposta solo al margine, di estensione e di significato ancora ignoti. Il periodo VIII, identificato nei siti funerari di Sibri e Dauda Damb, si data agli ultimi due secoli del III millennio a.C. e testimonia una profonda influenza culturale da parte delle contemporanee civiltà centroasiatiche della Battriana e della Margiana.
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di Massimo Vidale
Grande complesso urbano protostorico nel centro del Sind (Pakistan), non lontano dalla contemporanea cittadina di Larkhana, scavato a partire dal 1920 per circa il 10% del totale, con l'esposizione di 350 edifici e l'inventariazione di circa 38.000 oggetti. M.D. sorse su di un'"isola" di banchi naturali di argilla e limo sabbioso alta pochi metri sulla piana circostante, comunque sufficiente a riparare gli abitanti dalle frequenti esondazioni fluviali.
Gli scavi degli anni Venti e Trenta del Novecento rivelarono stratigrafie che oggi, nei termini della sequenza stratigrafica di Harappa, corrispondono ai periodi 3B e 3C (2450-2000 a.C. ca.). In alcune zone gli scavi raggiunsero strati di età comparabile a quelli del periodo 3A di Harappa (2600-2450 a.C. ca.), che però, permeati dalla falda fluviale, non poterono essere indagati. Poiché i depositi continuavano per altri 6 o 7 m di profondità dai limiti raggiunti, è molto probabile ‒ anche se non archeologicamente provato ‒ che il sito sia stato abitato con continuità almeno dalla fine del IV millennio a.C.
M.D. è formata da grandi isolati di forma geometrica, eretti su piattaforme artificiali. Comprende una cittadella a nord-ovest e una città bassa a est, separate da una depressione priva di resti visibili. Lo schema urbano di M.D., paragonato in passato alle semplici geometrie di un castrum romano, si fonda piuttosto su un sistema tendenzialmente ortogonale di strade maggiori e viottoli secondari in continuo adattamento a mutevoli assi di orientamento generale, forse dettati da indicatori astronomici. L'abitato, nel III millennio a.C., si estendeva per una superficie di almeno 2 × 2 km, fino a raggiungere l'attuale letto dell'Indo. Un tratto di mura con porta di accesso, scavato negli anni Venti del Novecento a nord della città bassa, lascia supporre l'esistenza di una linea difensiva continua.
La cittadella è un immenso podio di piattaforme di mattoni crudi (in origine 200 × 350 × 15 m ca.), progettato in modo unitario, con "bastioni" angolari, ingresso obliquo sul lato nord ed estese cortine di mattone cotto. Esso reggeva altre piattaforme secondarie, basi a loro volta di singole, grandi costruzioni, progettate insieme ai pozzi e ai sistemi di drenaggio e separate da una griglia viaria ortogonale; pur se dovuti a impressioni soggettive degli scavatori, sono ormai entrati nel lessico comune i nomi di alcuni edifici, quali il Grande Bagno, il Bagno dei Sacerdoti, il Collegio dei Sacerdoti e il Granaio. Il Grande Bagno, che un elevato numero di ingressi sembra assegnare a una frequentazione pubblica, è un complesso di circa 55 × 33 m, dotato in origine di un piano superiore e incentrato su una grande vasca monumentale (12 × 7 m) posta in un cortile circondato da un portico. La vasca, di mattoni cotti con rivestimento di bitume, aveva due brevi scalinate simmetriche di accesso sui lati corti e piano basale in leggero pendio, collegato a un grande canale di svuotamento interrato (alt. 1,80 m), con volta aggettante in superficie.
Il Bagno dei Sacerdoti (56 × 25 m), di pianta rettangolare, conteneva sei piattaforme per abluzioni disposte in una doppia fila centrale e un grande pozzo ovale, probabilmente di uso pubblico, su un pavimento di mattoni cotti. Il Collegio dei Sacerdoti, a est del Grande Bagno, è invece una labirintica struttura di fondazioni di cotto sovrapposte, quanto resta di una serie di edifici costruiti in uno spazio rettangolare di circa 60 × 15 m, con due cortili interni (uno dei quali composto da una grande corte centrale circondata da un porticato con pilastri di mattoni), due o più lunghi corridoi e non meno di 50 stanze di varia grandezza. Sul lato occidentale, invece, R.E.M. Wheeler mise in luce nel 1950 il Granaio, un grande basamento di mattone cotto (50 × 27 m), diviso in 27 blocchi interni rialzati di forma quadrata o rettangolare, separati da stretti passaggi ortogonali. Si pensa che l'alzato dell'edificio fosse di legno. Malgrado il nome, la sua vera funzione resta ignota. Nella parte sud della cittadella è la Sala delle Assemblee, una struttura rettangolare che, a causa della presenza di quattro file di cinque plinti di mattone cotto, si pensa contenesse un colonnato ligneo.
Lo Stupa Buddhista, con nucleo interno di mattone crudo, era circondato da uno spazio aperto e da un "chiostro" di stanze a pianta quadrangolare. L'edificio fu datato a età storica sulla base del rinvenimento nelle rovine che circondano lo stūpa di almeno tre ripostigli di monete Kushana (I-III sec. d.C.) e probabilmente anche successive, di ceramiche con iscrizioni in brāhmī, di frammenti di intonaco dipinto con iscrizioni in brāhmī e kharoṣṭhī. L'intero complesso era in realtà cosparso di materiali protostorici (ceramiche tipiche della Civiltà dell'Indo e manufatti di selce) e alcune delle "celle" perimetrali contenevano solamente notevoli quantità di ceramiche dell'età del Bronzo e cenere. La cronologia rimane al momento dubbia.
Nella città bassa (dove i settori corrispondenti ai vecchi scavi sono per lo più contraddistinti dalle sigle dei nomi degli scavatori), in DK G Nord, l'isolato 18 (54 × 35 m ca.) era occupato da un'ottantina di piccoli ambienti, conservati solo in fondazione e di funzione ignota; fu interpretato come un complesso residenziale di élite. Anche nella parte sud della stessa area furono scavati i resti stratificati di grossi complessi edilizi di supposto carattere "palaziale"; in generale, l'architettura delle fasi più antiche comprende edifici con murature massicce e tendenzialmente isolati. Nelle aree DK A-C, VS, e Moneer gli scavi esposero porzioni non facilmente comprensibili del reticolo urbano. Nelle abitazioni dell'area VS la quantità di sigilli a stampo di steatite, placchette di rame incise e miniaturistiche di faïence con impressioni, pesi di pietra, ripostigli di semifiniti di conchiglia e di armi e utensili di rame suggerisce una destinazione commerciale del quartiere. Gli isolati dell'area MN sembrano blocchi rettangolari suddivisi in case abbastanza simili. Concentrazioni di scarti di lavorazione della selce, dell'agata, della steatite, della conchiglia e della ceramica immediatamente a sud-est suggeriscono che anche qui gli edifici ospitassero mercanti e artigiani. L'area HR (scavi 1925-26), nell'angolo sud-occidentale della città bassa, ospitava un'abitazione con doppia entrata e cortile interno ribassato, che conteneva un anello di mattoni, nel quale si è cercato di riconoscere il recinto di un albero sacro. Dal cortile, per due scale simmetriche, si saliva a un piano superiore a più stanze.
La grande costruzione (75 × 45 m ca.) dell'isolato 2, nel centro di HR, ricorda un complesso palaziale, con le sue 130-140 stanze. Il cortile centrale era ricavato su uno spesso podio di mattoni crudi (16 × 13 m ca.), eccezionalmente grande per M.D., con contrafforti o pilastri di lunghezza decrescente sulla parete di fondo. In una stanza vicina al cortile centrale, cui si accedeva tramite una porta con una elaborata copertura aggettante, erano allineati 18 anelli di pietra, con ogni probabilità rocchi di colonna o basamenti per colonne lignee dotate di capitelli di pietra; quattro "capitelli" a pianta quadrata, di pietra scolpita con volute a spirale, furono trovati in questa stanza e negli ambienti vicini. Le estremità nord e sud del "palazzo" erano forse abitate da personale di servizio e artigiani. A lato del complesso, la "casa XXIII", nell'isolato 5, è un piccolo edificio compatto (19 × 15 m ca.). Scavato solo in parte, esso potrebbe ricalcare, su scala minore, le caratteristiche fondamentali del Grande Bagno: la pianta rettangolare con l'asse principale orientato nord-sud; lo spazio (aperto?) centrale, circondato da pilastri; la stanza con il pozzo sul lato orientale; la grande conduttura di scarico verso nord-ovest. Allo stesso modo, alcuni degli isolati della città bassa potrebbero replicare forme architettoniche e funzioni sociali della cittadella stessa.
L'architettura di M.D. mutò gradualmente dalle costruzioni massicce e isolate dei periodi più antichi ad agglomerati più irregolari e fitti, spesso eretti con mattoni di risulta e invasivi degli spazi pubblici, che si fecero più comuni intorno al 2000 a.C. Parallelamente, si intensificarono in città le attività artigianali (ceramica, conchiglia, pietre dure). Ancora confusi sono i dati archeologici relativi alle ultime fasi di vita di M.D. L'ipotesi che la città fosse stata gradualmente soffocata da sedimenti causati da enormi alluvioni si è rivelata falsa. Nelle rovine più tarde si rinvengono inoltre numerose sepolture di aspetto irregolare; già erroneamente interpretate come i resti di un "grande massacro" finale, esse richiederanno in futuro scavi e studi antropologici molto più accurati di quelli passati.
Bibliografia
J. Marshall, Mohenjo-Daro and the Indus Civilization, London 1931; E.J.H. Mackay, Further Excavations at Mohenjo-Daro, New Delhi 1938; R.E.M. Wheeler, The Indus Civilization, Cambridge 1968; A. Sarcina, A Statistical Assessment of House Patterns at Mohenjo-Daro, in Mesopotamia, 13-14 (1981), pp. 155-99; A. Ardeleanu-Jansen - U. Franke - M. Jansen, An Approach towards the Replacement of Artefacts into the Architectural Context of the Great Bath in Mohenjo-Daro, in G. Urban - M. Jansen (edd.), Mohenjo-Daro. Dokumentation in der Archäologie. Techniken Methoden Analysen, Veröffentlichung der Seminarbeiträge (Aachen, 5.-6. Dezember 1981), Aachen 1983, pp. 43-69; M.A. Fentress, The Indus "Granaries": Illusion and Archaeological Reconstruction, in K.A.R. Kennedy - G.L. Possehl (edd.), Studies in the Archaeology and Paleoanthropology of India and Pakistan, New Delhi 1984, pp. 89-98; M. Jansen, Theoretical Aspects of Structural Analyses at Mohenjo-Daro, in M. Jansen - G. Urban (edd.), Interim Reports, 1. Reports on Fieldwork Carried out at Mohenjo-Daro, Pakistan, 1982-1983, Aachen 1984, pp. 39-62; L. Bondioli - M. Tosi - M. Vidale, Craft Activity Areas and Surface Survey at Mohenjo-daro. Complementary Procedures for the Evaluation of a Restricted Site, ibid., pp. 9-38; G.F. Dales - J.M. Kenoyer, Excavations at Mohenjo-Daro, Pakistan. The Pottery, Philadelphia 1986; M. Jansen - M. Mulloy - G. Urban (edd.), Forgotten Cities on the Indus, Mainz a.Rh. 1991.
di Massimo Vidale
Sito protourbano a circa 5 km di distanza dall'area archeologica di Mehrgarh (Baluchistan, Pakistan). N. fu occupato nella tarda età della Regionalizzazione, tra il 2800 e il 2600 a.C. (Nausharo I, corrispondente al periodo VII di Mehrgarh), sostituendosi a Mehrgarh come principale area insediativa, e quindi durante l'età dell'Integrazione (2600-1900 a.C.), che ne segna la massima espansione e organizzazione urbanistica (Nausharo II-IV).
Scavato dalla Missione Francese di Mehrgarh, il sito comprende un monticolo a nord (l'insediamento più antico), più elevato, e uno a sud. Intorno al 2600 a.C. case rettangolari di mattoni crudi, con più stanze accessibili da un ambiente centrale, dotate di focolari e basse porte di accesso, si dispongono entro un reticolo viario irregolare. Già nella fase kotdijana (ca. 2800-2600 a.C.) il monticolo nord era protetto da uno spesso muro difensivo. Tra i reperti si annoverano sigilli a stampo di terracotta, elementi di collana di pietre semipreziose, una lampada conica portatile di tipo centroasiatico ed elaborate figurine antropomorfe di terracotta (personaggi maschili con complesse acconciature e ornamenti, in un caso con in braccio un neonato), con corpi dipinti in giallo, occhi e capigliature segnati in nero. Un possibile indizio di differenziazione sociale si è ravvisato nei diversi segni di macellazione sulle ossa animali, prodotti da strumenti di pietra o da lame di rame/bronzo.
Le ceramiche di N., come a Kot Diji e Harappa, sviluppano gradualmente forme e motivi decorativi che anticipano quelli della Civiltà dell'Indo: pesci, "foglie" campite a tratteggio, motivi a pettine, composizioni a quadrifoglio e alberi di pipal, metope campite con croce diagonale, cerchi a intersezione, capridi e uccelli, probabilmente pavoni. Alcuni disegni di animali (uccelli, zebù e capridi) fondono gli stili di Amri e Kulli con quelli di Kot Diji, prova eloquente dell'intensità dei contatti nella tarda età della Regionalizzazione. A N., come a Mehrgarh, si sviluppano sistemi di comunicazione grafica mediante marchi ceramici, tracciati solitamente prima della cottura nei primi secoli del III millennio a.C., successivamente alla cottura dopo il 2700 a.C. Intorno al 2600 a.C. anche a sud furono costruite murature monumentali (ad es., il "muro A", spesso 12 m, fu esposto per più di 80 m di lunghezza), con funzione ancora incerta (di recinzione o ripartizione dell'abitato?), pianificate in modo da preservare la funzionalità delle preesistenti canalette di drenaggio e degli accessi; esse assumeranno nuove forme nella seconda metà del III millennio a.C., corrispondente all'insediamento della Civiltà dell'Indo.
I livelli dell'età dell'Integrazione (2600-1900 a.C.), scavati su grandi aree, mostrano come anche siti di piccole dimensioni fossero a volte concepiti con gli stessi criteri delle grandi città. La superficie abitata, attestata su una superficie di circa 6 ha, doveva avere un'estensione originaria ben maggiore, forse doppia. Strade e vicoli con orientamento nord-sud si incrociavano ad angolo retto, creando isolati rettangolari di dimensioni regolari. Il muro esterno, ampio da 3 a 6 m, era preservato sino a una altezza di 3,8 m. La porta, sul lato sud, era ampia 3,6 m e dava accesso a una arteria centrale. Il sito potrebbe essere stato ristrutturato in modo che l'insediamento più antico rappresentasse una "cittadella" a nord (o a nord-ovest, come a Harappa, Mohenjo Daro e Kalibangan), con una città bassa meridionale, entrambe di dimensioni imprecisabili a causa dell'erosione. Uno degli isolati (2300-2100 a.C.) è fiancheggiato a nord e a sud da strade ampie 5 m, a est e a ovest da vicoli larghi appena 1,5 m. L'isolato misura 21 × 44 m ed è composto di 10-12 case individuali di circa 20-70 m2. La densità del reticolo abitativo suggerisce un centro più artigianale e commerciale che non agricolo. Analisi chimiche sembrano attribuire proprio a N. la fabbricazione di alcune grandi giare da carico piriformi con ingobbio nero, rinvenute nella Penisola Arabica.
Le abitazioni, concepite secondo moduli ripetitivi, contenevano piattaforme per abluzioni (fatte con mattoni cotti, grandi cocci, tavole di legno), focolari, contenitori cilindrici di argilla per l'immagazzinaggio domestico, canalette di drenaggio di mattoni cotti o assi lignee con scarichi esterni in pozzi neri formati da giare, che utilizzavano come filtro per i residui solidi dei vasi a pareti perforate. Una canaletta di drenaggio principale raccoglieva gli scarichi domestici e, attraversando le murature monumentali, scaricava oltre il limite sud dell'abitato. Una locale industria ceramica è indicata dal rinvenimento di strumenti, residui di manifattura e piccole fornaci verticali con pilastro cilindrico di sospensione della camera di cottura. Tra i manufatti di questa fase importanti sono i sigilli a stampo di steatite e cretule di argilla cruda, con figura di unicorno; uno dei sigilli reca l'immagine di una creatura composita usualmente definita "centauro".
Nel periodo Nausharo IV si ravvisano nelle ceramiche somiglianze con i tipi delle necropoli di Sibri e Dauda Damb, a loro volta legate alle contemporanee ceramiche delle civiltà della Battriana e della Margiana. Altre ceramiche e alcune figurine di terracotta, invece, sono chiaramente connesse agli stili di Kulli.
Bibliografia
J.-F. Jarrige, Excavations at Mehrgarh-Nausharo, in PakA, 22 (1986), pp. 63-131; Id., Excavations at Nausharo, ibid., 23 (1988), pp. 149-203; A. Samzoun, Observations on the Characteristics of the Pre-Harappan Remains, Pottery, and Artifacts at Nausharo Pakistan (2700-2500 BC), in SAA 1989, pp. 245-52; C. Jarrige, The Mature Indus Phase at Nausharo as Seen from a Block of Period III, in SAA 1993, I, pp. 281-94; S. Méry, Excavation of an Indus Potter's Workshop at Nausharo (Baluchistan), Period II, ibid., pp. 471-82; G. Quivron, The Pottery Sequence from 2700 to 2400 BC at Nausharo, Baluchistan, ibid., II, pp. 629-44; Id., Incised and Painted Marks on the Pottery of Mehrgarh and Nausharo-Baluchistan, in SAA 1995, pp. 45-62; C. Jarrige, The Mature Indus Phase at Nausharo. Elements of Urban Infrastructure, in SAA 1997, pp. 237-58; Id., Les céramiques d'Oman et l'Asie Moyenne, Paris 2000.
di Massimo Vidale
Il complesso protostorico di R. rappresentò, tra la fine del IV e gli inizi del II millennio a.C., il centro dominante della regione dello spartiacque Gange-Yamuna. La città sorse negli ultimi secoli dell'età della Regionalizzazione a nord della sponda di un ramo o paleoalveo del fiume Drishadvati e si estende in superficie per più di 100 ha.
La parte più antica della sequenza di R. (ultimi secoli del IV millennio a.C.) è divisa in due periodi, IA e IB. Nel periodo IA furono eretti edifici con basi di mattone crudo a pianta circolare (caso unico sinora noto nella valle dell'Indo), a lato di più comuni costruzioni quadrangolari. Le capanne circolari, con diametro di circa 2 m, avevano il pavimento di argilla ed erano circondate da pali e porte di accesso; l'alzato era d'incannicciato e intonaco. Nel periodo IB (2800-2600 a.C.?) R. già raggiungeva un'estensione totale di 10-15 ha. Comparvero case quadrangolari a più stanze, di mattoni crudi e cotti, separate da strade larghe circa 1,9 m orientate secondo i punti cardinali. Si usavano sigilli privi di iscrizione, ceramica marchiata, pesi e micropesi cubici. Lungo le strade vi erano canalette di drenaggio con sponde di mattone cotto. Le ceramiche, a decorazioni geometriche, comprendevano vasi dipinti in nero su sfondo rosso opaco o su ingubbiatura rossa, oppure dipinti in bianco e nero su sfondo rosso.
Nel periodo II (2600-1900 a.C.) R. crebbe notevolmente e, come capitale del dominio nord-orientale della Civiltà dell'Indo, giunse a controllare un reticolo di più di 100 siti minori, tra i quali la più famosa Kalibangan. Come Harappa, Mohenjo Daro e Kalibangan anche R. si componeva di una cittadella sopraelevata a est e di una città bassa a ovest, percorse da assi viari con orientamento nord-sud, spesso pavimentati con scarichi di elementi ceramici appositamente vetrificati. La città bassa (RGR 4) è interamente coperta da un villaggio moderno, chiamato Rakhi Shapur (a ovest) e Rakhikhas (a est). La cittadella (RGR 2), orientata verso nord-ovest, è a pianta quadrangolare con imponenti bastioni e si eleva per circa 14 m. La struttura generale della fortificazione e l'accesso inclinato sul lato settentrionale ricordano molto la cittadella di Harappa. Sono venuti alla luce impianti di drenaggio "pubblici" di mattoni cotti e impianti "privati" (condutture che scaricavano entro giare interrate in strada). La parte meridionale di RGR 2 ospitava piattaforme monumentali in crudo, con scalinate di accesso; strutture sotterranee contenenti scarichi carboniosi, ossa animali e resti di focolari sono stati interpretati, come a Kalibangan, alla stregua di "altari del fuoco". Alla periferia orientale di Rakhikhas, sui pendii liberi da costruzioni (area RGR 5), resti di ossa, corno e pezzi di avorio semilavorati, oggetti finiti e non, come punte, pettini, aghi, bulini, suggeriscono la presenza di importanti attività artigianali. Nel sito RGR 1 vi era un "magazzino" su piattaforma in crudo con celle modulari. Questa stessa parte di R., nella seconda metà del III millennio a.C., era difesa da un muro monumentale spesso ben 12 m.
A RGR 7, circa 200 m a nord di RGR 1, gli scavi hanno messo in luce una piccola necropoli dell'età dell'Integrazione, da cui provengono ceramiche dipinte, figurine e placchette di terracotta, sigilli, pesi e micropesi cubici, cretule. Gli ornamenti comprendono bracciali d'argento, rame e conchiglia, perle di cornalina sbiancata, faïence e steatite. Nelle fasi più tarde, anche RGR 1 ospitò una necropoli; le tombe, prive di corredo, sono a fossa, orientate nord-sud e coperte con volte aggettanti di mattoni crudi; in un caso il defunto era stato deposto in una bara lignea. Nella prima metà del II millennio a.C. l'abitato sembra contrarsi e limitarsi a porzioni orientali della città bassa.
Bibliografia
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di Massimo Vidale
Piccolo centro fortificato protostorico ubicato nel Gujarat settentrionale (India), nei pressi dell'odierna cittadina di Adesar. Abitata molto probabilmente già nelle fasi finali dell'età della Regionalizzazione, S. fiorì nell'età dell'Integrazione (2600-1900 a.C.), al culmine dello sviluppo culturale e commerciale della Civiltà dell'Indo.
L'insediamento è formato da un'unica, grande fortificazione di mattoni crudi misuranti 10 × 20 × 40 cm. Ha pianta rettangolare allungata, con l'asse minore inclinato di circa 15° in direzione nord-nord-ovest. Le mura, conservate sino a un'altezza di 4,5 m, risultano costruite in quattro fasi diverse. La fortificazione, munita di sei grandi bastioni quadrangolari, si estende per circa 120 × 60 m; uno spesso muro divide trasversalmente l'area interna in due metà a pianta approssimativamente quadrata, con lati di circa 60 m, interpretate dagli scavatori come "cittadella" (settore occidentale) e "città bassa" (settore orientale). La notevole differenza nella profondità dei depositi archeologici, assai minori nella città bassa, sembra almeno in parte imputabile alla presenza nella cittadella di stratigrafie risalenti alla prima metà del III millennio a.C. I due settori urbani non comunicano, ma ciascuna delle due partizioni è dotata di un ingresso indipendente ottenuto al centro del lato meridionale. L'ingresso della cittadella è formato da un passaggio ad angolo retto dotato di scale e controllato da un "posto di guardia" eretto contro la facciata esterna del muro principale. All'interno, una serie di case a più stanze si addossa al muro di difesa. Nella città bassa un ingresso meno accuratamente strutturato, ma controllato anch'esso da due stanze esterne laterali, dà accesso a uno spazio interno meno edificato.
S. era frequentata anche all'esterno della zona fortificata. Circa 200 m a sud-ovest del centro si trova un'area cosparsa di ciottoli, nuclei, schegge e lamelle di calcedonio, interpretata come "area artigianale". Sono stati rinvenuti alcuni dei tipi di manufatti costantemente associati ai centri urbani dell'età dell'Integrazione: sigilli a stampo di steatite con iscrizioni e immagini di unicorno, perle di steatite, cornalina e altre pietre semipreziose, perle e bracciali di rame, pesi cubici di pietra e piatti di bilancia di rame, statuette di bovini e modelli di carri di terracotta. Più rari, nel panorama delle produzioni dell'Indo, sono frammenti di vasi con iscrizioni dipinte. Circa 300 m a nord-ovest dell'area abitata fu scavata una piccola necropoli; essa mostra, come quelle di Nagwada (Gujarat) e Kalibangan (Haryana), la singolare pratica della sepoltura di depositi ceramici, associati o meno a ossa umane. I vasi erano deposti entro fosse a contorno ovale, che venivano poi riempite con sedimenti incoerenti e coperte da un piccolo tumulo di pietre o da massicce lastre litiche. Questo particolare uso finora è stato documentato solo a S. È probabile che questa necropoli, come quella del piccolo centro di Nagwada, sia databile agli ultimi secoli dell'età della Regionalizzazione.
Bibliografia
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