L'archeologia del Subcontinente indiano. I Paesi dravidici
di Federica Barba
I Paesi dravidici (Andhra Pradesh, Karnataka, Tamil Nadu e Kerala) costituiscono la parte centro-meridionale del Deccan, un altopiano fiancheggiato dai Ghat occidentali e orientali, la cui caratteristica principale sono le formazioni rocciose e l'inclinazione verso est, che fa sì che i fiumi principali scorrano verso il Golfo del Bengala. In particolare, l'Andhra Pradesh è formato dai corsi inferiori dei fiumi Godavari e Krishna; il Karnataka da un altopiano percorso dai fiumi Bhima, Krishna e Tungabhadra e, a sud, dall'altopiano di Mysore attraversato dalla Kaveri; il Tamil Nadu e il Kerala da una striscia costiera delimitata dai Ghat.
All'inizio del I millennio a.C. appare nel Maharashtra (Inamgaon, Songaon, Tekwada), dopo essersi diffusa dal Gujarat verso nord-est (Rajasthan, Madhya Pradesh, valle del Gange), la Black-and-Red Ware (BRW), assieme all'uso del ferro. Le forme principali sono la ciotola carenata, la ciotola troncoconica con orlo esterno piatto, l'olla globulare con orlo estroflesso. A Hallur, la ceramica neolitico-calcolitica aumenta nel primo strato risalente all'età del Ferro, mentre la BRW è presente in quantità minima; negli strati successivi si verifica una contrazione del numero di oggetti, rinvenuti principalmente in fosse, e di materiali. Gli strumenti di ferro sono soprattutto armi (punte di freccia, lance e lame); la BRW, rappresentata dalla ciotola carenata e dalla ciotola troncoconica, è talvolta dipinta con motivi geometrici di colore bianco; è attestata inoltre una Black Ware nelle forme della ciotola con collo concavo, dell'olla globulare e del vaso con orlo espanso. Durante la prima metà del I millennio a.C., quindi, i Paesi dravidici presentano una cultura caratterizzata da villaggi di agricoltori e pastori, nei quali l'unico elemento di distinzione sembra essere la varietà degli ornamenti. A Hallur la presenza di ferro e BRW si inserisce nel contesto neolitico-calcolitico e non modifica il carattere rurale del sito.
Verso la metà del I millennio a.C. alcuni villaggi vengono abbandonati mentre in altri vediamo comparire, ancora in contesto calcolitico, la BRW e gli utensili di ferro (Paidigutta, Sanganakallu). Dal III sec. a.C. alcuni dei siti rimasti deserti vengono rioccupati (Virapuram è stata datata tramite 14C a 284±90 a.C., 140±140 a.C., 110±100 a.C.). Nel Karnataka settentrionale, a Maski e Brahmagiri, la BRW mostra un'evoluzione dei tipi già presenti a Hallur, ai quali se ne aggiungono di nuovi: troviamo quindi varie ciotole (emisferica, a pareti dritte, carenata, troncoconica con spalla carenata, con collo concavo), un piatto carenato, olle globulari e carenate e coperchi (a base stretta o funnel-shaped e la ciotola-coperchio di varie dimensioni). Questi stessi tipi sono stati rinvenuti, in forme che appaiono più rigide e standardizzate, nelle tombe cosiddette "megalitiche": la BRW, come parte del corredo funerario, sembra quindi essere caratterizzata da una tipizzazione di forme che rimarranno invariate nel corso del tempo.
Nonostante non siano disponibili datazioni al radiocarbonio, il confronto con la ceramica rinvenuta nei siti abitativi, la stessa complessità tipologica della BRW presente nelle tombe e la varietà e l'abbondanza di utensili di ferro sembrano indicare una cronologia non antecedente gli ultimi secoli del I millennio a.C. Se l'area originaria è quella del Karnataka settentrionale, appare probabile che le tombe megalitiche siano pertinenti a popolazioni toccate dall'espansionismo Maurya e alle quali il commercio dell'oro aveva garantito una certa ricchezza. Le caratteristiche del dominio dei Maurya sono testimoniate dall'editto, rinvenuto in varie versioni e località nell'area dei giacimenti auriferi, proclamato da Ashoka dopo un pellegrinaggio durato 256 giorni. Esso concerne principalmente la guerra al Kalinga, l'istituzione di pellegrinaggi, ispettori e ministri del Dharma (Legge Universale), la fondazione di ospedali, l'impegno del re negli affari pubblici, la libertà delle comunità religiose. Questo editto sembra quindi indirizzato alla popolazione locale, come campagna di conquista e di controllo di una regione di grande importanza per le sue risorse.
Dal III sec. a.C., sul basso corso della Krishna inizia a svilupparsi un insediamento complesso (Dharanikota), con un nucleo abitativo e un centro monastico (Amaravati): uno scavo degli anni Sessanta del XX secolo individuò un canale di navigazione tagliato nella roccia, sul quale fu costruita una grande banchina di legno.
La ceramica principale del sito è la BRW, utilizzata come vasellame da mensa (piatto carenato, ciotola emisferica e a pareti dritte, vaso globulare), probabilmente a imitazione della Northern Black Polished Ware (NBPW), presente in alcuni frammenti; sono stati inoltre rinvenuti anelli e bracciali di vetro, uno stampo per orafo e un sigillo di vetro con figura di leone a rilievo (I sec. a.C.). Ad Amaravati, l'editto su colonna promulgato da Ashoka durante il 26° anno di regno e concernente il Dharma, appare indirizzato a una comunità monastica, che quindi doveva essersi stabilita nel sito nel III sec. a.C. La ceramica rinvenuta a nord e a est dello stūpa corrisponde a quella di Dharanikota (BRW e NBPW); il primo sviluppo dello stūpa è testimoniato dai resti di una grande balaustra. Anche nel vicino sito di Vaddamanu sono attestati strutture di mattoni e pietra e i resti di uno stūpa con balaustra scolpita risalente al I sec. a.C. Nel Kalinga, la prima regione conquistata dai Maurya nell'espansione verso sud, il sito di Salihundam sul fiume Vamsadhara è caratterizzato da strutture di mattoni e da una moneta punzonata, risalenti probabilmente al 100 a.C.; Thotlakonda, posta sul mare, ha riportato BRW da mensa.
Dal IV-III sec. a.C. vediamo dunque diffondersi nei Paesi dravidici i primi elementi di uno sviluppo urbano: lo stesso tipo di ceramica da mensa (BRW), che diventa anche la principale ceramica di uso funerario; la scrittura (editti); monumenti come tombe e stūpa. A essi si aggiungono, nel I sec. a.C., monete, strutture di mattoni e una produzione scultorea. Nel I-III sec. d.C. si verifica un'ulteriore evoluzione di questi elementi: sorgono nuovi centri urbani, soprattutto al confine con il Maharashtra e nel Tamil Nadu, alcuni dei quali caratterizzati da fortificazioni e strutture di mattoni; si affermano l'uso delle monete e i commerci; s'ingrandiscono gli stūpa e l'uso dei megaliti si diffonde sia verso nord che verso sud; compaiono varie ceramiche da mensa di lusso.
Soprattutto nelle valli dei fiumi Tungabhadra e Krishna troviamo, accanto alla BRW, la Russet-Coated Painted Ware, che ne rappresenta un'evoluzione: piatti, ciotole e vasi di BRW e Red Ware (RW) venivano dipinti a disegni geometrici bianchi e ricoperti con un ingobbio di ocra al quale era mescolata una sostanza organica, che creava un rivestimento vetroso. Un altro tipo, che sembra caratteristico dei centri monastici (nei quali per contro la Russet-Coated Painted Ware è assente), è la Rouletted Ware. Questo vasellame è rappresentato da un piatto con orlo a becco ed è prodotto con la tecnica della cottura inversa e riducente, per cui l'interno dei recipienti è nero, mentre l'esterno è grigio, nero, giallo o marrone. La sua peculiarità consiste nelle incisioni (due o tre bande concentriche all'interno) effettuate con una rotella dentata, secondo una tecnica romana. Nelle aree settentrionali confinanti con il Maharashtra è diffusa la Red Polished Ware, originaria del Gujarat. Troviamo infine ceramiche di provenienza romana, come le anfore, di cui sono state rinvenute anche imitazioni locali, e la più rara terra sigillata (detta Arretine Ware).
La fascia che da nord a sud segue il confine che separa il Maharashtra dall'Andhra Pradesh e dal Karnataka è in questo periodo (II-III sec. d.C.) controllata da città di nuova fondazione. Nel Karnataka le principali sono Sannathi, Vadgaon-Madhavpur, Banavasi e Udayavara.
La città di Sannathi, sul corso medio del fiume Bhima, ha una doppia fortificazione che racchiude un'area di 86 ha e una cittadella di 25 ha; nei complessi monastici che sorgono nei suoi dintorni (Sannathi, Benagutti e Kanghanalli), sono state rinvenute monete di piombo del periodo Satavahana, BRW e Red Polished Ware, figurine di terracotta a doppia matrice, ornamenti di vari materiali (agata, corniola, calcedonio, cristallo, faïence, pasta vitrea e vetro). A Vadgaon-Madhavpur (40 ha), nei sobborghi della moderna città di Belgaum, sono state individuate abitazioni di mattoni, pozzi, granai e cisterne, numerose monete (tra cui una romana) e, tra la ceramica, BRW, Red Polished Ware e frammenti di Russet-Coated Painted Ware. Le città di Banavasi (1 km2) e Udayavara sorgono rispettivamente sul corso superiore dei fiumi Tungabhadra e Kaveri; nella prima sono stati scavati un tempio absidato del periodo Satavahana e una struttura di mattoni dalla quale provengono BRW, Russet-Coated Painted Ware e un'imitazione della Rouletted Ware; nella seconda sono state rinvenute in superficie BRW e Black Ware; le fortificazioni non sono state scavate.
Nel Karnataka settentrionale, anche i siti di Maski e Brahmagiri raggiungono in questo periodo uno sviluppo urbano, come è attestato della strutture di mattoni e dalla presenza di monete; le ceramiche principali sono la BRW e la Russet-Coated Painted Ware. Altri insediamenti rimangono villaggi rurali (Hallur, Piklihal), dai quali provengono solo pochi frammenti di ceramica (BRW, Black Ware e Russet-Coated Painted Ware). Nell'Andhra Pradesh un sito di nuova fondazione è Kondapur, sul fiume Manjira, al confine con il Maharashtra, non lontano dalla città di Ter. Il sito è formato da vari mounds. In uno scavo del 1941-42 sono state rinvenute strutture di mattoni, monete (tra cui una di Augusto) e bullae (imitazioni di monete di Tiberio), frammenti di Red Polished Ware e Rouletted Ware, figurine di terracotta e ornamenti (di vetro, conchiglia, avorio, faïence, pietre semipreziose, cristallo, diaspro e berillio). Nel Kalinga, dalla città-porto di Kalingapatam, alla foce del fiume Vamsadhara, e dai centri buddhisti di Salihundam e Thotlakonda provengono BRW, Rouletted Ware, monete romane e Satavahana.
Alla confluenza dei fiumi Tungabhadra e Krishna troviamo tre insediamenti o cittadelle fortificate: Satanikota (5 ha), Virapuram e Paidigutta (1400 m2). In essi sono state rinvenute sia capanne sia strutture di mattoni cotti, BRW, Russet-Coated Painted Ware e, in misura minore, Rouletted Ware e Red Polished Ware, oltre a monete punzonate e di piombo, ornamenti di pietre semipreziose, conchiglia, faïence, vetro e corniola, utensili di ferro e rame e figurine di terracotta a doppia matrice. A Satanikota, in un'area di 10 ha, sono presenti anche numerose tombe megalitiche. Del sito è stata scavata anche la fortificazione, caratterizzata da un muro di pietra con rivestimento di mattoni cotti. Anche a Virapuram e Paidigutta sono state rinvenute strutture di pietra interpretate come parte di una fortificazione risalente a questa fase. Nel bacino inferiore della Krishna, a Dharanikota (33 ha), lungo il canale fu costruita una banchina di mattoni con un argine di terra alle spalle. La limitatezza dello scavo lascia irrisolte alcune questioni come, ad esempio, la cronologia della fortificazione; sono state rinvenute BRW, Russet-Coated Painted Ware, Rouletted Ware, frammenti di terra sigillata, anse di anfore e monete Satavahana. Il maggiore sviluppo del centro monastico di Amaravati risale al I-II sec. d.C.; sono presenti inoltre tombe megalitiche.
Nel II-III sec. d.C., con la dinastia degli Ikshvaku, si sviluppa il sito di Nagarjunakonda, sul medio corso della Krishna, costituito da un'area di 23 km2 con una cittadella fortificata, una città bassa, un centro monumentale con templi brahmanici e strutture buddhiste e un'area dove sorgono megaliti. Dal sito di Vaddamanu, infine, provengono ceramiche Rouletted Ware e Red Polished Ware, monete punzonate d'argento e di rame e monete di piombo. Nel Tamil Nadu troviamo in questo periodo tre centri urbani (Kanchipuram, Uraiyur e Madurai), che sorgono rispettivamente sul medio corso dei fiumi Palar, Kaveri e Vaigai. In queste città e nei loro relativi porti si sviluppa un fiorente commercio con Roma (cotone, conchiglie, perle, pietre semipreziose, ecc.). Nei centri urbani sono state individuate importanti industrie tessili e le principali ceramiche del periodo storico (BRW, Rouletted Ware, Russet-Coated Painted Ware); inoltre, a Madurai sono stati scoperti tesoretti di monete romane. Anche nei porti sono state rinvenute strutture industriali, ceramiche e monete (si segnalano quelle romane del IV sec. d.C. rinvenute a Mamallapuram); impianti di mattoni per la lavorazione delle pietre semipreziose e delle conchiglie, oltre che frammenti di anfore e Rouletted Ware sono segnalati a Karaikadu, Alagankulam e Arikamedu, dal quale provengono anche Russet-Coated Painted Ware e terra sigillata; a Kaveripattinam, infine, è venuta alla luce una banchina di legno (200 a.C.), successivamente ricostruita con mattoni (I-III sec. d.C.).
Oltre alle notizie in IndAR, si vedano: R.E.M. Wheleer - A. Gosh - Krishna Deva, Arikamedu. An Indo-Roman Trading-Station on the East Coast of India, in AncInd, 2 (1946), pp. 17-124; Id., Brahmagiri and Chandravalli 1947. Megalithic and Other Cultures in the Chitaldrug District, Mysore State, ibid., 4 (1947), pp. 18-310; Id., Archaeological Fieldwork in India: Planning ahead, ibid., 5 (1949), pp. 4-11; B. Subbarao, The Personality of India. Pre- and Proto-historic Foundation of India and Pakistan, Baroda 1958; M.S. Nagaraja Rao, Protohistoric Cultures of the Tungabhadra Valley (a Report on Hallur Excavations), Dharwar 1971; B.K. Gururaja Rao, Megalithic Culture in South India, Mysore 1972; L.S. Leshnik, South Indian Megalithic Burials. The Pandukal Complex, Wiesbaden 1974; A. Sundara, Early Chamber Tombs of South India, Delhi 1975; F.R. Allchin - D.K. Chakrabarti (edd.), A Source-Book of Indian Archaeology, I, New Delhi 1979; J.R. McIntosh, The Megalith Builders of South India. A Historical Survey, in SAA 1979, pp. 459-68; B. Narasimhaiah, Neolithic and Megalithic Culture in Tamil Nadu, Delhi 1980; B. Allchin - F.R. Allchin, The Rise of Civilization in India and Pakistan, Cambridge 1982; F.R. Allchin - K.R. Norman, Guide to the Aśokan Inscriptions, in SouthAsSt, 1 (1985), pp. 43-50; D.K. Chakrabarti, A History of Indian Archaeology from the Beginning to 1947, New Delhi 1988; A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, Leiden 1990; V. Begley - R.D. De Puma (edd.), Rome and India. The Ancient Sea Trade, Madison 1991; I.K. Sarma, Archaeological Evidences Pertaining to Buddhism in Tamilnadu, in A.V.N. Murthy - I.K. Sarma (edd.), śrī Rāmachandrikā: Essays on Indian Archaeology, History, Epigraphy, Numismatics, Art and Religion, Delhi 1993, pp. 65-77; F.R. Allchin (ed.), The Archaeology of Early Historic South Asia. The Emergence of Cities and States, Cambridge 1995; A.V. Narasimha Murthy, Gold Coins in Karnataka, in P. Mishra (ed.), Researches in Indian Archaeology, Art, Architecture, Culture and Religion. Vijayakanta Mishra Commemoration Volume, Delhi 1995, pp. 23-28; C.F. Herman, Harappan Gujarat. The Archaeology-chronology Connection, in Paléorient, 22 (1997), pp. 77-112; D.K. Chakrabarti, The Archaeology of Ancient Indian Cities, Delhi 1998; Id., India. An Archaeological History, Oxford 1999; G. Pugliese Carratelli, Gli Editti di Aśoka, Milano 2003.
di Giuseppe De Marco
Località situata circa 32 km a nord-est di Guntur (Andhra Pradesh), nota soprattutto per uno stūpa che rappresenta uno dei momenti più felici dell'arte buddhista indiana, fiorita, nel Deccan orientale, sotto la dinastia degli Andhra o Satavahana (I sec. a.C. - III sec. d.C.).
A. sarebbe il nome moderno di Dhānyakaṭakā, il centro politico-culturale orientale dei Satavahana. Ricordata nelle iscrizioni e nella letteratura buddhista e descritta dal pellegrino cinese Xuan Zang (VII sec. d.C.) come uno dei più attivi porti dell'Andhradesha (regione degli Andhra), Dhānyakaṭakā è stata riconosciuta da molti nel villaggio di Dharanikota, meno di 1 km a ovest di A., da altri nel villaggio di Vijayavada (o Bezwada), circa 50 km più a est. Un'iscrizione, datata intorno al 1200 d.C., ricorda l'esistenza a Dhānyakaṭakā del tempio di Amareshvara (X sec. d.C.) dedicato a Shiva, ma anche, molto verosimilmente, dello stūpa di A.
Nel 1797 C. Mackenzie, sovrintendente generale del governo britannico in India, descrisse lo stūpa come ancora integro, ma nel corso del XIX secolo le spoliazioni effettuate dagli abitanti del luogo e il graduale trasferimento delle sue parti (bassorilievi e balaustra) in musei indiani ed europei ridussero progressivamente il monumento a un basso cumulo di terra. Una forma attendibile dell'edificio si ricava tuttavia dalle ricostruzioni grafiche di alcuni studiosi, fondate sul confronto sia con altri stūpa coevi sia con rappresentazioni di questa classe di monumenti sugli stessi rilievi decorativi di A. Costruito con un calcare dalle sfumature verdognole, noto come "marmo di Palnad", lo stūpa era il monumento principale di un'area sacra che comprendeva altri edifici religiosi. Lo stūpa fu probabilmente costruito in epoca Maurya (IV-II sec. a.C.), ma raggiunse la sua forma finale solo nel III sec. d.C. Il tamburo aveva un diametro di circa 50 m e un'altezza di circa 1,8 m. Il recinto (vedikā) che lo circondava presentava in corrispondenza dei punti cardinali quattro sporgenze rettangolari (āyaka), ciascuna sormontata da cinque pilastri (āyaka khambha) e affiancata dalle raffigurazioni di coppie di leoni. Tra la vedikā e il tamburo dello stūpa era uno stretto passaggio pavimentato con lastre di varie dimensioni, dove si svolgeva la circumambulazione rituale. La parete esterna del tamburo era decorata con una serie di lastre separate da semicolonne, ognuna delle quali con la raffigurazione di uno stūpa idealmente arricchito da pannelli narrativi.
La parte emisferica a "cupola" (aṇḍa), che secondo i calcoli raggiungeva un'altezza di 18 m, con un diametro alla base di circa 43 m e alla sommità di circa 27 m, doveva innalzarsi sul tamburo quasi verticalmente, per poi rientrare con una curva a partire da un'ampia fascia ornata con lastre decorative scolpite. Da questo punto doveva avere inizio anche la parte stuccata dell'aṇḍa, probabilmente adorna nella zona mediana di un fregio, anch'esso di stucco, con medaglioni lotiformi e ghirlande. Al sommo dell'aṇḍa, al centro della harmikā, era un pilastro ottagonale. La vedikā (diam. 59 m ca.) è certamente la più ricca ed elaborata balaustra di stūpa buddhistico a noi pervenuta. Essa recava una diversa decorazione sulle due facce: all'esterno medaglioni lotiformi alternati a simboli religiosi come la ruota, l'albero, lo stūpa e ghirlande mentre all'interno, visibili solo al fedele che avesse varcato il recinto sacro, erano scene della vita del Buddha o delle sue nascite precedenti.
Nella produzione figurativa di A. sono state individuate tre fasi evolutive. Al periodo più antico (III sec. a.C. - fine del I / inizi del II sec. d.C.) si ascriverebbero immagini molto semplificate, poco più che incisioni, come la raffigurazione di uno stūpa con a lato un bodhighara (albero-tempio), appartenente alla parte più antica della balaustra (III sec. a.C. ca.) o rappresentazioni aniconiche del Buddha, databili intorno al I sec. a.C. Il secondo periodo, che ha inizio con la ricostruzione del monumento sotto il sovrano Satavahana Pulumavi (150 d.C. ca.) vede, oltre alla comparsa della rappresentazione del Buddha in forma umana, l'affermarsi dello stile "classico" o "maturo" di A., con una prima fase (II sec. d.C.) accentuatamente naturalistica e una seconda e ultima fase (metà del III sec. d.C.) caratterizzata da appiattimento e allungamento delle figure, volti inespressivi, elementi decorativi tendenti alla stilizzazione e all'astrazione. Lo stile di A., che troverà la sua naturale continuazione in quello di Nagarjunakonda, avrà grande influenza sulla produzione artistica di Ceylon e delle regioni indianizzate del Sud-Est asiatico.
Gli scavi condotti dal 1973 al 1975 in un piccolo settore dall'Archaeological Survey of India sotto la direzione di I.K. Sarma hanno fornito la sequenza stratigrafica del Grande Stupa di A., permettendo di individuare cinque periodi culturali. Il periodo I (IV-III sec. a.C. ca.), diviso in due sottoperiodi, presenta una grande quantità di Northern Black Polished Ware (NBPW) e ceramica con iscrizioni in caratteri brāhmī; il periodo II (II-I sec. a.C.), oltre che da NBPW, è caratterizzato dal rinvenimento di monete punzonate e dal fatto che probabilmente la balaustra abbracciava l'intero perimetro dello stūpa; il periodo III (I-II sec. d.C. ca.) si distingue per la grande quantità di monete Satavahana, mentre il periodo IV (ca. III-VI sec. d.C.) ha restituito monete degli Ikshvaku e dei Vishnukundin; il periodo V (VI-XI sec. d.C. ca.), infine, è rappresentato da isolate immagini appartenenti al buddhismo Vajrayāna e da cretule di argilla recanti formule di fede buddhista.
R. Sewell, Report on the Amarāvati Tope, London 1880; D. Gosh, The Development of Buddhist Art in South India: Amāravatī Stūpa, in IndHistQ, 4 (1928), pp. 724-40; D. Barrett, Sculptures from Amaravati in the British Museum, London 1954; Id., Two Unpublished Sculptures from the Andhradesa, in ArtsAs, 3 (1956), pp. 287-92; Ph. Stern - M. Bénisti, Évolution du style indien d'Amarāvatī, Paris 1961; A. Bareau, Le site de Dhānyakaṭakā de Hiuan-Tsang, in ArtsAs, 12 (1965), pp. 21-82; Id., Le stūpa de Dhānyakaṭakā selon la tradition tibétaine, ibid., 16 (1967), pp. 81-88; Id., Recherches complémentaires sur le site probable de la Dhānyakaṭakā de Hiuan-Tsang, ibid., pp. 89-111; D. Barrett, Style and Palaeography at Amarāvatī, in OrientalArt, 26 (1990), pp. 77-92; I.K. Sarma, Historical Archaeology of Ancient Andhra in the Light of Recent Excavations at Amaravati, Nagarjunakonda and Peddavegi, in A. Roy - S. Mukherjee (edd.), Historical Archaeology of India, Delhi 1990, pp. 109-18; G. Schopen, An Old Inscription from Amarāvatī and the Cult of the Local Monastic Dead in Indian Buddhist Monasteries, in JBuddhistSt, 14 (1991), pp. 281-329; R. Knox, The Great Stupa at Amaravati, in Orientations, 23 (1992), pp. 83-88; Id., Amaravati: Buddhist Sculpture from the Great Stupa, London 1993.
di Giovanni Verardi
A., o piuttosto Virampatnam, è situata pochi chilometri a sud di Pondicherry, sulla costa del Coromandel. La "città-emporio di Vira", probabile nome di un regolo locale, viene identificata con la Pouduke (o Podouke) citata da Tolemeo e dal Periplus Maris Erythraei, un portolano risalente al 50 d.C. circa, dove il suffisso greco -ke è apposto alla parola Tamil pudu "nuovo". La "città nuova" (Puduchcheri o Pondicherry) fu quella che a partire dal I sec. a.C. e fin verso il 200 d.C. si sovrappose all'insediamento indigeno, venendo a costituire un importante centro commerciale costiero che consentiva l'interscambio tra i prodotti locali e il mercato romano.
L'interesse per il sito si manifestò quando nel 1937 G. Jouveau-Dubreuil vi rinvenne una gemma intagliata con l'effigie dell'imperatore Augusto. Ai primi scavi amatoriali del 1941 a opera del padre L. Faucheux seguirono, nel 1945, quelli di M. Wheeler, che stabilì una cronologia sostanzialmente attendibile del sito pubblicando materiali indiani e romani. Tra questi ultimi si ricordano i celebri frammenti di terra sigillata aretina, tre dei quali riferibili ai Vibii, famiglia di vasai in Arezzo, a Camuri, ovvero Gaius Amurius, e al vasaio di epoca augustea P. Attius. Nel 1947-48 e nel 1950 J.-M. e G. Casal indagarono altri punti di A., alzandone per certi versi la cronologia e rendendo note soprattutto le necropoli identificate nei pressi della città antica, tra cui quella megalitica di Suttukani.
Le aree scavate costituiscono solo una piccola parte di Pouduke, quella che, trovandosi in posizione leggermente elevata, corrisponde all'attuale argine destro del fiume Ariyankuppam. Il settore centrale della città antica si trova sotto l'attuale letto del fiume, che ha eroso e ricoperto il sito. Le strutture portate alla luce sono pertinenti a un quartiere industriale periferico e sono interpretabili come laboratori destinati alla tintura della mussola, un prodotto molto richiesto in Occidente. Si ricordano, in particolare, il grande deposito di oltre 45 m di lunghezza, presto abbandonato a causa della subsidenza del terreno, e le due vasche scavate da Wheeler, alimentate da un complesso sistema idrico e continuamente rimaneggiate per renderle funzionali a sempre nuove esigenze produttive. Le prime strutture in mattoni cotti di A. erano tutte posteriori, secondo Wheeler, a una grande colmata contenente frammenti di ceramica aretina, non più prodotta a partire dal 50 d.C. Nel deposito erano presenti anche frammenti di anfore mediterranee, un fatto che indicava come la funzione del sito non fosse cambiata nell'intero corso della sua vita. Uno studio più attento di queste anfore ha recentemente mostrato che esse sono in parte (quelle per il vino) di produzione campana e risalgono alla prima metà del I sec. a.C. e in parte (rispettivamente per l'olio e il garum) di provenienza altoadriatica e iberica e risalenti agli inizi del I sec. d.C.
Secondo V. Begley, A. sarebbe stata fondata intorno alla metà del III sec. a.C.; gli scavi di J.-M. Casal avevano effettivamente già mostrato che esistevano livelli di occupazione a quota inferiore a quello che Wheeler credeva fosse il suolo naturale. Tali livelli erano caratterizzati da ceramica preromana rossa e nera simile a quella di Brahmagiri nel Karnataka. Tra i livelli più antichi e quelli romani era presente la cosiddetta Rouletted Ware, ben nota in diversi altri siti dell'India meridionale e orientale. I rapporti tra Roma e A. dovevano in ogni caso essere già ben definiti nelle fasi più antiche, poiché tra i più singolari rinvenimenti del 1947-48 si contarono condili di Bovidi semilavorati, i cui corrispettivi finiti sono documentati da un livello del II sec. a.C. sotto la Casa dei Grifi sul Palatino. A epoca romana risalgono coppe di vetro e gemme rinvenute fuori contesto e in parte oggi disperse. Casal documentò anche l'esistenza di pozzi a ghiera, i ben noti ringwells, caratteristici dei centri indiani tra il III sec. a.C. e il II sec. d.C.
Fu però lo scavo dei siti funerari (Gaurimedu, Nettamedu, Muttrapaleon, Suttukani) che consentì a Casal di definire meglio, già alla fine degli anni Quaranta, la sequenza culturale precedente alla nuova città romana. Fino alla metà del II sec. a.C. la cultura del luogo era stata di tipo calcolitico, caratterizzata dall'uso del bronzo, da utensili di pietra polita e da ceramica rossa. Il successivo periodo megalitico era contraddistinto dall'uso del ferro, dalla ceramica rossa e nera di cui si è detto, spesso con marchi graffiti dopo la cottura e riferibili ai proprietari degli oggetti, e da edifici costruiti con materiali deperibili. Cultura megalitica e "città nuova" coesistevano, nella prospettiva di Casal, sicuramente già nel I sec. a.C.; dal tempo di Augusto in poi A. assunse le caratteristiche di un grande emporio posto tra Chaberis/Kaveripattinam (la futura Tranquebar) a sud e Madras lungo la costa più a nord.
L. Faucheux, Une vieille cité indienne près de Pondichéry, Virapatnam, Pondichéry 1945; P.Z. Pattabiramin, Les fouilles d'Arikamedou (Pôdoukê), Paris 1946; R.E.M. Wheeler - A. Gosh - Krishna Deva, Arikamedu. An Indo-Roman Trading-Station on the East Coast of India, in AncInd, 2 (1946), pp. 17-124; J.-M. Casal, Fouilles de Virampatnam-Arikamedu. Rapport de l'Inde et de l'Occident aux environs de l'ère chrétienne, Paris 1949; J.-M. Casal - G. Casal, Site urbain et sites funéraires des environs de Pondichéry. Virampatnam-Mouttrapaléon-Souttoukèny, Paris 1956; V. Begley, Arikamedu Reconsidered, in AJA, 87 (1983), pp. 461-81; H. Comfort, Terra Sigillata at Arikamedu, in V. Begley - R.D. De Puma (edd.), Rome and India. The Ancient Sea Trade, Madison 1991, pp. 134-50; E.L. Will, The Mediterranean Shipping Amphoras from Arikamedu, ibid., pp. 151-56; V. Begley, The Ancient Port of Arikamedu. New Excavations and Researches (1989-92), I, Pondichéry 1996; A. Tchernia, Arikamedu et le graffito naval d'Alagankulam, in Τοποι, 8 (1998), pp. 447-63.
di Federica Barba
Sito dell'Andhra Pradesh meridionale (distretto di Chittoor), caratterizzato da un tempio dedicato al culto di Shiva. Nella zona non sono presenti centri urbani di grandi dimensioni e la popolazione è ancora oggi principalmente rurale.
Il tempio, dedicato a Shiva Paraśurāmeśvara, sorge nel villaggio di G., a 16 km da Tirupati. Fu costruito nel IX sec. d.C. dalla dinastia dei Pallava. Nella prima fase era formato da due parti: cella e vestibolo. Successivamente, nel periodo dei Chola (XI-XIII sec. d.C.), fu costruito un camminamento su tre lati e un portico. Sulle mura esterne sono presenti 26 iscrizioni delle dinastie Pallava, Bana, Yadavaraya e Chola. La struttura è completata da templi minori. La cella contiene una statua formata da un liṅgam sul quale è scolpita un'immagine di Shiva stante sulle spalle di un demone nano (yakṣa): essa sta a significare la vittoria sui nemici dell'ortodossia shivaita, respinti verso il basso. La scultura è nota soprattutto per il dibattito sulla sua datazione: già attribuita al III sec. a.C., in seguito a uno scavo effettuato negli anni Settanta del Novecento la statua è stata datata al I sec. a.C.
Lo scavo ha interessato l'area intorno all'immagine; sono state sollevate le lastre pavimentali, poste nel periodo Chola, che in parte coprivano la figura dello yakṣa (strato 1). Al di sotto del pavimento sono stati identificati quattro strati. Il più antico (strato 5) è il piano di appoggio dei pilastrini di una balaustra che circondava la statua, la cui base, formata da due pietre circolari, poggia sullo strato 4a. Negli strati 3 e 2, individuati al di fuori della balaustra, sono state identificate le fosse di fondazione di una struttura di mattoni. I reperti rinvenuti sono principalmente frammenti di ceramica: Black-and-Red Ware (BRW), Red-Slipped Ware (RSW), Russet-Coated Painted Ware (RCPW) e Dull Red Ware. Sulla base di questa stratigrafia, la statua è stata collocata fra gli strati 4 (fase 1) e 3 (fase 2). In queste prime due fasi (III-I sec. a.C.) il luogo di culto consisteva della sola immagine circondata dalla balaustra, in seguito inglobata in una struttura absidata di mattoni cotti (I-III sec. d.C.). Tra il IX e il XII sec. d.C. (fase 3), sia la struttura di mattoni sia la balaustra furono distrutte, il pavimento fu rialzato e la statua fu parzialmente coperta. Non sono mancate le osservazioni sulla cronologia proposta dallo scavo, e alcuni autori abbassano la datazione dell'immagine fino al IV sec. d.C. e oltre.
In una piccola trincea (2 × 2 m) all'esterno del tempio sono stati identificati sei strati. Negli strati più antichi (3-6) sono stati rinvenuti frammenti di ceramica (BRW, RSW, Polished Black Ware), mattoni e una moneta punzonata d'argento. Dagli strati 2 e 1 provengono grandi quantità di ceramica rossa e alcuni frammenti di RCPW. Al di sopra dello strato 1 sono presenti strutture di mattoni del periodo Chola.
Appare quindi assodato che il sito abbia conosciuto un'occupazione nel primo periodo storico e probabilmente, come indicano i frammenti di RCPW, nel I-III sec. d.C. La BRW potrebbe risalire al I sec. a.C. o anche, come in molte città dell'India meridionale, essere contemporanea alla RCPW. Per quanto riguarda la lettura della stratigrafia, non vi sono indicazioni che uno o più strati del primo periodo storico coprano la statua o il suo basamento e siano a essa posteriori, pertanto non si può escludere che essi siano stati tagliati durante la prima costruzione del tempio (IX sec. d.C.) per collocare la statua e le altre strutture (balaustra, mura di mattoni).
Bibliografia
I.K. Sarma, New Light from Gudimallam Excavation, in K.K.A. Venkatachari (ed.), Proceedings of the Seminar on "Symbolism in Temple Art & Architecture" Held in February, 1981 (Anantacharya Indological Research Institute Series No. XI), Bombay 1982, pp. 31-50; H. Sarkar, Beginnings of Saivism in South India with Special Reference to Date of Gudimallam Linga, in K.K. Ganguli - S.S. Biswas, Rupanjali. In Memory of O.C. Gangoly, Calcutta 1986, pp. 115-21; I.K. Sarma, Paraśurāmeśvara Temple at Guḍimallam (a Probe into its Origins), Nagpur 1994.
di George Michell
Considerata come la più importante città Hindu dell'India meridionale, V., ubicata lungo la sponda meridionale del fiume Tungabhadra nel Karnataka centrale, è nota da molto tempo agli storici. Solo di recente, tuttavia, le sue estese rovine sono state oggetto di indagini archeologiche. Dal 1986 V. fa parte dei siti iscritti nella lista del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO come "monumenti di Hampi", dal nome di un villaggio ubicato nel settore nord-occidentale del sito.
Durante gli anni 1980-90 un'équipe internazionale di architetti e archeologi costituenti il Vijayanagara Research Project (VRP), sotto la direzione di J.M. Fritz e G. Michell, ha elaborato una carta archeologica della parte centrale del sito (25 km2), suddivisa dagli archeologi in Centro Sacrale, Nucleo Urbano e Centro Regale.
La cronologia di V. si estende dalla metà del XIV secolo, quando fu fondata come capitale di un regno in rapida espansione governato dagli Hindu Raya, fino al 1565, allorché venne saccheggiata dagli eserciti alleati dei sultani di Bijapur, di Golconda e degli altri regni del Deccan. In seguito a questa devastazione la città fu abbandonata. I più grandi templi di V. (di cui solo il santuario di Virupaksha presso Hampi è ancora in vita) sono complessi delimitati da muri di cinta, con ingressi monumentali (gopura), all'interno dei quali erano collocati numerosi santuari dedicati alle diverse divinità Hindu. I templi si trovano in prossimità di ampie strade fiancheggiate da colonnati, la cui pavimentazione di pietra si è parzialmente conservata; sui lati sono presenti grandi vasche per abluzioni provviste di gradini.
Insieme a numerosi santuari minori e a sculture rupestri, molti di questi complessi sono distribuiti lungo la sponda meridionale della Tungabhadra, che comprende il Centro Sacrale della città. Immediatamente a sud, una vallata attraversata da un affluente della Tungabhadra, con resti di canalizzazioni e assenza di strutture architettoniche, doveva essere dedicata all'agricoltura. Ancora più a sud è ubicato il Nucleo Urbano, circondato da massicce mura di granito che attraversano le creste dei rilievi rocciosi e le valli in mezzo a essi. Le mura delimitano una zona approssimativamente ellittica lunga circa 4,5 km nell'asse orientato da sud-ovest a nord-est. Fra le numerose strutture qui scoperte vi sono templi Hindu e Jaina e anche moschee, che evidenziano la pacifica coesistenza di gruppi sociali diversi in una popolazione che si stima nell'ordine di alcune centinaia di migliaia di anime.
Lungo la cinta muraria del Nucleo Urbano si aprivano alcune porte fortificate, correlate a un sistema viario radiale che conduceva al Centro Regale, posto all'estremità occidentale dell'abitato. Questa zona era circondata da un anello di bastioni (oggi incompleto) ed era divisa in settori irregolari delimitati da alte mura di granito rastremate. All'interno di ciascun settore erano diversi padiglioni, bagni pubblici, strutture cerimoniali, stalle, magazzini e i cosiddetti "palazzi". Questi ultimi erano provvisti di un sofisticato sistema idraulico, del quale si sono conservati fino a oggi canali, piscine e vasche. Lo stile dei padiglioni e delle stalle testimonia l'influsso culturale che il sultanato del Deccan esercitò sulla corte di V.
La Piattaforma della Mahānavamī, luogo in cui, secondo il racconto di visitatori portoghesi dell'inizio del XVI secolo, si svolgevano spettacolari cerimonie, è una solida struttura a gradoni decorata da raffinati rilievi. Alcune basi di pietra rinvenute alla sommità della piattaforma indicano la presenza di una sala con colonne lignee, oggi scomparsa. Nella parte centrale del Centro Regale è un tempio dedicato a Rama, datato all'inizio del XV secolo, con i muri decorati all'esterno da rilievi relativi alla Mahānavamī, all'interno da rilievi ispirati al Rāmāyaṇa. Al di là del Nucleo Urbano si estendono i Centri Suburbani, piccoli insediamenti dominati da un complesso templare, spesso associato a un grande magazzino ubicato nelle vicinanze.
Bibliografia
J.M. Fritz - G. Michell - M.S. Nagaraja Rao, The Royal Centre at Vijayanagara. Preliminary Report, Tucson 1984; G. Michell, Vijayanagara: Architectural Inventory of the Urban Core, Mysore 1990; J. Gollings - J.M. Fritz - G. Michell, City of Victory, Vijayanagara. The Medieval Hindu Capital of Southern India, New York 1991; K.D. Morrison, Fields of Victory. Vijayanagara and the Course of Intensification, Berkeley 1995; D.V. Devaraj et al., Vijayanagara. Progress of Research, 1988-1991, Mysore 1996; J.M. Fritz - G. Michell, New Light on Hampi: Recent Research at Vijayanagara, Mumbai 2001; G. Michell - Ph. Wagoner, Vijayanagara. Architectural Inventory of the Sacred Centre, New Delhi 2001.
di Federica Barba
Sito del Tamil Nadu, alla foce del fiume Kaveri, noto nelle fonti letterarie, sia indiane sia occidentali, come città di commerci.
Ricognizioni di superficie tra i villaggi di pescatori che oggi sorgono nell'area dell'insediamento antico hanno portato alla scoperta di numerosi reperti: mattoni, pozzi, ceramica, ornamenti di pietre semipreziose (corniola, calcedonio, agata, diaspro) e conchiglia, monete (da quelle punzonate a quelle di periodo medievale), figurine di terracotta, urne funerarie. Gli scavi, condotti tra il 1963 e il 1973, hanno rivelato l'esistenza di strutture appartenenti a un porto e a un monastero buddhista. Alcuni pali di legno, rinvenuti nel villaggio di Kilayur, erano probabilmente utilizzati per l'attracco delle barche; una data al 14C ottenuta da un frammento di legno (316±103 a.C.) li colloca tra il III e il I sec. a.C. Nei pressi dei pali (ma pertinente a una fase più tarda) fu rinvenuta una banchina di mattoni (18,28 × 7,62 m), mentre nel villaggio di Vanagiri fu portata alla luce una cisterna (24 × 8 m) dotata di un canale collegato alla Kaveri. A queste strutture sono associate le ceramiche da tavola Black-and-Red e Rouletted e vasellame di uso comune (Grey Ware e Red Ware). Forma caratteristica della Rouletted Ware è un grande piatto a varie sfumature di colore (nero, grigio, rosso), decorato all'interno con segni incisi a cerchi concentrici mediante una rotella dentata o uno strumento appuntito. Il metodo di cottura, che prevede l'alternarsi di atmosfera riducente e ossidante, era utilizzato per produrre anche altre ceramiche da tavola (Black-and-Red Ware, Russet-Coated Painted Ware); la decorazione s'ispira probabilmente a modelli occidentali e in particolare alla terra sigillata, di cui alcuni frammenti sono stati rinvenuti in altri siti del Tamil Nadu (Arikamedu e Kanchipuram). I pochi frammenti di Rouletted Ware di K. rivelano una decorazione e una cottura più approssimative rispetto agli esemplari di Arikamedu, di cui rappresentano probabilmente un'imitazione.
K., come altri porti del Tamil Nadu, costituiva lo sbocco sul mare di una città dell'interno. Sulla Kaveri sorgeva infatti la città di Uraiyur, futura capitale dei Chola, famosa per le sue industrie tessili e per la lavorazione delle pietre semipreziose e delle conchiglie; da questo insediamento provengono, oltre ad alcuni frammenti di Rouletted Ware, anche le ceramiche Black-and-Red e Russet-Coated Painted, caratteristiche del Karnataka. Il loro utilizzo come vasellame da mensa dimostra quanto gli insediamenti del Tamil Nadu fossero legati al Deccan interno. Per quanto riguarda il commercio con il mondo occidentale, è stato recentemente osservato che esso continua, seppur in misura minore, anche oltre il III sec. d.C.: a Madurai e in altri siti (ad es., Akki Allur nel Karnataka) sono state rinvenute monete tardoantiche e bizantine. Da K. proviene una sola moneta di piombo che, pur se illeggibile, è identificata come romana.
Nella zona di Pallavanisvaram è stato portato alla luce un monastero che, insieme a uno stūpa di mattoni scoperto a Kanchipuram, rappresenta uno dei pochi edifici buddhisti del Tamil Nadu. Esso è formato da nove celle precedute da un portico, nel quale sono stati rinvenuti frammenti di Red Polished Ware e un grande vaso di caolino, che mostrano il permanere, anche in questa fase (III-V sec. d.C.), dei legami con l'India centrale e in particolare con il Maharashtra (oggetti di caolino sono stati rinvenuti a Paithan, Kolhapur e Kondapur). Da una delle celle proviene una figurina di bronzo del Buddha, datata al V sec. d.C. Nei pressi del monastero fu successivamente costruito un tempio (di cui resta il plinto con pianta di tipo pañcaratha), nei pressi del quale è stata rinvenuta una scultura di bronzo del IX sec. d.C., raffigurante Maitreya. Nei secoli successivi prevalgono i culti Hindu, come è attestato dal ritrovamento di figurine di terracotta shivaite e vishnuite (IX-XII sec. d.C.); a questa fase risalgono anche bracciali di vetro e monete.
Bibliografia
K.S. Ramachandran, Archaeology of South India: Tamilnadu, Delhi 1980; V. Begley, Rouletted Ware at Arikamedu. A New Approach, in AJA, 92 (1988), pp. 427-40; I.K. Sarma, Archaeological Evidences Pertaining to Buddhism in Tamilnadu, in A.V.N. Murthy - I.K. Sarma (edd.), śrī Rāmachandrikā: Essays on Indian Archaeology, History, Epigraphy, Numismatics, Art and Religion, Delhi 1993, pp. 65-77; K.V. Soundara Rajan, Kaveripattinam Excavations 1963-73 (a Port City on the Tamilnadu Coast), New Delhi 1994; A.V. Narasimha Murthy, Gold Coins in Karnataka, in P. Mishra (ed.), Researches in Indian Archaeology, Art, Architecture, Culture and Religion. Vijayakanta Mishra Commemoration Volume, I, Delhi 1995, pp. 23-28.
di Pia Brancaccio
Sito archeologico nel distretto di Medak, in Andhra Pradesh; ricopre un'area di circa 1 km2, parzialmente scavata da G. Yazdani nel 1941. Durante questa campagna sono venute alla luce tracce di un insediamento di età Satavahana, fiorente dal I sec. a.C. al III sec. d.C. circa, caratterizzato dalla presenza di abitazioni, aree artigianali e commerciali e strutture di natura religiosa.
Gli edifici, costruiti in mattoni, erano generalmente pavimentati con un battuto di argilla. Alcune unità con fornaci e vasche erano probabilmente usate come officine, mentre diversi ambienti sotterranei, identificati da Yazdani come depositi, contenevano monete con rispettivi stampi, ornamenti d'oro e pietre preziose, nonché frammenti di manufatti di terracotta, un materiale molto usato a K. non solo nell'edilizia, per pavimentazioni e pozzi, ma anche per la realizzazione di oggetti personali, fra cui gioielli e amuleti. Fra le strutture di natura religiosa ricordiamo i resti di un monastero buddhista con sei celle intatte, a pianta rettangolare, allineate lungo il lato ovest, e uno stūpa del diametro di 6 m collocato al centro della corte. A sud del monastero sono stati rinvenuti due ambienti absidati, uno dei quali conserva in fondo tracce delle fondamenta di un piccolo stūpa.
I reperti provenienti dagli scavi e in parte da ritrovamenti sporadici sembrano indicare in K. un importante centro commerciale, situato lungo le vie di comunicazione che in età Satavahana attraversavano il Deccan, congiungendo le coste occidentali dell'India, attive nel commercio marittimo con il mondo romano, alle coste orientali. Oltre alla ceramica comune e a quella a decorazione impressa, probabilmente destinata a usi rituali, si segnalano i ritrovamenti di Red Polished Ware e di alcuni frammenti di Rouletted Ware, che inseriscono K. in una vasta rete di centri coevi, fra cui Ter in Maharashtra, Amaravati in Andhra Pradesh e Arikamedu in Tamil Nadu, dove forme e tipi ceramici rielaborano modelli occidentali.
Questo grande interesse nei confronti di materiali provenienti dal Mediterraneo è confermato dal ritrovamento a K. di pendenti di terracotta a doppio stampo, solitamente identificati come bullae, che replicano monete romane. La stessa tecnica ceramica che utilizza il doppio stampo, poco diffusa nel Subcontinente e caratteristica dei livelli Satavahana, è usata localmente per produrre una grande varietà di oggetti, fra cui coppe di tipo megarico (Megarian bowls), decorate alla base con motivi di petali di loto, e lucerne di tipo occidentale dotate di manico, corpo rotondo e beccuccio allungato, oltre a figurine fittili, zoomorfe e antropomorfe. Fra le figurine zoomorfe vanno segnalate immagini di leoni, cavalli e capridi realizzati con grande cura per i dettagli; le figurine maschili e femminili hanno occhi ovali ben aperti, gioielli, pettinature elaborate, gambe divaricate e spesso organi sessuali in evidenza. In alcuni casi esse sono realizzate con argilla biancastra comunemente identificata come caolino, o ricoperte da ingobbio di colore chiaro, e raramente conservano tracce di pigmenti di colore rosso o giallo. Inoltre alcune figurine riproducono nei tratti facciali tipologie mediterranee: fra queste va ricordato un singolare sonaglio nella forma di un corpulento yakṣa accovacciato.
A K. sono anche venuti alla luce in gran numero bracciali e pendenti in conchiglia, vetro e avorio, perline in faïence e pietre semipreziose, oltre a una squisita figurina di avorio che indicherebbero l'esistenza in loco di un fiorente atelier per la lavorazione di prodotti destinati al commercio interno e all'esportazione. La coroplastica e i manufatti di conchiglia, avorio e pietre semipreziose legano indissolubilmente K. agli orizzonti Satavahana di Ter, Bhokardan e Paithan in Maharashtra, centri coinvolti nel commercio internazionale e menzionati nel famoso Periplus Maris Erytrei, manuale di viaggio di un anonimo mercante alessandrino. Il coinvolgimento di K. in questo circuito è confermato dalle evidenze numismatiche, con il ritrovamento di un aureo augusteo e di circa 200 monete di conio Satavahana di argento, rame e piombo.
Bibliografia
G. Yazdani, Excavations at Kondapur, in Annals of the Bhandarkar Oriental Research Institute, 22 (1941), pp. 171-85; Id., The Early History of the Deccan, London 1960; C. Margabandhu, s.v. Kondapur, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, pp. 234-35.
di Giovanni Verardi
La sommità della "collina di Nagarjuna", nella bassa valle del fiume Krishna (Andhra Pradesh), è ciò che resta dell'area sommersa dalle acque di una diga negli anni Sessanta del Novecento.
Vi si trovano alcuni monumenti smontati e ricomposti al termine di un'ambiziosa operazione di cui il passare del tempo ha messo in luce tutti i limiti. I circa 130 siti della valle di N., parzialmente scavati negli anni 1920 e 1930, furono indagati sistematicamente tra il 1954 e il 1960. Lo scavo, esteso su un'area di 23 km2, ebbe il merito di rivelare una sequenza suddivisa in sette grandi periodi: Paleolitico inferiore, Paleolitico medio, Mesolitico, Neolitico, periodo megalitico, età storica antica e medievale.
Un'industria acheuleana avanzata è documentata dai siti 128 e 129: furono rinvenute lame ottenute da ciottoli di quarzite senza lavorazione del nucleo e strumenti da taglio assimilabili alla Madras hand-axe industry. Nel Mesolitico la popolazione della valle continuò a essere formata da cacciatori e raccoglitori. I microliti appartengono a due tradizioni distinte, geometrica la prima (sito 53), non geometrica la seconda. L'uso della ceramica resta sconosciuto e parimenti la domesticazione degli animali. Prima della metà del III millennio si assiste al passaggio al periodo neolitico. La ceramica più antica, lavorata a mano, è associata a una persistente industria microlitica non geometrica. Il sito 46, il più tardo (1500 a.C. ca.), ha abitazioni di legno e ripari parzialmente o interamente sotterranei e non si evolve dalle fasi precedenti, a loro volta indipendenti l'una dall'altra.
Caratteristiche del Neolitico sono buche di varia forma e dimensione, dalle funzioni incerte. Il cimitero 68, che nella fase più antica documenta sepolture a inumazione, in quella più recente presenta inumazioni secondarie seguenti a scarnificazione. Come in altre località del bacino della Krishna (ad es., Virapuram), vi è un lungo intervallo di circa un millennio tra l'ultima fase del Neolitico e il periodo megalitico. Il gruppo più importante di tombe, formato da 18 circoli di pietra, costituisce il sito 63. Delle 13 tombe scavate, 12 presentano sepolture in fossa e una sola in cista. La presenza di molte ossa animali ha fatto pensare a rituali comprendenti sacrifici cruenti. La cronologia inizialmente suggerita indicava nel 750 a.C. circa l'inizio delle deposizioni in fossa e nel 650 l'uso delle ciste, ma si è poi optato per una datazione notevolmente più bassa.
La fama di N. è legata ai monumenti e alla produzione scultorea dovuti alla committenza della dinastia Ikshvaku, che si sostituì ai Satavahana nel secondo quarto del II sec. d.C. e si protrasse fino al IV secolo. La capitale, Vijayapuri ("Città della Vittoria"), era al centro del complesso sistema insediamentale della valle e contava alcuni dei templi brahmanici più antichi dell'India e numerose aree sacre buddhiste. Mentre la committenza dei templi si deve ai sovrani, shivaiti, la protezione della comunità buddhista era delegata alle rappresentanti femminili della casa regnante come, ad esempio, a Chamtashri, sorella del primo Chamtamula, cui si deve la costruzione del grande stūpa (sito 1). I templi, di cui restano le fondazioni, sono in genere costituiti da un unico santuario di forma oblunga (come quello di Karttikeya), absidata (come il tempio di Shiva Puṣpabhadraswāmi, costruito al tempo di Ehuvala) o quadrata, come un secondo tempio dedicato a Karttikeya. Altri templi sono formati da più santuari, di solito absidati o rettangolari, preceduti da portico. Sta a sé il grande tempio di Sarvadeva (sito 99), fatto costruire dal comandante Elishri nell'undicesimo anno di Ehuvala. Il tempio di Vishnu Aṣṭabhujaswāmin ("il Signore dalle otto braccia") fu invece costruito nel 278 da Vasishthiputra Vasusena degli Abhira di Nasik, che s'impadronì temporaneamente della regione.
La cittadella, chiusa da mura di argilla rivestite in un secondo tempo di mattoni cotti, sorgeva sulle due alture di Chinnakundellagutta, a nord, e di Peddakundellagutta, a sud. Sono state osservate numerose opere idrauliche: oltre a pozzi, cisterne pavimentate e una vasca a forma di tartaruga, fu portata alla luce una monumentale piscina a gradini di pianta quadrata, originariamente sormontata da una struttura lignea. L'abitato si trovava a est della cittadella; aveva una pianta a griglia in cui stretti vicoli intersecavano una via centrale più larga (7,5 m) e altre strade larghe 4,5 m. Le abitazioni, di pietrame legato con malta e più raramente di mattoni, erano spesso composte da ambienti disposti su un unico asse parallelo alla strada, preceduti da un portico (maṇḍapa) in comune; in altre abitazioni gli ambienti si aprivano su un maṇḍapa centrale. All'estremità est della valle sorgeva un piccolo anfiteatro, unico in tutta l'India. Di forma rettangolare e costruito in mattoni con rivestimento di pietra, aveva almeno 16 gradinate e poteva ospitare un migliaio di persone. È probabile la sua derivazione da modelli classici, nonostante le differenze rispetto a questi ultimi. Rilievo particolare hanno i pilastri commemorativi di defunti di rango, eretti dai sovrani e dalla nobiltà, ma anche da commercianti e religiosi. Se ne conoscono 22, iscritti e scolpiti con scene che illustrano le gesta del defunto.
N. offre uno spaccato significativo del buddhismo tardoantico. Il nome rimanda a Nagarjuna, il celebre logico e santo buddhista, che sarebbe vissuto qui nel I-II sec. d.C. Le aree sacre, in buona parte risalenti all'epoca di Virapurhadatta, erano concentrate nel centro della valle, a est dell'abitato. Erano formate ciascuna da uno stūpa principale, da un caityagṛha o da un Buddhagṛha (cappelle absidate contenenti o uno stūpa o un'immagine del Buddha) e da un monastero. Gli stūpa nei caityagṛha erano forniti di tamburo, ma i grandi stūpa di ciascuna area sacra rimasero sempre fedeli al modello arcaico di stūpa emisferico. Sono per lo più del tipo "Ruota della Legge", costruiti con raggi in solida muratura che uniscono la circonferenza esterna del monumento al suo centro. Una variante è data dagli stūpa al cui interno è un elemento in muratura a forma di swastika. Tipica della maggior parte di questi monumenti è la presenza degli āyaka, piattaforme orientate su cui poggiavano cinque colonne simboleggianti episodi emblematici della vita del Buddha. Nel sito 1, accanto al grande stūpa fatto costruire da Chamtashri, sorgevano un caityagṛha e un monastero.
Celebre è la produzione scultorea di N., suddivisa in due gruppi. Il più antico, risalente al tempo di Mathariputra Virapurushadatta, è formato da lastre scolpite in bassorilievo con i simboli aniconici del Buddha. Il secondo gruppo comprende immagini stanti dell'Illuminato avvolto nelle vesti monastiche che lasciano scoperta la spalla destra e numerose scene tratte dalla vita del Buddha e dai jātaka (sue vite precedenti). Sono frequenti le rappresentazioni di mithuna o coppie amorose, talora inframmezzate alle scene con episodi della vita del Buddha. Si segnalano anche figure in abito centroasiatico, che rimandano ai legami esistenti tra gli Ikshvaku e gli Shaka o Kshatrapa dell'India occidentale.
Oltre alle notizie in IndAR, dal 1954-55 al 1959-60, si vedano: A.H. Longhurst, The Buddhist Antiquities of Nagarjunakonda, Madras Presidency, Calcutta 1938; T.N. Ramachandran, Nagarjunakonda 1938, Delhi 1953; K.V. Soundara Rajan, Studies in the Stone Age of Nagarjunakonda and its Neighbourhood, in AncInd, 14 (1958), pp. 49-113; H. Sarkar, Some Aspects of the Buddhist Monuments at Nagarjunakonda, ibid., 16 (1960), pp. 65-84; H. Sarkar - B.N. Misra, Nagarjunakonda, New Delhi 1966; O.C. Gangoly, Andhra Sculptures, Hyderabad s.d. [1971], pp. 67-77; D. Mitra, Buddhist Monuments, Calcutta 1971, pp. 204-10; R. Subrahmanyam et al., Nagariunakonda (1954-60), New Delhi 1975; K. Krishna Murthy, Nāgārjunakoṇḍa. A Cultural Study, Delhi 1977; P.R. Srinivasan - S. Sankanarayan, Inscriptions of the Ikshvaku Period, Hyderabad 1979; H. Sarkar, s.v. Nagarjunakonda, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, pp. 299-303; E. Rosen Stone, The Buddhist Art of Nāgārjunakoṇḍa, New Delhi 1994.
di Giovanni Verardi
Nome odierno del sito buddhista di Salipetaka, posto su un'altura sulla riva destra del fiume Vamsadhara all'estremità nord-orientale dell'Andhra Pradesh.
Alla foce del fiume, pochi chilometri più a valle, si trova Kalingapatam, da cui provengono monete romane e ceramica "megalitica", che secondo alcuni è da identificare con la capitale del re Kharavela (prima metà del I sec. d.C.). I monumenti di S. sono disposti su varie terrazze, alle quali si accede per mezzo di un sentiero pavimentato che ha inizio nel punto in cui la salita si fa più ripida. Esposti in gran parte nel 1919-20 da A.H. Longhurst, che li giudicò tutti di epoca medievale, furono in seguito gravemente spoliati. Scavi regolari furono condotti nel 1954.
La periodizzazione proposta distingue dapprima una fase antica (III-II sec. a.C. - I sec. d.C.?), caratterizzata da scarsi resti strutturali e da una ceramica nera e rossa simile a quella "megalitica" del Deccan. Benché un'iscrizione del II sec. d.C. ricordi "il re del Dharma, il signore Ashoka", non vi è nessuna evidenza che associ l'area sacra al sovrano Maurya. La "fase intermedia", dal I (?) al IV-V sec. d.C. è caratterizzata dalla Rouletted Ware nera e, soprattutto, grigia. La comparsa nelle località costiere del Golfo del Bengala e nel Coromandel di questa ceramica di derivazione classica è ancor oggi oggetto di discussione. Proprio a S. alcuni frammenti iscritti in caratteri brāhmī e databili tra il II sec. a.C. e il II sec. d.C. avevano suggerito una datazione, respinta in passato ma oggi largamente accettata, al I sec. a.C.; al pari andrebbe probabilmente alzata la cronologia di alcune strutture e materiali di S.
A questa fase risalgono un caityagṛha (ambiente destinato al culto dello stūpa) a forma di toppa di serratura e uno stūpa al cui interno furono rinvenuti tre reliquiari di cristallo posti in altrettanti scrigni di pietra. Il fiore d'oro deposto all'interno del primo reliquiario, riproducente uno stūpa di forma molto semplice, vi brillava sospeso al centro. Il secondo scrigno riproduce uno stūpa a base circolare con harmikā e ombrello che conservava sei fiori d'oro. Il terzo reliquiario riproduce il modello di stūpa noto dai siti della valle del fiume Krishna, ad esempio quello di Amaravati. A nord-est di questi monumenti si trovano un monastero di tre sole celle che si aprono su un portico e altri stūpa, gravemente spoliati, cui sono pertinenti quattro reliquiari di argento. In una terrazza inferiore sorgevano due ambienti absidati, lunghi circa 12 m, al cui interno erano un tempo due immagini del Buddha assiso, con nucleo in mattoni e rivestimento esterno di stucco: una tecnica molto diffusa specialmente in epoca tardoantica e medievale.
Di fronte all'immagine del secondo Buddhacaitya vennero alla luce due kuṇḍikā o fiasche potorie usate nei monasteri, una delle quali recante un'iscrizione in brāhmī del I-II sec. d.C., che la rivela proprietà del monastero di Kattahara (nome evocante un discorso fatto dal Buddha a un gruppo di portatori di fascine), nel quale dobbiamo riconoscere questa parte dell'insediamento monastico. A questa fase di S. pertengono diverse classi ceramiche, oltre alla Rouletted Ware: ceramica nera e rossa; con ingubbiatura nera; grigia; comune ceramica rossa. Molto numerosi sono i frammenti iscritti, con i nomi di diversi monaci, attestanti donazioni o particolari avvenimenti. La terza fase dell'area sacra di S. comprende il periodo medievale (VIII-X sec. d.C.), quando vi sono evidenze cultuali relative al buddhismo esoterico.
Bibliografia
A. Rea, Buddhist Monasteries on the Gurubhaktakoṇḍa and Durgakoṇḍa Hills at Rāmatīrtham, in ASIAR, 1910-11, pp. 78-88; A.H. Longhurst, in Annual Report of the Archaeological Department, Southern Circle, Madras, for the Year 1919-20, 1920, pp. 34-38; T.N. Ramachandran, An Inscribed Pot and Other Buddhist Remains in Salihundam, in Epigraphia Indica, 28 (1949-50), pp. 133-37; R. Subhrahmanyam, Salihundam, a Buddhist Site in Andhra Pradesh, Hyderabad 1964; D. Mitra, Buddhist Monuments, Calcutta 1971, pp. 220-22; K.V. Raman, Further Evidence of Roman Trade from Coastal Sites in Tamil Nadu, in V. Begley - R.D. De Puma (edd.), Rome and India. The Ancient Sea Trade, Madison 1991, pp. 125-33.
di Federica Barba
Sito del Karnataka settentrionale (distretto di Bellary), formato da alcuni mounds sul fiume Hagari, affluente meridionale della Tungabhadra.
Fu individuato nel 1872 da W. Fraser, ingegnere del distretto, che scoprì intorno alla Kuppagal Hill numerosi utensili di pietra, da lui attribuiti al periodo neolitico. Nel 1884 R. Foote visitò l'area e individuò un villaggio neolitico e numerose raffigurazioni rupestri, che attribuì sia alla preistoria che all'età moderna. Nel 1948 B. Subbarao scavò una trincea ai piedi della Sannarasamma Hill per studiare le culture dell'area e compararle con quanto emerso l'anno precedente a Brahmagiri.
Subbarao individuò tre periodi: il primo rappresentato da industrie su scheggia di arenaria e microliti di quarzo; il secondo risalente al Neolitico e diviso in due fasi, una rappresentata da una ceramica grigia chiara e da asce e lame di pietra, l'altra dalla Brown-and-Black Ware e da una ceramica rossa, decorata sull'orlo con una banda di colore viola (Jorwe Ware); il terzo risalente al periodo cosiddetto "megalitico", rappresentato dalla Black-and-Red Ware (BRW).
Nel 1964, il Deccan College eseguì un nuovo scavo: furono aperte alcune trincee nella Sannarasamma Hill, sia al centro del sito che ai suoi margini. Ai piedi della collina furono rinvenute migliaia di schegge, nuclei e utensili di pietra, attribuiti al Paleolitico medio (periodo I); alla sua sommità, la fase più antica risale al Mesolitico (periodo II), rappresentato da microliti di quarzo. In questo periodo, erano probabilmente occupate le numerose grotte presenti nell'area. La prima fase neolitica (periodo IIIA) è caratterizzata da ceramica grigia chiara e ceramica brunita, dipinte con una banda color ocra e realizzate senza l'uso del tornio. La tipologia rinvenuta a S. corrisponde a quella di Hallur e di altri siti del Karnataka e del Tamil Nadu. Le date ottenute con il 14C (1590±110 a.C.; 1550±105 a.C.) indicano come questa fase a S. risalga alla metà del II millennio a.C.
Nel periodo IIIB, corrispondente al periodo IIB individuato da Subbarao, alle ceramiche neolitiche si affiancano la Brown-and-Black Ware e la Jorwe Ware, prodotte al tornio e originarie dei siti calcolitici del Maharashtra. Compaiono inoltre alcuni oggetti di rame, utensili d'osso, lame e asce di pietra, figurine di terracotta zoomorfe, dischi di ceramica perforati. È stata portata alla luce anche una capanna circolare del diametro di 5 m, delimitata da fosse di palo, con pavimentazione di pietra e terra battuta e tetto conico. All'interno, tre pietre delimitavano un focolare. Questa fase risale alla fine del II millennio a.C. e perdura probabilmente per gran parte del I millennio a.C.
Nel periodo IV permane la ceramica neolitica ma si diffondono anche la BRW e la Black Ware. Nel deposito, di 30 cm, non sono stati rinvenuti altri materiali. La BRW è rappresentata da vari tipi di ciotole (carenata, con collo concavo, troncoconica con spalla carenata), olle globulari e coperchi (funnel-shaped, ciotole-coperchio), che risalgono a un periodo compreso tra il III e il I sec. a.C. (Maski, Brahmagiri). La definizione di questo periodo come "megalitico" appare fuorviante, sia perché esso corrisponde all'età storica sia perché non sono presenti a S. tombe di pietra. In superficie sono stati rinvenuti frammenti di ceramica databili tra il I e il III sec. d.C. Infine, è stata segnalata la presenza di due ash mounds, cumuli di sterco bruciati periodicamente, nei quali sono state rinvenute ceramiche di tutte le epoche, dal Neolitico all'età storica.
Bibliografia
R.B. Foote, The Foote Collection of Indian Prehistoric & Protohistoric Antiquities, Madras 1916; B. Subbarao, Stone Age Culture of Bellary, Poona, 1948; H.D. Sankalia, Pre-Mesolithic Industries from the Excavations at Sanganakallu, Poona 1965; Z.D. Ansari - M.S.Nagaraja Rao, Excavation at Sanganakallu 1964-64 (Early Neolithic House at Bellary), Poona 1969.
di Jonathan M. Kenoyer
Insediamento fortificato sulla sponda meridionale del fiume Tungabhadra, nel distretto di Kurnool, Andhra Pradesh. Il mound e il villaggio moderno occupano un'area di 6,1 ha circa.
N.C. Gosh, dell'Archaeological Survey of India, scavò sette trincee nel 1977-78; presso il sito furono trovati in superficie strumenti da taglio di pietra levigata, mentre circa 2 km a est del villaggio furono scoperti diversi gruppi di sepolture megalitiche a cista.
Gli scavi hanno documentato la presenza di tre principali periodi culturali. Il periodo I corrisponde all'occupazione mesolitica, rappresentata principalmente da strumenti di pietra quali raschiatoi, lame, lame a dorso, un bulino e strumenti su scheggia. In associazione ai microliti, rinvenuti in un livello posto direttamente sopra a uno strato di ghiaia sterile, non sono documentate ceramica e strutture. Il periodo II coincide con il periodo Satavahana ed è databile dal I sec. a.C. alla metà del III sec. d.C. Si distinguono tre fasi di occupazione (I, IIA e IIB). Le fortificazioni, il fossato e la porta di accesso risalgono alla fase I del periodo II; la tecnica edilizia prevedeva l'uso di grandi lastre di pietra squadrata, legate con malta di fango. Nel corso della fase IIA venne realizzata una struttura rettangolare di mattoni cotti e, nella fase IIB, fu costruito un grande edificio a pianta rettangolare; tutte le strutture erano coperte con tetto di tegole di terracotta sovrapposte.
La ceramica del periodo II a S. è simile a quella rinvenuta in altri siti Satavahana dell'India meridionale. La maggior parte dei frammenti appartiene alle produzioni di ceramica rossa o Black Fired, in qualche caso con ingobbio rosso. I grandi contenitori da stoccaggio di ceramica con ingobbio rosso avevano una decorazione incisa con motivo a triratna e altri motivi impressi. Le altre produzioni documentate a S. comprendono varianti locali della Black-and-Red Ware, Rouletted Ware di buona fattura, Russet-Coated Painted Ware, Red Polished Ware e Chocolate Slipped Ware.
Uno dei reperti più significativi degli scavi di S. è la moneta di piombo relativa a un re fino a quel momento ignoto, Siri Sata Kumara. La leggenda in brāhmī, databile tra I sec. a.C. e I sec. d.C., è accompagnata da simboli sacri come il triratna, lo swastika, il nandipāda e la mezzaluna. Sul rovescio c'è la rappresentazione di un albero carico di frutti entro un recinto. Altri notevoli rinvenimenti sono: un anello d'oro con lapislazuli incastonati, bracciali e anelli di ferro e rame, una punta di lancia di ferro e un falcetto. Ampiamente documentati sono i bracciali di conchiglie e di vetro, insieme a più di 200 vaghi di collana di vetro (circa la metà del totale), conchiglia, agata, diaspro, ematite, selce, opale e osso.
Il periodo III è relativo all'epoca medievale e ha restituito una ceramica simile a quella del periodo coevo a Maski: si tratta di ceramica rossa con motivi dipinti in rosso su bianco, ceramica comune e rossa priva di ingobbio, ceramica grigia e nera. I grandi contenitori di ceramica nera, con motivi scanalati e decorazioni impresse sul collo sono simili a quelli attestati a Maski. Notevoli anche i frammenti di scultura di pietra, una placca di Lakulisha nello stesso materiale, un'immagine di Ganesha e una cachette con figurine di animali di terracotta (toro, cavallo, cinghiale e ariete).
Nel villaggio moderno, che occupa parte del sito, è tuttora frequentato un tempio di Shiva del periodo Chalukya; una torre di guardia è posta in posizione dominante a controllo della Tungabhadra. Una porta di epoca medievale con ambienti di servizio laterali è localizzata al margine orientale dell'insediamento.
N.C. Gosh, Excavation at Satanikota, District Kurnool, in IndAR, 1977-78, pp. 3-12 Id., s.v. Satanikota, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, pp. 399-401.
di Giovanni Verardi
Nome moderno di un'area sacra buddhista situata su un'altura in riva al mare a 15 km da Visakhapatnam, nel nord-est dell'Andhra Pradesh, in antico parte del Kalinga.
Il sito, scavato tra il 1988 e il 1992, si aggiunge ai numerosi siti indagati o segnalati negli ultimi decenni che hanno profondamente modificato la nostra percezione della geografia del buddhismo antico. L'Andhra Pradesh, per l'importanza e la capillarità degli insediamenti, può essere paragonato al Nord-Ovest del Subcontinente e all'ancora largamente ignoto Bihar.
La vita di T. è racchiusa tra il II sec. a.C. e il III sec. d.C. La periodizzazione, proposta sulla base della ceramica, comprende due fasi (II-I sec. a.C. e I-III sec. d.C.), di cui la seconda, meglio documentata, corrisponde all'epoca di maggior sviluppo dell'area. Il sito è composto da un'area cultuale e dal monastero. La prima comprende lo stūpa principale, stūpa piccoli, due caityagṛha (cappelle absidate o circolari contenenti uno stūpa) e basi per buddhapāda (lastre con la raffigurazione dei piedi del Buddha inteso come asse cosmico, di cui sono l'unica parte accessibile ai devoti); l'area monastica, disposta a sud e a ovest dello stūpa principale, è formata da gruppi di celle monastiche, da alcune aule e da ambienti di servizio. Nella roccia sono infine scavate numerose cisterne per la raccolta delle acque meteoriche.
Lo stūpa principale, di forma emisferica (diam. 8,5 m) e circondato da un sentiero processionale, sorge al centro di una piattaforma quadrata. Costruito in mattoni, il suo interno è formato da un riempimento di materiale incoerente. Le sue fasi costruttive non sono state esaminate in maniera analitica e mancano informazioni sull'evoluzione del monumento nel tempo. Alla seconda fase costruttiva del sito appartengono i quattro stūpa (numeri 2-5) che sorgono allineati a nord di quello principale, originariamente decorati all'esterno da lastre di pietra. Quattro colonne si ergevano ai punti cardinali intorno allo stūpa 2: una era sormontata da un nāgaraja (re dei serpenti), una da un vaso dell'abbondanza (pūrṇaghaṭa), e una terza era forse destinata a sorreggere una face (dīpastambha). Anche lo stūpa 5 era similmente provvisto di colonne. Tra gli ambienti più antichi di T. si ricorda il caityagṛha 18; i caityagṛha 2 e 21 hanno pianta circolare.
Le unità monastiche sono composte da un numero variabile di celle (da 2 a 15) disposte lungo uno stesso asse e aprentisi su di un portico sostenuto da pali lignei che avevano come base un ghaṭa (vaso) di pietra. L'unità monastica 8 sorse nella seconda fase del sito sopra i resti di un precedente caityagṛha. L'aula maggiore (23,5 × 23,5 m), pilastrata, era probabilmente destinata ai rituali del pratimokṣa (confessione di fede) e dell'uposatha (digiuno). Un altro grande ambiente (aula IV; 29,9 × 12 m) è stato identificato come il refettorio.
Tra i ritrovamenti si segnalano, oltre a diversi frammenti architettonici scolpiti, alcuni frammenti di stucco appartenenti alla decorazione della seconda fase costruttiva e le iscrizioni in brāhmī su ceramica databili al II-III sec. d.C. È significativa la presenza di cinque monete di Tiberio: il monastero faceva sicuramente parte della rete commerciale, controllata dal saṃgha buddhista, che soprattutto tra il I sec. d.C. e la prima metà del III vide una straordinaria crescita della domanda di beni prodotti o commercializzati in India da parte di Roma.
A soli 3 km a sud di T. si trova l'area sacra di Bavikonda, dove sono stati portati alla luce un grande stūpa (diam. 24 m) con piattaforme (āyaka) ai punti cardinali e sentiero processionale sopraelevato, alcuni stūpa minori, tre caityagṛha (uno dei quali a pianta circolare) e un complesso monastico.
V.V. Krishna Sastry - B. Subrahmanyam - N. Rama Krishna Rao, Thotlakonda (A Buddhist Site in Andhra Pradesh), Hyderabad 1992; Suryanarayana Raju, Excavations at Bavikonda (non pubbl.).
di Giovanni Verardi
Località dell'Andhra Pradesh nei cui pressi, sulla collina di Peddakonda, si trovano i resti di un santuario Jaina fondato nel III sec. a.C. e frequentato fin verso il 450 d.C. Il sito, posto sulla riva destra del corso inferiore del fiume Krishna, si trova a 10 km circa da Amaravati, in una delle regioni a più denso insediamento umano dell'India antica. L'area di V. faceva perno sul porto fluviale di Dharanikota.
Il primo periodo (300-100 a.C.) è caratterizzato, oltre che da alcune strutture, da sculture, abbondante ceramica e materiale epigrafico. Una breve iscrizione del III sec. a.C. ricorda le gesta del re Samaka, un sovrano locale altrimenti ignoto. In cima al colle fu edificata la prima area sacra, di cui restano le fondazioni di uno stūpa su una piattaforma quadrata, con accesso principale a est e ingressi agli altri punti cardinali. È costruito ad anelli concentrici di mattoni alternati ad anelli di grossi ciottoli. Più in basso, a nord, vi sono i resti di un monastero di grandi mattoni cotti (50 × 30 × 8 cm), composto di tre sole celle e di due piccole terrazze un tempo coperte da tetti lignei. Una seconda struttura monastica si trovava a sud-est. I frammenti scultorei, risalenti agli ultimi anni del periodo, sono vicini alla produzione di Bharhut; comprendono un frammento di pilastro con animale mitico e uno con mithuna (coppia amorosa). Sono presenti monete punzonate, ceramica nera e rossa di tipo megalitico, ceramica nera e rossa di tipo comune e Northern Black Polished Ware di buona qualità. Un'iscrizione ricorda Uttara, probabilmente un maestro Jaina.
Il secondo periodo (100 a.C. - 200 d.C. ca.) cade nei secoli del dominio politico dei Satavahana sul Deccan, che tuttavia ‒ come in parte suggeriscono gli stessi scavi di V. ‒ le ricerche più recenti tendono a considerare in maniera più analitica e differenziata. Sin dai livelli più antichi sono attestate le monete di piombo della cosiddetta "dinastia Sada" di cui, da V., si conoscono i nomi di tre sovrani: Maha Sada, Sivamaka Sada (già noto da un'iscrizione di Amaravati) e Asaka Sada, probabilmente discendenti del re Kharavela dei Chedi, sovrano del Kalinga alla fine del I sec. a.C. o agli inizi del secolo successivo, le cui conquiste territoriali si spinsero fin nel cuore del Paese Andhra. Monete Satavahana compaiono a V. soltanto intorno al 200 d.C. In questo periodo sulla cima del Peddakonda fu costruito un nuovo stūpa di mattoni con rivestimento di pietra. Una parte dei frammenti scolpiti sono probabilmente da riferire alla balaustra che lo circondava. I motivi rappresentati sono stūpa, toraṇa (portali di accesso ai monumenti sacri), animali mitici, yakṣa-atlanti, simboli di buon auspicio e figure umane; pur molto vicini ai temi della scultura buddhista coeva, essi richiamano in particolare la produzione dello stūpa Jaina di Kankali Tila a Mathura e dei monumenti rupestri di Udayagiri e Khandagiri nell'Orissa. Si notano inoltre un edificio a pianta ellittica suddiviso in tre ambienti, due dei quali absidati, con ingresso a nord, e monasteri di poche celle. La classe ceramica più caratteristica è la Rouletted Ware, datata tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., molto vicina agli esempi di Amaravati, Arikamedu e Salihundam. Attenzione particolare meritano i frammenti iscritti su ceramica e pietra che ricordano nomi di maestri, monasteri e scuole. Un frammento menziona il Sampati vihāra, il monastero fatto costruire da Samprati, forse da identificare con il nipote di Ashoka, protettore del jainismo. Un'altra iscrizione fa intendere che l'intera fondazione monastica sul Peddakonda fosse intitolata a Mahavira, fondatore storico del jainismo, ricordato col suo nome di Vardhamana.
Il terzo periodo di V. è compreso tra il 200 e il 350 d.C. Gli inizi sono caratterizzati dalla presenza di monete Satavahana, ben presto sostituite da quelle degli Ikshvaku. Le strutture di quest'epoca sorgono sulle rovine dei monumenti precedenti, ma con allineamento diverso, una discontinuità che non ha trovato spiegazione nei dati di scavo. Fu aperto un nuovo sentiero che collegava tra loro i nuovi edifici, furono innalzati nuovi stūpa votivi, un maṇḍapa o sala pilastrata e ambienti monastici con le celle riunite a gruppi di tre o quattro, intonacate a calce. Le parti decorative erano realizzate in stucco, ben attestato accanto alla produzione scultorea (pilastri con loti, rappresentazioni di stūpa e toraṇa, l'albero sacro entro balaustra, un mithuna o coppia amorosa, yakṣa, ecc.). Predomina una ceramica rossa ingobbiata e lucidata. Tra i frammenti iscritti si ricorda la menzione di un Sona vihāra e nomi di discepoli. Un'iscrizione frammentaria su pietra ricorda il diciottesimo tīrthaṁkara (santo Jaina), Aranatha.
Il quarto e ultimo periodo (350-450 d.C.) segna un netto declino. Non si osserva quasi alcuna nuova struttura e scompaiono anche le classi ceramiche di pregio, a esclusivo favore della ceramica rossa comune. Accanto alle monete Ikshvaku compare la monetazione dei Vishnukundin, Hindu ortodossi che celebrarono più volte il sacrificio vedico del cavallo, con i quali venne certamente a mancare ogni protezione per gli śrāmaṇa (asceti) Jaina. Tra il IV e il V secolo il santuario continuò tuttavia a vivere: un'iscrizione su pietra ricorda Gadoda, seguace di Godasha (uno degli antichi maestri del jainismo). Un'iscrizione su un elemento di balaustra dichiara che esso è dono di Dhamuti, abitante di V., e della sua famiglia. A quest'epoca sono stati attribuiti altri frammenti di balaustra, scolpiti con i soggetti usuali.
Bibliografia
T.V.G. Sastri, Vaddamanu. Excavations and Explorations in Krishna Valley, Hyderabad 1983; T.V.G. Sastri et al., Vaddamanu Excavations (1981-85), Hyderabad 1992.
di Giovanni Verardi
Sito dell'Andhra Pradesh posto lungo il medio corso della Krishna tra gli Erramalai e i Nallamalai, le principali catene collinari dei Ghat orientali. Fu scavato tra il 1978 e il 1980, in previsione della sommersione dovuta a grandi progetti d'irrigazione.
La sequenza ha inizio con il periodo neolitico (1800-1000 a.C.), cui seguono secoli di deposito sterile (1000-800 a.C.). Il secondo periodo antropico è quello megalitico (500-300 a.C.), seguito dal primo periodo storico (300 a.C. - 400 d.C.). Durante il Neolitico antico, fino al 1500 a.C., si osservano buche circolari che si allargano sotto l'imboccatura. Predominano una ceramica grigia e, tra gli strumenti litici, lamine e schegge. Il Neolitico tardo, fino al 1300 a.C., è attestato da buche di palo e pavimenti ottenuti pressando schegge litiche e noduli calcarei. In un'abitazione di forma circolare è stato esposto un focolare quadrangolare; sotto il pavimento di una seconda abitazione è stata rinvenuta un'urna funeraria di ceramica grigia, mentre lo scheletro di un bambino è stato trovato in sepoltura primaria con orientamento nord-sud sotto un terzo pavimento. Predomina una ceramica rossa, grezza o lucidata, con strisce dipinte, e si osservano asce, raschiatoi, bulini e dischetti di steatite per collane; vi sono anche dischi ottenuti da frammenti ceramici e due frammenti di figurine di toro in terracotta. La fase calcolitica (1300-1000 a.C.) ha abitazioni rotonde e ovali e conserva gli stessi usi funerari.
I livelli più antichi del periodo megalitico danno i primi utensili di ferro e la tipica ceramica nera e rossa. Per la prima volta in un sito megalitico del Deccan si sono osservate abitazioni (e non solo sepolture), circolari e rettangolari, alcune con buche per rifiuti e giare per granaglie e leguminose. Non sono presenti tutte le forme ceramiche note dagli altri siti megalitici, ma sono frequenti i piatti con base ricurva, le ciotole a pareti diritte e base arrotondata e vasi dal corpo rotondo. La ceramica d'uso più comune è rossa (grezza, ingobbiata o lucidata).
I tratti culturali del primo periodo storico appaiono già in epoca megalitica, tanto che tra il 300 e il 50 a.C. si parla di sovrapposizione delle due "culture". Compaiono, in particolare, le monete punzonate, associate all'imporsi della dinastia Maurya, e la cosiddetta "ceramica Andhra" dal tipico color ruggine, cui si affianca più tardi la Rouletted Ware nera e grigia, diffusa nel Deccan e nell'India nord-orientale tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. La sequenza numismatica vede, dopo le monete punzonate, quelle prive di leggenda e, in seguito, monete attribuibili ai re della confederazione marāthi (titolo amministrativo di epoca Maurya). Queste ultime hanno sul dritto un elefante e sul rovescio la montagna a sei dossi. I nomi dei sovrani, Maha Hasti, Shiva Maha Hasti, Shiva Skanda Hasti, delineano un lignaggio marāthi d'osservanza shivaita. Una moneta di Shiva Maha Hasti è associata a una bulla di piombo imitante un aureus con il busto di Tiberio e leggenda in latino sul dritto, e quello di Augusto con leggenda in brāhmī sul rovescio. Nei resti strutturali, di pietra, si sono riconosciuti tratti di fortificazioni, forse con torrione, e abitazioni con focolari, vasellame, macine, resti di ossa animali e diversi tipi di semi.
La terza fase del periodo storico (300-400 d.C.) è caratterizzata da un gruppo di 13 templi entro muro di cinta (prakāra). I più antichi, con liṅgam, hanno pianta quadrata, pavimenti di pietra e muri di mattoni e sono preceduti da un piccolo portico. Verso la fine del periodo, insieme a rimaneggiamenti dei templi più antichi, si osservano tentativi di organizzare queste semplici strutture in maniera più complessa: i templi 2, 7 e 10 furono collegati da un maṇḍapa in comune; il Tempio 10, più grande degli altri (3,7 × 3,4 m), fu costruito per ultimo e inserito fra i due precedenti. La forma quadrata di questi templi, di datazione piuttosto alta, sembra porre in dubbio il fatto che essa sia un'elaborazione esclusiva dell'India del Nord.
Bibliografia
T.V.G. Sastri, Veerapuram Excavation, Hyderabad 1981; T.G.V. Sastri et al., Veerapuram. A Type Site for Cultural Study in the Krishna Valley, Hyderabad 1984.