L'archeologia del Subcontinente indiano. La frontiera indo-iranica
di Shoshin Kuwayama
Zona di cerniera, geografica e culturale, tra mondo indiano e mondo iranico, identificabile con la parte occidentale e meridionale dell'odierno Afghanistan. Secondo l'antica geografia buddhista, Jalalabad (Nāgarahāra) e Laghman (Laṁpāka) facevano parte dell'India settentrionale ed erano storicamente definite come propaggine occidentale del Gandhara, da cui le regioni di Kandahar e Ghazni-Gardez appaiono culturalmente separate. Sia a Laghman sia a Kandahar sono stati scoperti editti su roccia di Ashoka, che dimostrano l'inserimento di questa zona in una vasta rete di contatti politici; la lingua delle iscrizioni, aramaica e aramaico-pracrita nella regione di Laghman-Jalalabad, greca, aramaico-greca e aramaico-pracrita a Kandahar, prova inoltre che qui, alla fine del III sec. a.C., una popolazione di lingua greca e aramaica conviveva con quella di lingua indiana.
L'identificazione di Kandahar con una delle Alessandrie note dalle fonti non ha ancora trovato solidi riscontri archeologici, neanche dopo gli scavi britannici a Shahr-i Kohna tra il 1974 e il 1978. Per questo sito, tuttavia, sono da riconsiderare alcune conclusioni, quali l'identificazione di alcuni frammenti ceramici dalla superficie nera lucida come un "prodotto greco di importazione" e l'assimilazione delle ceramiche rosse con striature brunite con quelle del Tokharistan; un livello greco si può forse riconoscere nella quarta delle fasi (almeno cinque in tutto) ipotizzate da D. Whitehouse in una trincea che taglia il tratto orientale delle mura. La stessa sequenza fu postulata anche per le aree abitate all'interno delle mura dove, però, la fase più antica non è documentata. Ugualmente poco chiare, a causa di un intenso sfruttamento agricolo del suolo, restano le ultime due fasi, ascrivibili al periodo che intercorre tra il I sec. a.C. e un'epoca imprecisata prima dell'occupazione islamica. Tuttavia, un dato certo emerso dagli scavi britannici è che l'antica Kandahar, nella prima e nella seconda fase (databili rispettivamente alla prima metà del I millennio a.C. e, probabilmente, al periodo achemenide) fu una città fortificata.
L'indagine archeologica di altri siti urbani deve ancora essere intrapresa. A Laghman sono state effettuate solo ricognizioni di superficie a opera di A. Foucher (1942-47) e K. Fischer (1969). Non è stato possibile identificare l'insediamento urbano di cui parla Xuan Zang (VII sec. d.C.), ma quello del III sec. a.C. doveva sorgere in un luogo non lontano dalle iscrizioni di Ashoka, sul lato occidentale di una collina, nella valle tra Qarghai e Shatala. L'antica Nāgarahāra dovrebbe trovarsi nella zona di Chahar Bagh, a ovest di Jalalabad. Degna di nota, per l'enorme estensione, è Shah Naser Ghwandai; tra gli innumerevoli frammenti di ceramica rossa raccolti in superficie si riconoscono tipologie confrontabili con i siti del Bala Hissar e Shaikhan Dheri a Charsada (Pakistan). Anche Tapa Ashrak mostra possibili confronti con i livelli più antichi di Shaikhan Dheri, così come le tipiche ciotole carenate del Bala Hissar a Charsada costituiscono una tipologia comune a Tapa-i Khwaja Lahori e in altri siti minori tra Chahar Bagh e il fiume Kabul. Una così ampia diffusione fa supporre un possibile spostamento degli insediamenti urbani verso nord, dimostrando nel contempo il legame di Jalalabad con il Gandhara nella seconda metà del I millennio a.C. e nei primi anni dell'era volgare.
Il sito di Wardak, posto lungo un'antica via che da Ghazni si dirigeva verso nord, si erge sulla sommità pianeggiante di una collina; di dimensioni apparentemente modeste (lungh. del lato orientale 250 m ca.), è circondato da mura rinforzate da torri e bastioni circolari, con un'ulteriore recinzione interna lungo la parete meridionale ed entrata all'estremità settentrionale. Il confronto proposto da G. Fussman tra la pianta del sito e quella di Ai Khanum contrasta con l'evidenza dei frammenti ceramici da egli stesso rinvenuti sul sito, tutti ricadenti nell'orizzonte della seconda e terza fase di Begram. Da Wardak proviene un famoso reliquiario di bronzo, trovato da Ch. Masson nel XIX secolo, con incisa un'iscrizione in kharoṣṭhī di quattro righe, datata all'anno 51, che ricorda un deposito votivo in uno stūpa a nome di Huvishka. Gli stūpa nella valle di Wardak hanno un aspetto imponente, con i loro alti basamenti quadrati, benché oramai privi delle parti superiori. Le lesene e gli archi che decorano la superficie dei tamburi richiamano gli stūpa di struttura analoga, ancora visibili a Shiwaki-Kamari e a Jalalabad, collegabili all'ascesa di Kabul nel VII secolo.
Tra i siti della regione a sud dell'Hindukush, Begram, insediamento urbano del Kapishi, è quello su cui sono state condotte le indagini archeologiche più intense, a opera della Délégation Archéologique Française en Afghanistan (DAFA). Non è più sostenibile l'attribuzione, sostenuta da R. Ghirshman, della fine della terza e ultima fase di vita della città all'invasione degli Eftaliti. Tale fase iniziò, infatti, con la ritirata degli Eftaliti e terminò con uno spopolamento verso la fine del VII secolo.
L'interesse archeologico per l'Afghanistan orientale iniziò verso la metà del XIX secolo, animato dalla ricerca antiquaria (in particolare di monete e reliquie all'interno degli stūpa buddhisti) e topografica, sulla scorta dei percorsi seguiti da Alessandro Magno e Xuan Zang; queste prime indagini e i successivi scavi della DAFA hanno tracciato le linee delle ricerche future, non solo a Jalalabad, ma anche in altre regioni a sud dell'Hindukush. Tale schema, che si conferma valido pur se di difficile realizzazione, non può tuttavia prescindere dalla revisione dei dati alla luce di nuove informazioni.
Gli scavi di Tapa Shotor, condotti dall'Istituto Afghano di Archeologia tra il 1967 e il 1978, riportarono alla luce un gran numero di statue di argilla cruda, provenienti dalle nicchie degli ambienti monastici e dalle cappelle che, in una fase più tarda, circondano la corte dello stūpa, mentre, come di norma nelle altre fondazioni gandhariche di Hadda e dintorni, le pareti degli stūpa erano decorate con sculture di stucco. Di particolare interesse è la decorazione di una delle cappelle (non anteriori al I sec. d.C.), in cui compare una serie di archi a sesto acuto, poggianti su pilastri quadrati, con la raffigurazione di un uccello (aquila?) ad ali spiegate negli spazi di risulta tra gli archi. Il confronto assai stretto con l'analogo soggetto nel famoso reliquiario d'oro di Bimaran porta un elemento di dubbio nella datazione piuttosto alta recentemente assegnata a questo oggetto.
Gli scavi nel monastero di Lalma, condotti da archeologi giapponesi, hanno rivelato una successione di fasi con rimaneggiamenti che modificano la forma dello stūpa principale, secondo procedure che possono forse essere supposte anche per altri siti, come Tapa Shotor, dove esse spiegherebbero alcune peculiarità dello stūpa e del pavimento che lo circonda.
Da altri siti buddhisti sembra venire la conferma che l'argilla fu, in ordine di tempo, l'ultimo dei materiali utilizzati nella scultura. Il santuario di Tapa Sardar, scavato da archeologi italiani dell'IsMEO (ora IsIAO), sorge in cima a una collina isolata, in una piana a est della residenza estiva dei Ghaznavidi. Assumendo come ipotesi che la distruzione del primo santuario sia attribuibile a una incursione araba nel corso del VII secolo (forse la prima registrata nello Zabulistan, nel 33 a.E. / 653/4 d.C.), M. Taddei fa risalire al VI secolo il grosso della produzione scultorea del periodo antico. D'altro canto, l'inizio del santuario del periodo tardo può ragionevolmente porsi nella seconda metà del VII secolo, pur restando ipotetica la distruzione del santuario precedente a opera degli Arabi.
Mentre le sculture di argilla del periodo antico sono prive di rivestimento in superficie, quelle del periodo tardo sono caratterizzate da un sottile strato di finitura di argilla rossa, che conferisce loro l'aspetto della terracotta. In Afghanistan, l'uso di questo particolare tipo di finitura è documentato anche a Fondukistan, altro importante insediamento buddhista, situato a sud di Siahgerd sul fiume Ghorband, ma la sua diffusione è attestata molto al di là del fiume Indo, a Ushkar e Akhnur, al confine indo-pakistano. La cronologia suggerita per la produzione del periodo tardo a Tapa Sardar appare del resto in linea con quella accettata per Fondukistan, dove un piccolo stūpa centrale, costruito esclusivamente con sottili lastre di pietra, è circondato sui quattro lati da un muro su cui si aprono nicchie ad arco impostate su basamenti di mattoni crudi; entro uno di questi, che sosteneva una scultura di argilla dipinta raffigurante una coppia principesca seduta su di uno spesso tappeto, era murato un reliquiario di ceramica, probabilmente relativo alla stessa coppia raffigurata nella nicchia, contenente, tra l'altro, una moneta di epoca arabo-sasanide emessa nel 689 d.C. Privo di tale rivestimento appare invece un Bodhisattva seduto, rinvenuto in situ in una nicchia nella parete orientale del recinto dell'area sacra di Tepe Maranjan. Un tesoretto di monete di epoca Kushano-sasanide, murato nella parete del medesimo recinto, fornisce un importante riferimento cronologico, che colloca questa scultura non prima della fine del IV secolo. Si attende da Z. Tarzi una datazione definitiva per Tapa Shotor, anche se, allo stadio attuale delle ricerche, il VI-VII secolo sembrerebbe verosimile.
La tecnica costruttiva a piccole lastre di scisto, di spessore sottile e regolarizzato, con cui sono interamente realizzati a Tapa Sardar lo Stupa 20 sulla terrazza superiore, appartenente alla seconda fase del periodo antico, e lo Stupa 64 e le mura urbane in miniatura che lo circondano, è comune anche agli stūpa principali di Tepe Maranjan, della fase A (la più antica) del periodo tardo a Shotorak e di Fondukistan, oltre ad alcuni degli stūpa piccoli nelle corti D e F a Shotorak. Altro elemento comune a questi stūpa è la nicchia profonda, ma piuttosto piccola in relazione alle dimensioni del monumento: essa compare nello Stupa 20 a Tapa Sardar, sul primo corpo del basamento quadrato a Tepe Maranjan, negli stūpa D2-D4 e D6 di Shotorak; analogie si rintracciano anche nelle nicchie dell'alto basamento dello stūpa principale a Gul Dara, nel Logar, nonché nella nicchia trilobata sul tamburo dello stūpa di Top Dara (Charikar).
Religioso o meno che ne sia l'insediamento, la regione a sud dell'Hindukush, da Kapishi a Ghazni, passando per Kabul e Wardak, è caratterizzata da una ceramica con decorazione stampigliata "a medaglione", assente invece a Laghman (a est) e Kandahar (a sud). Molti siti condividono gli stessi motivi decorativi, a volte persino l'uso del medesimo stampo. Ciò potrebbe significare che la produzione e la distribuzione nella regione di Kapishi-Kabul-Ghazni era sotto il controllo di una determinata cerchia di produttori.
L'uniformità generale dei motivi decorativi fa supporre inoltre che essi siano stati in uso per breve tempo. Questo tipo di ceramica fu riconosciuta da Ghirshman come un'innovazione a Begram III. A Tapa Sardar esso compare nel medesimo contesto delle sculture di argilla, a partire dalla fase più recente del periodo antico fino al periodo tardo. Anche il sito di Tapa Skandar, 30 km a nord di Kabul, scavato dall'Università di Kyoto negli anni Settanta del Novecento, registra nel periodo II una forte presenza di questo tipo di ceramica. Tra i frammenti di ben 25 vasi rinvenuti in un ambiente dell'ultima fase del periodo II, frantumati dal crollo del soffitto, solo alcuni recano una decorazione di questo tipo, peraltro consistente di un semplicissimo motivo di punti, il che ne suggerisce un uso oramai obsoleto. Un importante riferimento cronologico per il termine finale della ceramica stampigliata può essere fornito da Fondukistan, dove essa è del tutto assente.
Infine, significativa è la presenza di sculture Hindu di marmo del VII-VIII secolo, che si concentrano soprattutto a Laghman: un liṅgam litico senza raffigurazioni di facce sulla colonna fallica, alto 75 cm, trovato in situ nei pressi di Tagao nel 1925; una figura mutila di Shiva stante, alta 65 cm, con indosso una dhotī, priva della testa e delle otto braccia, anch'essa trovata nei pressi di Tagao; una testa di Durga, alta 6 cm, rinvenuta in un sito presso Qala Amir Mohammad nel 1960. Questo gruppo di sculture mostra strette affinità con altre dello stesso genere, quali la figura di Uma-Maheshvara (con iscrizione di tre righe in brāhmī "ad angolo acuto" riportanti un inno sanscrito in onore di Maheshvara), trovata a Tapa Skandar, e le figure di Shiva e di Durga Mahiṣāsuramardinī, di ignota provenienza, trovate nei dintorni di Gardez. I caratteri stilistici e iconografici comuni e alcuni possibili confronti con la plastica buddhista contemporanea consentono di datare queste sculture al periodo che intercorre tra la metà del VI e l'VIII secolo.
Gli scavi di Tapa Skandar e Khair Khana hanno dimostrato che gli ambienti destinati al culto delle immagini Hindu erano costruiti con blocchi e mattoni di argilla e non con pietra tagliata. Frammenti architettonici di pietra, reimpiegati come materiale da costruzione, furono trovati incorporati in tombe islamiche nei pressi di Islampur, sul fiume Kunar, a nord di Jalalabad. Dal confronto di questi frammenti con gli elementi architettonici dei templi di tipo śikhara a Kafir Kot Nord e Sud sull'Indo, già nel 1959 J.E. van Lohuizen-de Leeuw postulò l'esistenza di un'architettura Hindu di pietra di periodo Hindu Shahi.
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di Shoshin Kuwayama
Sito nella parte occidentale della catena dello Hindukush, nell'Afghanistan centrale, dove si sviluppò, tra la metà del VI e l'VIII-IX sec. d.C., un regno buddhista; esso ospita vasti monasteri, con più di 900 grotte artificiali e nicchie, scavate ai piedi delle pareti rocciose che delimitano la vallata principale e le valli secondarie del Kakrak e del Fola Deh.
Dagli anni Venti del Novecento le grotte sono state oggetto di indagine da parte di missioni francesi, italiane, afghane e giapponesi, mentre la missione indiana ha eseguito lavori di restauro. La località è nota soprattutto per le due statue colossali di Buddha stante, distrutte nel 2001 con cariche di esplosivo dal regime iconoclasta dei Taliban. Esse erano alte 38 e 55 m, poste entro nicchie a una distanza di 500 m l'una dall'altra e situate rispettivamente all'estremità orientale e occidentale della parete rocciosa maggiore della vallata principale. Le statue, scolpite nella roccia insieme alle nicchie con volta a botte, erano ricoperte da uno spesso strato di argilla. Una terza statua di Buddha stante, alta 7,7 m, si trova nella valle del Kakrak. Altre sei nicchie, scavate nella parete rocciosa maggiore della vallata principale, dovevano ospitare statue simili per dimensioni a quella del Kakrak. Oltre che dalla presenza di statue colossali, il sito è caratterizzato dalla mancanza di stūpa, sebbene alcuni studiosi ritengano che il piccolo cumulo di pietre vicino al colosso di 38 m sia ciò che rimane di uno di essi.
Circa 800 grotte si aprono nella parete rocciosa principale che delimita il lato nord della vallata maggiore, per un tratto di 2 km circa; nella valle del Kakrak, una ottantina di grotte circondano la nicchia del Buddha, mentre in quella del Fola Deh si trovano grosso modo 30 grotte di dimensioni inferiori, senza nicchie per statue. La maggior parte delle grotte è a pianta rettangolare, con soffitto piano o con volta a botte e senza alcuna decorazione. Le grotte decorate con affreschi e rilievi si pensa riproducano forme architettoniche coeve: a pianta ottagonale o quadrata, esse avevano spesso copertura a cupola e, in alcuni casi, soffitti "a lanterna". Gli elementi architettonici erano di solito decorati con rilievi di argilla e pitture. Le decorazioni pittoriche, ancora integre in 64 delle grotte indagate fino a oggi, sono tracciate in vermiglio su intonaco biancastro e campite con vari colori su uno sfondo blu chiaro o scuro. Soggetto ricorrente ed esteso su intere pareti è quello detto dei "mille Buddha seduti in meditazione". A differenza dei templi dell'India e dell'Asia Centrale, nelle grotte di B. manca un oggetto di culto centrale, mentre sembra assumere un ruolo significativo il centro del soffitto, dove è dipinto il Bodhisattva Maitreya assiso.
Il soggetto del dipinto sulla volta del soffitto della nicchia che ospitava il Buddha di 38 m era l'immagine colossale di una divinità solare, stante su un carro trainato da quattro cavalli contrapposti e accompagnata da divinità minori, che occupavano un intero disco solare bianco dipinto su uno sfondo blu. Nella parte superiore della nicchia, su ogni lato, erano raffigurati personaggi regali seduti dietro una balaustra, ritratti insieme a un Buddha seduto tra due Buddha "ingioiellati", nell'atto di celebrare una cerimonia religiosa. Ciò che rimaneva delle decorazioni del soffitto e delle pareti laterali della nicchia del Buddha di 55 m, dipinte con tonalità calde, ha fatto supporre una composizione originaria più ampia e spettacolare, forse una sorta di paradiso buddhista, anche se l'interpretazione della scena, di cui è perduta la divinità centrale, resta dibattuta; tra le immagini documentate, erano diverse figure celestiali, Bodhisattva e un colossale Buddha "ingioiellato".
Sebbene sia possibile dividere le pitture di B. in diversi gruppi stilistici, non si conoscono confronti fuori di questa località che possano fornire elementi utili per l'esatta datazione di ciascun gruppo. I colossi di B., tuttavia, sono paragonabili, sia dal punto di vista cronologico sia da quello ideologico, alle rappresentazioni in scala più modesta del Buddha in parinirvāṇa presenti ad Ajina Tepa (Tajikistan) e Tapa Sardar (Ghazni, Afghanistan), datate generalmente al VII-VIII sec. d.C. Nonostante alcune monete indo-greche e Kushana, che si dicono rinvenute nella zona, il regno di B. sembra raggiungere una posizione significativa dal punto di vista politico e commerciale solo dalla metà del VI sec. d.C., quando diviene un fiorente centro per il commercio a lunga distanza, collegandosi all'India attraverso Begram nel Kapishi, a sud, e all'Asia Centrale attraverso il Tokharistan. Secondo Xuan Zang, che visitò il sito nel 628/9 d.C., l'estensione di B. era di 1000 miglia cinesi da nord a sud e di 2000 miglia cinesi da est a ovest; le evidenze archeologiche indicano tuttavia il cuore del regno entro i limiti delle fortezze ancora esistenti lungo i corsi fluviali circostanti.
Nella vallata principale vi sono alcuni siti potenzialmente identificabili con la capitale del regno: Chehel Sutun a ovest della vallata, Shahr-i Gholghola di fronte al Buddha di 38 m e Shahr-i Zahak all'accesso orientale della vallata. Solo quest'ultimo tuttavia concorda, sotto il profilo geografico, con le descrizioni di fonti islamiche di una città del regno di B. Anche le indicazioni di Xuan Zang, che visitò la capitale in un periodo di grande prosperità, restano oscure; non si è infatti trovato alcun resto monumentale a essa attribuibile, nonostante il preciso riferimento della posizione della città nella zona a sud-ovest del Buddha alto 150 piedi cinesi, quasi sicuramente identificabile con il Buddha di 55 m.
Nel 2003 Z. Tarzi ha inaugurato una nuova stagione di scavi a B., alla ricerca del "monastero occidentale" citato da Xuan Zang e del colossale Buddha recumbente che esso comprenderebbe. Gli scavi, situati nella zona a sud-est del Buddha di 38 m, hanno restituito finora tracce di architetture, forse pertinenti al monastero, e frammenti di sculture buddhiste.
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di Shoshin Kuwayama
Vasto sito urbano, conosciuto anche con il nome di Kapishi B., posto a sud della confluenza dei fiumi Panjshir e Ghorband, alcuni chilometri a est di Charikar e 80 km a nord di Kabul, in Afghanistan.
Esso doveva occupare originariamente un'area di forma allungata compresa tra un sito a sud, posto sul terrazzo fluviale, e l'insediamento circolare fortificato di Borj-i Abd al-Allah a nord, proprio alla confluenza dei due fiumi. Il sito a sud consiste in una città quadrata, fortificata almeno nel suo versante meridionale, aperta sulla valle verso nord. Sebbene permanga incerta l'identificazione della città di B. con Alexandria ad Caucasum, è probabile che essa sia sorta nel I sec. a.C. e che sia stata occupata fino alla fine del VII sec. d.C., con un periodo d'interruzione nel IV e nel V sec. d.C. Fonti letterarie suggeriscono che B. fosse un'importante stazione nel valico dell'Hindukush occidentale, su una via Indo-Bamiyan-Tokharistan, cresciuta d'importanza dopo la caduta degli Eftaliti nel Tokharistan e nel Gandhara, fino a sostituire il percorso alternativo che attraversava i passi del Karakoram.
Fra il 1936 e il 1942, nella parte centrale e in quella orientale del sito meridionale furono portate alla luce importanti strutture: il "bazar" lungo la cosiddetta Main Street, che presentava due livelli di occupazione dai quali provengono ceramiche decorate da impressioni a stampo circolari con motivi zoomorfi o floreali; una costruzione rettangolare di modeste dimensioni, rinforzata ai quattro angoli da bastioni circolari; una serie di stanze poste al di sotto delle fondazioni di quest'ultima; le mura di cinta della città, con torri di rinforzo a pianta quadrata, con la porta meridionale e un'area a sud di essa. Gli scavi del 1937 e del 1939-40 culminarono nella scoperta del "tesoro" che ha reso celebre B., rinvenuto in due ampie stanze rettangolari adiacenti, la 10 e la 13. L'ingresso della stanza 10 e il passaggio alla stanza 13 erano stati murati con mattoni di fango. In esse era custodito un gran numero di oggetti di superba fattura, la cui datazione spazia tra il I sec. a.C. e l'inizio del IV sec. d.C.: avori, lacche, metalli, stucchi, bronzi e vetri, provenienti da zone differenti come Mathura, capitale Kushana dell'India, la Cina di epoca Han e le province orientali romane.
Da scavi successivi risultò che B., almeno per l'insediamento meridionale, aveva conosciuto tre periodi di occupazione denominati, dal più antico al più recente, periodo I, II e III: al II e al III rispettivamente fu quindi possibile assegnare i tesori e l'edificio con bastioni. Comune ai primi due periodi è la tecnica edilizia, che prevedeva l'uso di pietre squadrate e di mattoni crudi quadrati di 40 × 40 cm. Oltre alla sovrapposizione dei pavimenti e all'introduzione di una nuova tecnica muraria, l'unico indicatore significativo della transizione dal periodo I al periodo II è il repertorio vascolare, che registra nel periodo II una diminuzione della ceramica grigia, mentre aumentano specifici tipi di ceramica rossa.
Una netta cesura, sia culturale sia stratigrafica, separa invece il periodo III da quelli più antichi. L'abbandono dell'impianto urbano precedente, la discontinuità tra le nuove costruzioni e i muri delle strutture anteriori, l'introduzione di mattoni crudi di misura più piccola (38 × 38 cm) sono elementi che inducono a ritenere che il periodo III sia iniziato con una nuova occupazione. Esso è caratterizzato non solo da innovazioni architettoniche, ma anche da una tradizione completamente nuova nella ceramica, decorata a incisione con una varietà di motivi animali e floreali entro cerchi che si ripetono più volte su vari tipi di vasi, di grandi e di piccole dimensioni.
Negli ultimi anni di vita di B. le abitazioni si estesero oltre la porta meridionale della città, privando il muro di cinta della propria funzione difensiva. Per proteggere le nuove aree abitative, a nord e a sud di esse furono erette costruzioni quadrate con bastioni circolari ai quattro angoli, una delle quali all'interno della città, l'altra all'esterno, circa 400 m a sud della porta meridionale.
Fissando al 144 d.C. la data d'inizio del regno di Kanishka, R. Ghirshman ascrive il periodo I all'epoca degli ultimi Indo-greci e al regno di Kadphises, il periodo II all'epoca che copre il regno di Kanishka, Huvishka e Vasudeva e il periodo III a un lasso di tempo compreso tra l'invasione sasanide di Shapur I (inizio del III sec. d.C.) e l'abbandono di B. da parte dei Kidariti, alla fine del IV sec. d.C. La datazione della fine del periodo II al regno di Vasudeva è tuttavia discutibile.
Nel 629 e nel 643 d.C., Xuan Zang ci descrive una B. fiorente: il re, di casta kṣatriya, aveva sovranità politica ed economica su 10 principati confinanti lungo il fiume Kabul, con B. come capitale estiva, di circa 10 li di perimetro, e la moderna Hund (Udabhāṇḍapura nella cronaca kashmira Rājataraṅgiṇī) come quartier generale invernale, con perimetro di circa 20 li. Vi erano all'incirca un centinaio di monasteri buddhisti con seimila monaci; esistevano tuttavia anche numerosi santuari brahmanici e Jaina e un migliaio di fedeli appartenenti sia alla scuola Jaina dei Dīgambara che a quelle shivaite dei Pāśupata e dei Kāpālika. Provengono invece dalla parte meridionale di Kapishi, in particolare da siti quali Tapa Skandar e Khair Khana, testimonianze cultuali Hindu, rappresentate da vari monumenti e da due dozzine di statue di marmo (tra cui immagini di Maheshvara, Uma, Durga e Surya).
I Turchi di Kabul, o Shah di Kabul secondo alcuni scrittori musulmani, conquistarono gradualmente una superiorità politica e militare sui re di Kapishi a B., nel corso dei combattimenti contro i musulmani che minacciavano la frontiera meridionale del regno. All'inizio dell'VIII sec. d.C. al più tardi, la definitiva usurpazione del potere consumatasi a Kabul ‒ lontano dal centro del regime di Kapishi ‒ accrebbe di molto l'importanza di Kabul stessa ed ebbe come conseguenza l'indebolimento politico ed economico di B.
J. Hackin, Recherches archéologiques à Begram, Paris 1939; A. Foucher, La vieille route de l'Inde, de Bactres à Taxila, Paris 1942; R. Ghirshman, Begram. Recherches archéologiques et historiques sur les Kouchans, Le Caire 1946; J. Hackin - J. Carl - P. Hamelin, Nouvelles recherches archéologiques à Begram (1939-1940), Paris 1954; J. Hackin - J. Carl - J. Meunié, Diverses recherches archéologiques en Afghanistan (1933-1940), Paris 1959; Sh. Kuwayama, Kāpiśī-Begram III. Renewing its Dating, in Orient, 10 (1974), pp. 57-78; D.W. MacDowall - M. Taddei, The Pre-Muslim Period, in F.R. Allchin - N. Hammond (edd.), The Archaeology of Afghanistan from Earliest Times to the Timurid Period, London - New York - San Francisco 1978, pp. 266-67; Sh. Kuwayama, The Horizon of Begram III. A Chronological Interpretation of the Evidence for Monuments in the Kāpiśī-Kabul-Ghazni Region, in EastWest, 41, 1-4 (1991), pp. 79-120.
di Anna Filigenzi
Sito buddhista ubicato circa 120 km a nord-ovest di Kabul, nella provincia di Parvan (Afghanistan), sulla cima di un colle che domina a sud la valle omonima.
Dopo una rapida menzione di Ch. Masson nel 1836 (peraltro dimenticata), a seguito di ritrovamenti casuali segnalati dagli abitanti del luogo il sito fu oggetto di una prima ricognizione nel 1936 a opera della Délégation Archéologique Française en Afghanistan, che vi condusse uno scavo nel 1937 sotto la direzione di J. Carl. La pubblicazione postuma, del 1959, si basa sulle descrizioni incomplete lasciate da J. Hackin e su brevi note di Carl. Fulcro del sito, e collegato ad altri ambienti verosimilmente destinati ai monaci, è un santuario di forma quadrata con probabile copertura a volta, costruito con mattoni crudi di grandi dimensioni, al cui centro è uno stūpa in scisto su base quadrata decorata da lesene di forma schiacciata, realizzate da un unico blocco di pietra. Sulle pareti dell'ambiente si aprono dodici nicchie incorniciate all'esterno da una decorazione a rilievo che riproduce una serie continua di arcate su semipilastri gandharico-corinzi.
Di estremo interesse sono le sculture di argilla cruda e le pitture che decoravano le nicchie, inquadrabili entro un orizzonte culturale che si può con buona approssimazione collocare tra il VII e l'VIII sec. d.C. e che sembra coinvolgere, con varianti regionali, un vasto territorio compreso tra l'Asia Centrale orientale e le regioni del Nord-Ovest del Subcontinente indiano. In particolare, i confronti più stretti si rintracciano, in Afghanistan, nella scultura delle fasi più tarde di Tapa Sardar e nella pittura della fase II di Bamiyan; in Asia Centrale nel sito di Tumshuq; in territorio pakistano affinità, sia pur vaghe, si colgono nella coeva produzione di bronzo e pietra, mentre dal Kashmir si possono avvicinare a F. le sculture di Ushkar. In questa produzione artistica la tradizione gandharica di stampo ellenistico, fortemente radicata nelle regioni del Nord-Ovest del Subcontinente indiano, viene superata da una nuova visione della figura umana che, pur se in larga misura debitrice dell'India di epoca Gupta (IV-VI sec. d.C.) e dell'Iran sasanide, resta tuttavia spiccatamente originale. I tratti stilistici più rilevanti di questa corrente consistono nell'allungamento e assottigliamento della figura, in cui perde totalmente d'interesse la muscolatura, e in un assoggettamento delle forme, dei gesti e delle espressioni a un ideale di grazia e di armonia che trova a F. l'espressione più appariscente fra quelle sin qui note; questi caratteri, che sembrano tradurre iconograficamente sofisticati concetti filosofici uniti a un sentimento religioso coinvolgente ed emotivo, hanno indotto alcuni studiosi a confronti con l'arte tardogotica.
Tra gli esemplari più noti della produzione di F. si annoverano, per la pittura, l'immagine del Bodhisattva Maitreya della nicchia E e la coppia di divinità (solare e lunare) della nicchia K; nella plastica, caratterizzata dal vivace cromatismo e, in alcuni casi, dalla doratura, il Buddha ingioiellato dalla nicchia D, la "pira della madre di Jyotishka" dalla nicchia C e la "coppia principesca", ancora dalla nicchia E, particolarmente importante sotto il profilo della datazione e della cultura religiosa del tempo. All'interno della base furono infatti rinvenute due urne cinerarie (evidentemente pertinenti ai personaggi rappresentati), una delle quali contenente due monete del re sasanide Khusraw II (590-628); una di esse, ribattuta da un governatore arabo, indica nel 689 un prezioso terminus post quem per le sculture, rispetto alle quali lo stūpa è comunque da ritenersi più antico.
Bibliografia
J. Hackin, Le monastère bouddhique de Fondukistan, in J. Hackin - J. Carl - J. Meunié, Diverses recherches archéologiques en Afghanistan (1933-1940), Paris 1959, pp. 49-58; B. Rowland, Art in Afghanistan. Objects from the Kabul Museum, London 1971, pp. 43-48; W. Ball, Archaeological Gazetteer of Afghanistan, I, Paris 1982, pp. 100-101; M.M. Rhie, Interrelationship between the Buddhist Art of China and the Art of India and Central Asia from 618-755 A.D., in AnnOrNap, 48, 1 (1988), Suppl. 54, pp. 29-33; M. Taddei, La plastica buddhistica in argilla in Afghanistan e nel Subcontinente indiano, in Oxus. Tesori dell'Asia Centrale (Catalogo della mostra), Roma 1993, pp. 118-22; Id., s.v. Fondukistan, in J. Turner (ed.), The Dictionary of Art, XI, New York - London 1996, pp. 247-48.
di Shoshin Kuwayama
Piccolo centro 15 km a sud di Jalalabad (Afghanistan orientale), noto per i numerosi resti di monumenti buddhisti che lo circondano, disseminati su un'area di 15 km2 circa; questi comprendono stūpa e architetture correlate, in alcuni casi di tipo rupestre, scavate in rilievi collinari separati da fiumi disseccati.
Foneticamente, H. corrisponde alla Xiluo di cui parlano Faxian (402 d.C.) e Xuan Zang (630 d.C.), restituibile come Hiḍḍa o Heḍḍa, forma locale derivata dal sanscrito Haḍḍa (osso), la cui origine si collega forse all'osso dell'uṣṇīṣa (protuberanza craniale) del Buddha, che si riteneva custodita nella città. Il fatto che nel 726 d.C. Huichao non menzioni Jalalabad e H., ma solo Laghman, fa supporre che nel frattempo la vitalità delle fondazioni buddhiste avesse subito un drastico declino. La fama di H. era dunque legata alle presunte reliquie del Buddha in essa custodite, tra cui, oltre all'osso dell'uṣṇīṣa, un frammento del cranio, un globo oculare, una saṃghatī (tunica monastica) e un bastone ascetico, ognuna di esse deposta all'interno di un piccolo stūpa decorato con sette sostanze preziose. Ciò riflette culti locali, popolari in entrambi i versanti dell'Hindukush (altre reliquie erano infatti venerate nella capitale del Kapishi, a Balkh e a Bamiyan).
Le esplorazioni a H. iniziarono nel 1834 con la scoperta, da parte di Ch. Masson, di monete greco-battriane, scito-partiche, Kushana, eftalite, romane del periodo di Domiziano e bizantine del periodo di Teodosio e Leone tra le rovine di 14 stūpa. Il sito più importante indagato da Masson è Tapa Kalan, dove diverse trincee (riaperte poi da L. Cavagnari e W. Simpson nel 1879 e dalla Délégation Archéologique Française en Afghanistan con A. Foucher e A. Godard molto più tardi, nel 1923 e 1925), restituirono frammenti di sculture di pietra e stucco. Scavi estensivi furono condotti da J. Barthoux tra il 1926 e il 1929 a Borj-i Kafariha, Tapa-i Kalan, Bagh Gai, Gar Nao, Deh Ghundai, Chakhil-i Ghundai e Prates, tutti stūpa e monasteri buddhisti. I suoi scavi orizzontali poterono soltanto acclarare la forma degli stūpa (in molti casi) e degli ambienti monastici (in maniera più parziale), mentre resero famosa H. per la sua produzione in stucco, che diede origine a molte ipotesi stilistiche e cronologiche sull'arte del Gandhara, in particolare per le strette relazioni con un'analoga produzione documentata a Taxila, dove all'epoca erano ancora in corso gli scavi di J. Marshall. Incomprensibilmente, Barthoux ignorò i rilievi di scisto, 92 dei quali furono pubblicati solo molto più tardi, nel 1964, da B. Dagens.
Nuove acquisizioni su H. provengono dagli scavi di tre importanti siti buddhisti: Tapa Shotor, scavato da Sh. Mustamandi tra il 1965 e il 1974 e da Z. Tarzi dal 1974 al 1978, Tapa-e Top-e Kalan da Tarzi tra il 1978 e il 1979, e Lalma dalla Japanese Archaeological Mission della Kyoto University tra il 1965 e il 1966. A Tapa Shotor, in cui Tarzi distingue sei periodi, da epoca Kushana (I-III sec. d.C.) al VII sec. d.C., appare evidente un uso differenziato dei materiali: stucco per le sculture che decoravano gli stūpa, argilla solo per quelle poste all'interno delle cappelle che circondavano la corte degli stūpa o entro le nicchie che si aprivano lungo le mura esterne di essa. Gli esemplari di argilla hanno ampliato la nostra conoscenza della scultura di H., che può essere confrontata con quella di Basawal a est di Jalalabad, Tepe Maranjan nella zona di Kabul, Gul Dara a Logar, Tapa Sardar presso Ghazni e Fondukistan nell'Hindukush. Inoltre, le affinità nella forma dello stūpa principale di Tapa Shotor con quello di Lalma suggeriscono, almeno per un certo periodo, una contemporaneità dei due siti. A Lalma lo stūpa principale della fase più antica aveva un basamento a due corpi, il primo dei quali di altezza minore. In una fase successiva, il pavimento fu rialzato, mediante un riempimento di argilla mista a frammenti di sculture di stucco e di blocchi di arenaria, fino a coprire la sommità rasata degli stūpa piccoli presenti nella corte e il primo corpo dello stūpa principale. Un analogo procedimento può spiegare, secondo Sh. Kuwayama (1987), la configurazione inusuale del pavimento e dello stūpa principale di Tapa Shotor: le linee nette che circondano lo stūpa principale corrispondono al contorno della cornice del plinto inferiore originale, che, come a Lalma, coincide con il livello pavimentale rialzato della fase più tarda. La fase successiva, quindi, iniziò con lo stūpa principale rinnovato nella forma e dotato solo di un alto podio, come lo è anche lo stūpa principale a Tapa Shotor.
Una lunga grotta con soffitto a botte, scoperta al di sotto delle costruzioni della parte sud-occidentale del monastero a Tapa Shotor, conserva una decorazione pittorica che raffigura uno scheletro sulla parete di fondo e, sulle pareti laterali, i Dieci Grandi Discepoli di Shakyamuni; essa va probabilmente posta in relazione con la pratica buddhista della contemplazione della morte, pratica che doveva essere assai diffusa in seno alla comunità monastica di Nagarahara nel V-VI secolo.
Ch. Masson, Memoir on the Topes and Sepulchral Monuments of Afghanistan, in H.H. Wilson, Ariana Antiqua, London 1841, pp. 55-118; W. Simpson, Buddhist Architecture in Jelalabad Valley, in Transactions of the Royal Institute of British Architects (1879-80), pp. 36-64; J. Hackin, Les fouilles de la Délégation archéologiques française à Haḍḍa (Afghanistan): mission Foucher, Godard, Barthoux (1923-1928), in Revue des Arts Asiatiques, 2 (1928), pp. 66-76; J. Barthoux, Les fouilles de Haḍḍa. Figures et figurines. Album photographique, Paris 1930; Id., Les fouilles de Haḍḍa, I. Stûpas et Sites. Textes et dessins, Paris 1933; B. Dagens, Fragments de sculptures inédites, in B. Dagens et al., Monuments préislamiques d'Afghanistan, Paris 1964; S. Mizuno (ed.), Durman Tepe and Lalma, Buddhist Sites in Afghanistan Surveyed in 1964-1965, Kyoto 1968, pp. 109 ss.; Sh. Mustamandi, The Fish Porch, in Afghanistan, 21 (1968), pp. 68-80; Ch. Mostamindi, La fouille de Hadda, in CRAI, 1969, pp. 119-28; Sh. Mustamandi, The Heracle [sic] of Hadda, in Afghanistan, 26, 4 (1974), pp. 75-77; Z. Tarzi, Hadda à la lumière des trois dernières campagnes de fouilles de Tapa-é Shotor (1971-1976), in CRAI, 1976, pp. 381-410; Sh. Kuwayama, Tapa Shotor and Lalma: Aspects of Stupa Court at Hadda, in AnnOrNap, 47, 2 (1987), pp. 153-76; Z. Tarzi, Tapa-e-Top-e-Kalān (TKK) of Hadda, in SAA 1987, II, pp. 707-26; Id., Haḍḍa à la lumière des fouilles afghanes de Tapa-e-Shotor et Tapa-e-Top-e-Kalan (Diss.), Strasbourg 1991.
di Giovanni Verardi
Regione montana compresa nella provincia di Ghazni (Afghanistan), corrispondente all'alta valle del fiume Arghandab, a sud del lago di Nawur. Qui e nel territorio confinante di Qarabagh-i Ghazni, a est, si trovano numerosi gruppi rupestri buddhisti, solo parzialmente documentati e localizzati.
I santuari, databili tra il VII e il IX sec. d.C., sono scavati nei massicci di arenaria, oggi molto erosi e soggetti a crolli, che sorgono lungo i diversi rami del fiume e che consentono il valico verso l'altopiano di Nawur e l'Hindukush centrale. Sono disposti, in molti casi, su più livelli e sono collegati da corridoi e scale interne che portano ‒ a volte ‒ ad ambienti segreti. Non mancano esempi di ambienti non comunicanti, un tempo raggiungibili solo mediante scale e passerelle esterne. Sono talvolta presenti anche corridoi-scale passanti che conducono da una facciata all'altra di massicci isolati. Molti ambienti e interi gruppi non furono completati ‒ cosa che consente di ricostruire le diverse fasi costruttive ‒ ma in alcuni ambienti si notano tracce di pittura.
Dal punto di vista tipologico gli ambienti sono per lo più coperti a volta parabolica, spesso ridotti in larghezza, verso l'alto, da modanature aggettanti, o hanno copertura piatta; non mancano grandi ambienti quadrangolari coperti con finta cupola che si regge su aggetti angolari e non su pennacchi, una semplificazione dell'originario modello sasanide. Gli ambienti destinati al culto hanno in genere una grande nicchia nella parete di fondo e spesso anche sulle altre pareti. Sono, queste, tipologie ben attestate in altri complessi rupestri dell'Afghanistan, in particolare a Bamiyan, con i cui monumenti sono possibili confronti puntuali. Nel J. sono presenti anche sale pilastrate che trovano invece confronto nei maṇḍapa indiani.
I gruppi più importanti, per quanto è ora noto, sono Tapa Sanawbar e Tapa Zaytun nel J. e Nay Qala e Homay Qala nel Qarabagh. Un ambiente di Tapa Sanawbar conserva ancora una fila di nicchie un tempo sormontate da un architrave decorato con il motivo classico di bucefali e ghirlande. Le grotte di Tapa Zaytun, tutte non finite, sono disposte su terrazze e sono spesso di vaste dimensioni, raggiungendo la lunghezza di 30 m. Per dimensioni e concezione architettonica richiamano, più che Bamiyan, Haybak (nel nord dell'Afghanistan) e i complessi rupestri di Fil Khana e Basawal presso Jalalabad. A Nay Qala si notano, tra gli altri, un santuario fornito di cella quadrangolare interna con podi per immagini e un ambiente la cui facciata è resa nella forma, nota all'architettura indiana antica, dell'arco a caitya.
Il J. è stato a lungo identificato con la regione di Caojuzha/Jaguḍa, di cui parla il pellegrino cinese Xuan Zang (prima metà del VII sec.). Studi recenti hanno mostrato che Caojuzha corrisponde piuttosto a Zabulistan, il regno di cui era capitale Ghazni prima della conquista musulmana. Il nome J. non compare nelle fonti antiche e nemmeno in quelle islamiche fino a tempi abbastanza recenti. La regione dovette acquistare importanza tra il VII e l'VIII secolo, quando il regno di Zabulistan ampliò i suoi confini fino a comprendere parte dell'Hindukush centrale a ovest di Bamiyan, come mostra l'iscrizione di Tang-i Safedak del 723 d.C. La presenza dei monasteri buddhisti, situati a controllo dei passi montani, si spiega con la necessità di mantenere aperto un collegamento con il nord in un periodo in cui la grande via di comunicazione a sud delle montagne era soggetta a frequenti blocchi a causa dei sempre più assidui tentativi musulmani di risalire il Paese dal Sistan per raggiungere Kabul e l'India del Nord-Ovest.
Bibliografia
A.D.H. Bivar, Petroglyphs and Buddhist Remains of Jāghurī District, Afghanistan, in C.E. Bosworth (ed.), Iran and Islam. In Memory of the Late Vladimir Minorsky, Edinburgh 1971, pp. 79-89; G. Verardi, Report on a Visit to Some Rock-cut Monasteries in the Province of Ghazni, in EastWest, 27 (1977), pp. 3-22; G. Verardi, Un'ipotesi sulla decorazione di una grotta del Jāghurī (Afghanistan), in AnnOrNap, 41 (1981), pp. 263-70; Sh. Kuwayama - M. Inaba (edd.), Huichao's Wang Wu-Tianzhuguo Zhuan, Records of Travels in Five Indic Regions, Kyoto - Tokyo 1998, pp. 135-44 [in giapponese]; J. Lee - N. Sims-Williams, The Antiquities and Inscription of Tang-i Safedak, in SilkRoadArtA, 9 (2003), pp. 159-84; G. Verardi - E. Paparatti, Buddhist Caves of Jāghurī and Qarabāgh- e Ghaznī, Afghanistan, Roma 2004.
di Maurizio Taddei
La città è un sito di primaria importanza, ma sostanzialmente inesplorato. L'insediamento antico si estendeva fra le tre colline di Sher Darwaza, Asmayi e Tapa Maranjan, ma la sua estensione non è esattamente nota perché su di essa sorge la città "vecchia" (Shahr-i Kohna), in parte rifatta nel corso della prima metà del XX secolo. Le mura, forse di impianto eftalita (V sec. d.C.), si conservano per un buon tratto a sud, sul Kuh-i Sher Darwaza. Quanto oggi sopravvive è tuttavia in gran parte dovuto alle ricostruzioni del XVI-XVII e del XVIII secolo.
Nulla ci è noto dell'età preachemenide e achemenide: soltanto un rinvenimento fortuito (un tesoro di un migliaio di monete d'argento, in gran parte greche, databile alla metà del IV sec. a. C.) ha fornito delle indicazioni. È a partire dal II sec. d.C. che la documentazione archeologica si fa più consistente: una produzione gandharica è attestata da rinvenimenti fortuiti fin dal 1833, anzi, la prima scultura gandharica di cui si sia venuti a conoscenza in Europa proviene proprio da K.
L'unica indagine archeologica approfondita, effettuata dalla Délégation Archéologique Française en Afghanistan nel 1933, è quella di Tapa Maranjan. Si trattava in origine di una qal῾a (casa-fortezza), alle cui mura abbandonate si addossò successivamente una modesta area sacra buddhista; non v'è traccia di monastero. La qal῾a era costruita con grandi mattoni di argilla cruda, misurava 8,6 × 12,3 m e aveva agli angoli torri di rinforzo costruite con ciottoli fluviali; consisteva di tre ambienti principali con volte a botte a tutto sesto. La data della fondazione della qal῾a è da porsi nel IV sec. d.C.
L'insediamento buddhista, che consiste in uno stūpa al centro di un recinto quadrangolare, presenta caratteristiche comuni con altri complessi religiosi dell'Afghanistan come Tapa Sardar a Ghazni e Fondukistan, quali le murature in lastre di scisto a tessitura fitta e intonaco e decorazione plastica (con tracce di pittura) di argilla cruda. Delle sculture, quella più nota è il Bodhisattva seduto di argilla cruda (con gli elementi di dettaglio a stampo e applicati), che mostra evidenti affinità con la produzione del periodo antico di Tapa Sardar e quelle di Tapa Shotor a Hadda. Le sculture di argilla di Tapa Maranjan sono dunque databili al più tardi tra il V e il VI sec. d.C., dal momento che le differenze di stile e di tecnica rispetto a Fondukistan sono ben evidenti.
K. è circondata da un numero considerevole di monumenti buddhisti, di cui alcuni assai noti come il monastero di Gul Dara o Musahi-ye Logar, lo stūpa di Shiwaki e il Minar-i Chakri (pilastro posto su un passo tra i due siti precedenti). Un posto di particolare rilievo ha il sito di Khair Khana, 12 km a nord-ovest di K.: si tratta di un tempio Hindu che ha restituito sculture in marmo di epoca Shahi. Questi siti dimostrano l'importanza della regione di K. tra l'età dei Kushana e quella della dinastia turca degli Shahi (VII-IX sec. d.C.), quando il brahmanesimo andava guadagnando terreno rispetto al declinante buddhismo.
Quello di Gul Dara è un complesso monastico buddhista particolarmente ben conservato. Lo stūpa principale consiste di un aṇḍa su due tamburi (diametro del tamburo inferiore 10,6 m) che poggiano su un alto podio quadrato (lato 12,9 m; alt. 4,3 m) con scalinata a sud-ovest, a sua volta poggiante su una più bassa piattaforma inferiore. La tecnica muraria è quella a lastre di scisto fitte con inserimento abbastanza regolare di blocchi e regolarizzazione mediante lastrine. Stringenti sono le analogie con il grande stūpa di Tapa Sardar a Ghazni, che trovano conferma nell'architettura di argilla cruda del monastero (una corte di ca. 14 m di lato, circondata da un corridoio su cui si aprono le celle), caratterizzata da ambienti voltati a botte con corsi di mattoni inclinati; la presenza di frammenti di sculture sia di stucco sia di argilla cruda è un'ulteriore indicazione al proposito. Gli scavi hanno portato a ipotizzare per Gul Dara un periodo di vita dal IV sec. d.C. alla prima metà del VII secolo. Questa cronologia, troppo rigida soprattutto nel termine iniziale, è tuttora accettabile per la fondazione dello stūpa.
A un periodo sicuramente tardo appartiene il sito di Khair Khana, dove fu posto in luce un complesso templare che mostra due periodi distinti: il primo comporta un tempio in crudo mentre il secondo, che si sovrappone al primo, distrutto, mostra tre celle costruite con lastre di scisto. Sono ben note le sculture di marmo attribuite a età Shahi: un Surya (divinità solare Hindu) sul carro, e un Surya stante. Sh. Kuwayama ha proposto una datazione basata sull'evidenza delle fonti cinesi: il tempio più antico sarebbe stato abbandonato dopo il 608 e prima del 630 d.C., il più recente (cui appartengono le sculture) sarebbe già stato costruito pochi anni dopo, quando Xuan Zang visitò Kapishi.
Bibliografia
In generale:
R. Curiel, Le site de Caboul, in R. Curiel - D. Schlumberger (edd.), Trésors monétaires d'Afghanistan, Paris 1953, p. 128 ss.; N. Hatch Dupree, An Historical Guide to Kabul, Kabul 1972; D.W. MacDowall - M. Taddei, 4. The Early Historic Period: Achaemenids and Greeks; 5. The Pre-Muslim Period, in F. R. Allchin - N. Hammond (edd.), The Archaeology of Afghanistan from Earliest Times to the Timurid Period, London - New York - San Francisco 1978, passim; W. Ball, s.v. Kabul, in W. Ball, Archaeological Gazetteer of Afghanistan - Catalogue des sites archéologiques d'Afghanistan, I, Paris 1982, pp. 136-37; Sh. Kuwayama, Historical Notes on Kāpiśi and Kabul in the Sixth-Eighth Centuries, in Zinbun. Annals of the Institute for Research in Humanities, Kyoto University, 34, 1 (1999), pp. 25-77; Id., Across the Hindukush of the First Millennium. A Collection of the Papers, Kyoto 2002.
Su Tapa Maranjan:
R. Curiel, Le trésor du Tépé Maranjān, in R. Curiel - D. Schlumberger (edd.), Trésors monétaires d'Afghanistan, Paris 1953, pp. 101-130; J. Carl - J. Hackin, Le monastère bouddhique de Tépé Marandjân, in J. Hackin et al., Diverses recherches archéologiques en Afghanistan (1933-1940), Paris 1959, pp. 7-12; G. Fussman, Les ruines du Tepe Maranjān. Essai d'analyse et de chronologie, in G. Fussman - M. Le Berre, Monuments bouddhiques de la région de Caboul, I. Le monastère de Gul Dara, Paris 1976, pp. 95-99.
Su Gul Dara e Shiwaki:
A. Lézine, Trois stupa de la région de Caboul, in ArtAs, 27 (1964-65), pp. 5-24. Su Khair Khana: J. Hackin - J. Carl, Recherches archéologiques au col de Khair Khaneh près de Kabul, Paris 1936; P. Bernard - F. Grenet, Découverte d'une statue du dieu solaire Surya dans la région de Caboul, in StIranica, 10 (1981), pp. 127-46.
di Giannino Pastori
Città dell'Afghanistan meridionale che sorge in una pianura bagnata dai fiumi Arghandab e Shorab e crocevia di importanti vie di comunicazione.
K. è stata identificata con la città achemenide di Harakuwatis e con Alessandria d'Arachosia, quest'ultima identificazione attendibile, ma ancora dibattuta. Il nome K. è attestato dal XIII sec. d.C. I primi scavi furono intrapresi nel 1974 da D. Whitehouse a sud della cittadella fortificata che dominava dall'alto la città vecchia, sita 4 km a ovest dell'attuale, fondata nel 1748. Allo scopo di raggiungere al più presto i livelli della città ellenistica fu usato uno scavatore meccanico che, pur se limitato a una sezione delle mura, ha danneggiato il deposito archeologico. Le indagini hanno portato alla luce strutture civili e militari, nonché un vasto cimitero islamico; i reperti testimoniano una costante occupazione della regione dall'età del Bronzo al 1738, quando la città vecchia fu rasa al suolo da Nadir Shah.
Nel corso di oltre 3000 anni gli edifici furono quasi sempre realizzati in terra e argilla; i mattoni cotti sono rari e la pietra fu usata quasi esclusivamente nelle fondazioni. L'impianto ortogonale della città e il percorso delle mura subirono pochi cambiamenti nel corso del tempo. Poiché il deposito archeologico si trova al di sotto della falda acquifera, l'indagine degli strati più antichi è stata limitata, cosicché l'età del Bronzo è testimoniata solo da pochi reperti ceramici simili a quelli rinvenuti a Mundigak; è probabile comunque che l'insediamento avesse dimensioni limitate. Solo nel I millennio a.C. K. divenne una vera e propria città, con la costruzione di mura di terra battuta e lo sviluppo di un'industria ceramica per la produzione di vasellame dipinto. Si ipotizza che l'allargamento dell'insediamento originario sia stato dovuto ai fenomeni migratori delle popolazioni indoeuropee che interessarono, nell'età del Ferro, la regione tra Iran e India.
Durante il periodo achemenide comparvero le prime strutture in terra pressata (pakhsā), innovazione tecnica che permise la realizzazione di una grande piattaforma per uno o più edifici, probabilmente anch'essi parte del sistema difensivo. Una tecnica simile è stata riscontrata in altri siti coevi o precedenti, sia in Iran sia in Afghanistan (Mundigak, Nad-i Ali, Karku Shah e Turang Tepe). Compare una ceramica decorata con linee orizzontali e a spirali. L'imponenza delle fortificazioni dimostra come K. fosse ormai un importante centro politico e militare. La presenza di un editto su roccia dell'imperatore Maurya Ashoka (272-231 a.C.), in greco e aramaico, rinvenuto presso l'odierno villaggio di Sarpuza, così come altre iscrizioni su roccia della zona, attestano l'uso del greco come lingua ufficiale della regione quasi un secolo dopo la conquista macedone. I ritrovamenti archeologici, tuttavia, sono limitati a pochi tipi ceramici e ad alcune strutture di mattone cotto; manca, inoltre, un'architettura di tipo ellenistico come quella greco-battriana. È probabile che la città avesse solo un presidio militare greco, abbandonato rapidamente; il greco e l'aramaico sarebbero sopravvissuti come lingue amministrative, poiché la locale lingua iranica non era scritta.
La dominazione degli Shaka non è dimostrata, tuttavia classi ceramiche con decorazioni incise e iscrizioni in kharoṣṭhī su alcune ciotole la fanno ritenere probabile. Verosimilmente riconducibile a questo periodo è la comparsa del buddhismo nella regione, anche se i resti ancora visibili di un monastero e di uno stūpa sono stati datati al IV sec. d.C. L'arrivo di popolazioni indo-partiche è caratterizzato da un ritorno delle ceramiche con decorazione a spirale e da una ricostruzione delle fortificazioni con mattoni al posto del pakhsā. In epoca sasanide la mancanza di minacce esterne permise una progressiva riduzione delle strutture difensive, a favore delle attività agricole anche all'interno del perimetro cittadino. I regnanti turchi dello Zabulistan elessero K., nota alle fonti arabe come al-Ruḫḫaǵ, capitale invernale del regno. A questo periodo risalgono imponenti lavori di ricostruzione delle mura con mattoni crudi, probabilmente eseguiti per fronteggiare la minaccia araba.
Le prime fasi dell'occupazione islamica sono poco note. La stessa natura del vasto cimitero moderno pone complesse questioni interpretative; l'uso dei tumuli, tipico delle popolazioni nomadiche dell'Asia Centrale, è attestato, nel periodo islamico, solo a Ishan Tup e Sar Rustaq in Battriana. È stato comunque sottolineato quanto poco sia ancora noto dei riti funebri della dinastia Ghuride che regnò su K. dopo la sconfitta dei Ghaznavidi. Il breve dominio mongolo tra il XIII e il XIV sec. d.C. non sembra aver lasciato tracce significative.
A.H. Habibi, Tiginabad Kuja Bud?, in Aryana, 5, 6 (1947-48), pp. 32-37; L. Dupree, Shamshir Ghar: Historic Cave Site in Kandahar Province, Afghanistan, in AnthrPAmMusNatHis, 46 (1958), pp. 141-311; G. Fussman, Notes sur la topographie de Kandahar, in ArtsAs, 13 (1966), pp. 33-57; U. Scerrato et al., A Bilingual Greco-Aramaic Edict by Aśoka. The First Greek Inscription Discovered in Afghanistan, Rome 1966; K. Fischer, Alexandropolis Metropolis Arachosias, zur lage von Kandahar und Landverbindungen Iran und Indien, in BJb, 167 (1967), pp. 129-232; P. Bernard, Un problème de toponimie de l'Asie Centrale: les noms anciens de Qandahar, in StIranica, 3 (1974), pp. 171-85; C.E. Bosworth, s.v. Kandahar, in EIslam2, IV, 1978, pp. 535-38; A.W. Mc Nicoll, Excavations at Kandahar, 1975. Second Interim Report, in Afghan Studies, 1 (1978), pp. 41-66; D. Whitehouse, The Barrow Cemetery at Kandahar, in AnnOrNap, 36 (1978), pp. 473-88; P.M. Fraser, The Son of Aristonax of Kandahar, in Afghan Studies, 2 (1979), pp. 9-23; S.W. Helms, Old Kandahar Excavations 1976: Preliminary Report, ibid., pp. 1-8; M. Taddei, A Note on the Barrow Cemetery at Kandahar, in SAA 1979, pp. 909-16; S.W. Helms, Excavations at "The City and the Famous Fortress of Kandahar, the Foremost Place in All of Asia", in Afghan Studies, 3, 4 (1982), pp. 1-24; Id., Kandahar of the Arab Conquest, in WorldA, 14 (1983), pp. 343-53; W. Ball, The Seven Qandahars. The Name Q.ND.HAR in the Islamic Sources, in SouthAsSt, 4 (1988), pp. 115-42; A.W. Mc Nicoll et al., Excavations at Kandahar 1974 and 1975. The First Two Seasons at Shahr-i Kohna (Old Kandahar) Conducted by the British Institute of Afghan Studies, Oxford 1996; S.W. Helms, Excavations at Old Kandahar in Afghanistan 1976-1978. Stratigraphy, Pottery and Other Finds, Oxford 1997.
di Shoshin Kuwayama
Piccolo distretto dell'attuale provincia del Parvan, alla confluenza dei fiumi Ghorband, Salang e Panjshir, 80 km circa a nord di Kabul. Del nome non esistono testimonianze letterarie precedenti la metà del VI sec. d.C., quando comparve un piccolo regno retto da una dinastia identificata come Khingal nelle fonti cinesi di epoca Tang, dal nome del monarca eponimo, o come Nezak sulle leggende monetali.
Il regno comprendeva una vasta regione nella valle di Kabul, dall'attuale Kabul a ovest fino all'Indo a est, e profittava dei vantaggi economici della posizione di centro commerciale sul tracciato che attraversava lo Hindukush a Bamiyan. Un gruppo di Turchi, stabiliti a Kabul, era soggetto ai re Nezak; l'avanzata araba a Kabul incoraggiò la comunità turca, guidata da un certo Barha Tegin, a sviluppare il proprio potere militare e a esercitare un controllo politico sui principi Nezak, che furono definitivamente spodestati negli anni Settanta del VII secolo. Da questo momento Kabul divenne il centro più fiorente della regione. I Turchi vennero tuttavia a loro volta rovesciati da Kallar, un wazir brahmano, che fondò la dinastia Hindu Shahi; l'equilibrio dinastico e politico si spostò quindi a Udabhandapura (attuale Hund), nella regione orientale dell'Indo.
A seguito della raccolta tra i materiali di superficie di monete indo-greche da parte di Ch. Masson e dei saggi di scavo di J. Bartoux, A. Foucher identificò la capitale del regno di K. con i resti di una città antica nota come Begram. Il sito è morfologicamente diviso in tre settori: a dominare la confluenza sui fiumi è un'area fortificata di circa 140 × 90 m. Circa 320 m più a sud, alla sommità di una più piccola altura, è un'altra area fortificata di forma oblunga (256 × 81 m). Il pendio tra i due settori, non esplorato, era anch'esso munito di difese laterali. Il sito dell'antica capitale doveva comprendere anche questa area di collegamento tra i due settori fortificati.
Un elemento distintivo e caratteristico della vasta regione che da Begram passa per Kabul e Wardak fino a Ghazni è la ceramica con decorazioni circolari impresse a stampo rinvenuta nell'area del "bazar" e dei bastioni di Begram. Le stesse impressioni a stampo sono infatti attestate anche in altri siti, come Tapa Skandar, Shotorak, Koh-i Mori, Tepe Maranjan, Khair Khana, Gul Dara a Logar, Saka, Wardak, Jagatu-i Wardak, Chanwar presso Gardez e Tapa Sardar a Ghazni. La datazione della definitiva scomparsa della ceramica con decorazione a stampo negli ultimi anni del VII secolo è dovuta al fatto che non è attestato alcun esemplare a Fondukistan; qui la cronologia è infatti fissata con certezza da una moneta arabo-sasanide del 689 d.C., deposta in un'urna cineraria collocata ai piedi della statua di argilla dipinta raffigurante una coppia reale.
I monumenti buddhisti dell'area di Begram, come Shotorak, Kul-i Nadir, Tapa Kalan, Top Dara, Kham Zargar e Paitava hanno restituito caratteristiche sculture di scisto grigio, piuttosto uniformi nello stile e nei soggetti rappresentati. È invece variato l'impianto degli edifici monastici; sostenuti dalle attività commerciali di K., questi continuarono a essere fiorenti fino allo spodestamento dei Nezak da parte dei Turchi. Il nuovo ruolo economico di Kabul sotto l'egemonia turca, tra il 670 e l'880 circa, è riflesso dalla costruzione o dal rinnovamento dei monasteri buddhisti in aree quali Kamari-Shiwaki e Gul Dara a Logar, a sud di Kabul, come a Tepe Khazana, Hashmat Khan e Tepe Maranjan. D'altro canto, è testimoniata l'esistenza di diverse dozzine di santuari Hindu e Jaina e di un migliaio di devoti delle scuole shivaite pāśupata e kāpālika. Monumenti e statue Hindu sono stati rinvenuti nell'area di Kabul; le opere più notevoli sono due dozzine di statue di marmo bianco, relative a soggetti shivaiti come Uma-Maheshvara, Durga e liṅgam monolitici, provenienti da siti quali Tapa Skandar e Khair Khana, rispettivamente 30 e 10 km a nord di Kabul.
A. Foucher, La vieille route de l'Inde de Bactres à Taxila, Paris 1942; R. Ghirshman, Begram. Recherches archéologiques et historiques sur les Kouchans, Le Caire 1946; J. Hackin, Nouvelles recherches archéologiques à Begram, Paris 1954; J. Hackin - J. Carl - J. Meunié, Diverses recherches archéologiques en Afghanistan, Paris 1959; S. Mustamandi - M. Mustamandi, The Excavation of the Afghan Archaeological Mission in Kapisa, in Afghanistan, 20, 4 (1967-68), pp. 67-79; K. Fischer, Preliminary Remark on Archaeological Survey in Afghanistan, in ZentralasSt, 3 (1969), pp. 327-408; G. Fussman, Ruines de la vallée de Wardak, in ArtsAs, 30 (1974), pp. 65-130; Sh. Kuwayama, Kāpiśī-Begram III. Renewing its Dating, in Orient, 10 (1974), pp. 57-78; Id., The Turki Śāhis and Relevant Brahmanical Sculptures in Afghanistan, in EastWest, 26, 3-4 (1978), pp. 375-407; A. Rahman, The Last Two Dynasties of the Śāhis, Islamabad 1979; P. Bernard - F. Grenet, Découverte d'une statue de dieu solaire Sūrya dans la règion de Caboul, in StIranica, 10 (1981), pp. 127-46; D. Whitehouse, Begram, the Periplus and Gandharan Art, in JRA, 2 (1989), pp. 93-100; Sh. Kuwayama, L'inscription du Gaṇeśa de Gardez et la chronologie des Turki-Śāhis, in JAs, 279, 3-4 (1992), pp. 267-87; Id., Not Hephthalite but Kāpiśian Khingal. Identity of the Napki Coins, in A.K. Jha - S. Garg (edd.), Ex Moneta. Essays on Numismatics, History and Archaeology in Honour of Dr. David W. MacDowall, New Delhi 1998, pp. 331-49; Id., Historical Notes on Kāpiśi and Kabul in the Sixth-Eighth Centuries, in Zinbun. Annals of the Institute for Research in Humanities, Kyoto University, 34, 1 (2000), pp. 25-77.
di Giannino Pastori
Il sito di Sh. si trova sull'altopiano di Begram ai piedi di Kuh-i Pahlawan, una montagna a circa 60 km a nord di Kabul.
Lo scavo portò all'individuazione di un complesso monastico che copriva oltre un ettaro di superficie, composto da un'area principale e altre secondarie. La prima (denominata corte F) è caratterizzata dalla presenza di un grande stūpa quadrato (F1) di cui si conserva solo la base di 8 m di lato. La parete est era occupata dalla scala principale, mentre le altre pareti avevano tre nicchie ciascuna. A ovest dello stūpa vi erano un camminamento e un colonnato. Lo schema costruttivo dello stūpa ricorda quello di altri siti dell'Afghanistan (Tapa Sardar e Kharwar fra gli altri); la base è suddivisa in due registri, il primo realizzato in scisto con semicolonne, il secondo in lastrine di scisto intervallate da grandi blocchi dello stesso materiale. Le indagini archeologiche hanno permesso di distinguere tre successive fasi costruttive e di appurare che le nicchie, appartenenti alla seconda di queste, furono il risultato di un'opera di allargamento del monumento; il fondo delle stesse era, originariamente, la superficie esterna dello stūpa stesso formata da una base in scisto e da un secondo registro in lastrine e semicolonne dello stesso materiale. Davanti alla scalinata dello stūpa principale sorgevano altri quattro monumenti secondari (F2, F3, F4, F6) di forma sempre quadrata, ma dalle dimensioni modeste (1,5 m di lato). Su questi ultimi erano presenti immagini come il leone, l'elefante e la raffigurazione del parinirvāṇa sullo stūpa F6. Sulla corte, all'interno del quale sorge il grande stūpa, si aprono cinque celle principali anch'esse occupate da immagini sacre.
La corte D è la seconda area per importanza: situata a est della corte F, era a essa collegata per mezzo di un camminamento lastricato. Contrariamente alla corte F, la D non è caratterizzata da un monumento principale ma da 6 stūpa piccoli in scisto posizionati in ordine sparso. Lo stūpa D4 si distingue dagli altri per la pianta circolare ‒ mentre gli altri sono quadrati ‒ e per essere ricavato all'interno di una piccola stanza nella quale era possibile praticare la pradakṣinā. Sulla parete est della stanza era una nicchia con la statua di un Buddha assiso di grandi dimensioni. Al centro della corte si conserva la base di un monumento di dimensioni maggiori (3,6 m di lato), probabilmente uno stūpa. Altra caratteristica della corte D è la presenza di tombe per alcuni monaci di alto rango.
Nel corso degli scavi sono state rinvenute tracce dell'incendio che pose fine all'esistenza del monastero nel III o IV sec. d.C. Durante l'incendio e nei secoli successivi avvenne anche il crollo delle coperture che erano, probabilmente, di terra. L'apparente assenza di cupole, tipiche di Bamiyan, ricorda i monasteri di Hadda e Taxila.
Contrariamente agli altri siti buddhisti dell'Afghanistan, a Sh. la decorazione plastica è di scisto; quelle di terra cruda sono un'eccezione, come il Buddha assiso di fronte a D4. Non sono state individuate statue a tutto tondo, ma solo rilievi. Molte sono le immagini di offerenti e adoranti, tra i quali sono riconoscibili anche Brahma e Indra. L'impianto iconografico generale è di stampo gandharico, somigliante a quello di Taxila, mentre è relativamente scarsa l'influenza cinese. Secondo i dati archeologici raccolti, la fondazione del monastero risale con tutta probabilità all'epoca dell'imperatore Kanishka della dinastia Kushana (78/120 d.C.). J. Meunié ha ipotizzato che la costruzione non avesse una destinazione religiosa ma che, al contrario, servisse da "prigione" per gli ostaggi cinesi catturati durante le guerre di confine.
J. Meunié, Shotorak, Paris 1942; J.M. Rosenfield, The Dynastic Arts of the Kushanas, Berkley - Los Angeles 1967; M. Bussagli, L'arte del Gandhāra, Torino 1984; H. Tsuchiya, An Iconographical Study of the Buddhist Art of Shotorak, Paitava and Kham Zarga, in SilkRoadArtA, 6 (2000), pp. 97-114.
di Giovanni Verardi
Santuario buddhista nei pressi di Ghazni (Afghanistan), di fondazione regia, come da iscrizione che lo definisce mahārājavihāra, forse identificabile con lo Shāh Bahār del Kitāb al-buldān, distrutto nel 795 d.C.
Gli scavi, iniziati negli anni Sessanta del Novecento, proseguirono fino al 1976 e furono ripresi nel 2003, dopo i gravissimi danni prodotti dalla guerra. Quasi nulla sappiamo dell'impianto del primo santuario, di cui ignoriamo la pianta e cui non è riferibile con certezza alcuno dei materiali rinvenuti, tranne forse le monete più antiche, ascrivibili ai Kushana (nessuna delle quali è stata, tuttavia, rinvenuta in una stratigrafia sigillata). Le strutture pertinenti a questa prima fase sono un tratto di muro di terrazzamento di scisto, decorato con lesene e trabeazione, e le basi di due colonne che segnavano l'ingresso alla sommità del colle, che non è in asse con la scala del monumentale stūpa che vi sorge.
Fu non prima del VI sec. d.C., a seguito del pieno costituirsi del regno di Zabul (la Ghazni preislamica), che il santuario fu ampliato e riorganizzato e che fu costruito lo stūpa principale, uno dei più grandi di tutto l'attuale Afghanistan. Questa fase, non chiarita in tutte le sue complesse vicende costruttive e decorative, è testimoniata, com'è naturale, soprattutto dai monumenti e dai materiali più tardi. Si segnalano lo Stupa 64, con base quadrata e corpo ottagono, il Monumento 69, rappresentante mura urbane fornite di torri e feritoie delimitanti un'area sacra, e grandi ambienti, uno dei quali (n. 100), dipinto, ospitava una gigantesca immagine di Maitreya (?) a cui rendevano omaggio principi in abito centroasiatico, di certo della cerchia dei rutbyl di Zabul, che erano Khalaj, una stirpe turca. Fu probabilmente nel 671-72, quando Ubaid Allah conquistò ‒ sia pur temporaneamente ‒ il territorio tra Kandahar e Kabul, che T.S. ebbe a soffrire gravi danni, in particolare un rovinoso incendio che ne distrusse completamente la decorazione coroplastica. Dalle migliaia di frammenti raccolti, finiti in una colmata, è possibile osservare il passaggio da una produzione ancora strettamente legata ai modelli ellenistici, simile a quella attestata a Tapa Shotor (Hadda) e a Kharwar nel Logar, a una più orientata verso i nuovi modelli centroasiatici. Il repertorio iconografico è di tipo tardogandharico: qualche scena con la vita del Buddha e, soprattutto, scene di devozione.
Il santuario fu completamente ricostruito intorno al 700 d.C., in un clima culturale profondamente mutato, che vedeva i regni buddhisti dell'Asia Centrale occidentale cercare protezione nella Cina Tang, allora governata dall'imperatrice Wu Zetian, fervente buddhista. Il santuario, di dimensioni minori di quello precedente, assunse la forma di una fortezza, con ambienti costruiti interamente in crudo, collegati da percorsi interni, e ambienti cultuali decorati da immagini ora finite con uno strato di argilla rossiccia. Dal punto di vista stilistico si osserva un'influenza sempre più netta dell'arte Tang, di cui risentono anche i tratti fisiognomici dei personaggi rappresentati: ancora contenuta nelle cappelle costruite attorno al grande stūpa, essa diviene esplicita nelle immagini che decoravano gli stūpa e i troni innalzati lungo una parte del percorso processionale. Questa fase del nuovo santuario ebbe termine a metà secolo, quando i Tang furono costretti a ritirarsi dall'Asia Centrale.
Le iconografie non rompono con quelle tardogandhariche, ma appaiono ora pienamente sviluppati temi quali quello dei Mille Buddha (Cappella 17), non diversamente che a Bamiyan. Non sembrano esistere iconografie propriamente definibili come "mahayaniche". Risale alla seconda metà dell'VIII secolo un'immagine di dea aggiunta alla decorazione originaria della Cappella 23, rappresentata con l'iconografia della dea Hindu Durga che uccide il demone Mahisha. La presenza dei culti brahmanici, bene attestati in quell'epoca nel Logar e nella regione di Kabul, consigliava l'adozione di simili forme, secondo un modello ben documentato nell'India nord-orientale.
Benché non si possa sapere con certezza quando il santuario fu abbandonato, è probabile che ciò avvenne alla fine dell'VIII secolo, quasi un secolo prima della definitiva sottomissione del regno di Zabul al nuovo potere islamico. La costruzione dei monumenti votivi lungo il sentiero processionale non fu infatti mai completata, né sembra aver avuto seguito l'iniziale fase sincretica attestata dall'iconografia di Durga.
M. Taddei, Tapa Sardār. First Preliminary Report, in EastWest, 19 (1969), pp. 109-24; Id., The Mahisamardini Image from Tapa Sardar, Ghazni, in SAA [1971], pp. 203-13; Id., Problemi di storia dell'arte e ricerca archeologica, in Il Veltro, 16 (1972), pp. 549-61; Id., A Note on the Parinirvāṇa Buddha at Tapa Sardar, in SAA 1973, pp. 111-15; M. Taddei - G. Verardi, Tapa Sardār. Second Preliminary Report, in EastWest, 28 (1978), pp. 33-135; Iid., Buddhist Sculptures from Tapa Sardâr, in PP, 199 (1981), pp. 251-66; G. Verardi, Gandharan Imagery at Tapa Sardar, in SAA 1981, pp. 257-62; Id., Osservazioni sulla coroplastica di epoca kuṣāṇa nel Nord-Ovest e in Afghanistan in relazione al materiale di Tapa Sardār, seguite da una precisazione sulla natura e la data delle sculture di Ushkur, in AnnOrNap, 43 (1983), pp. 479-504; M. Taddei - G. Verardi, The Italian Archaeological Mission in Afghanistan. Brief Account of Excavation and Study, in Studi di storia dell'arte in memoria di Mario Rotili, I, Napoli 1984, pp. 41-70; Iid., Clay Stūpas and Thrones at Tapa Sardār, Ghazni (Afghanistan), in Zinbun. Annals of the Institute for Research in Humanities, Kyoto University, 20 (1985), pp. 17-32; M. Taddei, Chronological Problems Connected with Buddhist Unbaked-Clay Sculptures from Afghanistan and Surrounding Areas, in M. Alram - D.E. Klimburg-Salter (edd.), Coins, Art, and Chronology. Essays on the pre-Islamic History of the Indo-Iranian Borderlands, Wien 1999, pp. 391-97; G. Verardi - E. Paparatti, Buddhist Caves of Jāghūrī and Qarabāgh-e Ghaznī, Afghanistan, Roma 2004, pp. 93-94.
di Shoshin Kuwayama
Grande deposito archeologico in Afghanistan, formatosi su una collinetta di calcare, chiamato dalla popolazione locale Bala Hissar. È situato a circa 30 km a nord di Kabul, a breve distanza dalla strada che porta a Charikar.
A parte le più antiche rovine di strutture isolate datate anteriormente al VI secolo e l'ultima fortezza (qal῾a) dei primi anni del XVII secolo, T.S. visse il suo periodo più fiorente tra il VI e il IX sec. d.C., quando i seguaci del brahmanesimo si fecero committenti della costruzione di un imponente forte, di diversi santuari e di altri edifici minori, tutti racchiusi dalle mura costruite lungo il perimetro superiore del sito.
Di importanza straordinaria in questo periodo (periodo II) sono l'immagine in marmo di Umamaheshvara con iscrizione brāhmī sul piedistallo, rinvenuta in un tempio, e altri 8 frammenti di statue dello stesso materiale, come anche i 770 frammenti ceramici decorati con motivi a stampo di animali e fiori. La statua di Umamaheshvara, alta 81 cm, è una delle meglio conservate tra le due dozzine di immagini brahmaniche di marmo conosciute. L'immagine di T.S. rappresenta Maheshvara, con quattro braccia e tre occhi, seduto sul toro Nandin, con la consorte Uma alla propria sinistra e, ai piedi di lei, un bambino ignudo probabilmente identificabile con Skanda. Sul piedistallo vi è, su tre righe, un'iscrizione sanscrita di ottantaquattro caratteri brāhmī ad angolo acuto di epoca post-Gupta. La composizione dell'immagine si rifà a quelle gandhariche di Panchika e Hariti, mentre i dettagli hanno molte caratteristiche in comune con quelle di altre sculture brahmaniche in marmo e anche con la produzione buddhista di terracotta o argilla di Bamiyan, Fondukistan, Tapa Sardar in Afghanistan e di Ushkar e Akhnur nel Kashmir e nel Jammu. Sulla base di questi confronti, l'immagine è assegnata al periodo tra la seconda metà del VII e la metà dell'VIII sec. d.C. Questa data è confermata dall'esame paleografico dell'iscrizione, da cui risulta che alcuni caratteri mostrano già elementi affini ai successivi caratteri nāgarī.
Il sito di T.S., a pianta esagonale allungata e alto circa 20-30 m rispetto al piano di campagna, è situato alla confluenza di due ruscelli, separati a est dal monte Kandu Sang. Tutti gli edifici fin qui indagati sono costruiti con mattoni crudi di varie misure, impiegati per gli alzati, su basamenti costruiti sulla roccia. L'ampia terrazza superiore racchiusa dalle mura (340 × 190 m) è divisa in una parte più bassa a occidente e in un'imponente parte orientale. Al centro di quest'ultima vi è un'altura artificiale oblunga, limitata all'estremità est da un massiccio muro di contenimento in mattoni crudi; sulla sua sommità piatta si trova, al centro, un forte e all'estremità ovest il tempio di Umamaheshvara. Il forte, che misura 54 × 47 m, è rafforzato da quattro torri semicircolari sul lato ovest e da due più grandi all'angolo sud-est. La pianta originale sembra aver avuto una forma a T. Il tempio di Umamaheshvara, di circa 16 × 13 m, ha un ampio vestibolo aperto a ovest, che un muro notevolmente più spesso separa da un lungo e stretto ambiente rettangolare a est. Entrambi gli ambienti hanno una nicchia poco profonda, dello stesso tipo e proporzioni, nel muro meridionale. L'immagine di Umamaheshvara, stante e rivolta a sud-ovest, fu rinvenuta al centro del muro divisorio nel vestibolo. Il contesto del rinvenimento fa supporre che l'immagine non fosse in situ: in origine essa doveva trovarsi presumibilmente dentro la nicchia nel muro divisorio.
La ceramica di T.S. può essere classificata in tre gruppi. Il primo, quantitativamente scarso, è costituito da ceramica rossa con spessa ingubbiatura rossa, ottenuta da argilla ben depurata; alcuni frammenti sono decorati con semplici linee dipinte in nero. Il secondo gruppo, che a volte è associato al primo, consiste di frammenti di piccole ciotole di ceramica grigia o nera. Molto comune è la ceramica del terzo gruppo, rossa e compatta, parzialmente rivestita al sommo da una sottile ingubbiatura rosso-scura o bruna. La caratteristica più notevole di questa ceramica è la decorazione che, ove presente, è solamente del tipo a stampo, per lo più entro cerchio. Le decorazioni ceramiche a stampo si possono classificare in due categorie tipologiche: quelle che rappresentano, iscritti in un cerchio, animali ‒ uccelli, cavalli, cervi e stambecchi (che a volte portano nastri legati al collo) ‒ e quelle che rappresentano fiori, come il loto entro un cerchio e motivi ad albero liberi. I frammenti decorati con medaglioni impressi provengono principalmente dal forte, dal tempio di Umamaheshvara, dalla cappella a est del forte e dal grande podio a sud del tempio. I luoghi di rinvenimento suggeriscono che la ceramica del primo e del secondo gruppo vada attribuita al periodo I e che sia anteriore al terzo gruppo, contemporanea agli edifici del periodo II.
A. Foucher, La vieille route de l'Inde de Bactres à Taxila, I-II, Paris 1942-47; R. Ghirshman, Begram. Recherche archéologiques et historiques sur les Kouchans, Le Caire 1946; Sh. Kuwayama, The First Excavation at Tapa Skandar, in Archaeological Survey of Kyoto University in Afghanistan 1970, Kyoto 1972, pp. 5-14; Id., Excavations at Tapa Skandar. Second Interim Report, in Kyoto University Archaeological Survey in Afghanistan 1972, Kyoto 1974, pp. 5-13; Sh. Kuwayama - Sh. Momono, The Third Excavation at Tapa Skandar, in Japan-Afghanistan Joint Archaeological Survey in 1974, Kyoto 1976, pp. 5-15; Sh. Kuwayama, The Turki Śāhis and Relevant Brahmanical Sculptures in Afghanistan, in EastWest, 26 (1976), pp. 375-407; Id., The Fourth Excavation at Tapa Skandar, in Japan-Afghanistan Joint Archaeological Survey in 1976, Kyoto 1978, pp. 5-12; Id., The Fifth Excavation at Tapa Skandar, in Japan-Afghanistan Joint Archaeological Survey in 1978, Kyoto 1980, pp. 5-15.